l'angolo dell'attualità

13 agosto 2025
L’ART. 105, COMMA 1 C.P.A. – QUANTO ALLA RIMESSIONE DELLA CAUSA AL PRIMO GIUDICE PER ACCERTATA NULLITA’ DELLA PRONUNCIA DI QUESTI - SI APPLICA ANCHE QUANDO LA SENTENZA APPELLATA ABBIA DICHIARATO IMPROCEDIBILE IL RICORSO DI PRIMO GRADO, ERRANDO PALESEMENTE NELL’ESCLUDERE LA PERMANENZA DELL’INTERESSE DEL RICORRENTE. SECONDO IL CONSIGLIO DI STATO, LE CONSIDERAZIONI FORMULATE DALL’ADUNANZA PLENARIA NELLA SENTENZA N. 16 DEL 2024 – IN RELAZIONE ALLA ERRONEA DECLARATORIA DI INAMMISSIBILITA’ DEL RICORSO – DEVONO ESSERE ESTESE ANCHE ALL’IPOTESI DELL’ERRONEA DECLARATORIA DI IMPROCEDIBILITA’ DEL RICORSO, CARATTERIZZATA DA UN CORRISPONDENTE OGGETTO DELL’ERRORE SULLA PERSISTENZA DI UNA CONDIZIONE DELL’AZIONE. SE DUNQUE NEL CORSO DEL GIUDIZIO TALE CONDIZIONE SI RITIENE NON PIU’ SUSSISTENTE, MA LA PRONUNCIA SI BASA SU DI UNA MOTIVAZIONE PALESEMENTE TAUTOLOGICA, SUPERFICIALE O RIFERIBILE A FATTI O A CIRCOSTANZE NON PERTINENTI, IL MANCATO ESAME DEL MERITO DETERMINA LA TOTALE NEGAZIONE DEL DOPPIO GRADO DI GIUDIZIO DI MERITO, CON CONSEGUENTE NULLITA’ DELLA PRONUNCIA STESSA. INVERO, TALE NULLITA’, EX ART. 105, COMMA 1 C.P.A., è PUR SEMPRE LA CONSEGUENZA DI UN VIZIO FORMALE DELLA SENTENZA, CHE ATTIENE ALLA INDIVIDUAZIONE DEI PRESUPPOSTI PROCESSUALI – E DEI RILEVANTI ELEMENTI GIURIDICI E FATTUALI -, RIVERBERANDOSI SUL CONTENUTO MERAMENTE PROCESSUALE DELLA DECISIONE ( Adunanza Plenaria n. 10/2025 ) In sede di applicazione dei principi enunciati dalla sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 16 del 2024, la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha chiarito che va disposto l’annullamento con rinvio nel caso di erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado a causa della rilevata inoppugnabilità di un atto presupposto, in realtà insussistente, così come l’annullamento con rinvio va disposto nel caso di erronea declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado a causa della rilevata inoppugnabilità di un atto consequenziale, in realtà insussistente. D’altra parte, il Consiglio di Stato ha anche rilevato l’applicabilità dell’art. 105 del c.p.a., quando la sentenza di primo grado abbia dichiarato improcedibile il ricorso, attribuendo effetti permanenti ad un atto in realtà avente effetti provvisori. In aggiunta, la nuova pronuncia dell’Adunanza Plenaria sul punto – oltre a confermare anche nel caso dell’improcedibilità il principio di diritto già espresso sulla necessità di annullamento di rinvio quando il Consiglio di Stato rilevi, senza alcun margine di dubbio, che la motivazione della sentenza di primo grado in rito sia palesemente tautologica, superficiale o riferibile a fatti o a circostanze non pertinenti - ha esteso la possibilità di dichiarazione di nullità della sentenza anche al caso in cui la statuizione di improcedibilità non tenga conto, nel senso che neppure ne manifesti la conoscenza, tanto da risultarne inconsapevole, di un principio di diritto enunciato dall’Adunanza Plenaria o di un orientamento consolidato del Consiglio di Stato, così basandosi su una motivazione palesemente tautologica e superficiale. Al contrario, sempre secondo il Consiglio di Stato, non va disposto l’annullamento con rinvio, qualora l’errore non possa essere qualificato come palese, così da rendere nulla la sentenza, come avviene quando siano stati analiticamente esaminati tutti gli elementi fattuali della vicenda e vi sia stata la consapevole valutazione del quadro normativo e giurisprudenziale.
13 agosto 2025
IN ORDINE AL QUESITO SUL SE, IN RELAZIONE A FIUMI, TORRENTI O CORSI D’ACQUA “MINORI”, DEBBANO INTENDERSI SOGGETTE AL VINCOLO PAESAGGISTICO EX ART. 142, COMMA 1, LETT. C) DEL D.LGS. N. 42/2004 UNICAMENTE LE PORZIONI DI AREE RICOMPRESE NEI 150 METRI A PARTIRE DAI PIEDI DEGLI ARGINI E DALLE SPONDE, CON ESCLUSIONE DELLA AREE “SOPRAELEVATE”, L’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO SI E’ ESPRESSA IN SENSO NEGATIVO. IN PARTICOLARE, SECONDO L’ADUNANZA, SAREBBE IRRAGIONEVOLE UNA LETTURA DELLE NORME IN MATERIA DI TUTELA DEI TERRENI COSTIERI O CONFINANTI CON FIUMI E TORRENTI CHE DIVERSIFICHI IL VALORE PAESAGGISTICO DEL TERRITORIO PROSSIMO ALLE ACQUE A SECONDA CHE SI TRATTI DI UN MARE, DI UN LAGO OPPURE DI FIUME. NEL TENERE CONTO DEI PIEDI DEGLI ARGINI E DELLE SPONDE – COME PUNTO DI PARTENZA DELLA FASCIA DI RISPETTO PER I FIUMI – NON POSSONO DUNQUE ESSERE ESCLUSE LE AREE SOPRAELEVATE, INDIPENDENTEMENTE DALL’ALTEZZA DELLE PREDETTE AREE ( Adunanza Plenaria n. 8/2025 ) Le lettere a) e b) dell’art. 142 del d.lgs. n. 42 del 2004 tutelano i territori costieri e contermini per una fascia di 300 metri, avendo come punto di partenza la ‘linea di battigia’, la quale non può che essere a livello del mare o a livello del lago; premessa questa circostanza di fatto, il legislatore ha precisato che la tutela si estende ai “terreni elevati sul mare” ed ai “territori elevati sui laghi”. La lettera c), invece, tutela “i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”. In quest’ultima ipotesi, il punto iniziale della ‘fascia’ sottoposta a tutela coincide con le ‘sponde’, che possono a seconda dello stato dei luoghi essere anche notevolmente sopraelevate. Tale eventualità può non esservi per l’argine, che, a differenza della sponda, è una struttura artificiale, che può avere una altezza variabile, a seconda del relativo progetto. Pertanto, mentre per gli argini - che hanno un’altezza funzionale ad evitare principalmente lo straripamento dei fiumi e dei corsi d’acqua - i terreni sopraelevati sono posti ad un’altezza limitata, e comunque, ricadono nella fascia di tutela, per le ‘sponde’ è la stessa naturale configurazione dei luoghi a potere presentare situazioni estremamente diversificate. Tuttavia, il legislatore non ha attribuito alcun rilievo alla differenza tra ‘sponda esterna’ e ‘sponda interna’, e la fascia di rispetto va dunque tutelata a prescindere dalle altezze riscontrabili concretamente in loco.
13 agosto 2025
A FRONTE DELLA SUSSISTENZA IN GIURISPRUDENZA DI UN CONTRASTO INTERPRETATIVO IN ORDINE ALLA POSSBILITA’ DELL’ADEMPIMENTO TARDIVO DELL’OBBLIGO DI PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO ANAC, L’ADUNANZA PLENARIA HA DOVUTO DECIDERE SE L’OMESSO VERSAMENTO DI TALE CONTRIBUTO ENTRO I TERMINI DI PARTECIPAZIONE AD UNA PROCEDURA PUBBLICA PER L’AFFIDAMENTO DI LAVORI, SERVIZI O FORNITURE DETERMINI L’ESCLUSIONE DEL CONCORRENTE, O SE, IN ALTERNATIVA, SI TRATTI SOLTANTO DI IRREGOLARITA’ ESSENZIALE SANABILE MEDIANTE SOCCORSO ISTRUTTORIO, PREVIA DECLARATORIA DI NULLITA’ PARZIALE DELLE EVENTUALI CLAUSOLE DELLA LEX SPECIALIS CHE CONTEMPLINO LA DIRETTA ESCLUSIONE DEL CONCORRENTE. L’ADUNANZA PLENARIA, IN RAGIONE DEL FATTO CHE VIENE IN RILIEVO UNA OBBLIGAZINE LEGALE CHE COSTITUSCE UNA CONDIZIONE ESTRINSECA DELLA PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA, HA RITENUTO CHE IL SOCCORSO ISTRUTTORIO, NEL CASO IN ESAME, DEBBA ATTEGGIARSI IN MODO DIFFERENTE RISPETTO ALLA NORMA, E DEBBA DUNQUE ESSERE SVINCOLATO DALL’ORDINARIO LIMITE TEMPORALE COSTITUITO DALLA SCADENZA DEL TERMINE PER LA PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE. DEVE DUNQUE RITENERSI CONSENTITO L’ADEMPIMENTO TARDIVO DELL’OBBLIGO DI PAGAMENTO IN QUESTIONE FINO ALL’INIZIO DELLA FASE DI VALUTAZIONE DELLE OFFERTE, E LA STAZIONE APPALTANTE, UNA VOLTA APERTA LA BUSTA CONTENENTE LA DOCUMENTAZIONE AMMINISTRATIVA (ANCHE AD ESITO DI EVENTUALE INVERSIONE PROCEDIMENTALE), SE ACCERTA LA MANCANZA DELLA PROVA DELL’AVVENUTO PAGAMENTO DEL CONTRIBUTO, DEVE ASSEGNARE UN TERMINE ALL’OPERTAORE ECONOMICO PER EFFETTUARE IL PAGAMENTO, E, SOLO QUALORA L’ADEMPIMENTO DE QUO NON DOVESSE AVVENIRE ENTRO IL TERMINE ASSEGNATO, DEVE POI DISPORNE L’ESCLUSIONE DALLA PROCEDURA DI GARA. TALE ESITO INTERPRETATIVO – CHE DUNQUE ESCLUDE LA DIRETTA E AUTOMATICA ESCLUSIONE DEL CONCORRENTE, AMPLIANDO NEL CONTEMPO LO SPAZIO DI AZIONE DEL SOCCORSO ISTRUTTORIO – E’ DA CONSIDERARSI OBBLIGATO, SECONDO IL CONSIGLIO DI STATO, ANCHE IN RELAZIONE AI PRINCIPI DI PROPORZIONALITA’ E DI RISULTATO. IL PRIMO, INFATTI, IMPONE CHE LE MISURE, NORMATIVE E AMMINISTRATIVE ADOTTATE DAGLI STATI MEMBRI DEVONO ESSERE NECESSARIE, ADEGUATE E TOLLERABILI RISPETTO AGLI OBIETTIVI DI INTERESSE PUBBLICO PERSEGUITI, DI MODO CHE RISULTEREBBE MISURA SPROPROZIONATA L’ESCLUSIONE AUTOMATICA DI UN OPERATORE ECONOMICO PER IL MANCATO ADEMPIMENTO ENTRO IL TERMINE DI PRESENTAZIONE DELLE OFFERTE DI UNA OBBLIGAZIONE AVENTE AD OGGETTO SOMME DI DENARO DI PICCOLI IMPORTI. IL SECONDO, AL CONTEMPO, ESCLUDE CHE FORME DI ESCLUSIONE AUTOMATICA COME QUELLA TRATTATA NEL CASO ESAMINATo POSSANO PRECLUDERE DEFINITIVAMENTE L’ESAME DI OFFERTE CHE POTREBBERO CONSENTIRE DI MEGLIO RAGGIUNGERE IL RISULTATO PROGRAMMATO CON IL CONTRATTO ( Adunanza Plenaria n. 6/2025 ) L’art. 1, comma 65, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, dispone che «a decorrere dall’anno 2007» le spese di funzionamento, tra l’altro, dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici «sono finanziate dal mercato di competenza, per la parte non coperta da finanziamento a carico del bilancio dello Stato, secondo modalità previste dalla normativa vigente ed entità di contribuzione determinate con propria deliberazione da ciascuna Autorità, nel rispetto dei limiti massimi previsti per legge, versate direttamente alle medesime Autorità». Il comma 67 dello stesso articolo prevede che tale Autorità, «cui è riconosciuta autonomia organizzativa e finanziaria, ai fini della copertura dei costi relativi al proprio funzionamento» determina annualmente «l’ammontare delle contribuzioni ad essa dovute dai soggetti, pubblici e privati, sottoposti alla sua vigilanza, nonché le relative modalità di riscossione, ivi compreso l’obbligo di versamento del contributo da parte degli operatori economici quale condizione di ammissibilità dell’offerta nell’ambito delle procedure finalizzate alla realizzazione di opere pubbliche». Successivamente, a seguito della soppressione dell’l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, le sue funzioni sono state integralmente trasferite all’Anac. L’art. 213 del d.lgs. n. 50 del 2006 al comma 12 ha previsto che «resta fermo quanto previsto dall’art. 1, comma 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266» ed al comma 2 ha stabilito che l’Autorità predispone, tra l’altro, bandi-tipo al fine di garantire la promozione dell’efficienza e della qualità dell’attività delle stazioni appaltanti. Tali disposizioni sono ora contenute nell’art. 222 del Codice dei contratti pubblici, approvato con il decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36. L’Autorità, con deliberazione del 19 dicembre 2023, n. 610, ha stabilito, tra l’altro, l’entità della contribuzione mediante l’indicazione di diversi scaglioni che tengono conto del valore del contratto. In ordine alla valenza dell’obbligo di versare il contributo e alla sua incidenza sulla procedura di gara, peraltro, si sono formati due orientamenti. Un primo orientamento ritiene che il mancato pagamento del contributo entro il termine per la presentazione delle offerte comporti l’obbligo di esclusione dell’operatore economico, senza possibilità per la stazione appaltante di esercitare il soccorso istruttorio, per ragioni di ordine letterale, in quanto l’art. 1, comma 67, della legge n. 266 del 2005 prevede che l’obbligo di versamento da parte degli operatori economici del contributo in esame costituisce «condizione di ammissibilità dell’offerta», con la conseguenza che si tratta di un requisito essenziale, e per ragioni di interpretazione sistematica, in quanto non si tratterebbe di sanare la carenza di un elemento formale della domanda, ma di compiere un atto nuovo Infine, sul piano dell’interpretazione conforme al principio di ragionevolezza, è stato affermato che sarebbe logico ritenere che il legislatore abbia voluto sanzionare tale omissione per consentire il funzionamento dell’Autorità. Un secondo orientamento ammette, invece, l’adempimento tardivo anche a seguito di soccorso istruttorio, in quanto l’adempimento in esame sarebbe qualificato come “condizione” e non come “requisito”, per evidenziarne le diversità rispetto ai requisiti di partecipazione, e non è previsto un termine entro il quale deve essere eseguito l’obbligo di versare il contributo. In secondo luogo, sul piano dell’interpretazione sistematica, tale adempimento non dovrebbe ritenersi escluso alla luce della disciplina del soccorso istruttorio, in quanto esso non attiene al contenuto dell’offerta tecnica o economica, ma costituisce un ‘elemento estrinseco’, con effetto condizionante la valutazione delle offerte. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto di seguire il secondo orientamento, stabilendo che sussiste il divieto legale di esaminare l’offerta dell’operatore economico fino a quando non risulti il pagamento del contributo spettante all’Autorità nazionale anticorruzione e che, qualora neppure risulti il pagamento a seguito del soccorso istruttorio, la stazione appaltante deve dichiarare tale offerta inammissibile.
13 agosto 2025
L’ADUNANZA PLENARIA HA DOVUTO STABILIRE SE, NEL CASO DEL MANCATO TEMPESTIVO DEPOSITO DELLA SENTENZA APPELLATA – CONGIUNTAMENTE AL DEPOSITO DEL RICORSO DI SECONDO GRADO –, SI VERIFICHI O MENO LA DECADENZA PREVISTA DALL’ART. 94, COMMA 1, DEL MEDESIMO CODICE. NEL CONFRONTARSI RISPETTO A DUE DIVERSI ORIENTAMENTI MATURATI IN MATERIA, IL CONSIGLIO DI STATO HA RITENUTO DI ADERIRE A QUELLO SECONDO CUI LA SANZIONE DELLA DECADENZA NON E’ RIFERIBILE AL MACATO TEMPESTIVO DEPOSITO DELLA SENTENZA IMPUGNATA, EVIDENZIANDO COME DECISIVO L’ARGOMENTO LETTERALE. INVERO, L’ART. 94, COMMA 1 C.P.A. FISSEREBBE UN CHIARO E DIRETTO COLLEGAMENTO CON LA SANZIONE DELLA DECADENZA UNICAMENTE PER L’INCOMBENZA RELATIVA AL DEPOSITO DEL RICORSO, DAL MOMENTO CHE L’EFFETTO PRECLUSIVO E’ CONFINATO IN UN INCISO (“…A PENA DI DECADENZA”) CHE LA NORMA HA INSERITO, SUL PIANO STRUTTURALE, NELLA PARTE DEL PRECETTO RIFERITA ESCLUSIVAMENTE AL DEPOSITO DEL RICORSO. NE DERIVA CHE E’ STATA CREATA NEL TESTO UNA FORMALE CESURA TRA L’ADEMPIMENTO PRINCIPALE (IL DEPOSITO DELL’ATTO DI APPELLO) E I DUE ADEMPIMENTI ACCESSORI (I DEPOSITI DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO E DELLA PROVE DELLE ESEGUITE NOTIFICAZIONI). L’ESTENSIONE, DUNQUE, DEL MEDESIMO EFFETTO PRECLUSIVO A TUTTI GLI INCOMBENTI PREVISTI NELL’ART. 94 RICHIEDEREBBE UNA INTERPRETAZIONE ESTENSIVA DEL DATO TESTUALE CHE PERO’ E’ OSTACOLATA DAL RILIEVO CHE LE DISPOSIZIONI CHE FISSANO ONERI DECADENZIALI E CAUSE DI INAMMISSIBILITA’ DOVREBBERO ESSERE FORMULATE IN MODO TASSATIVO, E QUINDI SONO SOTTOPOSTE, PER EISGENZE DI CERTEZZA DEL DIRITTO, OLTRE CHE IN OSSEQUIO AL CANONE DI PREVEDIBILITA’ DEGLI EFFETTI APPLICATIVI, A UN’INTERPRETAZIONE ANCORATA AL DATO STRETTAMENTE LIGUISTICO. SOTTO ALTRO PROFILO, L’ADUNANZA PLENARIA HA RIMARCATO CHE, IN COERENZA CON IL PRINCIPIO DELLA EFFETTIVITA’ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE, IL GIUDICE DEVE PREFERIRE UNA INTERPRETAZIONE CHE CONSENTA UNA PRONUNCIA DI MERITO, RISPETTO A UNA PRONUNCIA DI RITO ADOTTATa IN ECCESSO RISPETTO ALLA RATIO DELLA PREVISIONE VIOLATA, POSTO CHE LA PREVISIONE DI UN TERMINE A PENA DI DECADENZA SI GIUSTIFICA SOLO PER IL DEPOSITO DEL RICORSO, TRATTANDOSI DI UN INCOMBENTE DIRETTO ALL’INSTAURAZIONE DEL RAPPORTO PROCESSUALE E ALLA DEVOLUZIONE ALL’ORGANO GIURISDIZIONALE DELLA CONTROVERSIA ( Adunanza Plenaria, nn. 4 e 5/2025 ) Secondo l’orientamento più risalente del Consiglio di Stato – orientamento poi disatteso dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria in commento - l’art. 94 del c.p.a. si dovrebbe considerare quale norma inderogabile, che imporrebbe doveri puntuali a tutela di interessi di ordine pubblico processuale, compreso l’onere di deposito della sentenza impugnata, che non sarebbe diventato un ‘adempimento superfluo’, malgrado i componenti del Consiglio di Stato possano accedere al fascicolo di primo grado, così come a quello del giudizio al loro esame, ove si consideri che va verificato se la sentenza impugnata sia stata notificata al soccombente, al fine di accertare se l’impugnazione sia tempestiva. Secondo questo orientamento, la parte appellante, con il deposito della sentenza, non si limiterebbe a compiere un’attività materiale, ma porrebbe in essere un’attività stricto sensu giuridica, perché, depositando la sentenza senza la documentazione attestante la sua notifica, assumerebbe implicitamente la responsabilità di dichiarare che essa non è stata notificata. L’onere in questione non si potrebbe neanche considerare “sproporzionato o irragionevole”, essendo richiesto solo il deposito della sentenza, entro un termine ragionevole decorrente dalla notifica dell’impugnazione, trattandosi, tra l’altro, di applicazione coerente del dovere di cooperazione di cui all’art. 2, comma 2, del c.p.a., preordinato a consentire la ragionevole durata del processo. Secondo l’Adunanza Plenaria, peraltro, non solo tale orientamento si pone contro il criterio di interpretazione letterale delle disposizioni normative, ma sarebbe anche avvalorata dal canone dell’interpretazione storico-evolutiva, che impone al diritto vivente di adeguare il dato letterale ai cambiamenti decisivi verificatisi tra la sua entrata in vigore e la sua applicazione attuale. Nella specie, si deve considerare che l’art. 94 c.p.a. è stato redatto prima dell’entrata in vigore delle disposizioni sul processo amministrativo telematico, le cui modalità applicative consentono al giudice di ovviare agevolmente alla dimenticanza della parte che ha proposto l’impugnazione, con la consultazione del fascicolo telematico di primo grado e del sito della giustizia amministrativa. Ne consegue che un’irregolarità soltanto formale non può dunque comportare alcuna decadenza, che risulterebbe irragionevole e sproporzionata, per il principio di strumentalità delle forme (art. 159 c.p.c.), nel vigore delle regole sul processo amministrativo telematico, improntate alla semplificazione delle forme e all’informatizzazione dell’intero procedimento. Sotto altro profilo, una disposizione espressa che comminasse la decadenza - per effetto del mancato o tardivo deposito della sentenza impugnata – non sarebbe coerente con i principi costituzionali ed euro-unitari sul diritto di azione e di difesa (artt. 24. 103, 113 e 117, primo comma, della Costituzione; artt. 6 della CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea). Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, l’ampia discrezionalità di cui è dotato il legislatore nella conformazione degli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene travalicato qualora emerga un’ingiustificata compressione del diritto di agire in giudizio in ragione di un vizio esterno all’atto di esercizio dell’azione. Inoltre, per la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, non può essere dichiarata inammissibile una impugnazione quando sia mancato un adempimento meramente formale, mentre la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che il diritto di agire in giudizio, pur non atteggiandosi a diritto assoluto, è passibile solo di restrizioni proporzionate e volte al perseguimento di uno scopo legittimo.
13 agosto 2025
LA MODIFICA DEL COMMA 5 DELL’ART. 13-TER delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo, ENTRATA IN VIGORE IL PRIMO GENNAIO 2025, RILEVA ANCHE PER I RICORSI DEPOSITATI IN PRECEDENZA, TRATTANDOSI DI UNA DISPOSIZIONE DI NATURA PROCESSUALE, ATTRIBUTIVA AL GIUDICE DI UN POTERE VALUTATIVO RISPETTO ALL’INCIDENZA SUL CELERE E SPEDITO ANDAMENTO DEL GIUDIZIO DEL SUPERAMENTO, NON AUTORIZZATO, DEI LIMITI DIMENSIONALI DEGLI ATTI PROCESSUALI. TALE NATURA, SECONDO L’ADUNANZA PLENARIA, SI RICAVA DALL’INCIPIT DELL’ART. 1, COMMA 813, DELLA L. N. 207 DEL 2024, SECONDO CUI LE MODIFICHE APPORTATE AL CITATO ART. 13-TER, COMMA 5, SAREBBERO FINALIZZATE A CONSENTIRE LO SPEDITO SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO. LA NATURA PROCESSUALE DEL NUOVO ART. 13-TER, COMMA 5, COMPORTA DUNQUE CHE, IN ASSENZA DI UN’APPOSITA DISCIPLINA TRANSITORIA, ESSO SI APPLICA ANCHE AI RICORSI DEPOSITATI ANTECEDENTEMENTE AL PRIMO GENNAIO 2025. ( Adunanza Plenaria n. 3/2025 ) Prima dell’entrata in vigore della legge 30 dicembre 2024, n. 207, l’art. 13-ter dell’allegato II al codice del processo amministrativo disponeva, al comma 1, che “le parti redigono il ricorso e gli altri atti difensivi secondo i criteri e nei limiti dimensionali stabiliti con decreto del presidente del Consiglio di Stato”, al comma 3, che il menzionato decreto determinasse “i casi per i quali, per specifiche ragioni, può essere consentito superare i relativi limiti”, e al comma 5, che “Il giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti (quelli determinati con decreto del presidente del Consiglio di stato). L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione”. L’art. 1, comma 813, della legge n. 207 del 2024 ha sostituito il sopra riportato comma 5, disponendo che, “Indipendentemente dall'esito del giudizio, la parte che in qualsiasi atto del processo superi, senza avere ottenuto una preventiva autorizzazione, i limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo può essere tenuta al pagamento di una somma complessiva per l'intero grado del giudizio fino al doppio del contributo unificato previsto in relazione all'oggetto del giudizio medesimo e, ove occorra, in aggiunta al contributo già versato”. La legge n. 207 del 2024, inoltre, ha aggiunto all’art. 13-ter il comma 5-bis, secondo cui “Il giudice, con la decisione che definisce il giudizio, determina l'importo di cui al comma 5 tenendo conto dell'entità del superamento dei limiti dimensionali stabiliti ai sensi del presente articolo nonché della complessità ovvero della dimensione degli atti impugnati o della sentenza impugnata”. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nel confermare la natura processuale delle nuove norme, ha ricordato che con esse il legislatore ha inteso bilanciare due contrapposti interessi, ovvero quello del privato a esercitare nella maniera più ampia e ritenuta più congrua il proprio diritto di difesa, e quello pubblico a evitare negative incidenze sul “servizio giustizia”, rilevando il principio di ragionevole durata del processo, fissato dall’art. 111 Cost., che trova attuazione, per il giudizio amministrativo, negli artt. 2, comma 2 e 3, comma 2, del c.p.a..
13 agosto 2025
L’ADUNANZA PLENARIA HA DOVUTO STABILIRE SE, ALLA LUCE DEL COMBINATO DISPOSTO DELL’ART. 15 DELLA LEGGE N. 311 DEL 1958, e dell’art. 111 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, IL PERIODO DI SERVIZIO TRASCORSO RIVESTENDO LA QUALIFICA DI PROFESSORE ASSOCIATO POSSA ESSERE RICONOSCIUTO AI FINI DEL RAGGIUNGIMENTO DELLA SOGLIA NECESSARIA PER L’ATTRIBUZIONE DELLA QUALIFICA DI PROFESSORE EMERITO. IN CONSIDERAZIONE DELLA PREMINENZA DEL CRITERIO LETTERALE SUGLI ALTRI CRITERI, IL CONSIGLIO DI STATO HA RILEVATO CHE L’ART. 15, SECONDO COMMA, DELLA L. N. 311/1958 SOPRA RICHIAMATA CONTIENE UN ESPRESSO RICHIAMO ALL’ART. 111 DEL R.D. n 1592/1933, IL QUALE, A SUA VOLTA, INDIVIDUA LA QUALIFICA DI “PROFESSORE EMERITO” ED I REQUISITI PER IL SUO CONFERIMENTO, IL RINVIO OPERATO, CHE HA DUNQUE RIBADITO IL PERDURANTE VIGORE DELLA DISPOSIZIONE DEL 1933, COMPORTA LA NON CONDIVISIBILITA’ DELLA RICOSTRUZIONE INTERPRETATIVA CHE DA’ PREMINENTE RILIEVO ALLA PRIMA FRASE DEL SECONDO COMMA DELL’ART. 15 DELLA CITATA LEGGE N. 311 DEL 1958. LE CONCLUSIONI CUI E’ GIUNTA L’ADUNANZA PLENARIA SAREBBERO FONDATE ANCHE SULLA BASE DEI CRITERI DELLA INTERPRETAZIONE STORICO-SISTEMATICA E DELL’INTERPRETAZIONE TELEOLOGICA, POSTO CHE, NON ESSENDOVI STATA “IMPLICITA ABROGAZIONE” DELL’ART. 15, SECONDO COMMA IN DISCORSO, TALE DISPOSIZIONE VA LETTA INSIEME ALLE ALTRE DISPOSIZIONI DELLA LEGGE N. 311 DEL 1958, ED IN PARTICOLARE AL SUO ART. 3, SECONDO CUI “I PROFESSORI DI RUOLO SONO STRAORDINARI E ORDINARI”, E INOLTRE , NONOSTANTE SIA STATA PREVISTA NEL TEMPO L’UNICITA’ DEL RUOLO DEI PROFESSORI ORDINARI E DI QUELLI ASSOCIATI, LE STESSE RIFORME - INVOCATE A SOSTEGNO DELLA TESI DELLA LORO PIENA EQUIPARAZIONE AI FINI DELL’ANZIANITA’ NECESSARIA PER IL CONSEGUIMENTO DELLA QUALIFICA DI PROFESSORE EMERITO - HANNO infine DISTINTO LE DUE CATEGORIE PER DIVERSI, SOSTANZIALI E QUALIFICANTI ASPETTI. RILEVA, INoltre, IL DATO TESTUALE DELL’ART. 22 DEL D.P.R. N. 382 DEL 1980, PER QUALE SUSSISTE L’EQUIPARAZIONE DELLO STATO GIURIDICO DEI PROFESSORI ORDINARI E DI QUELLO DEI PROFESSORI ASSOCIATI, “SALVO CHE NON SIA DIVERSAMENTE DISPOSTO”, TENUTO CONTO CHE, IN MATERIA DI CONFERIMENTO DELL’ONORIFICENZA IN DISCORSO, IL LEGISLATORE HA SEMPRE ATTRIBUITO RILIEVO ESCLUSIVAMENTE ALLA QUALIFICA DI PROFESSORE ORDINARIO ( Adunanza Plenaria n. 1/2025 ) L’art. 111 del r.d. n. 1592 del 1933 stabilisce, nella sua prima parte, e per ciò che rilevava nel contenzioso affrontato dal Consiglio di Stato, che “Ai professori ordinari, che siano stati collocati a riposo o dei quali siano state accettate le dimissioni, potrà essere conferito il titolo di «professore emerito», qualora abbiano prestato almeno venti anni di servizio in qualità di professori ordinari (…)”. Secondo una ricostruzione interpretativa poi disattesa dall’Adunanza plenaria, l’art. 15, secondo comma, della L. n. 311 del 1958, da cui parte il rinvio al citato art. 111, si riferirebbe in realtà a tutti i professori universitari, quanto al collocamento a riposo (“Ai professori collocati a riposo…”), di modo che il rimando ai “professori collocati a riposo”, anziché ai “professori ordinari collocati a riposo” sarebbe stato ritenuto innovativo rispetto alle precedenti disposizioni. Inoltre, l’ultimo periodo del secondo comma dell’articolo 15 (secondo cui “nulla è innovato alle disposizioni del comma ultimo dell’art. 110 delle leggi sull’istruzione superiore sopra citato”) non avrebbe ribadito quanto previsto dall’art. 111 dello stesso T.U.. Sulla base di una interpretazione storica-sistematica del dato normativo, la suddetta ricostruzione ha evidenziato altresì che gli sviluppi normativi registrati nella materia in questione dopo il 1958 avrebbero confermato la creazione di un unico ruolo di professori, con medesima dignità e prerogative, per cui la figura del professore universitario sarebbe unica anche se articolata nelle due fasce, rilevanti soprattutto ai fini retributivi, dei professori ordinari e dei professori associati caratterizzate dalla “unità della funzione docente, confermando implicitamente e tra l’altro l’evoluzione della disciplina del titolo di “emerito””. Sarebbe infine erronea la tesi secondo cui la figura del professore associato sarebbe assimilabile a quella del professore incaricato, esistente nel regime vigente al momento dell’entrata in vigore del T.U. sull’istruzione superiore del 1933, in quanto la figura del “professore incaricato” sarebbe semmai assimilabile a quella del “professore a contratto”, ben diversa da quella del professore associato, che appartiene al ruolo dei professori universitari. L’Adunanza Plenaria ha, come detto, sposato diverso orientamento, dando il massimo rilievo al criterio letterale di interpretazione della legge. Invero, l’art. 12 (rubricato ‘Interpretazione della legge’) delle ‘disposizioni sulla legge in generale’ allegate al codice civile dispone che "Nell'applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore". La rilevanza del dato testuale della legge è desumibile anche dall’art. 101 della Costituzione, il quale – nel prevedere che ‘i giudici sono soggetti soltanto alla legge’ – dispone il dovere del giudice di darne applicazione, salve le possibilità, consentite da altre disposizioni costituzionali, di emanare una ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale o di dare applicazione a prevalenti regole dell’Unione europea. Gli altri criteri di interpretazione rilevano, dunque, solo quando risulti equivoca la formulazione linguistica dell’enunciato normativo e la disposizione presenti ambiguità e si presti a possibili differenti o alternative interpretazioni. Secondo l’Adunanza Plenaria, nel caso di specie, la formulazione linguistica risulta univoca e non si presta a dubbi interpretativi, atteso che occorre tenere conto anche dell’ultima frase contenuta nel sopra riportato secondo comma dell’art. 15 della L. n. 311 del 1958.
Autore: Alma Chiettini 12 agosto 2025
Cass. civ., sez. unite, 25.7.2025, n. 21271 L’ art. 6 bis della l. n. 212 del 2000 (introdotto dall’ art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 219 del 2023 , come interpretato autenticamente dall’art. 7 bis del d.l. n. 39 del 2024 e attuato dal d.m. 24.4.2024) è una disposizione innovativa che (salvo talune eccezioni indicate nel suo comma 2) ha introdotto anche nell’ordinamento tributario il principio generale di obbligatorietà del contraddittorio procedimentale , “informato ed effettivo”, mediante la comunicazione al contribuente di uno “schema d’atto” con contestuale fissazione del termine di sessanta giorni per la presentazione di controdeduzioni e dell’obbligo a carico dell’Amministrazione di motivare le osservazioni non accolte. Precedentemente, nell’ordinamento tributario italiano non era codificato per l’Amministrazione finanziaria il generale obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, anche alla luce del fatto che l’ art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 prevedeva il contraddittorio solo per gli accertamenti consequenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, con esclusione quindi delle verifiche cc.dd. “a tavolino” . Nell’ordinamento dell’Unione europea, invece, l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio in capo all’Amministrazione rappresenta un principio pienamente acquisito e la giurisprudenza unionale afferma da tempo che il diritto a una buona amministrazione sancito dall’ art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è inteso anche come “ il diritto a che le questioni siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione ”. Tuttavia, sempre secondo la giurisprudenza unionale, la violazione dell’obbligo di contraddittorio, in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze, comporta l’invalidità dell’atto solo quando il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa. Questo criterio è stato recepito dal giudice nazionale il quale ha riconosciuto che i principi fondamentali del diritto europeo impongono, nell’ambito dei cosiddetti “tributi armonizzati”, ove ha luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, un generale obbligo dell’Amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo solo quando il contribuente assolve alla “ prova di resistenza ” ( Cass. civ., sez. unite, 9.12.2015, n. 24823 ). La giurisprudenza nazionale successiva alla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 ha fornito interpretazioni oscillanti sull’oggetto della prova di resistenza. Alcune sentenze hanno richiesto l’allegazione da parte del contribuente delle ragioni che avrebbe potuto far valere e non ha proposto, correlando la valutazione di non pretestuosità alla astratta rilevanza delle difese non potute svolgere in relazione all’addebito contestato, ossia alla loro idoneità a incidere sull’esito del procedimento, senza accenno a valutazioni giudiziali di tipo prognostico sui diversi possibili esiti procedimentali; altre sentenze invece ritenuto necessario la verifica in concreto dell’impatto del vizio sul procedimento , talora inasprendo il contenuto della prova di resistenza mediante la richiesta al contribuente della dimostrazione della idoneità delle ragioni addotte a incidere a suo favore sull’esito finale dell’accertamento. La sentenza a sezioni unite qui segnalata ha bene chiarito l’oggetto della prova di resistenza affermando il seguente principio di diritto: « con riguardo alla disciplina previgente ed alle verifiche ‘a tavolino’ su tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo di contraddittorio procedimentale comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli ‘elementi in fatto’ che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito, a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo ». La Corte è giunta a tale conclusione, invero di portata generale in tema di “prova di resistenza”, osservando che: - il contraddittorio preventivo ha natura endoprocedimentale, non processuale, ed è funzionale alla costruzione istruttoria della fattispecie impositiva mediante l’allegazione di “fatti e circostanze” di cui l’Amministrazione non è a conoscenza, operando essa da una sfavorevole posizione iniziale di asimmetria informativa che può essere colmata solo con l’apporto conoscitivo del contribuente ; l’accollo della prova di resistenza a carico del contribuente trova giustificazione proprio in questa strutturale asimmetria e nella correlata vicinanza al contribuente dell’elemento da acquisire; - la potenzialità del richiesto “risultato diverso” (che costituisce il nucleo dimostrativo fondamentale) deve essere comprovata con la “ specifica indicazione dei fatti e delle informazioni mancate ”, in una con la loro concreta e ragionevole idoneità a orientare l’Amministrazione a non più adottare il provvedimento impositivo, oppure ad adottarlo con un contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite; - i fatti deducibili nel contraddittorio preventivo non sono necessariamente gli stessi che possono essere dedotti in sede giurisdizionale; - il giudice di merito, nell’esaminare il vizio di mancato esperimento del contraddittorio endoprocedimentale, deve “ compiere - prima ed indipendentemente dal giudizio di fondatezza dell’impugnazione - una valutazione rispondente ai tipici canoni della prognosi postuma ex ante (perché riguardante il momento dell’omesso contraddittorio preventivo), ispirata a parametri di fattualità, specificità, concretezza, probabile idoneità causale dell’elemento tralasciato a sortire un risultato diverso del procedimento impositivo , solo per questa via escludendosi il carattere meramente pretestuoso, vacuo e strumentale dell’istanza ”. In definitiva, la prova di resistenza deve avere ad oggetto “elementi di tipo fattuale” e non di natura esclusivamente giuridica, elementi che si presentino attinenti e rilevanti nella fattispecie concreta, elementi che si dimostrino potenzialmente idonei, indipendentemente dalla loro fondatezza, a deviare in senso favorevole al contribuente l’esito dell’istruttoria accertativa.
Autore: a cura di Federico Smerchinich 11 agosto 2025
TAR Lazio, Roma, sentenza n. 9437 pubblicata il 19 maggio 2025 IL CASO E LA DECISIONE (commento di Federico Smerchinich) Tra i vari strumenti che il legislatore ha previsto per risolvere in maniera alternativa, o meglio preventiva, le controversie nell’ambito dell’esecuzione dei contratti pubblici, vi è il collegio consultivo tecnico (di seguito “CCT”), introdotto dal d.l. n. 76/2020 , il c.d. decreto “Semplificazioni”, nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016, e confermato, oltre che aggiornato, dal d.lgs. n. 36/2023 e dal suo correttivo. Questo istituto sta riscontrando particolare successo pratico, ma è anche stato fonte di dibattito e discussione nelle aule giudiziarie, come nella sentenza in commento. Difatti, uno degli snodi cruciali dell’applicazione di questo istituto è capire chi ne possa essere membro o presidente. Il caso portato all’attenzione della giurisprudenza amministrativa prende le mosse da un ricorso proposto da alcuni avvocati in proprio e dall’Ordine degli avvocati di Roma per l’annullamento in parte qua del decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (di seguito “MIMS”) n. 12 del 17.01.2022 , di adozione delle linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico. Difatti, l’ art. 6 comma 8 bis d.lgs. n. 76/2020 ha individuato nel MIMS il soggetto che deve determinare i requisiti per accedere al ruolo di membro del CCT e tale Ministero ha predisposto un decreto contenente i requisiti e le indicazioni sulle compatibilità con tali ruoli, ma escludendo gli avvocati del libero foro da tale possibilità. Nell’ambito del giudizio in commento vi è stato anche l’intervento ad adiuvandum di un’associazione specialistica che rappresenta parte degli avvocati amministrativisti. Nella sostanza i ricorrenti hanno contestato che il decreto del MIMS avrebbe esplicitamente escluso gli avvocati del libero foro dalla possibilità di ricoprire il ruolo di presidente dei CCT. In particolare, è stato evidenziato che l’allegato A al decreto del MIMS, nel fissare i requisiti esperienziali per la nomina del "giurista", non avrebbe contemplato, tra i professionisti ivi elencati, gli avvocati del libero foro come possibili presidenti del CCT. Una soluzione che sarebbe stata contraddittoria rispetto all’art. 6 d.l. n. 76/2020 che aveva introdotto questo istituto, ma anche discriminatoria rispetto alla nomina degli avvocati in altri ruoli come quello di giudice della Corte Costituzionale, membro laico del CSM o membro della Camera Arbitrale presso l’ANAC, dove l’avvocato del libero foro è equiparato ad altre figure professionali. I ricorrenti hanno anche ricordato che la legge professionale forense n. 247/2012 riconosce agli avvocati del libero foro un ruolo di rilevanza pubblicistica e gli garantirebbe, quale prerogativa dell’istituto, un ruolo negli organi di natura tecnica. Infine, è stata contestata altresì l’assenza del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici da parte del MIMS prima della stesura del decreto impugnato. Da parte sua, il Ministero si è difeso sostenendo che il decreto ammetterebbe comunque la partecipazione degli avvocati alla presidenza dei CCT, purché dimostrino il possesso di certi (ulteriori) requisiti. Nelle more del processo, dopo l’accoglimento dell’istanza cautelare con sospensione degli atti contestati, è mutata la disciplina sui contratti pubblici, con la pubblicazione del d.lgs. n. 36/2023 , dove l’istituto del CCT è stato riconfermato e "istituzionalizzato"; d'altra parte, la disciplina in materia di requisiti tecnici per la nomina come componente e presidente di CCT è stata resa autonoma dal decreto ministeriale del 2022 soltanto con la pubblicazione del c.d. "correttivo" al codice ( d.lgs. n. 209/2024 ). I ricorrenti hanno in ogni caso manifestato la permanenza del loro interesse alla decisione del ricorso , in quanto, pur avendo la sopravvenienza normativa eliminato la presunta discriminazione ai danni degli avvocati del libero foro, soltanto la conferma nel merito dell'illegittimità del pregresso decreto ministeriale avrebbe potuto consolidare gli effetti positivi derivanti dalla nomine nel frattempo avvenute in favore dei singoli professionisti, sulla base della sospensiva accordata dal TAR. In via preliminare, il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum di un avvocato in proprio , richiamando la giurisprudenza che non ritiene possibile l’intervento in giudizio della parte che avrebbe potuto proporre ricorso autonomo, e quello dell’associazione specialistica, rilevando in tal caso la sostanziale non omogeneità della posizione di tutti gli iscritti dell’associazione, tenuto conto che per ogni categoria professionale contemplata dal gravato punto 2.4.2., lett. c), dell’Allegato A, del d.m. n. 12/2022 era richiesto il possesso di una specifica esperienza decennale per poter assumere l’incarico di presidente del CCT, e che non fosse dunque " escluso che alcuni degli iscritti all’associazione, per ragioni di carattere temporale, non possiedano ancora tale requisito e, quindi, non possano attualmente ambire allo svolgimento dell’incarico in questione (...) ". Secondariamente, il TAR si è pronunciato sulla permanenza dell’interesse a ricorrere dei ricorrenti. In particolare, il giudice di prime cure ha concordato con i ricorrenti sul fatto che, mentre il d.lgs. n. 36/2023, con gli artt. 215-219, ha superato la fase transitoria disposta dal d.l. n. 76/2020, rinviando comunque alla disciplina del d.m. n. 12/2022 contestato, solo con il cd. correttivo si è definitivamente abbandonato tale decreto ministeriale. Da questo momento in poi, infatti, è stato lo stesso d.lgs. n. 36/2023 a divenire fonte normativa del CCT tramite il suo allegato V.2 art. 2 rubricato “Requisiti e incompatibilità”. Alla luce di questa disamina, il TAR ha accertato la permanenza dell’interesse a ricorrere relativamente agli incarichi di presidente assunti prima della novella legislativa introdotta con il correttivo d.lgs. n. 209/2024, nelle more consentita solo in virtù della sospensione cautelare richiesta e concessa con riferimento allo stesso decreto ministeriale oggetto di impugnazione. Difatti, dal correttivo in avanti è pacifico che anche gli avvocati del libero foro possono divenire presidenti del CCT in presenza dei requisiti richiesti. Inoltre, il TAR ha precisato che i requisiti di cui alle lett. da a) ad f) dell’art. 2 comma1 allegato V.2. d.lgs. n. 36/2023 possano essere cumulati. Dopo aver risolto le questioni di rito, il TAR ha proceduto all'esame di merito del ricorso, ritenendo illegittimo che gli avvocati del libero foro non fossero stati espressamente annoverati tra le figure professionali che il MIMS aveva incluso nella categoria dei giuristi di cui all’art. 2.4.2. lett. c) del d.m. 12/2022, in quanto tali idonei a divenire presidenti del CCT. Secondo il TAR, questa esclusione sarebbe irragionevole , dato che consentirebbe solo agli avvocati con esperienza ultra decennale da presidente presso le commissioni per l’accordo bonario di divenire presidente di CCT, anche considerando che ormai le commissioni per l’accordo bonario sono un istituto in disuso. Inoltre, il TAR ha rilevato un interessante profilo di illegittimità del decreto, laddove, pur escludendo gli avvocati del libero foro, giustappone a qualifiche derivanti da un rapporto di dipendenza con lo Stato, altre qualifiche prive di un vincolo funzionale con l’amministrazione statale (es. dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato) che agiscono iure privatorum e solo occasionalmente sono funzionali al raggiungimento di interessi pubblici. Un’equiparazione in melius di tali soggetti con i dipendenti delle amministrazioni statali che si rivela dunque anch'essa irragionevole e discriminatoria, se confrontata con la contestuale decisione di escludere da tale ambito gli avvocati. In conclusione, il TAR ritiene che la scelta del MIMS di escludere gli avvocati del libero foro dai soggetti che possono essere presidenti del CCT non risulta espressione di un corretto e ragionevole esercizio della discrezionalità riconosciuta al Ministero dall’art. 6 comma 8 bis d.l. n. 76/2020, anche considerando che questa norma al comma 1 prevede che una delle funzioni del CCT sia quella di prevenire e risolvere le controversie nella fase esecutiva dei contratti pubblici e che l’esclusione si pone in contraddizione con la possibilità di nominare gli avvocati come membri della Camera Arbitrale presso l’ANAC di cui all’art. 210 d.lgs. n. 36/2023. All’esito di tali argomentazioni, il TAR ha accolto dunque il ricorso, precisando tuttavia che, stante l’intervento del correttivo sul d.lgs. n. 36/2023 - che ha, di fatto, abrogato il d.m. n. 12/2022 -, nessuna modifica normativa deve essere apportata dal MIMS in conseguenza di tale pronuncia. I GIURISTI DI CARRIERA E IL NUOVO ISTITUTO: LIMITI E PERICOLI (annotazione a cura di Roberto Lombardi) Sembra abbastanza paradossale che il TAR Lazio abbia dovuto "sbloccare", prima con una pronuncia cautelare e poi con una decisione "confermativa" di merito, la possibilità di nomina come presidente di CCT per gli avvocati. Se infatti si guarda agli obiettivi dell'istituto, alle competenze richieste e all'effettiva vicinanza alle parti di chi presiede il Collegio, la figura dell'avvocato "esperto" pare garantire al meglio (o quasi) una buona interpretazione del ruolo. Più discutibile invece è lo sdoganamento normativo , senza se e senza ma, in favore dei magistrati , per lo svolgimento di questo ruolo. Dopo il divieto assoluto di arbitrati , stabilito nell'ormai lontano 2012 dalla Legge Severino, qualcuno si è chiesto, non senza ragioni, se il legislatore del 2020 ("decreto semplificazione" del luglio 2020), che ha introdotto i Collegi Consultivi Tecnici, non abbia di fatto aggirato il divieto. D’altra parte, posto che il Collegio Consultivo Tecnico ha la funzione di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie, o delle dispute tecniche di ogni natura, suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto di affidamento di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche, ivi inclusi i lavori di manutenzione straordinaria, e che per i lavori sopra soglia l’istituzione del Collegio Consultivo Tecnico è obbligatorio , trattasi in ogni caso di attività consultiva . Ciò la distingue nettamente dall'attività degli arbitrati: il collegio consultivo, infatti, non dirime una controversia, ma previene e affianca la stazione appaltante nella fase esecutiva, ovvero – nell’ipotesi di collegi consultivi tecnici facoltativi - anche nella fase di stesura di predisposizione del bando e di scelta del contraente. Tuttavia, secondo la linea di pensiero critica nei confronti della forte apertura del nuovo istituto ai magistrati, il rischio di possibili pregiudizi alla imparzialità di questa articolare tipologia di giurista, che aveva giustificato il divieto degli arbitrati, è qui forse ancora maggiore, data la inevitabile commistione tra magistrato e stazione appaltante. Di certo, un ruolo fondamentale spetta alla disciplina interna dei singoli organi di autogoverno, a cui è devoluto il compito di meglio definire regole che la normativa ha lasciato a maglie larghe. Il sistema ideale sarebbe quello del conferimento , basato su criteri oggettivi e rigidamente predeterminati, in grado di ridimensionare la possibilità di vincoli fiduciari impropri. Tuttavia, almeno nella giustizia amministrativa - tra le cui file, specie al Consiglio di Stato, si annoverano i principali beneficiari delle presidenze dei più importanti di CCT - il sistema tipico è quello dell'autorizzazione, con richiesta nominativa da parte di stazione appaltante e impresa appaltatrice. A questo riguardo , la disciplina interna in materia di incarichi di presidente dei collegi consultivi tecnici è stata regolamentata dal CPGA con delibera n. 65 del 2020 e ha subito una sostanziale modifica nei suoi aspetti più significativi, a seguito di ulteriore delibera adottata dal Consiglio nella seduta del 5 luglio 2023. Si è passati da una incompatibilità automatica ex ante (nel caso di partecipazione, nell’anno precedente all'incarico, a un collegio che aveva deciso una controversia in cui era parte il soggetto privato o pubblico coinvolto nell'appalto) a un sistema di “disclosure” con riserva di gradimento. In pratica, una volta che l’interessato ha ricevuto l'incarico dai due soggetti coinvolti nell’esecuzione dell’appalto, la segreteria dell’Ufficio di appartenenza del magistrato destinatario di tale incarico verifica se costui ha fatto parte di un collegio che ha deciso, nei due anni precedenti alla sua designazione, un contenzioso coinvolgente una delle partiche gli hanno conferito l’incarico stesso. Se il riscontro è positivo, tale notizia viene comunicata ai due soggetti interessati, affinché gli stessi possano rideterminarsi negativamente, se lo desiderano, rispetto all'incarico già conferito. Il ragionamento sottostante a tale scelta del Consiglio di Presidenza è che le parti che attribuiscono l'incarico, prima della designazione del magistrato, potrebbero non essere a conoscenza di eventuali cause di incompatibilità; tuttavia, l'incompatibilità normalmente valorizzata dall'Organo di autogoverno è quella riferibile a una potenziale lesione dell'immagine del magistrato e a un sostanziale pregiudizio al corretto svolgimento delle sue funzioni, con interesse dei privati che dovrebbe restare sullo sfondo. Sono stati inoltre introdotti tre limiti alla maggiore elasticità della nuova disciplina: - la possibilità che il Capo dell'Ufficio possa sindacare il pregiudizio di funzionalità derivante dall'incarico (con un parere di “opportunità”); - il limite numerico massimo di tre incarichi per volta; - l'obbligo di comunicazione semestrale dei compensi ricevuti in relazione all'incarico stesso (poi diventato annuale). Da notare, a tale ultimo riguardo, che la parte fissa del compenso per la partecipazione a un CCT è soltanto eventuale, perché subordinata alla partecipazione ad almeno 4 riunioni. Il calcolo del compenso è inoltre soggetto a una serie di riferimenti matematici che lo rendono molto complesso (oltre che, come detto, presuntivo), per cui in sede di prima applicazione delle norme interne è stata ritenuta sufficiente l'indicazione del parametro principale di valutazione, che resta il valore dell'appalto da eseguire. La questione riveste comunque molta importanza in rapporto al rispetto del limite del 65% della retribuzione media della qualifica di appartenenza del magistrato, limite entro cui deve essere contenuta la remunerazione per gli incarichi extraistituzionali se l’anno successivo se ne vuole assumere un altro, e si tratta in ogni caso di somme (almeno quelle pagate dal privato) che fuoriescono dal tetto retributivo massimo stabilito per i dipendenti pubblici dal legislatore. Occorre peraltro verificare, adesso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 135 di quest'anno ha dichiarato l'illegittimità sopravvenuta della norma sul “tetto retributivo”, se continuerà o meno, da parte dei magistrati (specie di quelli amministrativi), la preferenza per le presidenze dei CCT - dato che parte del compenso ricevuto, ovvero quello di competenza della parte privata, non soggiace al citato "tetto" -, o se si riapriranno i tradizionali percorsi verso il cumulo di incarichi governativi ben remunerati, una parte dei quali, per il livello stipendiale e retributivo raggiunto dal magistrato assegnatario dell'ulteriore incarico, era fino ad oggi, di fatto, svolta a titolo "gratuito".
Autore: a cura di Roberto Lombardi 30 luglio 2025
PREMESSA Prima della disciplina organica stabilita dal d.lgs. n. 45 del 2024 , il collocamento fuori ruolo dei magistrati (in particolare, di quelli ordinari) era disciplinato in maniera non sistematica dall’ art. 50 d.lgs n. 160/2006 e dalla legge n. 190/2012 . Più in generale, la fonte normativa primaria del collocamento fuori ruolo dei pubblici dipendenti è costituita dall’ art. 58 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 ; tale norma, in forza della disposizione di cui all’ art. 276, comma 3 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 , era estensibile anche ai magistrati appartenenti all’ordine giudiziario. Di fatto, alcuni incarichi extragiudiziari, per il tipo di impegno che richiedono, presuppongono che il magistrato sia collocato fuori dal ruolo organico della magistratura. L’istituto del collocamento fuori ruolo prevede che il magistrato chiamato a esercitare funzioni ontologicamente diverse dalle attribuzioni proprie della qualifica giudiziaria si distacca dalla struttura istituzionale d’origine e, pur conservando lo status di cui godeva presso l’amministrazione di appartenenza, lascia vacante l’ufficio del quale era titolare, che può essere assegnato, così, a un altro magistrato. Si tratta in altri termini di una modifica oggettiva e temporanea del rapporto di lavoro , per effetto della quale il dipendente viene destinato a svolgere, presso un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, compiti speciali che presentano un qualche interesse (anche) per l’amministrazione originaria, senza recidere con quest’ultima ogni rapporto. Vi sono sempre stati, d’altra parte, molteplici discussioni in merito all’opportunità del collocamento fuori ruolo dei magistrati, in quanto le critiche rivolte a tale istituto sono essenzialmente tre: - l’amministrazione della giustizia non ne trarrebbe in concreto alcun vantaggio; - la destinazione ad altri incarichi avrebbe conseguenze negative in termini di organico e di sottrazione di energie lavorative agli uffici giudiziari; - una prolungata assenza dai ruoli potrebbe determinare una diminuzione del sapere professionale, con ricadute negative sul sistema giustizia al momento del ritorno alla giurisdizione. Si è, per altro verso, e in senso contrario, ritenuto che i magistrati fuori ruolo costituiscano una risorsa indispensabile e strategica sia per il miglioramento dell’efficienza di importanti settori dell’amministrazione sia per l'accrescimento del prestigio che la magistratura nel suo complesso riceve per la qualità dell’opera che la professionalità dei magistrati sa rendere anche al di fuori dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali. Sotto questo profilo, il problema sarebbe consistito, più che altro, nell’introdurre o rendere più efficaci, nella normativa primaria e secondaria, alcuni principi di fondo volti a contemperare le esigenze delle amministrazioni “di destinazione” con quelle dell’amministrazione giudiziaria. E’ stato evidenziato, a tale riguardo, che le norme introdotte dalla legge 6 novembre 2012, n. 190 avevano lasciano insoddisfatte alcune esigenze avvertite dalla magistratura come necessarie per la razionalizzazione del sistema, con particolare riferimento all’accesso agli incarichi, alla durata degli stessi, alla valutazione dell’attività prestata fuori ruolo e alla disciplina del rientro in ruolo. LA DISCIPLINA DEI FUORI RUOLO NELL’AMBITO DELLA MAGISTRATURA AMMINISTRATIVA L’ art. 1, comma 1 della L. n. 71 del 2022 ha delegato Il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi recanti disposizioni finalizzate alla trasparenza e all'efficienza dell'ordinamento giudiziario. Tra le materie da modificare, nel rispetto dei criteri direttivi previsti dalla stessa legge delega, vi era anche il riordino della disciplina del collocamento fuori ruolo dei magistrati ordinari, amministrativi e contabili . Il Governo, nell’attuare tale delega, avrebbe dovuto individuare, tra l’altro, le tipologie di incarichi extragiudiziari da esercitare esclusivamente con contestuale collocamento fuori ruolo per tutta la durata dell'incarico, rispettare il principio secondo cui condizione dell'incarico da conferire è che lo stesso corrisponda a un interesse dell'amministrazione di appartenenza e prevedere la necessità di valutare sempre puntualmente le possibili ricadute che lo svolgimento dell'incarico fuori ruolo potrebbe determinare sotto i profili dell'imparzialità e dell'indipendenza del magistrato. Sono stati poi previsti limiti di rilevanza e di tempo degli incarichi, con possibilità di individuazione di tassative deroghe, oltre che la necessità di individuazione della soglia di scopertura di organico della sede di servizio del magistrato oltre la quale non può essere autorizzato il fuori ruolo e la necessità di riduzione del numero massimo di fuori ruolo autorizzabili, con previsione della “ possibilità di collocamento fuori ruolo dei magistrati per la sola copertura di incarichi rispetto ai quali risultino necessari un elevato grado di preparazione in materie giuridiche o l'esperienza pratica maturata nell'esercizio dell'attività giudiziaria o una particolare conoscenza dell'organizzazione giudiziaria ”. La delega è stata infine attuata, seppure tardivamente rispetto al limite temporale stabilito per legge, dal d.lgs. n. 45 del 2024 . Facendo un passo indietro, per ciò che concerne la magistratura amministrativa , e prima dell’entrata in vigore della nuova disciplina, vi era una delibera interna del Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa ( delibera del 10 maggio 2013 ) che, nel richiamare la normativa all’epoca vigente, distingueva tra fuori ruolo obbligatorio senza limiti, fuori ruolo obbligatorio con limiti e collocamento in fuori ruolo facoltativo . Con riferimento a quest’ultimo tipo di fuori ruolo, lo stesso veniva disposto in “ conseguenza della ritenuta impossibilità o inopportunità del contemporaneo svolgimento delle funzioni istituzionali e dell’incarico extra-istituzionale ”. Il totale dei magistrati collocati fuori ruolo non poteva superare, nel vecchio regime, il numero massimo di 26 (dal 2026 tale numero scenderà a 25), ad eccezione dei fuori ruolo obbligatorio “senza limiti” (a titolo esemplificativo: Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Sottosegretario di Stato, Giudice costituzionale), i quali dovevano sempre essere autorizzati, con eventuale contestuale rientro in ruolo dei fuori ruolo facoltativi e via via, secondo specifici criteri, dei fuori ruolo meno “vincolati” e vincolanti. La nuova disciplina ha di fatto posto il problema dell’abrogazione implicita della delibera interna che si era data l’organo di autogoverno in materia, ed è stata allo scopo designata una Commissione speciale che possa riordinare – specie nei punti in cui vengono affidate all’organo di autogoverno alcune scelte strategiche (ad esempio, individuazione della scopertura di organico degli Uffici oltre il quale non è consentibile il collocamento in fuori ruolo) – la cornice normativa applicabile ai magistrati amministrativi. Pare in ogni caso vincolante, rispetto a ogni altra "indicazione interna", la volontà del legislatore, espressa all' art. 2 del d.lgs. n. 45 del 2024 , secondo cui il magistrato deve sempre essere collocato in fuori ruolo, qualora l'incarico da svolgere presso altro ente pubblico non garantisca " l'integrale svolgimento ordinario del lavoro giudiziario ". Nel frattempo, è prevalsa nel tempo l’interpretazione secondo cui anche i “fuori ruolo” possono essere autorizzati per lo svolgimento di ulteriori incarichi extraistituzionali, entro i limiti di cui all’ art. 4 comma 3, lett. h) della delibera del 18 dicembre 2001 del Consiglio di Presidenza (preesistenza di un incarico continuativo presso l’amministrazione interessata all’incarico stesso o presso altra amministrazione, qualora, nel secondo caso, il magistrato abbia in corso di svolgimento anche un altro incarico non continuativo). E anche il limite originariamente stabilito dalla delibera in materia di autorizzazione di incarichi di Presidente di collegio consultivo tecnico (secondo cui il magistrato fuori ruolo o in aspettativa non poteva assumere tale incarico) è stato rimosso dal Consiglio di Presidenza nella seduta del 19 dicembre 2024. I CASI PIU’ RILEVANTI TRATTATI DAL CPGA DOPO L’ENTRATA IN VIGORE DELLE NUOVE NORME Pur nell’assenza perdurante della nuova disciplina interna imposta dal d.lgs. n. 45 del 2025, e dopo l’entrata in vigore di tale decreto legislativo, il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa si è trovato ad affrontare, negli ultimi mesi, alcune delicate questioni sistematiche afferenti a richieste di collocamento in fuori ruolo (o di prosecuzione dello status di fuori ruolo presso la stessa o presso altra amministrazione). Si sono presentate, in particolare, cinque particolari situazioni rispetto alle quali il Consiglio ha dovuto riflettere a fondo sulla valutazione puntuale da effettuare, anche alla luce delle nuove norme. In un primo caso, un magistrato amministrativo in servizio presso il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sede di Milano – Ufficio già gravato dalla presenza di tre giudici con sgravio di 2/3 in quanto componenti dell’organo di autogoverno – ha chiesto l’autorizzazione a svolgere in fuori ruolo l’incarico di coordinatore del Gruppo di Lavoro sulla digitalizzazione dei contratti pubblici (Gruppo DIGIT) istituito presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Nel dibattito che si è svolto in Plenum da un lato è stata fatta rilevare l’esplicita richiesta di fuori ruolo avanzata con missiva dal Ministro competente, dall’altro si è evidenziata la rilevante scopertura di organico del Tribunale di appartenenza. In particolare, è stato fatto notare che il d.lgs. n. 45 del 2024, all’ art. 6, comma 1 , ponga una condizione ostativa oggettiva e assoluta al collocamento fuori ruolo (“ Non può essere collocato fuori ruolo il magistrato la cui sede di servizio presenti un rilevante indice di scopertura dell'organico stabilita in via generale dall'organo di governo autonomo ”) e che il fatto che il Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa non avesse ancora stabilito tale indice di scopertura non avrebbe dovuto esimere il Consiglio stesso ad esercitare una discrezionalità conferita per legge. Ciò, anche in considerazione del fatto che, quasi contestualmente, l’Organo di autogoverno in parola aveva adottato una delibera che aveva fissato alcuni criteri per lo svolgimento dell’incarico di componente della Commissione di concorso per magistrato tributario, prevedendo in tale ambito che l’esonero totale dal carico di lavoro, previsto dalla norma di legge, non potesse essere consentito ai magistrati che prestassero servizio in Tribunali qualificati come “sedi PNRR”, ovvero in Tribunali in cui altri colleghi hanno già uno sgravio del carico di lavoro per lo svolgimento di incarichi interni, ovvero ancora in Uffici con un indice di scopertura del 20%. In senso contrario, è stato opinato che, in assenza della determinazione da parte dell’organo di autogoverno della percentuale di indice di scopertura “ostativa”, gli unici elementi da prendere in considerazione fossero le eventuali ricadute negative che il collocamento fuori ruolo della richiedente avrebbero avuto sull’organizzazione e la funzionalità del T.A.R. Milano, ricadute negative che peraltro erano state escluse dallo stesso Presidente dell’Ufficio giudiziario interessato. E’ stato inoltre fatto notare che una richiesta basata sul rapporto fiduciario (tra Ministro e magistrato) fosse sufficiente a giustificare tanto l’incarico quanto la richiesta di fuori ruolo e che l’ art. 6, comma 3 stabilisce, in deroga alla regola dell’ ostatività di un “rilevante indice di scopertura”, che l'organo di governo autonomo “ può sempre valutare, tenendo conto delle esigenze dell'ufficio di provenienza e dell'interesse dell'amministrazione di appartenenza, la possibilità di concedere il collocamento fuori ruolo in ragione del rilievo costituzionale dell'organo conferente (…) ”. Il conferimento in fuori ruolo è stato infine concesso con deliberazione a maggioranza; da notare che trattasi di ipotesi che le nuove norme collocano – in termini di resistenza e priorità – al gradino più basso ( lett. g), comma 1 dell’art. 7 del d.lgs.n. 45 del 2024 : “altri incarichi”). Un secondo caso ha riguardato la richiesta di un Consigliere di Stato ad essere autorizzato allo svolgimento dell’incarico di assistente di studio di uno dei Giudici costituzionali, con servizio a tempo pieno, dopo averlo svolto fino a quel momento a tempo parziale. In questo caso, la scopertura organica del Consiglio di Stato, pari al 13 per cento al momento della deliberazione, non sarebbe risultata ostativa, e l’unico rilievo di interesse sarebbe stata l’individuazione dell’orizzonte temporale entro cui autorizzare la durata del fuori ruolo. Sotto questo profilo, vi era un potenziale disallineamento tra le nuove norme introdotte dal d.lgs. n. 45 del 2024 (che nulla prevedono sulla necessità di rientro in servizio entro un determinato arco temporale) e la vigente disciplina interna, che consente in questi casi il collocamento fuori ruolo del magistrato per un massimo di tre anni, con obbligo del rientro e successiva permanenza in ruolo per almeno un biennio con effettivo esercizio delle funzioni di istituto ( articolo 4, comma 2, lettera a) della delibera C.P.G.A. del 10 maggio 2013 ). Il Plenum ha deciso di ritenere ancora applicabile la normativa interna vigente – in attesa di una modifica di essa da parte dell’istituita Commissione speciale - e ha dunque concesso all’unanimità il fuori ruolo, limitandolo ad una durata “iniziale” di tre anni. Il terzo caso “particolare” ha riguardato una Consigliera di Stato – transitata dai TAR nelle more dello svolgimento dell’incarico – che ha fatto istanza di rinnovo dell’incarico di Direttore del Servizio giuridico dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. La vicenda è stata caratterizzata dal succedersi di richieste tra di loro non coerenti: prima, di autorizzazione con fuori ruolo, poi, di autorizzazione ad un incarico di consulenza di contenuto analogo a quello dell'iniziale richiesta con rientro in ruolo, infine ancora – ma stavolta sulla base di diversa disciplina giuridica – domanda di prosecuzione dello stesso incarico già svolto, e ancora una volta in fuori ruolo. Mancava in particolare, con riferimento alla prima istanza, il parere obbligatorio prescritto dall’ art. 9, comma 3, lett. b) del d.lgs. n. 45 del 2024 ; nella fattispecie concreta, essendo il magistrato richiedente transitato dai TAR al Consiglio di Stato in posizione di fuori ruolo, tale parere avrebbe dovuto essere rilasciato dal Presidente del Consiglio di Stato stesso, in assenza di assegnazione formale della Giudice ad una Sezione. Inizialmente, il Consiglio di Presidenza ha autorizzato la prosecuzione dell’incarico, prevedendo contestualmente il rientro in ruolo della richiedente, e respingendo la tesi secondo cui, trattandosi di incarico rientrante tra quelli presupponenti il “fuori ruolo obbligatorio”, secondo la Tabella B della delibera del 10 maggio 2023, punto b), fosse da ritenersi incompatibile con lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali la prosecuzione del lavoro di Direttore del Servizio giuridico dell’Autorithy . Tale orientamento si era in effetti consolidato in passato proprio con riferimento al medesimo incarico svolto dalla richiedente, e non sarebbe stato scalfito, secondo questa tesi, dall’entrata in vigore del decreto legislativo n. 45 del 2024, il cui articolo 16 del decreto, nello stabilire la linea di compatibilità tra la disciplina precedente e quella attuale, lascia espressamente in vigore l’ art. 1, comma 66 della legge Severino , sulla cui base è fondata la Tabella “B” sopra citata. D’altra parte, anche qualora non si fosse voluta applicare la norma sull’obbligo di fuori ruolo, vi sarebbe stato pur sempre l’ articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 45 del 2024 , il quale stabilisce che: " Tutti gli incarichi presso Enti pubblici o Pubbliche Amministrazioni la cui assunzione non può garantire l'integrale svolgimento ordinario del lavoro giudiziario possono essere svolti nel rispetto delle previsioni del presente decreto soltanto a seguito del collocamento fuori ruolo o nei casi specificamente previsti dalla legge del collocamento in aspettativa ", dovendosi probabilmente dubitare che la tipologia di incarico ricoperto dalla richiedente non avesse carattere assorbente sotto il profilo del tempo impiegato nello svolgimento di esso. Successivamente al rilascio di tale autorizzazione, peraltro, una nota del Presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni aveva investito nuovamente della questione l’Organo di autogoverno, affinché lo stesso riesaminasse la deliberazione assunta in punto di rientro in ruolo della Consigliera di Stato, sulla base della legge istitutiva dell’Authority, secondo cui sarebbe stato possibile avvalersi di dipendenti dello Stato o di altre amministrazioni pubbliche per svolgere incarichi di tipo dirigenziale, qualora non fosse possibile reperire al proprio interno professionalità dotate delle necessarie competenze, come nel caso in esame, ma soltanto se tali dipendenti “esterni” risultassero “collocati in posizione di fuori ruolo” nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti. Il Consiglio di Presidenza ha a questo punto accolto l’istanza di riesame così avanzata, non prima però di acquisire il parere del Presidente titolare della Sezione del Consiglio di Stato a cui nel frattempo la richiedente era stata formalmente assegnata. Tale parere non era né positivo né negativo, limitandosi il Presidente in questione a sottolineare che era stato talmente poco il tempo di rientro in servizio del magistrato alla sua Sezione assegnato da rendere impossibile l’individuazione in concreto dell’eventuale pregiudizio eventualmente derivante dalla nuova vacanza di organico. D’altra parte, erano nel frattempo pervenute due note da una rappresentanza sindacale del personale impiegato presso l’A.G.C.O.M., che denunciavano una situazione di disagio asseritamente occasionata da comportamenti del magistrato svolgente l’incarico di Direttore di Servizio. Su questo fronte, mentre la maggioranza del Consiglio ha ritenuto di non poter attribuire rilievo a tali segnalazioni, in quanto il loro contenuto non atterrebbe ai profili alla cui verifica è chiamato il Consiglio di Presidenza, una tesi dissenziente ha rimarcato che le evidenziate problematiche di carattere lavorativo e relazionale potrebbero suggerire una potenziale incompatibilità inerente alla permanenza del magistrato nell’amministrazione di destinazione, e che, anche alla luce della normativa interna in materia di autorizzazioni agli incarichi, avrebbe dovuto essere necessaria una valutazione in concreto, al fine di porsi, prima di autorizzare l’incarico, il problema della lesione del prestigio non solo del plesso, ma anche del magistrato stesso, nel caso in cui fossero infondate le accuse implicitamente contenute nella lettera del sindacato. D’altra parte, il comma 4 dell’art. del d.lgs. n. 24 del 2024 stabilisce che “ in ogni caso l'organo di governo autonomo deve valutare le ricadute provenienti dallo svolgimento dell'incarico fuori ruolo sotto il profilo della possibile lesione della immagine di imparzialità e indipendenza del magistrato o del pregiudizio derivante al prestigio delle magistrature ”. L'autorizzazione alla "ripresa" dello svolgimento dell'incarico in posizione di fuori ruolo è stata infine concessa, seppure a maggioranza. Un'ulteriore fattispecie ha riguardato il caso di un magistrato TAR che ha partecipato ad una selezione pubblica in seno al Consiglio di Europa per assurgere al compito di legal advisor del GRECO, organismo internazionale che si occupa di contrasto alla corruzione – tramite monitoraggio del rispetto da parte degli Stati aderenti di determinati standard in materia - e che è stato istituito dallo stesso Consiglio di Europa. Il magistrato richiedente ha evidenziato l' interesse dell'amministrazione a consentirgli un incarico ritenuto prestigioso e di sicura attinenza con materie interferenti anche con il diritto amministrativo (in considerazione della trasversalità della materia “corruzione”), mentre il Capo dell'Ufficio dove egli presta servizio, nel rendere il richiamato parere di cui all'art. 9, comma 3, lett. b) del d.lgs. n. 45 del 2024, ha evidenziato che il venir meno del suo Collega avrebbe determinato una scopertura di organico molto rilevante (circa il 30%) e si sarebbe posto in contrasto con la necessità, a carico dell'interessato, di recuperare l'arretrato individuale di lavoro accumulatosi per via della fruizione di alcuni congedi parentali “frazionati”. Quanto al primo aspetto, è stato peraltro fatto rilevare che la norma di riferimento del d.lgs. n. 45 del 2024 a cui "appoggiare" la richiesta di fuori ruolo fosse l' art. 5, comma 5 e non l'a rt. 11, comma 3 , posto che l'incarico da ricoprire era di esperto amministrativo (incarico non riservato a magistrati) e non afferiva direttamente all'esercizio di funzioni giurisdizionali. D’altra parte, mentre l’art. 5, comma 5 dispone che “ L'interesse dell'amministrazione è sempre sussistente per gli incarichi che la legge affida esclusivamente a magistrati, per gli incarichi presso organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, per gli incarichi apicali, anche di diretta collaborazione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e i Ministeri o per incarichi presso organismi dell'Unione europea o organizzazioni internazionali di cui l'Italia è parte”, il comma 6 dello stesso articolo dispone che “L'interesse dell'amministrazione di appartenenza non si ritiene sussistente quando l'incarico non richieda un elevato grado di preparazione in materie giuridiche ovvero una particolare conoscenza dell'organizzazione giudiziaria o esperienza pratica maturata nell'esercizio dell'attività giurisdizionale, giudiziaria, consultiva o di controllo ”. Quanto al secondo aspetto, la natura non vincolante, rispetto alla decisione del Consiglio, del parere del Capo dell'ufficio, non eliminava il dato oggettivo di una rilevantissima scopertura dell'organico di tale Ufficio, una volta che fosse stato autorizzato il fuori ruolo. L'organo di autogoverno ha dapprima respinto, a voto segreto, la proposta della Commissioni congiunte di accogliere la richiesta autorizzazione in fuori ruolo. Tuttavia, una volta emesso il preavviso di diniego ed esaminate le osservazioni dell'interessato, lo stesso Consiglio è tornato sui suoi passi, e ha infine concesso il fuori ruolo, nonostante alcuni Consiglieri abbiano fatto notare la contraddittorietà interna della decisione, non essendo emerso alcun elemento di fatto nuovo rispetto a quelli già presi in considerazione nell'esprimere il primo voto sfavorevole. Altro caso di rilievo affrontato dall'organo di autogoverno dei magistrati amministrativi nel presente anno è quello di un magistrato Tar che dopo vari anni in fuori ruolo presso il Garante della Privacy è stato proposto e nominato dal Ministro della difesa in qualità di Segretario generale del suo Ministero. La peculiarità di questa fattispecie sta nella assenza di soluzione di continuità tra le attività prestate al di fuori dei ranghi giurisdizionali da parte del magistrato interessato, con conseguente "costruzione" di una sorta di carriera parallela rispetto a quella di Giudice, carriera che pare implicitamente osteggiata dalle nuove norme, in teoria più restrittive della disciplina anteriormente vigente. Tuttavia, in presenza di una serie di eccezioni continue alla regola - così come contenute nel testo del d.lgs. n. 45 del 2024 - e in assenza di obblighi espliciti di rientro dal precedente incarico, prima di assumerne uno diverso, il Consiglio ha anche in questo caso autorizzato la permanenza di fuori ruolo, con un solo voto contrario.
Autore: Sergio Conti 30 luglio 2025
Si invita oggi alla lettura dello scritto di Nicolás Gómez Dávila " De iure" , in cui il pensatore colombiano indaga il senso del diritto da una sua del tutto peculiare prospettiva. "In un tempo in cui il tecnicismo giuridico, esasperato dalla proliferante evoluzione normativa, sembra riservare al ceto dei giuristi prospettive esegetiche improntate ad un angusto minuziosismo, quasi più proteso a denunziare il difettoso coordinamento tra i due commi dell’articolo d’una novissima legge, che magari ad avvedersi della logica precedenza del quid est ius al quid est iuris, la nuova collana Krisis – autorevolmente ideata e sovrintesa da Massimo Cacciari e Natalino Irti – lo emancipa piacevolmente da un siffatto clima asfittico e, nel gettare un ponte tra la filosofia e il diritto, dischiude agli studiosi dell’una e dell’altro nuovi, fecondi e inaspettati orizzonti di riflessione." (ALBERTO MATTIA SERAFIN nel recensire l'opera di NICOLÁS GÓMEZ DÁVILA, De iure, L. Garofalo (a cura di), La Nave di Teseo, Milano, 2019) Nel Web è possibile reperire (all'indirizzo http://www.juscivile.it/Article/Archive/index_html?ida=341&idn=49&idi=-1&idu=-1) lo scritto di Alberto Mattia Serafin, che fornisce un breve inquadramento del pensiero e dell'opera di Gómez Dávila, che è stato pubblicato sulla rivista Jus civile 2020 I, pag. 227/232. Dal libro (" De iure " ) si riportano – per stimolare la curiosità del lettore – stralci della parte iniziale, nella quale Gómez Dávila ricapitola da par suo, con stile incisivo, le diverse prospettive che sono state sviluppate sullo ius. “ Stabilire se le nozioni di diritto, di giustizia e di Stato denotino semplicemente fatti che accadono o anche fatti che hanno validità e il problema che genera e giustifica la teoria giuridica. In effetti il problema di una validità del diritto separata dal mero fatto dalla sua vigenza può a volte eclissarsi, ma non scompare. Dall'invocazione greca di una legge non scritta alle indagini attuali della giurisprudenza tedesca circa la natura della cosa, la tesi giusnaturalistica, nelle sue molteplici incarnazioni, arrovella il pensiero europeo e pervade la storia dell'Occidente La positività della legge sembra non bastare. Pare che la norma legale che regge gli atti debba a sua volta essere retta da una norma giusta. Un confronto senza fine sulla magna quaestio ha inizio nei dialoghi di Platone Nell'aristotelismo vengono definiti gli ingranaggi concettuali di quelli che saranno i suoi frutti, i suoi futuri sviluppi. E fra le scuole ellenistiche, se l'epicureismo affida lo schizzo originario della tematica contrattualistica ai pubblicisti a venire, la stoà risveglia l'idea di un criterio trascendente nella testa granitica dei giuristi imperiali. Forti di una fugacea reminiscenza stoica contenuta nelle epistole paoline, i padri della Chiesa d'Occidente plasmano, avvalendosi di testi ciceroniani, una dottrina diffusa nelle Etimologie di Isidoro di Siviglia, la quale, rafforzata dall'intervento restauratore di Irnerio, si articola e culmina nella scolastica trionfante . Né il realismo dei politici rinascimentali, né la teoria postlapsaria dei teologi luterani riescono a estirpare il giusnaturalismo che pamphettisti calvinisti, frati domenicani e padri gesuiti condividono in via solidale. Il diritto naturale, al contrario, liberato dal proprio ancoraggio teologico per opera di esperte mani olandesi s' impadronisce per due secoli di qualsiasi speculazione giuridica, raggiungendo la sua espressione più pura e nobile nel pensiero kantiano e la sua frustrazione più beffarda nelle proscrizioni rivoluzionarie. Durante il secolo XIX, il diritto naturale, illanguidisce tra una borghesia che lo strumentalizza per dare sostegno al proprio predominio e un proletariato che lo disprezza, avendone smascherato la funzione ideologica. Tuttavia, né il dottrinarismo liberale nasconde soltanto interessi, né i diversi socialismi, riescono a dissimulare, sotto le loro impostazioni sociologiche, la sensibilità giusnaturalistica che li anima. In questo clima avverso, la letteratura giuridica oscilla tra un rigido legalismo e un minuzioso storicismo. Prevale un empirismo da giurisperito o da storico . Così, nonostante i lampi geniali di Savigny, i giuristi tedeschi riuscirono unicamente a contrapporre un positivismo statale al letteralismo legale dei civilisti classici francesi Persino nella nazione che diffuse, tra le vestigia della sua giurisprudenza consuetudinaria, il contrattualismo liberale fiorisce all'ombra di Hobbes, il positivismo dei giuristi cesarei all'interno della teoria austiniana della legge. L'importanza del pensiero giuridico del secolo risiede nell'altro suo versante: nel lavoro sistematico dei pandettisti, cristallizzato nell'edificio di Windschein, come pure nell'ammirevole opere storica di un Mommsen, un Gierke o un Maitland. … Nessun problema, dunque, è più autentico di quello del diritto, della giustizia, dello Stato, né più spinoso né più urgente. Espressa o tacita che sia la soluzione per cui opta un individuo, essa governa la maggior parte della sua condotta e la soluzione adottata da un'intera società ne determina la storia e il destino. … Le pagine che seguono, peraltro, neppure mirano a proporre una banale e pedestre soluzione al quid est ius del giurista rispetto al quid est iuris dell'esperto. Si limitano a mostrare la convenienza nell'adottare determinate regole semantiche ai fini della disamina di questi temi. E comunque nemmeno postulano in via autonoma le regole che espongono, bensì suggeriscono di estrapolarle dalla massa ereditaria di vocaboli, dove si trovano sedimentate dalla tradizione. In effetti, se si considera l'immensa letteratura concernente questi temi, all'interno del coacervo secolare di tesi risultano evidenti talune linee che tratteggiano la struttura di un possibile discorso coerente. Basta distinguere analiticamente i diversi tipi di proposizione lì confusi e rendere esplicite le implicazioni di una data tesi, ieri autorevole e oggi obsoleta, per vedere il vocabolario di questi temi cristallizzarsi in costellazioni sistematiche. … La teoria del diritto, la teoria della giustizia e la teoria dello Stato non integrano tre teorie distinte, ma sono parti di un'unica teoria. Sono tutte capitoli della teoria giuridica. … Il giuridico come il logico è categoria irriducibile dello spirito, struttura irriducibile dell'universo. Se il logico, infatti, si dà nell'atto del soggetto che solamente conosce oggetti, il giuridico si dà nell'atto del soggetto che riconosce un altro soggetto . In questi due atti si esaurisce l'elenco degli atti possibili. Il soggetto, invero, unicamente trova dinanzi a sé o meri oggetti o anche un altro soggetto Il suo dilemma è unico: per il soggetto, o tutto è oggetto oppure, dinanzi a lui, esiste anche un altro soggetto. Tra il soggetto epistemologico e l'oggetto epistemologico non sono concepibili ulteriori relazioni formali. Da un lato, l'atto solitario di un soggetto, il quale non conosce se non oggetti; dall'altro, l'atto di un soggetto il quale riconosce un altro soggetto, ma che lo riconosce come tale soltanto quando non si limita a pensarlo o ad agire su di lui, bensì quando agisce con lui in modo solidale". ...
Autore: a cura di Paolo Nasini 30 luglio 2025
Tribunale Benevento, sez. I, 22 maggio 2025, n. 1090, Pres. M.I. Romano, est. A. De Luca IL CASO E LA DECISIONE P.S. si è unita civilmente (ai sensi della l. n. 76 del 2016 ), con P.A., convivendo altresì con R.C., figlia di quest’ultima madre, avuta nell’ambito di un precedente legame affettivo con il deceduto R.A.. P.S., quindi, ha proposto domanda di adozione di maggiorenne , in favore di R.C., asserendo il forte legame affettivo con quest'ultima. Nel corso del giudizio sono state sentite R.C. e la madre naturale P.A.: la prima ha espresso la volontà di essere adottata da P.S.; la seconda ha manifestato il proprio consenso all'adozione. Il PM ha espresso parere favorevole. Il Tribunale di Benevento, all’esito del giudizio, ha disposto l’adozione di R.C., da parte di P.S. precisando che l'adottata posponesse il cognome dell'adottante al proprio, venendosi per l'effetto a chiamare R.P.C.. Sotto il profilo giuridico, occorre premettere che Il legislatore, con la richiamata l. n. 76 del 2016 ha disciplinato le c.d. unioni civili tra persone dello stesso sesso, introducendo una specifica ipotesi di “formazione sociale”, in conformità ai precetti programmatici di cui agli artt. 2 e 3 Cost. . Secondo il Tribunale, quindi, anche a livello normativo la relazione di coppia omosessuale rientra nella nozione di “vita privata”, nonché di “vita familiare”. D’altronde, il legislatore non disciplina l’adozione del figlio del partner dello stesso sesso (cd. stepchild adoption ), neppure nel caso in cui l'adottando sia maggiorenne, atteso che la l. n. 76 del 2016 non menziona l’ art. 291 c.c. tra le norme applicabili alle unioni civili. Secondo il Tribunale, però, ciò non esclude che tale lacuna possa essere colmata in via interpretativa per garantire il diritto dei figli alla certezza e stabilità del rapporto con coloro che effettivamente esercitano il ruolo genitoriale. L'adozione di maggiorenni, infatti, ha la funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva e identitaria, nonché di una storia personale tra adottante e adottando, diventando così uno strumento volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da saldi vincoli personali, morali e civili. Quindi, il Giudice di prime cure asserisce che non vi sarebbe ragione per escludere tale forma di adozione anche alle unioni civili, in mancanza di espressa preclusione normativa in tal senso: perciò, se tale possibilità è ammessa dalla giurisprudenza più recente nell'ipotesi, diversa e più complessa per la minore età dell'adottando, dell'adozione del minore “in casi particolari”, non vi sarebbe ragione per non ammettere la stepchild adoption nel caso di adozione di maggiorenne, essendo la finalità perseguita sempre quella di consentire la formazione di famiglie tra soggetti legati di fatto da saldi vincoli personali. L'orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di stepchild adoption del minore muove dall'affermazione che “il desiderio di avere figli, "naturali" o adottati, rientra nell'ambito del diritto alla vita familiare, nel vivere liberamente la propria condizione di coppia riconosciuto come diritto fondamentale, anzi, ne è una delle espressioni più rappresentative. Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l'adeguatezza dell'adottante a prendersene cura, un'interpretazione dell' art. 44 l. n. 184/1983 che escludesse l'adozione per le coppie omosessuali, solo in ragione dell'orientamento sessuale, sarebbe un'interpretazione non conforme al dettato costituzionale, in quanto lesiva del diritto di uguaglianza” [1] . Ed ancora, l'orientamento sessuale e il rapporto di coniugio degli adottanti non rappresentano limiti elevati al rango di principi di ordine pubblico internazionale. Nella genitorialità sociale, dice la corte, «l'imitatio naturae manca ab origine ed è ampiamente compensata dalle ragioni solidaristiche dell'istituto e, con riferimento al minore, dalla realizzazione, da assoggettarsi a verifica giurisdizionale, del processo di sviluppo personale e relazionale più adeguato alla sua crescita» [2] . Secondo tale orientamento giurisprudenziale, la mancata previsione legislativa dell'accesso all'adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all'orientamento consolidato in giurisprudenza anche prima dell'entrata in vigore della legge sulle unioni civili a favore di tale adozione. Infatti, con l'entrata in vigore della legge sulle unioni civili “resta fermo” (ex art. 1, comma 20, l. n. 76 del 2016) quanto previsto non solo dalla legge, ma dal c.d. diritto vivente, ossia dall'interpretazione che della disciplina sulle adozioni è stata fornita dalla giurisprudenza, “ che, nel pieno rispetto del diritto del minore, inserito in una famiglia same sex, ha dato tutela ad una bigenitorialità, ancorché realizzata tramite l'adozione in casi particolari, attributiva di uno status filiationis ” [3] . Nel solco di tale orientamento, il Tribunale di Milano, in tema di trascrizione in Italia dell'atto di nascita formato all'estero relativo a bambino con genitori dello stesso sesso, ha ribadito che la scelta del legislatore italiano nell'ambito della l. n. 76 del 2016 di non prevedere la c.d. stepchild adoption non può indurre a ritenere contraria all'ordine pubblico tale tipologia genitoriale, dal momento che non solo all'estero la stessa è pacificamente prevista e tutelata, ma anche in Italia la genitorialità same sex ha ormai trovato riconoscimento sulla base nell'interesse del minore, “ a conferma dell'assenza di superiori, contrari e ineludibili principi di rango primario alla genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso; non esistendo del resto dati scientifici che attestino la rilevanza dell'orientamento sessuale dei genitori sul benessere dei figli ” [4] . In definitiva, secondo il Tribunale di Benevento, va data prevalenza e tutela all'interesse al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l'altra figura genitoriale sociale anche se dello stesso sesso, ciò in assenza di ostacoli di natura normativa o di altra natura in tal senso. In materia è recentissimo l'arresto del Tribunale Minorenni Trento del 11 giugno 2024 che, nel condividere l'elaborazione giurisprudenziale sopra ricordata, ha ribadito che la nuova normativa ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di “famiglia” (è inequivoco il riferimento, nella normativa, alla “vita familiare”, a tacer d'altro), così offrendo all'adozione in casi particolari un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato. La legge di nuovo conio ha evidenziato, con l'articolo 1, co. 20, che: “ al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso ”, mentre l'ultimo periodo del medesimo comma prevede che “ resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti ”. Tal ultima locuzione è stata interpretata come clausola di salvaguardia espressiva , nel momento in cui “consente”, della volontà di dare continuità all'interpretazione giurisprudenziale così come sviluppatasi nel tempo, di modo che pare evidente che dalla legge 76/2016 non emerge affatto una volontà del Legislatore di delimitare più rigidamente i confini interpretativi dell'adozione in casi particolari ma, semmai, emerge la volontà contraria. In definitiva, ove l'adozione risponda all'interesse dell'adottando e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati “ non si comprende come possano essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e complessità delle relazioni umane nell'epoca attuale. Del resto, proprio la interpretazione evolutiva della Corte EDU della nozione di vita familiare di cui all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, è giunta ad affermare che nell'ambito della vita familiare deve annoverarsi il rapporto fra persone dello stesso sesso, rapporto che non può quindi essere escluso dal diritto di famiglia con la conseguenza che non già le aspirazioni o i desideri degli adulti debbano avere necessariamente pari riconoscimento da parte dell'ordinamento, bensì i diritti dei bambini ” [5] . Sotto altro e concorrente profilo, secondo il Tribunale di Benevento, la differenza di età di circa 16 anni tra la ricorrente e l'adottanda non sarebbe di ostacolo all'accoglimento della domanda. Infatti, si afferma in giurisprudenza che l’art. 291 c.c., nel richiedere la differenza di diciotto anni tra adottante e adottando, introduca una ingiusta limitazione e compressione dell'istituto dell'adozione di maggiorenne nell'accezione e configurazione sociologica assunta negli ultimi decenni, ciò in contrasto con le previsioni di cui all’ art. 30 Cost. , e all' art. 8 CEDU . In tal senso, “ in tema di adozione del maggiorenne, il giudice nell'applicare la regola che impone il divario minimo di età di 18 anni tra l'adottante e l'adottato, deve procedere ad una interpretazione dell'art. 291 c.c. compatibile con l’art. 30 Cost., secondo la lettura data dalla Corte Costituzionale e in relazione all'art. 8 CEDU, che consenta, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, una ragionevole riduzione di tale divario minimo al fine di tutelare situazioni familiari consolidatesi da tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris ” [6] . Ed ancora, “ in tema di adozione del maggiorenne, non appare ostativa una differenza di età fra l'adottante e l'adottando pari a 14 anni e sei mesi in luogo dei 18 anni previsti dalla legge a fronte di una convivenza quasi decennale fra i soggetti interessati. Tale convivenza, nel caso di specie, depone inequivocabilmente nel senso della ragionevole riduzione del divario minimo, al fine di tutelare la situazione familiare consolidatasi da tempo e fondata sulla comprovata affectio familiaris. L'ammissibilità dell'adozione, dunque, pur in difetto della differenza di età fissata dall'’art. 291 c.c., risulta possibile dall'interpretazione costituzionalmente orientata, in conformità all'art. 30 cost. e all'art. 8 Cedu, secondo quanto ormai chiarito dalla giurisprudenza di legittimità ” [7] . Il Tribunale di Benevento, quindi, applicando tali principi al caso in esame, ha ritenuto che, seppur l'adottante presenta una differenza di età con l'adottanda di sedici anni, quest'ultima ha attualmente quarant'anni e vive con l'adottante e la madre naturale (unite civilmente) dall'età di tredici anni, costituendo a tutti gli effetti un nucleo familiare consolidato e compatto da quasi trent'anni. Ciò che viene in rilievo è la richiesta di concretizzare la lunga convivenza “di fatto” tra l'adottante e l'adottanda, attraverso un riconoscimento formale che sancisca la consolidata comunione di affetti e di vita vissuta. La sussistenza di un effettivo rapporto genitoriale instauratosi fra il genitore sociale e la figlia della propria partner è emersa anche in sede di audizione personale delle parti coinvolte in detta vicenda. Il Giudice ha valorizzato il fatto che all’udienza del 9 luglio 2024 R.C. ha dichiarato di voler “essere adottata da P.S.”, in quanto è stata il suo “punto di riferimento”, avendola cresciuta dall'età di 5 anni e convivendo con lei dall'età di 13 anni. Dichiarazioni che hanno trovato conferma, oltre che dalla stessa P.S., anche dalla madre naturale dell'adottanda che, nel non opporsi a tale volontà, ha ribadito l'intensità del loro legame affettivo. Pertanto, su tali considerazioni, secondo il Tribunale, impedire questo tipo di adozione “ritenendo insuperabile la differenza minima di età di ben diciotto anni ”, costituirebbe espressione di un'interpretazione puramente letterale della norma che non tiene conto, a parere del collegio, di argomentazioni di carattere sistematico ed evolutivo. La riduzione di tale divario di età appare ragionevole alla luce delle circostanze del caso concreto, essendo volta a tutelare la situazione familiare consolidatasi nel tempo e fondata su una comprovata affectio familiaris . [1] Tribunale Minorenni Roma, 23 dicembre 2015. [2] Cass. Civ., Sez. Un., n. 9006 del 2021. [3] Tribunale Minorenni Bologna, 6 luglio 2017. [4] Tribunale Milano, sez. VIII, sent. 15 novembre 2018. [5] Tribunale Minorenni Trento, 11 giugno 2024. [6] Cass. Civ., sez. I, n. 7667 del 2020. [7] Tribunale Viterbo, 25 novembre 2022.
Autore: Carmine Spadavecchia 30 luglio 2025
in tema di economia dello spazio : - Giulio M. Salerno*, Legge italiana sullo spazio, un modello se l’attuazione sarà efficace e concreta (Guida al diritto 28/2025, 10-12, editoriale). Commento alla L 13.6.2025 n. 89 (GU 24.6.25 n. 144, in vigore dal 25 giugno 2025), Disposizioni in materia di economia dello spazio [*professore ordinario di diritto costituzionale presso l’Università di Macerata] sulla legge di delegazione europea 2024 : L 13.6.2025 n. 91 (GU 25.6.25 n. 145, in vigore dal 10 luglio 2025), Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2024 - analisi e mappa delle novità principali a cura di Laura Biarella (Guida al diritto 28/2025, 14-22) in tema di ambiente : - TAR Brescia 3.6.2025 n. 506, pres. Gabbricci, est. Fede (Guida al diritto 28/2025, 82 T, sotto il titolo: Impianti soggetti ad Aia, la parola alla Corte Ue sul silenzio assenso per modifiche “sostanziali”): È dubbio se il decorso del termine di sessanta giorni dalla comunicazione da parte del gestore di un impianto delle modifiche non sostanziali di un progetto assoggettabile al procedimento per l'autorizzazione integrata ambientale (AIA), previsto all'art. 29-nonies, comma 1, DLg 3.4.2006 n. 152, recante "norme in materia ambientale", possa configurare una forma di silenzio-assenso da parte dell'Amministrazione. Se si sceglie di aderire alla tesi che ne ammette la formazione (ritenuta prevalente dal Tar remittente), sorge la questione di compatibilità della formazione di autorizzazioni tacite con il diritto dell'Unione Europea con riferimento alle comunicazioni che celano modifiche sostanziali per le quali l'art. 20 della direttiva 24.11.2010 n. 75 (2010/75/Ue) prevede l'obbligo di adozione di un provvedimento espresso vigente in materia ambientale. La questione interpretativa va pertanto rimessa alla Corte di Giustizia Ue ai sensi dell'art. 267 del Tfue. - (commento di) Giulia Pernice, La “semplificazione” deve comunque essere in linea con le regole europee (Guida al diritto 28/2025, 89-93). La controversia riguarda una società che produce piastrelle e la Provincia, competente al rilascio della valutazione di impatto ambientale. in tema di giochi nei locali pubblici ( ludopatia ): - Corte cost. 10.7.25 n. 104, pres. Amoroso, red. D’Alberti (Guida al diritto 28/2025, 26): L’art. 7, comma 3-quater, del “decreto Balduzzi” del 2012 (che vietava la messa a disposizione di apparecchiature che consentono l’accesso al gioco sia legale che illegale, ossia praticato al di fuori della rete dei concessionari o dei soggetti autorizzati) è incostituzionale perché tale disposizione, pur perseguendo la legittima e meritevole finalità di contrastare la ludopatia, appare viziata da irragionevolezza e difetto di proporzionalità in quanto eccessivamente inclusiva: essa è infatti riferita a una gamma assai estesa di comportamenti, connotati da un diverso grado di offensività e da rilevanti differenze di disvalore, e colpisce allo stesso modo sia la destinazione occasionale delle apparecchiature al gioco, sia quella esclusiva e permanente. sul soccorso in mare (fermo amministrativo della nave): - Corte cost. 8.7.25 n. 101, pres. Amoroso, red. Pitruzzella (Guida al diritto 28/2025, 28): Sono infondate le questioni di costituzionalità della norma del c.d. “decreto Piantedosi” (art. 1, comma 2-sexies, DL 21.10.2020 n. 130 - L 18.12.2020 n. 173), che autorizza le autorità italiane a trattenere le navi di soccorso umanitario. Con riferimento alla denunciata violazione del principio di determinatezza (art. 25 Cost.), la condotta sanzionata con il fermo della nave (che ha carattere punitivo) è descritta in modo puntuale, ed è la legge a tracciare una chiara linea di confine tra lecito e illecito, evitando l’arbitrio del giudice e garantendo la conoscibilità del precetto. La normativa nazionale si inserisce nell’ambito delle regole di cooperazione dettate dalla convenzione di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo, e l’inosservanza delle richieste di informazione e delle indicazioni dell’Autorità è sanzionata solo quando riguardi atti legalmente dati e conformi alla disciplina internazionale. Sono altresì infondate le questioni sollevate in riferimento agli artt. 10 e 117 della Cost., per violazione degli obblighi internazionali. Inoltre, vanno respinti i dubbi di legittimità costituzionale sull’obbligatoria applicazione del fermo della nave. Tale misura punitiva non è né irragionevole né sproporzionata, in quanto sanziona «quelle trasgressioni che pregiudichino la stessa finalità di salvaguardia della vita umana in mare, insita nella Convenzione SAR, e si rivelino idonee a compromettere, in carenza di motivi legittimi, il sistema di cooperazione che tale Convenzione ha istituito». [Tra le organizzazioni umanitarie che hanno sollevato tali questioni, la prima è stata la non governativa Sos Mediterranee verso il fermo amministrativo disposto dalle autorità italiane nei confronti della nave Ocean Viking. I dubbi avanzati riguardavano la possibile violazione dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e determinatezza sanciti dalla Costituzione italiana, nonché degli obblighi vincolanti che derivano dal diritto internazionale ed europeo. La Consulta ha restituito gli atti al rimettente, per consentirgli di valutare l’incidenza dello ius superveniens (DL 11.10.2024 n. 145 - L 9.12.2024 n. 187) sulle questioni concernenti la fissità, originariamente prevista, della durata del fermo] sullo scioglimento di comuni per mafia (decadenza del sindaco rieletto): - Cass. 1^, 8.7.25 n. 18559 (Guida al diritto 28/2025, 26): Nella consapevolezza di dover comporre distinti interessi costituzionalmente rilevanti - da una parte, il rispetto della rappresentanza politica e il diritto di elettorato passivo, dall’altra, i principi di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa - deve ritenersi preferibile la soluzione interpretativa per cui il sindaco che sia stato rieletto nel primo turno elettorale successivo allo scioglimento per infiltrazioni mafiose, perché non ancora definitivamente dichiarato incandidabile al momento delle votazioni, non può continuare a svolgere l’incarico una volta che sia stata accertata in sede civile, con efficacia di giudicato, la sua responsabilità nella causazione del pregresso commissariamento del consiglio comunale. [La SC respinge il ricorso dell’ex sindaco di Platì, in Calabria, contro la sentenza che aveva confermato la decadenza dichiarata dal prefetto a seguito della sua rielezione dopo lo scioglimento del consiglio comunale per condizionamento mafioso. Al termine del periodo di gestione commissariale, e mentre era ancora in corso il procedimento per la declaratoria di incandidabilità, il ricorrente era stato infatti rieletto sindaco. Nel corso del (nuovo) mandato, la Cassazione ne aveva dichiarato, in via definitiva, l’incandidabilità. A quel punto il Prefetto aveva promosso l’azione per farne dichiarare la decadenza. Il Tribunale, in primo grado, rigettò il ricorso. La Corte di appello, capovolgendo il verdetto, dichiarò l’incandidabilità del sindaco e, per l’effetto, la decadenza dalla carica. Proposto ricorso, la Cassazione l’ha respinto]. sulla ineleggibilità (a consigliere comunale): - Cass. 1^, 8.7.25 n. 18586 (Guida al diritto 28/2025, 26): È legittima la decisione dell’Ufficio centrale elettorale che ha dichiarato ineleggibile, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. d), Dlgs 31.12.2012 n. 235 (cd. legge Severino), un candidato alla carica di consigliere comunale del comune di Sorrento, condannato in via definitiva per il delitto di omicidio stradale plurimo (589 cp), aggravato ai sensi dell’art. 61, n. 9, c.p. L’art. 10, comma 1, lett. d), DLg 235/2012 è privo di portata innovativa e rappresenta una norma, non irragionevole, di chiusura del sistema, in quanto volta a tutelare il buon andamento e la trasparenza dell’attività delle pubbliche amministrazioni, al fine di impedire che queste siano governate da chi sia stato definitivamente condannato alla pena ivi prevista per uno o più delitti, dolosi o colposi, purché aggravati dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o ad un pubblico servizio, dovendo il disvalore di tali delitti, rilevante ai suddetti fini, essere individuato proprio nell’abuso di tali poteri o nella violazione di quei doveri. in tema di adeguamenti retributivi (magistrati): - Cons. Stato VII 9.7.25 n. 6003 pres. Lipari, est. Rotondano, e n. 6004, pres. Lipari, est. Franconiero (Guida al diritto 28/2025, 28): Il DPCM 6.8.2021 sugli adeguamenti retributivi dei magistrati è illegittimo perché non ha considerato, quali basi di calcolo, tutte le componenti delle retribuzioni spettanti ai lavoratori pubblici, e non solo quella stipendiale. (Il CdS accoglie il ricorso con conseguente obbligo per la PA di riformulare i conteggi degli incrementi stipendiali. Nelle more, i provvedimenti impugnati continuano a esplicare interamente i loro effetti giuridici ed economici. Pertanto, non sono ripetibili gli emolumenti già corrisposti, sui quali dovranno essere erogati successivamente i conguagli derivanti dall’eventuale variazione in aumento per effetto dei riconteggi; fino all’adozione dei nuovi provvedimenti che determineranno la corretta misura dell’adeguamento triennale, conserva efficacia l’impugnato DPCM). in tema di responsabilità professionale (agenti e procacciatori): - Cons. Stato VI 10.6.25 n. 4997, pres. De Felice, est. Poppi (Guida al diritto 28/2025, 28): La responsabilità del professionista non viene meno in ragione dell’imputabilità delle condotte a soggetti terzi posto che l’avvalimento di tali soggetti comporta un’assunzione di rischio in ossequio al principio cuius commoda eius et incommoda che non esonera il professionista da responsabilità neanche qualora i preposti non operino alle sue dirette dipendenze. (Ricorso relativo a sanzione irrogata da Agcom nei confronti di una agenzia per il procacciamento di contratti di fornitura energetica per conto di Enel). in tema di commercio (pratiche commerciali aggressive): - TAR Lazio 1^, 3.4.25 n. 6720, pres. Petrucciani, est. Viggiano (Guida al diritto 28/2025, 27-28): Una pratica commerciale può essere considerata aggressiva anche se incide sulla fase successiva all’operazione commerciale, quando tocca l’effettiva possibilità di esercizio dei diritti dei consumatori, come il recesso, il rimborso o l’assistenza post vendita. [Il TAR respinge il ricorso proposto da una società operante nel settore della vendita al dettaglio e all’ingrosso di mobili, elettrodomestici e altri complementi per l’arredo contro la sanzione di € 3.200.000,00 irrogata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato. AGCM aveva censurato una serie di condotte del professionista, riunite in un’unica complessiva pratica commerciale scorretta e aggressiva, consistenti nella consegna di prodotti difettosi o viziati, tali da non essere idonei all’uso per il quale erano stati acquisitati, nonché nella gestione negligente dell’assistenza post vendita, non riconoscendo la garanzia sia legale sia convenzionale e ostacolando in questo modo l’esercizio, da parte dei consumatori, dei diritti nascenti dal contratto. Tutto per un ordine di grandezza di oltre il 13% delle consegne che in termini assoluti rappresenta circa 350.000 reclami dei consumatori, accolti nel 90% dei casi. L’Autorità non aveva contestato semplicemente un inadempimento contrattuale (“essendo notorio che ogni soggetto giuridico può, in alcuni casi, errare e non riuscire ad effettuare correttamente la prestazione dedotta in obbligazione: per il che, l’ordinamento appronta gli ordinari rimedi privatistici che la parte contrattuale può azionare per tutelare la propria legittima pretesa), rilevando piuttosto che, nel caso in esame, come dimostrato dalle numerosissime segnalazioni pervenute (tutte precise e concordanti), dai report stilati, dalle comunicazioni interne. dalle informazioni raccolte durante l’istruttoria la problematica trascendesse il singolo inadempimento, iscrivendosi in una più ampia cornice riguardante l’intera attività aziendale curata dal professionista, caratterizzata sia da negligenza professionale, sia da aggressività nei confronti dei consumatori] in tema di associazioni non riconosciute (prescrizione): . Corte cost. 26.6.25 n. 86, pres. Amoroso, red. Navarretta (Guida al diritto 28/2025, 30 T): È incostituzionale l'art. 2941, comma 1, n. 7, c.c., nella parte in cui non prevede la sospensione della prescrizione tra le associazioni non riconosciute e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi. - (commento di) Giuseppe Finocchiaro, Consulta sempre più attenta a un’effettiva ed estesa tutela (Guida al diritto 28/2025, 33-36) in tema di successioni : - Cass. 3^, 20.6.25 n. 16594(Guida al diritto 28/2025, 37 T): Colui che agisce per far valere la pretesa risarcitoria che sarebbe stata azionabile dal proprio genitore defunto può provare l’avvenuta accettazione tacita dell’eredità anche mediante l’esercizio dell’azione giudiziaria volta a far valere i diritti spettante al proprio dante causa, ma a condizione che sia stato provato – o risulti incontestato in quel giudizio – il suo status di figlio. - (commento di) Eugenio Sacchettini, Un principio che può coinvolgere l’aspetto ereditario in generale (Guida al diritto 28/2025, 43-46) in tema di contratti : - Cass. 2^, 5 giugno 2025 n. 15097 (Guida al diritto 28/2025, 47 s.m., annotata da Mario Piselli): L’indicazione del venditore, contenuta nell’atto notarile di compravendita, che il “pagamento del prezzo complessivo è avvenuto contestualmente alla firma del presente atto”, non è coperta da fede privilegiata ex art. 2700 c.c., ma ha natura confessoria, con la conseguenza che colui che ha rilasciato quietanza non è ammesso alla prova contraria per testi o per presunzioni, salvo che dimostri, in applicazione analogica dell’art. 2732 c.c., che il rilascio della quietanza è avvenuto per errore di fatto o per violenza o salvo che se ne deduca la simulazione; quest’ultima, nel rapporto tra le parti, deve essere provata mediante controdichiarazione scritta. in tema di Oei ( ordine di arresto europeo ): - Corte giust. Ue 2^, 10.7.25, causa C-635/23 (Guida al diritto 28/2025, 96 solo massima): L'art. 2, lett. c), ii), della direttiva 2014/41 va interpretato nel senso che può essere qualificata come "autorità di emissione", ai sensi di tale disposizione, un'autorità amministrativa definita dallo Stato di emissione che, nel caso di specie, agisce in qualità di autorità inquirente nel procedimento penale e i cui atti di indagine, implicanti un'ingerenza nei diritti fondamentali della persona interessata, devono, in conformità del diritto nazionale, essere previamente autorizzati da un'autorità giudiziaria. - (commento di) Marina Castellaneta, Oei, nella nozione “autorità di emissione” anche l’Anticorruzione che agisce con il ruolo di inquirente (Guida al diritto 28/2025, 96-98)  in tema di appello penale (appello della parte civile avverso le sentenze di proscioglimento del giudice di pace): - Cass. SSUU 23.6.25 n. 23406 (Guida al diritto 28/2025, 63 T): La parte civile che non ha chiesto la citazione a giudizio dell'imputato è legittimata a proporre appello ai soli effetti della responsabilità civile avverso le sentenze di proscioglimento pronunciate dal giudice di pace anche in relazione ai reati puniti con la sola pena pecuniaria o con la pena alternativa. - (commento di) Carmelo Minnella, Non risulta decisiva la mancanza di una previsione ad hoc e precisa (Guida al diritto 28/2025, 70-76) in materia penitenziaria : - Corte cost. 3.6.25 n. 78, pres. Amoroso, red. Viganò (Guida al diritto 28/2025, 54 T): In tema di ordinamento penitenziario, in particolare in merito al termine per il reclamo del detenuto contro il provvedimento del magistrato di sorveglianza, è incostituzionale l'art. 30-bis, terzo comma, L 26.7.1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) nella parte in cui prevede che il provvedimento relativo ai permessi di cui all'art. 30 della medesima legge è soggetto a reclamo, da parte del detenuto, entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché entro quindici giorni. - (commento di) Fabio Fiorentin, Una sentenza additiva che dispone il termine più equilibrato di 15 giorni (Guida al diritto 28/2025, 56-62). Riproponendo un cliché ormai consueto, la pronuncia vede nuovamente l’intervento nomopoietico della Consulta che va a supplire all’inerzia del legislatore. c.s. Abitudini - L'abitudine è una grande forza (Cicerone) - Non v'è nulla di così assurdo che l'abitudine non renda accettabile (Erasmo da Rotterdam) - L'abitudine è la grande guida della vita umana (David Hume) - Forme pietrificate e ormai irriconoscibili della nostra prima felicità, del nostro primo orrore - queste sono le abitudini (Walter Benjamin)
Autore: a cura di Roberto Lombardi 24 luglio 2025
Quando, nell'ormai lontano 2004, chi vi scrive entrò in magistratura ordinaria, al Governo c'erano Silvio Berlusconi ed una maggioranza politica apertamente critica nei confronti del sistema giudiziario esistente. Era ormai passata l'epopea di Falcone e Borsellino - vittime di stragi mafiose ripugnanti che lo Stato non ha saputo prevenire -, ma ancor di più aveva ormai esaurito la sua spinta la controversa stagione di " Mani pulite ". La magistratura - specie quella penale - non era più considerata intoccabile , in quanto non godeva più dello stesso credito di dieci anni prima nell'opinione pubblica, e infatti fu "toccata" con la cosiddetta riforma Castelli . Pur con alcuni interventi probabilmente positivi su problemi reali (come l'introduzione della temporaneità delle funzioni direttive e la tipizzazione degli illeciti disciplinari), la prima vera riforma della magistratura ordinaria - in parte poi ritoccata dall'intervento della L. n. 111 del 2007 - , disancorando il passaggio agli incarichi di Presidente e Procuratore dalla regola della sola progressione per anzianità di servizio (cui conseguiva una semplice valutazione di "non demerito", ai fini dell'attribuzione delle funzioni) ha aperto le porte a un'estremizzazione del potere delle cosiddette correnti in seno al CSM. Dopo di che, gli accertati abusi correntizi sulle nomine hanno avviato un'ulteriore stretta nei confronti dei magistrati da parte della politica. Si potrebbe dire, con una sintesi estrema e forse un po'superficiale, ma non lontana da vero, che la riforma Castelli ha prodotto il fenomeno "Palamara" , e che il " caso Palamara ", aggravando una patologia già esistente, ha generato la necessità di operare nuovi interventi sul presunto malato grave, ovvero il sistema giudiziario nel suo complesso. Resta a questo punto da capire quanto il malato sia grave e quanto la medicina elaborata dall'attuale governo con il suo progetto di riforma della Costituzione sulla cosiddetta separazione delle carriere sia quella giusta e proporzionata rispetto al male da curare. Di certo, si è detto molto spesso, e non senza un minimo di ragione, che la magistratura abbia mostrato una certa incapacità di intervenire dal suo interno su alcune oggettive disfunzioni del sistema. La più grave incongruenza, a parere del sottoscritto, è stata l'estrema tolleranza nei confronti di un certo modo di fare il magistrato che, prima ancora che dannoso verso il sistema e verso la collettività, è stato percepito in modo critico e a tratti inaccettabile dalla classe forense, che pure spesso è restia, per comprensibili motivi, a denunciare la cosa alle Autorità competenti. L'arroganza, la superficialità di scrittura, la lentezza nelle decisioni e la maleducazione che in alcuni casi caratterizzano l'interpretazione del ruolo di giudice (ma lo stesso vale, mutatis mutandis , per i p.m.) meritavano e meriterebbero una presa di posizione molto severa da parte del CSM e, prima ancora, da parte dei capi degli uffici. E non può trovare facile compensazione nella pure indubbia elevata e generalizzata preparazione tecnica della categoria - scelta a seguito di uno dei concorsi più seri e qualificanti in circolazione -, caratteristica, questa, vieppiù esaltata dall'incomparabilità di spessore culturale specifico che esiste tra la magistratura togata e la magistratura onoraria, cui pure vanno a volte addebitate, per colpa del sistema di selezione di tale importante e rilevante categoria di ausilio giurisdizionale , pronunce che non fanno altro che appesantire il lavoro dei giudici togati di secondo grado e di quelli di legittimità. Correlativamente, un certo modo di fare giustizia di alcuni Procuratori della Repubblica - "condito" da smania di protagonismo e indagini apparentemente "mirate" - ha sempre più creato conflitti anche gravi nel tessuto interno degli Uffici, esponendo gli stessi a una facile critica e richiesta di "ordine" dall'esterno. D'altra parte, anche su questo aspetto la famosa riforma Castelli sembra avere fallito, producendo, con la semi-gerarchizzazione dell'ufficio del p.m., da un lato una eccessiva simbiosi tra Capo dell'ufficio e polizia giudiziaria, dall'altro una mortificazione dell'iniziativa del singolo magistrato. La riforma costituzionale della magistratura approvata appena due giorni fa al Senato senza alcuna modifica rispetto al testo originario presentato dal Governo [1] ha la peculiare caratteristica di non affrontare nessuno dei nodi problematici emersi nel tempo con riferimento all'efficienza ed efficacia del sistema Giustizia - che prima di ogni altra cosa dovrebbe assicurare qualità e velocità di risposta alle istanze dei cittadini, qualunque sia il tenore di tali istanze -, ma di provare a ridefinire il ruolo di giudici e pubblici ministeri, separandone irreversibilmente i percorsi professionali. In aggiunta, il Legislatore mostra notevole sfiducia nel sistema che fino ad oggi ha regolato l' autogoverno dei magistrati ordinari, sottraendo ai due nuovi CSM (quello dei giudici e quello dei p.m.) le decisioni in materia disciplinare - che saranno effettuate da un ulteriore organo appositamente istituito, l' Alta corte - e svuotando di fatto il potere delle correnti con l'introduzione del metodo del sorteggio "secco" per accedere ai Consigli, in luogo del metodo elettivo. Al di là della correttezza o meno dell'intervento di ortopedia istituzionale immaginato dall'attuale Governo in carica - e posto che la riforma è proposta in aperto contrasto con la volontà di molti dei soggetti nei cui confronti agirà, ovvero i magistrati -, il panorama sul cui sfondo si delinea tale riforma è tutt'altro che indicativo di uno scenario idilliaco, per quanto riguarda i rapporti tra politica e magistratura , il che, già di per sé, avrebbe dovuto forse consigliare maggiore prudenza nell'imporre un punto di vista sull'altro senza una vera mediazione sostenibile. Colpiscono in particolare alcune vicende di contrasto palese tra poteri dello Stato che si sono nel frattempo delineate. In primis , la questione della definizione di Paese sicuro e del contenzioso in merito alla titolarità o meno del singolo Governo di individuare in modo definitivo e non sindacabile dai giudici quali siano i Paesi sicuri, nonché la vicenda Open Arms , riaccesa dalla decisione della Procura della Repubblica di impugnare la sentenza di assoluzione emessa in favore di Matteo Salvini. [2] Secondariamente, due potenziali conflitti tra politica e magistratura non decisivi ma fortemente evocativi del clima che si respira, ovvero la vicenda del disegno di legge " Salva Milano " - portato avanti in aperto contrasto con le iniziative giudiziarie della magistratura meneghina, che sono recentemente sfociate anche in richieste di custodia cautelare in carcere - e la questione delle Olimpiadi invernali 2026 , con la denuncia da parte dei pubblici ministeri procedenti, secondo qualificate fonti di stampa, del tentativo di sterilizzazione di una loro indagine in materia di turbativa d'asta tramite la qualificazione, per decreto legge, della Fondazione Milano-Cortina come ente di diritto di privato, sottraendolo ai vincoli e alle conseguenze giuridiche (e penali) che deriverebbero dalla sua qualificazione come organismo di diritto pubblico. [3] Da ultimo, i magistrati hanno espresso al più alto livello netta contrarietà al c.d. decreto sicurezza , tramite la relazione su novità normativa dell' ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione , sia con riferimento al merito che con riferimento al metodo seguito nell'approvazione della nuova disciplina. Colpisce, in particolare, in quest'ultimo scatto critico sull'operato del Governo in carica, il chiaro riferimento ad una sostanziale sovversione della separazione procedurale stabilita dalla Costituzione tra esercizio ordinario del potere legislativo delle Camere ed esercizio straordinario di tale potere da parte dell'esecutivo, avendo il Governo di fatto esautorato , secondo la relazione, con un decreto legge, il Parlamento nel mentre questo svolgeva il suo compito istituzionale, e procedeva alla discussione in Senato, dopo la prima approvazione della Camera, delle medesime norme confluite poi nel decreto-legge, al fine neanche troppo velato di evitare ulteriori "perdite di tempo" con l'eventuale ritorno (in caso di modifiche) del testo alla Camera. Tutto questo cosa c'entra però con la separazione delle carriere e con l'elezione tramite sorteggio dei rappresentanti di giudici e pubblici ministeri? Si pensa forse che i conflitti con la politica diminuiranno di numero o si attenueranno nell'intensità? O che l'individuazione di una linea di confine netta tra le due categorie di giuristi indebolirà la capacità della magistratura - nella sua rappresentanza istituzionale e associativa - di costituire un argine "tecnico" rispetto agli abusi del potere politico? Perché la verità è che se la tesi di partenza è che l'ufficio del pubblico ministero si propone nel nostro Paese come un "potere irresponsabile", avendoglielo l'attuale assetto costituzionale consentito, allora sarebbe stato forse più coerente sottoporlo direttamente alla direzione funzionale dell'esecutivo, con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe, tuttavia, in termini di minori garanzie del cittadino comune . Correlativamente, pare ormai spuntata la tesi secondo cui i giudici sarebbero succubi dei pubblici ministeri, avendo trovato tale tesi clamorosa smentita in un numero veramente importante di vicende giudiziarie note al pubblico, ed essendo al contrario ormai evidente, anche in alcuni risvolti processuali balzati recentemente sugli altari della cronaca, che il magistrato requirente medio non gradisce che il suo giudice venga meno, anche solo in apparenza, al requisito dell'imparzialità e indipendenza dalle parti coinvolte nel procedimento. [4] Piuttosto, dovrebbe forse preoccupare il Legislatore la possibilità che un Ufficio del p.m. sottratto dalla comune cultura della giurisdizione propria dei giudici - fino ad oggi garantita a tutti i magistrati dal concorso unico, dal tirocinio indifferenziato prima dell'assunzione delle funzioni e dalla possibilità di provare almeno una volta entrambe le esperienze professionali - potrebbe, questo sì, diventare graniticamente autoreferenziale e interessato soltanto a produrre numeri in positivo. E i numeri che contano, nel settore penale, non sono altro che arresti, sequestri e condanne. Con la prospettiva che più le decisioni si identificano con richieste e non con veri e propri giudizi e più nell'animo del singolo magistrato rischia di avviarsi un lento ma inesorabile processo di deresponsabilizzazione e impoverimento culturale. D'altra parte, se è vero che inquisire è diverso dal giudicare , è altresì vero che l'attuale maggioranza politica non è arrivata al punto di negare che entrambe le attività devono essere svolte con indipendenza . E allora, si è chiesto Ferruccio de Bortoli a margine di una lectio magistralis di Gustavo Zagrebelsky, " perché separare le carriere "? [5] Nell'occasione, l'ex presidente della Corte costituzionale ci ha ricordato la vera essenza del ruolo di chi svolge funzioni giurisdizionali (qualunque esse siano), ovvero l'interpretazione di tale ruolo con modestia e rigore . E se il motivo della riforma in corso di approvazione in Parlamento sta nel fatto che si crede che la somma delle singole indegnità abbia colpito irreversibilmente la credibilità dell'intero ordine, forse bisognerebbe agire a fondo sulle cause. Ma se non si crede questo, e l'unica necessità è contenere le (relativamente poche) mele marce , possibilmente cacciandole per sempre dalla magistratura, torna in mente la sproporzione tra la punizione e i demeriti denunciata nel film " Gli spietati " dallo sceriffo, mentre il fuorilegge gli punta il fucile sulla testa prima di sparare. [6] [1] Proposta di legge C. 1917 (Meloni, Nordio; S. 1353) "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare", approvata in prima lettura dalla Camera in data 16 gennaio 2025 e dal Senato in data 22 luglio 2025. [2] Si veda, per un approfondimento di entrambe le questioni, l'articolo pubblicato sul sito al seguente link: https://www.primogrado.com/i-migranti-della-discordia-viaggio-in-uno-scontro-tra-poteri-tipicamente-italico Nelle more, quanto alla definizione di Paese sicuro, è stata discussa la problematica giuridica di fondo dinanzi alla Corte di Giustizia UE (ma non è ancora stata depositata la relativa sentenza), dopo l'acquisizione del parere indipendente dell’Avvocato generale Richard de la Tour, che ha proposto alla Corte, tra l'altro, di pronunciarsi nel senso che non è contraria al diritto eurounitario una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che il giudice nazionale investito del ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente proveniente da un siffatto Paese disponga, in virtù dell’obbligo di un esame completo ed ex nunc imposto da detto articolo 46, paragrafo 3, delle fonti di informazione sulla cui base il legislatore nazionale ha inferito la sicurezza del paese interessato. [3] Per un approfondimento della vicenda delle Olimpiadi 2026 si rimanda al seguente link: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/25_aprile_16/milano-cortina-2026-e-la-fondazione-pubblica-o-privata-i-pm-al-gip-manda-alla-corte-costituzionale-la-legge-meloni-oppure-37e8d020-9589-4b99-814e-f3d67b366xlk.shtml [4] Si veda al riguardo quanto riportato dal Corriere della Sera al seguente link: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/25_giugno_16/caso-alessia-pifferi-il-pm-chiede-l-astensione-del-giudice-l-anm-di-cui-e-dirigente-critico-le-mie-indagini-547f7c66-e9f8-46a5-beab-af8eb701dxlk.shtml [5] L'articolo di de Bortoli è rinvenibile al seguente link: https://www.corriere.it/frammenti-ferruccio-de-bortoli/25_marzo_20/il-giudice-guido-galli-zagrebelsky-e-il-senso-della-giustizia-ac7e00cb-240f-42cb-ab81-3a49e66f5xlk.shtml [6] https://www.mymovies.it/film/1992/glispietati/
Autore: Carmine Spadavecchia 23 luglio 2025
in materia penitenziaria (sovraffollamento carceri) - Fabio Fiorentin*, Istituti di pena: bilanci e riflessioni per mettere mano a riforme urgenti (Guida al diritto 27/2025, 10-13, editoriale). Il tasso di sovraffollamento medio delle carceri italiane sfiora il 135%. La “nuova” liberazione anticipata prevede di portare dagli attuali 45 a 60 giorni lo “sconto” di pena per ogni semestre di pena detentiva espiata [*magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Venezia] in materia fiscale (il c.d. correttivo): DLg 12.6.2025 n. 81 (GU 12.6.25 n. 134, in vigore dal 13 giugno 2025), Disposizioni integrative e correttive in materia di adempimenti tributari, concordato preventivo biennale, giustizia tributaria e sanzioni tributarie. - testo del decreto (stralcio, Guida al diritto 27/2025, 14-34) - commenti: - Antonio Iorio, Per l’adesione al Cpb conteggiata anche la maxi-deduzione del 120% (Guida al diritto 27/2025, 35-39) (Guida al diritto 27/2025, 35-39) [le novità] - Antonio Iorio, Sulla conciliazione in Cassazione soluzioni che non hanno appeal (Guida al diritto 27/2025, 40-44) [l’accertamento] in tema di immigrazione (trattenimento nei CPR: libertà personale senza garanzie): - Corte cost. 3.7.25 n. 96, pres. Amoroso, red. Petitti (Guida al diritto 27/2025, 49): Gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione non possono scalfire il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. [La Corte costituzionale delinea il quadro di riferimento con particolare attenzione alla disciplina internazionale Ancorandosi a un precedente del 2022, a proposito delle Rems (le residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza), la Corte ricorda che è la legge a dovere prevedere non solo i «casi», ma, almeno nel loro nucleo essenziale, i «modi» con cui il trattenimento può restringere la libertà personale. La norma del T.U. oggetto di contestazione invece garantisce allo straniero trattenuto soltanto adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, e la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno. «Si tratta - osserva la sentenza - di una normativa del tutto inidonea a definire, in modo sufficientemente preciso, quali siano i diritti delle persone trattenute». Le questioni sollevate sono giudicate inammissibili in quanto la Corte ammette di non potere individuare nell’ordinamento norme primarie in grado di colmare il vuoto individuato. Ricade necessariamente sul legislatore il dovere di introdurre una disciplina che delimiti la discrezionalità dell’Amministrazione nel rispetto dei diritti della persona, con particolare riferimento «alle caratteristiche degli edifici e dei locali di soggiorno e pernottamento, alla cura dell’igiene personale, all’alimentazione, alla permanenza all’aperto, all’erogazione del servizio sanitario, alle possibilità di colloquio con difensore e parenti, alle attività di socializzazione»]. in tema di appalti (società miste e società in house): - Cons. Stato IV 17.6.25 n. 5289, pres. Carbone, est. Monteferrante (Guida al diritto 27/2025, 88 T sotto il titolo: Società a partecipazione pubblica, Palazzo Spada impone un doppio giro di vite): Sono società miste «a controllo pubblico» anche quelle «a controllo pubblico frazionato» in cui i soci pubblici dispongono complessivamente, in assemblea ordinaria, della maggioranza dei voti previsti dall'art. 2359 c.c., anche se la quota del socio privato è superiore alla quota di ciascun singolo socio pubblico, anche se mancano specifici patti parasociali o vincoli statutari e anche se il socio privato nomina l'amministratore delegato. L'art. 17 Tusp non consente alle società miste, a differenza delle società in house, di concorrere a gare indette da enti terzi e, comunque, di svolgere attività diverse da quelle rientranti nella «gara a doppio oggetto». - (commento di) Marcello Clarich e Giuseppe Urbano, Possibile il conflitto tra le due norme, interna più rigida ed europea più larga (Guida al diritto 27/2025, 98-102). Il Consiglio di Stato, da un lato, estende la nozione di «controllo pubblico» (vanno qualificate società a controllo pubblico quelle in cui «una o più amministrazioni pubbliche» dispongano della «maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria»), dall’altro lato, limita drasticamente l’operatività delle società miste. La sentenza è destinata ad avere un impatto significativo sull’organizzazione e la gestione di molte società pubbliche: Essa non si limita a una esegesi dell’art. 17 Tusp, ma afferma anche la legittimità costituzionale ed europea della norma. Il “nostro” maggior rigore rischia di collidere con la libertà di iniziativa economica o di circolazione di operatori privati. in tema di usucapione (interruzione): - Cass. 2^, 1.6.25 n. 14744 (Guida al diritto 27/2025, 62-63, annotata da Mario Piselli): In tema di interruzione dell'usucapione, poiché il possesso non richiede, per il suo permanere, il costante, materiale rapporto con la cosa che ne costituisce l'oggetto, essendo sufficiente la disponibilità del godimento della cosa stessa da parte del possessore, non contrastata da terzi, la semplice assenza di manifestazioni del predetto rapporto materiale per un dato periodo, anche se provata, non è di per sè idonea a dimostrare la volontaria dismissione del possesso, la quale deve essere assolutamente univoca per produrre l'indicata interruzione. in tema di contratti di durata a prestazioni corrispettive (appalto - cessione) - Cass. 3^, 31.5.25 n. 14682 (Guida al diritto 27/2025, 62 s.m., annotata da Mario Piselli): Nel caso di cessione dei contratti a prestazioni corrispettive di durata e, cioè, ad esecuzione periodica, continuata o prolungata (come l'appalto), solo parzialmente adempiuti, una volta avvenuto il trasferimento della suddetta posizione contrattuale, i crediti che dovessero sorgere in base all'attività di adempimento delle ulteriori prestazioni contrattuali successive, quali corrispettivo delle stesse, certamente devono ritenersi sorgere direttamente in capo al cessionario e in nessun modo potrebbero ritenersi oggetto di una vera e propria cessione di credito (futuro) da parte del contraente cedente, che degli stessi non è stato, né potrebbe ritenersi, neanche per un attimo, in via meramente logico-giuridica, divenuto titolare, anche a prescindere dalla cessione del contratto stesso. in tema di locazioni : - Cass. 3^, 13.6.25 n. 15891 (Guida al diritto 27/2025, 52 T): In caso di contratto locativo abitativo stipulato per iscritto, a canone libero, non simulato e non registrato, ma concluso prima dell’entrata in vigore della legge 311/2004 (introduttiva della nullità per mancata registrazione), trova applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il meccanismo della riconduzione a congruità previsto dall'art. 13, comma 6, L 431/1998 (come modificato dalla L 208/2015). Il giudice, accertata la nullità (anche se erroneamente dichiarata), deve determinare il canone in misura non eccedente quella concordata dalle associazioni di categoria, anche in presenza di un contratto a canone libero. - (commento di) Fulvio Pironti, I giudici delineano un quadro rigoroso e valorizzano la tutela del conduttore (Guida al diritto 27/2025, 58-61). La Cassazione compie un’analisi storica delle norme evidenziando che la nullità del contratto per mancata registrazione è stata introdotta solo con la legge 311/2004. La pronuncia ha un’importanza sistematica: chiarisce presupposti e limiti della riconduzione a congruità per i contratti non registrati, anteriori e successivi al 2005. sulla procura alle liti : - Cass. SSUU 2.7.25 n. 17876 (Guida al diritto 27/2025, 47): Non è invalida la procura speciale rilasciata all’estero priva di traduzione in lingua italiana. L’obbligo dell’italiano si riferisce agli atti del processo e non a quelli ad esso prodromici come la procura alle liti. In un simile caso non trova applicazione il disposto dell’art. 122, co. 1, c.p.c. (“In tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana”), riferito agli atti processuali in senso proprio, vale a dire soltanto alle attività processuali e agli atti che si formano nel e per il processo e non agli atti che siano solamente coordinati o preparatori a quelli processuali. La traduzione, dunque, non costituisce requisito di validità della procura, né è configurabile una sua nullità. Si tratta di un approdo coerente col principio di tassatività delle cause di nullità sancito dall’art. 156, comma 1, c.p.c... A tanto deve aggiungersi che l’imporre (praeter legem, stante il diverso tenore delle riportate norme di cui agli articoli, rispettivamente, 156 c.p.c. e 109 c.p.p.) l’obbligo di traduzione in lingua italiana della procura rilasciata all’estero come requisito di validità dell’atto comporterebbe l’introduzione di un palese ostacolo al diritto di azione senza che questa costrizione sia giustificata da un preminente interesse pubblico a uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata. Va invece applicato, come a ogni altro documento esibito dalle parti, l’art. 123 c.p.c. Ne discende che la traduzione in lingua italiana “non integra requisito di validità dell’atto, rimettendo, così, al potere del giudice disporre la nomina del traduttore”. Il giudice, dunque, ha la facoltà, ma non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno se sia in grado di intendere il significato dei documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione. in tema di abuso d’ufficio (abrogazione del reato): - Corte cost., 3.7.25 n. 95, pres. Amoroso, red. Viganò (Guida al diritto 27/2025, 49; comunicato 8.5.25 in Guida al diritto 19/2025, 32): Non è incostituzionale l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) in quanto dalla Convenzione di Merida non è desumibile né l’obbligo di prevedere una simile fattispecie di reato né il divieto di abrogarlo. [La Corte ha esaminato le questioni di costituzionalità sollevate da 14 autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ad opera della L 114/2024. La Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., che condiziona l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, tra cui quelli derivanti da convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, nella specie gli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida. Se una convenzione - osserva la Corte - effettivamente prevedesse l’obbligo, per il legislatore nazionale, di configurare come reato una certa condotta, la Corte ben potrebbe dichiarare illegittima la legge che abbia abrogato quel reato, violando l’obbligo assunto dallo Stato in sede internazionale. L’effetto della pronuncia della Corte sarebbe, in tal caso, quello di ripristinare la legge in precedenza in vigore. Nel merito, la Corte ha però escluso che da esse possa ricavarsi un obbligo di prevedere come reato le condotte di abuso di ufficio, reato che peraltro non è uniformemente presente in tutti gli ordinamenti penali degli Stati firmatari] in tema di droga : - Corte cost. 1.7.25 n. 90, pres. Amoroso, red. Marini (Guida al diritto 27/2025, 48 e 68 T, sotto il titolo: Stupefacenti: la messa alla prova si deve applicare anche al “piccolo spaccio”): L'art. 168-bis, comma 1, c.p. è incostituzionale nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato previsto dall'art. 73, comma 5 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, qualificato di lieve entità) del DPR 9.10.1990 n. 309 (TU in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). [La Corte, dopo aver rilevato che la questione non concerne la nuova cornice edittale del reato e aver circoscritto la questione al solo art. 168-bis, primo comma, c.p., l’ha accolta in riferimento all’art. 3 Cost.. È infatti irragionevole e foriero di disparità di trattamento che, tra i due reati a confronto, l’accesso alla messa alla prova sia precluso per la fattispecie meno grave (il piccolo spaccio), mentre per quella più grave (l’istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti) sia, in astratto, ammissibile. L’esclusione del reato di piccolo spaccio dal perimetro applicativo della messa alla prova ha così determinato un’anomalia, ribaltando la scala di gravità tra le due figure criminose in comparazione, ambedue attinenti agli stupefacenti e preposte alla tutela dei medesimi beni giuridici. L’esclusione del piccolo spaccio dall’ammissione alla messa alla prova, che coniuga in sé una funzione premiale e una forte vocazione risocializzante, frustra anche le finalità di deflazione giudiziaria che detto istituto persegue, in particolare, per i reati di minore gravità e di facile accertamento, come quello in esame] - (commento di) Giuseppe Amato, La decisione preserva la funzione risocializzante della misura penale (Guida al diritto 27/2025, 79-82) in tema di procedure fallimentari (clausole abusive nei contratti con i consumatori): - Corte giust. Ue 4^, 3.7.25, causa C-582/23 (Guida al diritto 27/2025, 104 solo massima): L'art. 6, par. 1, e l'art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, letti alla luce del principio di effettività, ostano a una normativa nazionale la quale preveda che, nell'ambito di una procedura fallimentare relativa a persone fisiche, dopo che l'elenco dei crediti sia stato approvato da un organo giurisdizionale, senza che lo stesso abbia esaminato il carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, e dopo che la procedura sia stata avviata dinanzi al tribunale fallimentare, quest'ultimo sia vincolato da tale elenco, sicché non può valutare il carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto di mutuo sul quale si fonda un credito iscritto in detto elenco, né modificare tale elenco, ma deve sospendere la procedura e rimettere al suddetto organo giurisdizionale la questione del carattere eventualmente abusivo di tali clausole. Le indicate norme, lette alla luce del principio di effettività, ostano a una normativa nazionale che, nell'ambito di una procedura fallimentare relativa a persone fisiche, non preveda la possibilità, per il tribunale fallimentare, di disporre provvedimenti provvisori diretti a regolare la situazione del fallito in attesa di una decisione che concluda l'esame del carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto di mutuo su cui si fonda un credito iscritto nell'elenco dei crediti approvato da un altro organo giurisdizionale, senza che quest'ultimo abbia esaminato il carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi. - (commento di) Marina Castellaneta, Procedure fallimentari, il giudice deve valutare se nei contratti c’erano clausole abusive subite dal consumatore (Guida al diritto 27/2025, 104-106). Stabiliti per la prima volta, nell’ambito di un fallimento, gli obblighi del giudice nazionale verso i consumatori vittime di clausole abusive. La mancata attivazione della contestazione delle clausole non è una rinuncia “libera e informata” alla protezione affermata dalla direttiva. c.s. Chi non ha principi morali si avvolge nella bandiera della moralità (Umberto Eco)
Autore: Carmine Spadavecchia 21 luglio 2025
sui giudici di pace : - Mariaflora Di Giovanni*, Carichi di lavoro, IA e sotto organico: ecco la solitudine dei giudici di pace (Guida al diritto 26/2025, 10-12, editoriale) [*Presidente dell'Unione nazionale dei giudici di pace (Unagipa)] - sul c.d. DL infrastrutture : - DL 21.5.2025 n. 73 (GU 21.5.25 n. 116, in vigore dal 21 maggio 2025), Misure urgenti per garantire la continuità nella realizzazione di infrastrutture strategiche e nella gestione di contratti pubblici, il corretto funzionamento del sistema di trasporti ferroviari e su strada, l'ordinata gestione del demanio portuale e marittimo, nonché l'attuazione di indifferibili adempimenti connessi al Piano nazionale di ripresa e resilienza e alla partecipazione all'Unione europea in materia di infrastrutture e trasporti. - testo del decreto-legge (Guida al diritto 26/2025, 13-29, sotto il titolo: Dal Ponte sullo stretto alle norme sugli appalti: il Decreto infrastrutture in cerca di semplificazioni) - commenti: - Oberdan Forlenza, Scatta la risposta alle emergenze con un nuovo sistema di deroghe (Guida al diritto 26/2025, 30-31) [le novità] - Veronica Madonna, Ponte sullo stretto, l’avvio dei cantieri passa per una serie di adeguamenti (Guida al diritto 26/2025, 32-)34 [le infrastrutture]. La realizzazione del Ponte trova la sua disciplina generale nella legge 1158/1971 titolata «Collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia e il continente». Le nuove disposizioni si sono rese necessarie per affrontare le problematiche derivanti dalle oscillazioni decisionali sulla realizzazione del ponte. - Oberdan Forlenza, Per le verifiche antimafia ora serve l’informativa liberatoria provvisoria (Guida al diritto 26/2025, 35-39) [le modifiche al Codice dei contratti pubblici e al Codice della protezione civile] - Valeria Ianniello, Canoni spiagge, risolto il nodo dell’aggiornamento dei costi (Guida al diritto 26/2025, 40-42) [demanio e patrimonio] - Anna Marcantonio, Revisione importi contratti esodati, resta il nodo di un difficile incastro (Guida al diritto 26/2025, 43-45) [appalti pubblici] - Andrea Nardi, Attività su convenzioni e Pef, previsti nuovi automatismi (Guida al diritto 26/2025, 46-47) [le concessioni autostradali] - Carmelina Addesso, Accelerazione sulle “rinnovabili”: per la scelta delle aree norme snelle (Guida al diritto 26/2025, 48-50) [energia] in tema di beni culturali (attestato di libera circolazione di un quadro): - Cost. 26.6.25 n. 88, pres. Amoroso, red. Patroni Griffi (Guida al diritto 26/2025, 54): La previsione della scadenza di 12 mesi per l’esercizio del potere di annullamento degli atti autorizzatori, senza eccezioni (o distinguo) per gli interessi “sensibili”, non è manifestamente irragionevole o lesiva del principio di tutela del patrimonio storico e artistico nazionale e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione. L’interesse culturale trova adeguata tutela nel procedimento di primo grado, sia per effetto di più disposizioni della legge sul procedimento amministrativo - che, con riguardo alla disciplina generale di diversi istituti di semplificazione, prevede un regime di maggiore protezione per gli “interessi sensibili” -, sia per effetto del regime di speciale e puntuale tutela dettato dal codice dei beni culturali. [La fattispecie riguarda l’impugnazione per tardività dell’annullamento di un’autorizzazione all’esportazione all’estero (attestato di libera circolazione) di un quadro, adottato a distanza di sei anni dal suo rilascio, perché rilevatosi d’autore. La Consulta evidenzia che il potere di riesame è diverso da quello di cui è espressione il provvedimento oggetto di annullamento, con la conseguenza che è assoggettato a regole specifiche quanto a presupposti, a disciplina procedimentale (inclusa quella temporale) e a portata della discrezionalità. Nella decisione discrezionale di annullamento, l’Amministrazione deve tener conto non solo dell’interesse originariamente curato, ma anche di interessi ulteriori e, tra questi, quelli - di natura pubblica - al ripristino della legalità e alla certezza delle relazioni giuridiche, nonché la posizione - di natura privata - di affidamento del destinatario della determinazione favorevole (naturalmente se meritevole di tutela per non essergli rimproverabili false dichiarazioni e false rappresentazioni di fatti rese alla p.a. nel procedimento). in tema di appalti (avvalimento per parità di genere): - Cons. Stato VI 18.6.25 n. 5345, pres. Simonetti, est. Gallone (Guida al diritto 26/2025, 90 T): È consentito il ricorso all'avvalimento per comprovare il possesso della certificazione di parità di genere, ex art. 108, comma 7, Dlgs 36/2023; tuttavia, è necessario che il predetto contratto di avvalimento individui le risorse umane e materiali, i protocolli organizzativi e i piani aziendali, espressione del know-how specifico attestato dalla certificazione, pena la nullità del contratto stesso ex art. 104, comma 1, Dlgs 36/2023. - (commento di) Davide Ponte, Contratto valido se individua piani aziendali e risorse umane (Guida al diritto 26/2025, ) (Guida al diritto 26/2025, ). Il CdS è stato chiamato a mediare fra le formalità imposte dalle regole di una gara e quelle dettate al fine di favorire la parità di genere nell’agere pubblico. La sentenza evidenzia l’origine unionale dell’avvalimento e il tradizionale inserimento in un’ottica pro-concorrenziale: l’avvalimento è ammesso per quelle risorse che sono prestate per integrare i requisiti, ma che vanno a qualificare in termini qualitativi l'offerta. Le imprese possono dotarsi della Certificazione (bollino rosa) che attesti le misure in concreto adottate dal datore di lavoro per ridurre il divario di genere all’interno dell’azienda. in tema di telepromozioni (pubblicità commerciale nelle trasmissioni televisive): - Cons. Stato VI 29.5.25 n. 4708, pres. Volpe, est. Lamberti (Guida al diritto 26/2025, 54-55): Ai fini dell’integrazione della fattispecie di “comunicazione commerciale audiovisiva occulta” il camuffamento dell’effettivo intento promozionale non si concilia necessariamente con la formalizzazione di un rapporto di committenza tra il beneficiario della comunicazione commerciale e l’operatore nel servizio pubblico audiovisivo, tenuto, in ragione delle specifiche competenze professionali, a una particolare diligenza nello svolgimento della propria missione. [Secondo il CdS, la strategia editoriale della Rai, in occasione della trasmissione del festival di Sanremo del 2023, ha consentito ad Instagram di ottenere, secondo un effetto emulativo facilmente pronosticabile, l’apertura di nuovi e numerosi profili da parte dei telespettatori, integrando gli estremi della comunicazione commerciale audiovisiva occulta. Tale strategia era stata assicurata dal preventivo reclutamento di testimonial provenienti dal mondo delle piattaforme social, tra cui una nota influencer, che aveva affiancato il presentatore, la quale vantava su Instagram ben 29 milioni di followers. Era contestato che, durante la messa in onda dei programmi televisivi denominati “73 ̊ Festival della Canzone Italiana di Sanremo” e “Sanremo Start”, le reiterate citazioni verbali e apparizioni visive del servizio e dello specifico profilo Instagram associato a un personaggio reale, conduttore del programma televisivo, avessero integrato la messa in onda di una vera e propria comunicazione commerciale audiovisiva a favore del predetto social network. Per il CdS deve ritenersi integrata la fattispecie della comunicazione commerciale audiovisiva occulta: sebbene non vi sia la prova di un rapporto di committenza tra il beneficiario della comunicazione commerciale e la Rai, tale aspetto deve ritenersi non essenziale ai fini dell’integrazione della fattispecie, dovendo condividersi la valutazione per cui, alla luce della condotta posta in essere durante il Festival di Saremo, un effetto pubblicitario per il social in questione si è comunque prodotto. Tale evenienza non poteva essere ignorata da un organismo come la Rai, dotato di specifiche competenze professionali nel settore audiovisivo, tenuto, quale operatore nel servizio pubblico audiovisivo, a una particolare diligenza nello svolgimento della propria missione.] in tema di professione forense : - Cass. trib. 26.6.25 n.17228 (Guida al diritto 26/2025, 53): In assenza di un’autorizzazione del Procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina rilasciata successivamente all’opposizione del segreto professionale e con specifico riferimento ai documenti per i quali questo era stato fatto valere, sono inutilizzabili i dati e le informazioni desunti dai finanzieri attraverso l’esame di un block notes “secretato” rinvenuto presso lo studio dell’avvocato. in tema di equa riparazione (legge Pinto): - Cass. 2^, 1.6.25 n. 14749 (Guida al diritto 26/2025, 58 T, sotto il titolo: L’equa riparazione per “processi lumaca” spetta anche alle persone giuridiche): Il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo a norma della L 24.3.2001 n. 89, e quindi si presume anche a favore delle persone giuridiche, essendo la presunzione superabile solo ove risulti la sussistenza di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato effettivamente subito. - (commento di) Eugenio Sacchettini, Per il ristoro indifferente la tempistica della carica del legale rappresentante (Guida al diritto 26/2025, 61-65) in tema di immigrazione (espulsione alternativa alla detenzione): - Corte cost. 23.5.25 n. 73, pres. Amoroso, red. Petitti (Guida al diritto 26/2025, 72 T, sotto il titolo: Espulsione alternata a detenzione: è legittima per lo straniero con pena sotto i due anni): È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, comma 5, DLg 25.7.1998 n. 286 (TU immigrazione e norme sulla condizione dello straniero»), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost.; non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.16, comma 5, DLg 286/1998, sollevata, in riferimento all'art. 27, terzo comma, Cost. - (commento di) Fabio Fiorentin, La decisione della Consulta guarda alla finalità rieducativa della pena (Guida al diritto 26/2025, 76-80) in tema di salvataggio in mare (caso Open Arms): - Trib. Palermo 2^ pen., 18.6.25 n. 8464, pres. R. Murgia, est. R. Murgia, E. Villa, A. Innocenti (Guida al diritto 26/2025, 85-87, solo massima, annotata): In tema di salvataggio in mare e di assistenza ai sopravvissuti, il mancato rispetto delle “raccomandazioni” previste dalla Convenzione Sar e dagli altri testi internazionali quali la Risoluzione MSC 167(78) a cooperare per fare in modo che le persone soccorse ricevano adeguata assistenza e sia loro concesso, in tempi ragionevoli, un luogo sicuro di sbarco (cosiddetto Pos - Place of Safety) non integra alcun obbligo giuridico cogente penalmente rilevante in capo allo Stato italiano e, per esso, al ministro dell’interno pro tempore, quale Autorità nazionale di pubblica sicurezza ex art. 1 L 121/1981, agli effetti del reato di sequestro di persona e di rifiuto di atti d’ufficio. [Ill Tribunale ha assolto l’allora ministro dell’interno Matteo Salvini “perché il fatto non sussiste”] in materia di famiglia (assegnazione casa familiare]: - Cass. 1^, 25.1.25 n. 17095 (Guida al diritto 26/2025, 53): La destinazione di casa coniugale non viene meno automaticamente a seguito di separazione o divorzio se il bene è ancora destinato a soddisfare le esigenze abitative di uno dei coniugi e in particolare dei figli non ancora autonomi che siano collocati presso il genitore cui venga assegnata la casa coniugale. La crisi coniugale non cancella la casa familiare e quando questa derivi da comodato finalizzato a soddisfar le esigenze abitative della famiglia del comodatario ciò costituisce presupposto contrario all’affermata scadenza del termine del contratto a titolo gratuito. [Nella specie, in sede di separazione il giudice aveva fissato un contributo a carico del figlio della ricorrente (comodante) per il mantenimento della figlia minore e un altro contributo da versare alla ex collocataria della prole per l’affitto di un altro immobile che - se non versato - sarebbe stato sostituito con il diritto di reingresso di madre e figlia in quella era stata casa familiare per ben 13 anni. Ciò escludeva l’argomento della ricorrente secondo cui la donna separata comodataria - unitamente all’ex marito - della casa familiare non avesse più diritto ad abitarvi. I giudici fanno rilevare che il carattere familiare dell’abitazione in questione derivava precipuamente dalla circostanza che era stata proprio la nipote della ricorrente a indicare come proprio desiderio di tornare a vivere nella porzione di casa di nonni paterni dove aveva convissuto coi genitori per ben 13 anni] in tema di successione ereditaria : - Cass. 2^, 9.5.25 n. 12258 (Guida al diritto 26/2025, 66-67 solo massima, annotata da Mario Piselli): La collazione per imputazione viene attuata in due fasi: dapprima con l'addebito del valore del bene donato a carico della quota spettante all'erede donatario e, poi, con il prelevamento, ex art. 725 c.c., d'una corrispondente quantità di beni da parte degli eredi non donatari. I beni che i coeredi non donatari possono prelevare dalla massa ereditaria a seguito della collazione per imputazione effettuata dai coeredi donatari devono essere stimati sulla base del valore che avevano all'epoca dell'apertura della successione e non già al momento della divisione. in tema di appalto : - Cass. 3^, 6.5.25 n. 11857 (Guida al diritto 26/2025, 66 solo massima, annotata da Mario Piselli): Nel caso in cui siano stati causati danni a terzi da un'attività di esecuzione di un appalto, risponde di regola esclusivamente l'appaltatore in quanto la sua autonomia impedisce di applicare l'art. 2049 c.c. al committente, fatta salva l'ipotesi in cui il danneggiato provi una concreta ingerenza del committente nell'attività dell'appaltatore e/o la violazione di specifici obblighi di vigilanza e controllo, gravanti sul committente, ipotesi nella quale è configurabile la responsabilità del committente, concorrente o esclusiva rispetto a quella dell'appaltatore. sui contratti coi consumatori (clausole abusive): - Corte giust. Ue, Grande sezione, 24.6.25, causa C-351/23 (Guida al diritto 26/2025, 104 solo massima): L'art. 6, par. 1, e l'art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, letti alla luce degli artt. 7 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, vanno interpretati nel senso che rientra nel loro campo di applicazione un procedimento giudiziario nell'ambito del quale, da un lato, la società aggiudicataria di un bene immobile che costituisce l'abitazione familiare di un consumatore, venduta nel contesto dell'esecuzione forzata stragiudiziale di una garanzia ipotecaria concessa su tale bene da detto consumatore a favore di un creditore professionista, chiede lo sfratto di detto consumatore e, dall'altro, quest'ultimo contesta, con una domanda riconvenzionale, la legittimità del trasferimento di proprietà di detto bene a tale società aggiudicataria, effettuato nonostante un procedimento giurisdizionale, ancora pendente al momento di tale trasferimento, diretto alla sospensione dell'esecuzione di tale garanzia in ragione dell'esistenza di clausole abusive nel contratto all'origine di tale esecuzione, di cui detta società aggiudicataria è stata previamente informata dallo stesso consumatore. Ciò vale a condizione che siano sussistiti indizi concordanti, alla data di tale vendita, quanto al carattere potenzialmente abusivo di tali clausole e che il consumatore si sia avvalso dei rimedi giuridici di cui ragionevolmente poteva attendersi che un consumatore medio si avvalesse, al fine di ottenere un controllo giurisdizionale di dette clausole. Le citate norme ostano a una normativa nazionale che consente che un'esecuzione forzata stragiudiziale di una garanzia ipotecaria concessa da un consumatore a favore di un creditore professionista su un bene immobile che costituisce l'abitazione familiare di tale consumatore prosegua nonostante l'esistenza di una domanda di provvedimenti provvisori in corso dinanzi a un giudice diretta alla sospensione di tale esecuzione e di indizi concordanti quanto all'eventuale presenza di una clausola potenzialmente abusiva nel contratto all'origine di detta esecuzione, e che non prevede peraltro alcuna possibilità di ottenere in via giudiziaria la nullità della stessa esecuzione in ragione dell'esistenza di clausole abusive in tale contratto. - (commento di) Marina Castellaneta, Vendita all’asta di un bene viziato da clausole abusive, più garanzie procedurali offerte al consumatore (Guida al diritto 26/2025, 104-106) c.s. Tecnologie - Ho paura del giorno in cui le tecnologie supereranno l'interazione tra gli esseri umani. Allora nel mondo ci sarà una generazione di idioti (Aleksandr Sokurov, regista russo) - Il cellulare è l'inceneritore di tutte le cose genuine e autentiche, praticamente scomparse in questo mondo dove regnano e sfolgorano soltanto cose posticce e artificiali [Mario Varga Llosa, "I venti", ed. Einaudi) - Se volete che i vostri figli siano intelligenti, leggete loro le fiabe; se volete che diventino ancora più intelligenti, leggete loro più fiabe (Aleksandr Sokurov, regista russo)
Autore: Carmine Spadavecchia 18 luglio 2025
sullo stato della legislazione : - Luca Bartolucci, Le recenti tendenze della legislazione nazionale (Giornale dir. amm. 3/2025, 285-7, editoriale) in tema di PA : - Rita Perez, Statistica e finanza pubblica (Giornale dir. amm. 3/2025, 301-7) in tema di contratti pubblici (sotto soglia): - Federico Caporale e Walter Giulietti, La specialità della disciplina dei contratti sotto soglia (Giornale dir. amm. 3/2025, 288-300) in tema di appalti pubblici (procedure d’urgenza e normativa emergenziale): - Francesca Saveria Pellegrino, Ricostruire d’ urgenza dopo le calamità: Notre-Dame e il Ponte Morandi (Giornale dir. amm. 3/2025, 308-320) in materia informatica (age verification): - Giovanni Barozzi Reggiani e Stefano Vaccari, Gli strumenti di c.d. age verification per la protezione dei minori nell’ecosistema digitale (Giornale dir. amm. 3/2025, 321-330) in tema di sovvenzioni estere : - Riccardo Zinnai, Le notifiche preventive per il controllo delle sovvenzioni estere: un anno dopo (Giornale dir. amm. 3/2025, 331-343) in tema di concessioni autostradali (Ponte Morandi): - Corte di Giustizia UE 5^, 7.11.24, causa C-683/22, Aipe - Confimi Industria Abruzzo e Adusbef (Giornale dir. amm. 3/2025, 345 solo massima): L’art. 43 della Direttiva 2014/23, letto in combinato disposto con il principio di buona amministrazione, va interpretato nel senso di non ostare a una normativa nazionale che consente all’amministrazione aggiudicatrice una modifica soggettiva ed oggettiva di una concessione in corso di validità, senza organizzare una nuova gara ad evidenza pubblica, purché questa non assuma natura sostanziale e l’Amministrazione abbia indicato le ragioni per cui ha ritenuto di non organizzare tale procedura. Il medesimo articolo non osta ad una norma nazionale che consente la modifica di una concessione in corso di validità senza aver valutato l’affidabilità del concessionario, qualora tale modifica non assuma natura sostanziale, spettando a ciascun Stato membro determinare i rimedi da azionare per reagire ai casi di grave inadempimento contrattuale, tale da minarne la sua affidabilità. - (commento di) Klaudia Kurcani, Le modifiche in corso di esecuzione alle concessioni autostradali: il caso di Aspi (Giornale dir. amm. 3/2025, 345-355) in tema di autonomia universitaria : - Cons. Stato VII 25.1024 n. 8516, pres. Contessa (Giornale dir. amm. 3/2025, 367 s.m.): L’attribuzione al Consiglio della struttura dipartimentale della gestione di una parte della fase valutativa (quella relativa all’apprezzamento della presentazione del seminario ad opera dei candidati indicati come idonei dalla Commissione giudicatrice), nonché - in esclusiva e senza altri controlli - della decisione sulla chiamata del candidato vincitore, è illegittima, essendo lo stesso Consiglio un organo che non offre idonee garanzie di imparzialità e competenza tecnica, cosicché il ruolo attribuitogli comporta la violazione dei principi fondamentali di trasparenza, merito e par condicio posti in materia dalla legge statale. - (commento di) Giulio Rivellini, L’approccio forense all’autonomia universitaria (Giornale dir. amm. 3/2025, 367-375) (Giornale dir. amm. 3/2025, 367-375) in tema di giurisdizione (elenco Istat delle amministrazioni pubbliche): - Cass. SSUU 25.11.24 n. 30220 (Giornale dir. amm. 3/2025, 356 s.m.): L’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) è chiamato ogni anno a redigere l’elenco delle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art. 1, comma 2, L 31.12.2009 n. 196. L’elenco ISTAT, redatto in conformità alle regole e ai requisiti definiti dal SEC 2010 (Reg. 2013/549/UE), riveste un ruolo cruciale per l’aggregazione dei dati ai fini della quantificazione del conto economico consolidato dello Stato. Nondimeno, attorno all’elenco ISTAT, cui le disposizioni di spending review spesso si agganciano, orbita un volume di contenzioso piuttosto consistente, da cui originano molteplici questioni interpretative, prime fra tutte quelle afferenti alla sua natura e al riparto di giurisdizione fra giudice contabile e giudice amministrativo. - (commento di) Raimondo Camponi, Elenco ISTAT: riparto di giurisdizione e garanzie partecipative (Giornale dir. amm. 3/2025, 356-366). La pronuncia si esprime sul riparto di giurisdizione fra giudice contabile e amministrativo quanto al sindacato sull’elenco delle amministrazioni pubbliche redatto da ISTAT. Essa sancisce la conformità all’ordinamento europeo della limitazione della giurisdizione contabile in materia “ai soli fini dell’applicazione della normativa nazionale sul contenimento della spesa pubblica” (art. 23-quater, DL 137/2020), confermando la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo. La sentenza qualifica l’elenco ISTAT quale atto di natura provvedimentale cui si contrappone una situazione di interesse legittimo, con le relative conseguenze in materia di garanzie partecipative e procedimentali. in tema di giurisdizione (mobilità esterna e scorrimento delle graduatorie di stabilizzazione): - TAR Marche 2^, 3.8.24 n. 714, pres. Ianigro, est. Ruiu (Giornale dir. amm. 3/2025, 376 s.m.): È inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo il ricorso proposto dal candidato idoneo che contesti la scelta della PA di coprire un posto vacante attraverso l’utilizzo della mobilità, in luogo dello scorrimento della graduatoria di stabilizzazione nella quale egli è collocato. La pretesa alla copertura del posto tramite la graduatoria di stabilizzazione, coinvolgendo il diritto soggettivo all’assunzione, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario. - commento di Alessandro Riccobono, Lo scorrimento delle graduatorie: le procedure di stabilizzazione e la mobilità esterna (Giornale dir. amm. 3/2025, 376-386) sul diritto amministrativo statunitense (PA e sindacato giurisdizionale): - Decisione 28 giugno 2024 della Supreme Court Of The United States, Loper Bright Enterprises et al. v. R., Secretary of commerce, et al. (Giornale dir. amm. 3/2025, 387 solo massime): Secondo la majority opinion, già nei Federalist papers le Corti costituiscono gli interpreti privilegiati e finali della legge. Citando M. v. M., l’interpretazione della legge non può che spettare alle Corti, poiché costituisce la “province” dei giudici. L’Administrative Procedure Act (APA), coerentemente, richiede che le questioni di interpretazione della legge siano decise dalle Corti senza deferenza rispetto alle scelte operate dalle amministrazioni. La dottrina Chevron non è dunque in linea con quanto stabilisce l’APA. Altrettanto inesatto è ritenere che ad ogni ambiguità legislativa corrisponda una delega implicita alle amministrazioni, poiché un’ambiguità legislativa può dipendere dalla incapacità del legislatore di rispondere ad una specifica questione o dalla impossibilità di esaurirla. Inoltre, quando le Corti devono applicare una norma vaga in controversie in cui non è coinvolta un’amministrazione esse risolvono autonomamente la questione interpretativa, sicché non vi sono ragioni per avere un diverso approccio quando è coinvolta una agency. Solo quando il Congresso delega tale potere interpretativo all’amministrazione - espressamente o utilizzando termini come “ragionevole” o “appropriato” - le Corti devono applicare un sindacato sulla scelta operata dalla agency secondo il deferente “arbitrary-and-capricious standard”. La Corte ha altresì rigettato l’idea che le amministrazioni abbiano una speciale expertise nell’operare la scelta interpretativa. Anche le Corti possiedono òa medesima expertise e non vi è ragione di pensare che il Congresso abbia trasferito alle agencies tale potere: semmai la Corte potrà, secondo quanto è stato stabilito in S. v. Swift & Co., prestare rispetto all’interpretazione fornita dall’amministrazione qualora le appaia ben fondata. Ancora, va rilevato che il precedente Chevron ha avuto nel tempo un’applicazione molto incerta, determinando oscillazioni che non depongono a favore della certezza del diritto. La stessa Corte Suprema non cita Chevron nelle sue decisioni dal 2016. Infine, il principio dello stare decisis - che regola il rispetto del precedente da parte delle Corti - non depone a favore del mantenimento di Chevron, poiché la decisione risulta fondamentalmente sbagliata (misguided) e inapplicabile (unworkable). È infatti impossibile stabilire quando si è di fronte ad una ambiguità tale da giustificare la delega all’amministrazione, ed è altrettanto impossibile definire cosa costituisca una interpretazione ragionevole da fondare un sindacato di ragionevolezza. Nelle concurrent opinions, Justice Thomas e Justice Gorsuch hanno sottolineato rispettivamente che Chevron rappresenta una decisione non solo illegittima rispetto all’APA ma altresì incostituzionale, perché violerebbe la separazione dei poteri, sia sottraendo alle Corti la soluzione delle questioni normative sia attribuendo all’amministrazione poteri che non le sono stati assegnati dalla legge. Justice Gorsuch, d’altro canto, ha sottolineato come lo stare decisis non richieda di prestare aderenza a Chevron. Anzitutto perché Chevron viola l’APA, e per tale ragione non merita l’applicazione di tale rispetto del precedente. In secondo luogo, la judicial humility richiede di riconoscere i limiti delle decisioni passate, soprattutto quando sono così incoerenti rispetto al ruolo assegnato alle Corti dall’ordinamento e quando si dimostra così poco adatto nella pratica. Infine, i precedenti sono comunque ancorati ai fatti specifici dei casi in cui si sono prodotti, mentre Chevron è andato ben oltre. I giudici dissenzienti Kagan, Sotomayor, e Jackson sono a favore del mantenimento della dottrina Chevron, che ritengono corretta, applicabile e appropriata; la decisione della maggioranza di annullarla mostra una sorprendente mancanza di umiltà e consapevolezza. La presunzione di fondo di Chevron era che il Congresso volesse che fossero le agenzie - e non i tribunali - a prendere decisioni quando vi erano ambiguità. E ciò ha senso: esistono molte questioni che esulano dalla competenza dei tribunali e che dovrebbero essere lasciate alle agenzie esperte, come ad esempio decidere se e quando un “polimero di alfa-amminoacidi” rientri nella definizione di “proteina” secondo il Public Health Service Act, o se una popolazione di scoiattoli sia “distinta” da un’altra secondo l’Endangered Species Act. In fondo, si tratta di decisioni di politica pubblica. Chevron rifletteva quindi un equilibrio appropriato tra i poteri dello Stato. I giudici dissenzienti hanno anche sostenuto che Chevron è conforme all’APA, ed è stata usata e invocata costantemente da avvocati e tribunali inferiori. Avendo fornito una regola predefinita sensata, è applicabile e dovrebbe essere mantenuta secondo lo stare decisis. D’altro canto, il Congresso era ben consapevole della dottrina Chevron e non ha fatto nulla per sostituirla. La maggioranza avrebbe piuttosto “ingegnerizzato artificialmente” la fine di Chevron rifiutandosi sistematicamente di applicare la dottrina negli ultimi otto anni, per poi affermare che la dottrina non era più rilevante in quanto non richiamata nella propria giurisprudenza. Infine, l’opinione dissenziente ha concluso affermando che la decisione della maggioranza sposta in modo radicale l’equilibrio dei poteri dall’esecutivo al giudiziario, ponendo le Corti all’apice del sistema amministrativo, e riducendo ulteriormente l’Administrative State, nonostante le indicazioni contrarie del Congresso. - (commento di) Bruno Carotti, Il lungo cammino della sentenza Chevron (Giornale dir. amm. 3/2025, 388-398). L’overruling della sentenza Chevron ha radici remote. Ancor prima della Loper-Bright, il dibattito si rivela profondissimo e sembra avviare una stagione di studi e riflessioni di carattere generale sui caratteri e sulla funzione del diritto amministrativo negli Stati Uniti. - (commento di) Barbara Marchetti, La sentenza Loper Bright e il ripensamento dei rapporti tra legge, amministrazione e giudice (Giornale dir. amm. 3/2025, 399-407) c.s. L'uomo non è libero nella misura in cui non dipende da nulla o da nessuno, ma è libero nella esatta misura in cui dipende da ciò che ama (Gustave Thibon, detto “il filosofo contadino”, 1903-2001)
Autore: Carmine Spadavecchia 14 luglio 2025
sul correttivo al codice appalti : DLg 31.12.2024 n. 209, Disposizioni integrative e correttive al codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 - Stefano Colombari, Il “Correttivo” al Codice dei contratti pubblici, la finanza di progetto e il principio del risultato (Urban. e appalti 3/2025, 261-274) - Andrea Serafini, Collegio Consultivo Tecnico: il restyling operato dal correttivo al Codice dei contratti pubblici (Urban. e appalti 3/2025, 275-283) - Andrea Valletti, Il diritto di accesso nel nuovo Codice e nel Correttivo: la “sempre viva” istanza di accesso e la teoria del “doppio velo” (Urban. e appalti 3/2025, 284-300) - Saverio Fata, Modifica soggettiva del raggruppamento temporaneo di imprese per perdita dei requisiti nel nuovo Codice degli appalti (Urban. e appalti 3/2025, 301-305) in tema di equo compenso : - Cons. Stato III 27.1.25 n. 594, pres. De Nictolis, est. Cerroni (Urban. e appalti 3/2025, 307 T): Non sussiste antinomia tra le disposizioni del codice degli appalti e la normativa in materia di equo compenso, dovendo le stesse essere interpretate e, indi, applicate in maniera integrata e coordinata, seppur in ossequio alla rispettiva ratio legis, data, nel primo caso, dalla finalità pro-concorrenziale e, nel secondo, dalla finalità di favor nei confronti del professionista contraente debole. Ne consegue che la nozione di equo compenso riferita ai contratti pubblici va riformulata in termini di equo ribasso. - (commento di) Silvia Ingegnatti, Dall’equo compenso all’equo ribasso (Urban. e appalti 3/2025, 309-318) N.B. – sentenza già segnalata con i commenti di: - Davide Ponte, I chiarimenti di Palazzo Spada su parcelle e nuovo codice appalti (Guida al diritto 7/2025, 97-100). La nullità di protezione coniata dalla disciplina sull’equo compenso opera solo a vantaggio del professionista contraente debole e non di terzi competitori. La fonte dell’equo compenso individua il minimum corrispettivo inderogabile e la fonte contrattuale individua il corrispettivo equo da porre a base di gara. - Valerio Bello, Equo compenso ed “equo ribasso” nell’affidamento delle prestazioni intellettuali (Giurispr. it. 4/2025, 855-862) in tema di S.C.I.A. (tutela dell’affidamento) - Cons. Stato IV 13.1.25 n. 181, pres. Neri, est. Furno (Urban. e appalti 3/2025, 319 T): 1. Il modulo della Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA) non può legittimamente essere utilizzato per conseguire la modifica della destinazione d’uso di un immobile tra categorie funzionalmente autonome. In tal caso (ai sensi del DPR 380/2001, art. 23-ter) ci si trova al cospetto di un mutamento d’uso urbanisticamente rilevante per il quale non è consentito ricorrere al modulo della SCIA, risultando piuttosto necessario il previo rilascio di un permesso di costruire. 2. Laddove si sia fatto ricorso alla SCIA in assenza delle condizioni legittimanti (ad es., al fine di legittimare un intervento che avrebbe, invece, richiesto il previo rilascio di un permesso di costruire) la segnalazione certificata comunque trasmessa al Comune non può produrre alcun effetto. In caso contrario si finirebbe per legittimare una forma di rilascio di titolo edilizio extra ordinem, in violazione del generale principio di legalità che presidia la materia. 3. Il generale principio di tutela dell’affidamento (sotteso alla previsione di cui all’art. 19 legge 241/1990) non può ammettere che si consolidino gli effetti di una SCIA che sia stata utilizzata al di fuori delle ipotesi in cui tale figura è in concreto utilizzabile. 4. Laddove l’istituto della SCIA sia stato utilizzato al di fuori dei casi in cui lo stesso è normativamente previsto, non trovano applicazione i commi 3 e 4 dell’art. 19 legge 241/1990 (né il successivo comma 2-bis dell’art. 21), relativi alle condizioni e ai limiti di esercizio del ius poenitendi a fronte di una SCIA che sia comunque stata presentata al ricorrere (almeno in astratto) delle relative condizioni legittimanti. Nel primo caso, la SCIA comunque presentata risulterà semplicemente priva di efficacia, con conseguente non applicabilità dei richiamati condizioni e limiti - (commento di) Claudio Contessa, Inefficacia della SCIA in edilizia e tutela dell’affidamento (Urban. e appalti 3/2025, 320-328) in tema di appalti (iscrizione nella white list): - Cons. Stato V 20.12.24 n. 10256, pres. Lotti, est. Maggio (Urban. e appalti 3/2025, 329 T): 1. L’art. 1, comma 53, L 6.11.2012 n. 190, non attribuisce alla domanda di iscrizione alla white list valore equipollente all’iscrizione stessa ai fini della partecipazione alle procedure di gara, neppure allorquando tale adempimento sia stato previsto quale elemento di valutazione dell’offerta. 2. La sussistenza del requisito in questione, ai sensi dell’art. 99, comma 3, DLg 36/2023, va accertata dalla stazione appaltante attraverso la consultazione dei siti istituzionali delle Prefetture competenti. Pertanto, anche laddove detta iscrizione costituisca elemento utile ai fini del punteggio, è sufficiente che il concorrente ne dichiari il possesso, spettando, poi, alla stazione appaltante verificare, attraverso la consultazione del sito della Prefettura competente, la veridicità di quanto attestato. 3. La disciplina introdotta dai commi 52-57 dell’art. 1 L 190/2012 è inderogabile solo nel senso che, ai fini della partecipazione alle gare aventi a oggetto le attività contemplate dal comma 53, è necessariamente richiesta l’iscrizione nella white list. Essa, però, non esclude che, in relazione a procedure selettive concernenti altre tipologie di lavorazioni, la lex specialis possa individuare il requisito in questione come elemento di valutazione dell’offerta. Nell’ambito della propria discrezionalità tecnica la stazione appaltante può conformare la disciplina di gara in modo da attribuire valore premiale anche a requisiti soggettivi dell’operatore economico, idonei a “illuminare” sulla qualità e affidabilità dell’offerta, purché nel rispetto dei principi di proporzionalità, ragionevolezza e adeguatezza, non essendo configurabile, in termini generali, un divieto assoluto di commistione tra criteri soggettivi di partecipazione e elementi oggettivi di valutazione dell’offerta. 4. Il giudizio espresso dalla stazione appaltante sul merito tecnico dell’offerta, per pacifica giurisprudenza, è espressione di un potere connotato da ampi margini di discrezionalità tecnica, per cui il medesimo è censurabile in sede giurisdizionale solo in presenza di manifesta illogicità o di travisamento dei fatti. - (commento di) Alessandro Formica e Roberto Cippitani, L’iscrizione nella white list come elemento di valutazione dell’offerta e l’acquisizione d’ufficio dei documenti utili ai fini dell’aggiudicazione (Urban. e appalti 3/2025, 332-343) in tema di appalti (offerte e modifiche del CCNL): - Cons. Stato V 1612.24 n. 10107 (Urban. e appalti 3/2025, 345 T): Qualora dopo la presentazione delle offerte, ma ancor prima della verifica di anomalia, sopravviene un nuovo contratto collettivo di settore che dispone un aumento dei minimi salariali, ai fini della verifica di anomalia, e in ossequio ai superiori principi che impongono la tutela effettiva del lavoro, non può non assumere rilievo la sopravvenuta modifica del CCNL. - (commento di) Antonio Giacalone, Sopravvenuta modifica del CCNL in fase di gara (Urban. e appalti 3/2025, 349-355) sulle concessioni demaniali marittime (concessioni balneari): - TAR Genova 1^, 20.1.25 n. 53, pres. Caruso, est. Bolognesi (Urban. e appalti 3/2025, 356 T): 1. È onere del ricorrente impugnare nei termini perentori prescritti il provvedimento sopravvenuto incidente sulla situazione soggettiva controversa sub iudice, pena l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, non potendo la parte invocare la disapplicazione dell’atto, ancorché contrastante con il diritto europeo, ad opera del giudice amministrativo. 2. Il provvedimento amministrativo contrastante con il diritto europeo è annullabile ai sensi dell’art. 21-octieslegge 241/1990, salva l’ipotesi di nullità per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’art. 21-septies della medesima legge 241/1990 perché adottato in applicazione di legge nazionale contrastante con previsione dell’Unione che vieta l’esercizio di siffatto potere. 3. La nullità dell’atto amministrativo può essere rilevata d’ufficio dal giudice amministrativo solamente se funzionale alla pronuncia sulla domanda giudiziale proposta, dovendosi comunque coordinare il potere-dovere di rilievo officioso dell’invalidità con il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. - TAR Genova 1^, 19.2.25 n. 183, pres. Caruso, est. Felleti (Urban. e appalti 3/2025, 358 T): 1. L’art. 1, comma 1, lett. a), n. 1.1), DL 131/2024 – L 166/2024, che ha differito al 30 settembre 2027 il termine finale di durata dei rapporti concessori, deve essere disapplicato per contrasto con l’art. 12 della c.d. direttiva Bolkestein (2006/123/CE), non risultando alcun accordo di segno contrario tra lo Stato italiano e la Commissione europea e, comunque, dovendosi ritenere prevalenti le statuizioni della Corte di Giustizia di incompatibilità con il diritto unionale delle previsioni di rinnovo automatico e generalizzato delle concessioni demaniali per finalità turistico ricreative. 2. In materia di concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo, alla scadenza del rapporto è legittima l’adozione di titoli temporanei interinali, espressione di ordinari poteri gestori dell’Amministrazione concedente, al fine di garantire al concessionario uscente idoneo titolo per la fruizione del bene nelle more di svolgimento delle procedure comparative per la nuova assegnazione. 3. L’art. 4, comma 9, L 118/2022, introdotto con l’art. 1, comma 1, lett. b), DL 131/2024, che impone di riconoscere al concessionario uscente un indennizzo commisurato, oltre che al valore degli investimenti non ancora ammortizzati, ad un’equa remunerazione per gli investimenti effettuati nell’ultimo quinquennio, non ha efficacia retroattiva e, come tale, trova applicazione per i soli rapporti instaurati successivamente al 17 settembre 2024, data di entrata in vigore della sopravvenuta previsione normativa. 4. In materia di concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo, alla scadenza del rapporto il concessionario uscente non deve essere indennizzato per le opere inamovibili eventualmente realizzate sulla proprietà demaniale, stante la compatibilità con il diritto europeo della previsione di incameramento gratuito in favore dell’Amministrazione di cui all’art. 49 cod. nav. - (commento di) Enrico Amante, L’atto amministrativo contrastante con il diritto europeo tra nullità, annullabilità e disapplicazione e altre questioni in materia di concessioni demaniali ad uso turistico ricreativo (Urban. e appalti 3/2025, 361-372) in tema di agibilità e conformità urbanistica (immobile a uso commerciale): - TAR Napoli 5^, 16.12.24 n. 7104, pres. Abbruzzese, est. Maffei (Urban. e appalti 3/2025, 373 T): 1. La somministrazione di alimenti e bevande deve avvenire, oltre che per espressa previsione legislativa, per elementari ragioni di sicurezza igienico-sanitaria, in locali che rispettino la normativa edilizia e urbanistica, per cui l’accertamento della conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità; in pendenza di domanda di condono edilizio, non è possibile riconoscere ai locali una agibilità “provvisoria”, che rappresenterebbe un provvedimento atipico non previsto dall’ordinamento e in quanto tale non applicabile, posto che l’esercizio dell’attività commerciale, essendo comunque subordinata all’esito positivo del condono, finirebbe per rimanere in una condizione di inaccettabile incertezza circa la legittimità dell’attività stessa. 2. L’oggetto del giudizio di ottemperanza di un giudicato amministrativo è rappresentato dalla puntuale verifica dell’esatto adempimento a cura dell’Amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato, per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione. Ne consegue che l’iter da seguire, per l’interpretazione del giudicato, è scandito dalla sequenza petitum - causa petendi - motivi - decisum e che l’effetto conformativo è da considerarsi “pieno” rispetto ad attività amministrativa vincolata o quasi-vincolata. 3. Il principio di proporzionalità esige che l’interesse pubblico venga perseguito incidendo nella misura strettamente necessaria le posizioni giuridiche dei privati, tanto più ove le stesse origino da precedenti provvedimenti ampliativi dell’Amministrazione che debbano essere rimossi per perseguire l’interesse pubblico. Ne consegue che è illegittimo l’annullamento integrale del certificato di agibilità al pari dell’ordine di chiusura dell’attività commerciale relativi ad immobili adibiti ad attività commerciale anche per la porzione di superficie non abusiva. - (commento di) Margherita Amitrano Zingale, Le interazioni tra titolo edilizio e certificato di agibilità: un’applicazione in sede di giudizio di ottemperanza nella prospettiva del principio di proporzionalità (Urban. e appalti 3/2025, 379-383) in materia edilizia (attività edilizia libera): - Cass. pen. 3^, 2.4. 25 n. 12661 (Urban. e appalti 3/2025, 385): In materia edilizia, il regime dell’attività edilizia libera, ovvero non soggetto ad alcun titolo abilitativo, non è applicabile agli interventi che, pur rientrando nelle tipologie di tale disposizione, siano in contrasto con le previsioni indicate nelle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al DLg 42/2004. in materia edilizia (demolizione - test di proporzionalità) - Cass. pen. 3^, 19.2.25 n. 6791 (Urban. e appalti 3/2025, 391-2): In tema di esecuzione dell’ordine di demolizione, l’attuazione dell’ordine di demolizione di un manufatto abusivo impone una preventiva valutazione volta a verificare se l’interesse dello Stato ad assicurare un ordinato sviluppo del territorio e il rispetto della legalità, la cui tutela è assicurata dal ripristino dello status precedente all’intervento abusivo, giustifichi, secondo i criteri di necessità, sufficienza e proporzionalità, la lesione del diritto del privato al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio tutelati dagli artt. 2 e 3 Cost. e dall’art. 8 Cedu, o di altri diritti protetti dall’ordinamento, quali ad esempio il diritto alla salute. in materia edilizia (certificato di stato legittimo dell’immobile): - Cass. pen. 3^,1.4.25 n. 12520 (Urban. e appalti 3/2025, 388-9): In materia edilizia, il c.d. “certificato di stato legittimo” dell’immobile, rilasciato ai sensi dell’art. 9-bis DPR 380/2001, anche come da ultimo modificato con DL 69/2024, altro non è che un documento formale che attesta la conformità urbanistica ed edilizia di un immobile, rilasciato da un tecnico abilitato al fine di facilitare la circolazione dell’immobile cui si riferisce, ma certo non può avere alcun valore vincolante per l’autorità giudiziaria, né attestare erga omnes la regolarità del titolo edilizio in sanatoria. in materia edilizia (piscina - nuova costruzione): - Cass. pen. 3^, 1.4.25 n. 12517 (Urban. e appalti 3/2025, 385-6): In materia edilizia, una piscina, rispetto ad un immobile abitativo ovvero con altra destinazione non denota una sua destinazione strumentale a una oggettiva esigenza funzionale dell’edificio principale, dato in sé dirimente per escludere ogni connotazione quale pertinenza (a prescindere poi dalla sussistenza o meno dei requisiti di cui all’art. 10, lett. e.6, DPR 380/2001). Inoltre, la realizzazione di una piscina, effettuata in correlazione con un complesso turistico/ricettivo, è idonea potenzialmente ad aumentare l’aggravio del carico urbanistico nell’area e, comunque, denota una sua autonomia economica. c.s. Rifiuti - Il riciclo non è solo un atto ecologico, è un gesto artistico e sociale (didascalia dell'opera "Temp(l)i moderni", di Michelangelo Pistoletto, in mostra a Milano, presso l'Umanitaria, Chiostri di San Barnaba)
Autore: Alma Chiettini 14 luglio 2025
Cass. civ., sez. V, 26.6.2025, n. 17113 Il d.lgs. 14.6.2024, n. 87 , entrato in vigore il 29 giugno 2024, di revisione del sistema sanzionatorio tributario , c.d. decreto-sanzioni (attuativo dell’art. 20 della legge delega n. 111 del 2023) ha modificato molte disposizioni contenute nei decreti legislativi che disciplinano il sistema sanzionatorio penale e amministrativo. In particolare, è intervenuto sul d.lgs. n. 74 del 2000 per i reati in materia di imposte sui redditi e IVA, sul d.lgs. n. 471 del 1997 sulle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, IVA e riscossione dei tributi, e sul d.lgs. n. 472 del 1997 per le disposizioni generali sulle sanzioni amministrative tributarie, e ha ridotto le misure edittali, sia minime che massime, previste per le violazioni delle imposte sui redditi, per l’IRAP e per l’IVA. L’ art. 5 del decreto ha previsto che “ le disposizioni di cui agli articoli 2, 3 (a esclusione del comma 1, lettera o, ossia la novella disciplina per la definizione agevolata delle sanzioni in caso di autotutela parziale), e 4, ovvero le modifiche ai d.lgs. n. 471 e 472 nonché le modifiche alle sanzioni per tributi sugli affari, sulla produzione e sui consumi, e altri tributi indiretti, si applicano alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024 ”. Tale disposizione, di deroga al principio della retroattività della sanzione più favorevole sancito (anche) dall’art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 472 del 1997, è stata immediatamente tacciata di incostituzionalità in applicazione di consolidati principi sulla natura afflittiva delle sanzioni tributarie e sull’estensione al diritto amministrativo e tributario del principio del favor rei . Nondimeno, i dubbi di costituzionalità sono stati sino a oggi non condivisi dalla Corte di cassazione, che ancora con la sentenza n. 1274, del 19 gennaio 2025, accertato che l’applicazione della sanzione più favorevole è preclusa da un’espressa previsione normativa che deroga al generale principio di retroattività della legge più favorevole, ha affermato che tale deroga alla lex mitior è “coerente con i principi costituzionali, così come con quelli unionali che riconoscono che il principio del rispetto della lex mitior può risultare recessivo nella comparazione con altri interessi, di pari rango, con sue conseguenti deroghe”. Nel caso di specie, l’irretroattività disposta dall’art. 5 del d.lgs. n. 87 del 2024 per le nuove sanzioni, complessivamente più favorevoli per il contribuente, “ si colloca in un contesto, interno ed esterno, che accompagna la rimeditazione dell’intero sistema sanzionatorio, sul piano qualitativo come quantitativo … la riforma … di grande respiro, non si limita a rideterminare le sanzioni in senso favorevole al contribuente, ma si accompagna a un ripensamento del ruolo stesso della sanzione, implementando un contesto di collaborazione tra Amministrazione e contribuente (art. 20, comma 1, lett. a, n. 4), e persino prevedendo forme di compensazione tra sanzioni comminate e crediti maturati nei confronti delle amministrazioni (art. 20, comma 1, lett. a, n. 2), oppure valorizzando la condotta successiva o pregressa del contribuente in uno spirito radicalmente rivoluzionato rispetto al passato, quanto meno in termini di obiettivi (art. 20, comma 1, lett. 2 e 3)”. Per cui “un simile riassetto - che peraltro non risulta neppure del tutto compiuto - giustifica la scelta del legislatore delegato … e giustifica ampiamente una irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria, senza con ciò poter essere tacciata di violazione dei diritti presidiati dagli artt. 3 e 53 Cost. ”. Tale posizione è stata di recente ribadita e puntualizzata con la sentenza n. 17113, del 26 giugno 2025 , che ha anzitutto esaminato la portata complessiva dell’ art. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997 , che al comma 2 (“salvo diversa previsione di legge”) prevede una deroga al principio della sopraggiunta non punibilità di una condotta. Con ciò osservando che un’interpretazione coerente tra i commi 2 e 3 dell’art. 3 cit. porta ad affermare che “i principi della riserva di legge (comma 2) e quello della lex mitior (comma 3) non possono essere tenuti nettamente separati”. E “la conseguente considerazione è che le ragioni che sottendono la disciplina sanzionatoria apprestata in tema di obbligazioni tributarie, quando leggi successive escludano in radice il disvalore di una condotta, ma anche quando lo affievoliscano semplicemente, possono giustificare deroghe all’applicazione del principio del favor rei ”. Considerazioni, queste, che hanno “una chiara copertura proprio in precedenti della Corte costituzionale”: si vedano le sentenze n. 68 del 2021 e n. 63 del 2019 che valorizzano “ragioni cogenti di tutela di controinteressi di rango costituzionale” per le deroghe al principio di retroattività in mitius . E pure del diritto dell’Unione europea che, quanto al rispetto della lex mitior , affermano che esso può risultare recessivo nella comparazione con altri interessi di pari rango ( sentenza della Corte di giustizia 24.7.2023, causa C-107/2023 ). Ne deriva che “ la deroga al principio della applicazione della legge più favorevole ha il suo comune denominatore nella esigenza di comparazione con altri principi di pari rango, comparazione all’esito della quale la lex mitior può risultare recessiva, giustificandosene dunque la deroga ”. L’irretroattività delle nuove sanzioni disposta dall’art. 5 del d.lgs. n. 87 del 2024 “ si colloca in un contesto che accompagna la rimeditazione dell’intero sistema sanzionatorio, sul piano qualitativo e quantitativo ”. Sul punto è stato sottolineato che “è sufficiente la lettura dell’ art. 20 della legge delega , e degli ampi obiettivi che con essa sono stati assunti dal legislatore, per comprendere come la riforma non si limita a rideterminare le sanzioni in senso favorevole al contribuente, ma si accompagna a un ripensamento del ruolo stesso della sanzione , implementando un contesto di collaborazione tra Amministrazione e contribuente, e persino prevedendo forme di compensazione tra sanzioni comminate e crediti maturati nei confronti delle amministrazioni, oppure valorizzando la condotta successiva o pregressa del contribuente in uno spirito radicalmente rivoluzionato rispetto al passato, quanto meno in termini di obiettivi”. Pertanto, “ un simile riassetto giustifica la scelta del legislatore delegato. Basti considerare che un intervento di tale portata, e la previsione di sanzioni più leggere, con conseguente riduzione di risorse già preventivate, al di là delle esigenze di rispetto dei principi di equilibrio di bilancio e di sostenibilità del debito pubblico, ex art. 97 Cost., riversa direttamente i suoi effetti sul raggiungimento di prestazioni standard in materie di rango costituzionale altrettanto sensibili, quali le prestazioni sanitarie (art. 32 Cost.), scolastiche (art. 34 Cost.), di sicurezza pubblica ”. In conclusione: “una riforma del sistema tributario, nel quale la previsione di un minor carico sanzionatorio si relaziona a una modifica radicale del rapporto tra fisco e contribuente, giustifica una irretroattività della nuova disciplina sanzionatoria, senza con ciò poter essere tacciata di violazione dei diritti presidiati dagli artt. 3 e 53 Cost. E d’altronde, che la deroga sia ‘pensata’ con estrema ponderazione lo si rinviene nella constatazione che l’irretroattività non è coincidente con il momento di entrata in vigore della legge, ma con una data ulteriormente successiva , a comprova della necessità che anche l’attenuazione delle sanzioni necessita di un ‘tempo’ per l’attuazione dell’intero ripensamento dell’impianto sanzionatorio ”.
Autore: a cura di Federico Smerchinich 12 luglio 2025
TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 7.08.2024, n. 2353 IL CASO E LA DECISIONE Il giudizio oggetto della sentenza in commento riguarda la possibilità di realizzazione, a seguito di SCIA , di quattro nuove unità immobiliari costruite su due piani fuori terra ed un piano seminterrato ad uno cantinato, in sostituzione di un fabbricato a uso artigianale-deposito situato all’interno del cortile di un supercondominio a Milano. Infatti, una società aveva presentato una SCIA per costruire le unità immobiliari predette, ma l’amministratore del supercondominio e alcuni proprietari avevano presentato istanza al Comune per inibire i lavori di cui alla SCIA. Al riguardo, come noto, occorre ricordare che la SCIA è stata ritenuta dalla giurisprudenza “quale atto soggettivamente ed oggettivamente privato” ( ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 02/05/2024, n. 3990; Cons. Stato, Sez. IV, 13/06/2025, n. 5154), non direttamente impugnabile. Ne consegue che il terzo che vuole contestare le attività attuate a seguito di SCIA deve fare istanza al Comune per sollecitarlo a esercitare i poteri inibitori, repressivi o conformativi (art. 19 c. 3 l. n. 241/1990) o poteri di annullamento d’ufficio (art. 19 c. 4 l. n. 241/1990). A seguito di istanza il Comune deve pronunciarsi e il terzo può contestare il provvedimento amministrativo. Qualora il Comune non si pronunci, il terzo può agire per il silenzio inadempimento. Si coglie l’occasione anche per precisare che la giurisprudenza si era interrogata sulle tempistiche dell’azione giurisdizionale del terzo (ex multis Cons. Stato, Sez. IV, 11/03/2022, n. 1737) e sulla legittimità dell’ art. 19 l. n. 241/1990 , laddove non prevede tempistiche tipiche per l’azione del terzo, che è stato ritenuta conforme a Costituzione (v. Corte Cost. 45/2019). Tornando al caso di specie, i terzi, cioè l’amministratore del supercondominio e alcuni proprietari, hanno agito avverso il silenzio del Comune sulla loro istanza inibitoria . Nelle more del processo, il Comune ha emesso un provvedimento espresso con cui ha respinto l’istanza dei terzi, impugnato con motivi aggiunti. Il TAR ha, dapprima, analizzato le eccezioni di rito proposte dalla parte resistente e dal controinteressato, ribadendo alcuni principi che meritano di essere ripresi: - nei procedimenti sul silenzio, possono essere proposti i motivi aggiunti avverso gli atti sopravvenuti; - la procura rilasciata per agire e contraddire davanti al giudice amministrativo si intende conferita anche per proporre motivi aggiunti; - l’amministratore del condominio è legittimato, senza necessità di autorizzazione assembleare, a proporre giudizio ex art. 1131 c.c. laddove l’azione avviata ricada nell’ambito delle sue competenze tra le quali, a norma dell’art. 1130 c.c. n. 4, rientra anche il compimento di atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio; - i proprietari di unità abitative collocate in prossimità di interventi pregiudizievoli sono legittimati a proporre ricorso avverso gli atti autorizzativi dell’intervento, in virtù del criterio della vicinitas ; - il singolo condomino che intende tutelare il proprio diritto di comproprietario “pro quota” dei beni comuni, ha legittimazione concorrente e aggiuntiva rispetto a quella dell’amministratore nei giudizi in cui questi abbia già assunto legittimamente la difesa; - la sussistenza dell’interesse a ricorrere comporta la sussistenza dell’interesse a dedurre qualsiasi censura che possa portare a paralizzare nella sua completezza l’intervento edilizio avversato, anche se riguardante aspetti che, in sé considerati, non incidono in maniera significativa sull’interesse dei ricorrenti. Quanto al merito, la questione principale verte sulla natura dell’intervento edilizio , cioè se esso sia una nuova costruzione o una ristrutturazione e se sia possibile eseguirlo semplicemente a seguito di SCIA. Prima di affrontare questo tema, il TAR rileva che parte della superficie relativa al nuovo intervento non parrebbe essere giustificata da titolo edilizio, rappresentando che, ai sensi dell ’art. 9 bis c. 1 bis d.P.R. 380/2001 , il principale modo per dimostrare l’effettiva consistenza volumetrica di un edificio è la produzione del titolo edilizio, dato che non assume rilievo l’omesso esercizio del potere sanzionatorio da parte del Comune. In altre parole, serve una prova positiva della legittimità della costruzione. Solo per opere realizzate in un periodo in cui non era necessario il titolo abilitativo edilizio, la legittimità delle stesse può essere provata con altre modalità (informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero immobile). Il TAR ritiene, d'altra parte, che non sia stato dimostrato dai controinteressati il rispetto dell’art. 21.2 lett. b) delle norme di attuazione del Piano delle Regole del Comune di Milano, che richiede il rispetto dell’altezza dell’edificio preesistente in caso di edificazione all’interno di cortili. Venendo al tema principale della questione, il TAR afferma che l’intervento di cui si discute è una nuova costruzione e non può essere ricondotto al concetto di ristrutturazione : da ciò ne consegue l’impossibilità di realizzarlo a seguito di SCIA. In particolare, secondo l’art. 10 d.l. 76/2020, che ha modificato l’art. 3 lett. d) d.P.R. 380/2001, rientrano nell’ambito della ristrutturazione anche quegli interventi che comportano la realizzazione di un edifico diverso rispetto a quello demolito, per sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. Tuttavia, il TAR ricorda che, come ribadito dalla giurisprudenza, non vi è ristrutturazione, bensì nuova costruzione, quando fra il precedente edificio e quello da realizzare al suo posto non vi sia alcuna continuità, producendo un rinnovo del carico urbanistico (Cass. Pen Sez. III, 10.01.2023, n. 91669; Cons. Stat, Sez. IV, 22.06.2021, n. 4791; TAR Lombardia, Milano, Sez. II, 18.05.2020 n. 841). Nel caso di specie, il TAR, proprio in base a quanto appena detto, ravvisa la qualità di nuova costruzione nell’intervento in questione e afferma che sarebbe stato necessario il permesso di costruire il luogo del procedimento tramite SCIA. LIBERALIZZAZIONE IN MATERIA EDILIZIA E LIMITI URBANISTICI La recente tendenza legislativa muove verso una sempre maggiore semplificazione , al fine di snellire i procedimenti amministrativi e garantire quel principio di funzionalità ed efficienza che è la stella polare dell’agire pubblicistico del nostro tempo. Proprio in nome della semplificazione, sono stati introdotti strumenti per alleggerire, senza cancellare, il procedimento amministrativo e ottenere la realizzazione degli interessi legittimi pretensivi in maniera più semplice (es. silenzio, conferenza di servizi ecc.). Accanto alla semplificazione, è stata incentivata anche la liberalizzazione , per consentire al cittadino che ha i presupposti e i requisiti per realizzare un proprio interesse di integrare la fattispecie tipica, semplicemente comunicando all’amministrazione pubblica la propria intenzione di realizzare qualcosa (es. SCIA). Mentre nel caso della semplificazione l’azione amministrativa di controllo si pone in via preventiva, costituendo un passaggio necessario prima di ottenere il bene della vita, nell’ambito della liberalizzazione il controllo amministrativo è successivo, funzionando con eventuali poteri sanzionatori o repressivi. Tutto ciò, per tratteggiare il perimetro della vicenda oggetto della sentenza in commento, dove il privato cittadino si è avvalso della SCIA, tipico modulo di liberalizzazione, laddove, secondo il TAR, sarebbe stato necessario ricorrere ad una procedimentalizzazione dinanzi all'Autorità pubblica. Non bisogna, invero, dimenticare che gli strumenti di liberalizzazione non possono essere utilizzati per aggirare il principio di legalità che deve sempre guidare il rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione. La sentenza in commento offre diversi spunti di interesse. Quello su cui è doveroso soffermarsi riguarda proprio il concetto di nuova costruzione . Difatti, come ricordato anche dal TAR, il decreto semplificazioni 2020 ha ampliato le possibilità di procedere su mera iniziativa privata, tramite ristrutturazione. Questo decreto, frutto del periodo Covid e di necessità acceleratorie, ha voluto incentivare tale attività in ottica di liberalizzazione, al fine di diminuire le lungaggini burocratiche in tutta una serie di casi limite di attività demo-ricostruttive , arrivando anche a considerare ristrutturazioni le realizzazioni di edifici diversi per sagoma, prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche e tipologiche. In altre parole, il legislatore si è allontanato dal concetto di ristrutturazione classico per muovere verso un concetto più elastico, che consenta al cittadino di meglio esercitare il proprio diritto di proprietà, evitando, dove possibile, di richiedere l’esercizio del potere amministrativo. Tuttavia, ed è qui che risiede l’interesse della pronuncia, il TAR pone un limite al concetto di ristrutturazione quando non vi è continuità tra precedente edificio e nuovo edificio, producendosi un carico urbanistico nuovo che non è più correlato con l’edificio precedente. In altre parole, il punto di svolta sarebbe il seguente: finché si svolgono attività edilizie che non alterano in modo discontinuo il precedente edificio, allora si rimane nell’ambito del diritto di proprietà godibile tramite strumenti di liberalizzazione; quando si sfocia nella "discontinuità", il diritto di proprietà lascia il posto all’interesse legittimo del privato a creare qualcosa di “nuovo”, che si deve necessariamente confrontare con l’interesse pubblico della pianificazione territoriale tramite un carico urbanistico razionale e proporzionato. Il ragionamento parrebbe essere condivisibile. Ciò su cui si ravvisano delle perplessità sono i concetti di “continuità” o “discontinuità” utilizzati dalla giurisprudenza, che appaiono troppo astratti e in grado di fuorviare, in assenza di precisi indici in un senso o nell’altro. Infatti, il rischio è che gli stessi possano essere strumentalizzati dai privati o utilizzati in maniera diversa dalla pubblica amministrazione nei vari territori, risultando fonte di dubbi. Ad ogni modo, la sentenza in commento è sub iudice dinanzi al Consiglio di Stato, e sarà interessante vedere quali indicazioni darà il giudice d’appello, posto che, da un lato, il Comune interessato continua a sposare una linea interpretativa delle norme coinvolte opposta a quella del TAR sul tema della continuità (continuità che, secondo l'Amministrazione, dovrebbe necessariamente caratterizzare soltanto gli interventi di restauro e risanamento conservativo e non quelli di ristrutturazione), dall'altro, è ancora in corso, seppure attualmente in una fase di stallo, l’ iter parlamentare di un nuovo disegno di legge finalizzato a superare una giurisprudenza ritenuta troppo rigorosa in materia, anche a seguito delle numerose indagini aperte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano su una presunta gestione troppo "disinvolta" dell'uso del territorio da parte del Comune meneghino (cfr., sul tema, i due articoli comparsi sul sito, rinvenibili ai seguenti link: https://www.primogrado.com/abuso-edilizio-e-interpretazione-della-normativa-vigente-ad-opera-del-comune e https://www.primogrado.com/cosa-resta-del-covid-dai-vaccini-salva-vite-alle-leggi-salva-citta ).
Autore: dalla Redazione 11 luglio 2025
Tribunale di Bologna, Prima sezione penale, Ordinanza del 17 luglio 2023/ Corte giustizia, Grande Sezione, sentenza del 3 giugno 2025, resa nella causa C‑460/23 IL CASO E LA DECISIONE Un'imputata di origine congolesi è stata chiamata a rispondere, dinanzi al Tribunale di Bologna, del delitto di cui all’art. 12, comma 1 del decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998 , in concorso con il delitto di possesso di documenti di identificazione falsi di cui all’art. 497 bis del codice penale. La condotta a lei contestata è stata quella di essersi presentata nell’agosto del 2019 alla frontiera aerea di Bologna in arrivo con un volo proveniente da Casablanca in compagnia, quale accompagnatrice e affidataria, di due bambine di otto e tredici anni. Sia l’accompagnatrice che le minori aveva peraltro esibito falsi passaporti, alla frontiera, e, successivamente, in sede di convalida per l’arresto, l'imputata aveva dichiarato, da un lato, di essere fuggita dalla Repubblica Democratica del Congo per sottrarsi alle minacce di morte rivolte a lei e alla sua famiglia dall'ex compagno, in seguito dell'interruzione della loro relazione, dall’altro, che le minori che viaggiavano con lei erano, rispettivamente, la figlia e la nipote (figlia della sorella deceduta ed a lei affidata), e di averle portate con sé temendo per la loro incolumità. Nelle more dell’esercizio dell’azione penale, tramite relazione di consulenza medico-legale disposta su ordine del Tribunale per i minorenni era stato accertato (mediante comparazione del DNA) il rapporto di maternità fra l'imputata ed una delle bambine, mentre con riferimento all’altra minore (nel frattempo allontanatasi volontariamente) i servizi sociali avevano riferito che dai colloqui intercorsi era emerso che la stessa fosse effettivamente la nipote dell'imputata e che fosse stata a lei affidata in seguito al decesso della madre. Terminata in dibattimento l’acquisizione delle prove richieste dalle parti, il Giudice adito ha ritenuto di dovere sospendere il processo per disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea , ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, tanto sotto il profilo dell'interpretazione dell'art. 52 par. 1 della Carta in relazione all'art. 12 co. 1 T.U.I., quanto sotto il profilo della validità della normativa dettata dalla direttiva 2002/90/CE2 e dalla decisione quadro 2002/946/GAI3 (congiuntamente, " Facilitators package "). In punto di rilevanza, il Tribunale di Bologna ha evidenziato che la scelta di criminalizzare anche condotte di favoreggiamento all'ingresso sorrette da fini di assistenza umanitaria (come quella concretizzatasi nel caso di specie) indurrebbe a dubitare che la norma penale di cui all'art. 12 co. 1 T.U.I., conforme alla disciplina del Facilitators package , soddisfi anche i criteri di cui all'art. 52 par. 1 della Carta sotto i profili della necessità e della proporzionalità, ovvero del ragionevole bilanciamento dei contrapposti interessi coinvolti. Invero, la nozione di "attività di assistenza umanitaria", contemplata all'art. 1 par. 2 della direttiva 2002/90/CE quale presupposto della scriminante che gli Stati Membri hanno la facoltà di prevedere, non sarebbe ulteriormente definita dal legislatore europeo, e lo Stato italiano, nel prevedere la causa di giustificazione per le sole ipotesi di favoreggiamento del soggiorno irregolare di stranieri già presenti sul territorio , tipizzerebbe più precisamente la nozione all'art. 12 co. 2 T.U.I. con riferimento alle "attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno". Secondo il Giudice di primo grado, sussisterebbe l’irragionevolezza della mancata previsione della scriminante in relazione ad un’ulteriore, seppure circoscritta, categoria di ipotesi, e in particolare nei casi in cui le condotte di facilitazione all'ingresso di stranieri irregolari siano poste in essere con finalità di assistenza umanitaria consistenti nell'agevolare l'interessato nell'esercizio di diritti fondamentali, quali il diritto alla vita e alla incolumità fisica, tutelato agli artt. 2 e 3 della Carta, il diritto d'asilo, tutelato all'art. 18 della Carta, e il diritto al rispetto della vita familiare, tutelato all'art. 7 della Carta. La questione della conformità rispetto al diritto dell'Unione Europea della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 12 co. 1 T.U.I., nei termini appena prospettati, sarebbe stata peraltro dirimente nel caso di specie ai fini della decisione sulla responsabilità dell'imputata, la quale aveva allegato nel corso del processo di essere fuggita dal Paese di provenienza per sottrarsi a minacce di morte rivolte nei propri confronti e nei confronti della propria famiglia, e avere poi presentato domanda di protezione internazionale nelle settimane successive all'ingresso sul territorio nazionale. Tali condotte, a dire del Tribunale, avrebbero potuto essere qualificate come dirette a finalità di assistenza umanitaria, sia sotto il profilo del diritto alla vita delle due minori, minacciato nel Paese d'origine, che sotto il profilo del diritto d'asilo delle due minori, in relazione alla richiesta di protezione internazionale formulata dall'imputata, sia, ancora, sotto il profilo del diritto alla vita familiare , atteso il rapporto di genitorialità e parentela fra le due minori di cui è stato favorito l'ingresso sul territorio nazionale e l'imputata stessa. D’altra parte – prosegue il Giudice penale - qualora fosse stato accertato all'esito del processo che la condotta oggetto del giudizio era stata posta in essere al fine di prestare assistenza umanitaria alle due minori, non si sarebbe comunque potuto escludere, su queste sole basi, la responsabilità penale dell'imputata, in quanto la disciplina di cui all'art. 12 T.U.I. non prevede infatti una corrispondente causa di esclusione della punibilità. Investita della questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia ha innanzitutto riepilogato il quadro giuridico di riferimento, procedendo ad integrare, in quanto già implicitamente contenuti nell'essenza della motivazione del Giudice a quo , i parametri di riferimento utili per la verifica d'interesse. In particolare, il Giudice eurounitario ha evidenziato che a venire in rilievo per la soluzione dei quesiti posti dalla Corte nazionale sono, nell’ambito della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea , non solo l' art. 7 , che garantisce ad ogni persona il diritto al rispetto della sua vita familiare, e l' art. 18 , relativo alla garanzia del diritto di asilo, ma anche l' art. 24 , che al paragrafo 1 dispone, in particolare, che i minori hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il loro benessere, e, al paragrafo 2, prevede che l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private. Conseguentemente, se pure l'art. 1, par. 1, lett. a) della direttiva 2002/90 stabilisce che ciascuno Stato membro adotta sanzioni penali appropriate « nei confronti di chiunque intenzionalmente aiuti una persona che non sia cittadino di uno Stato membro ad entrare o a transitare nel territorio di uno Stato membro in violazione della legislazione di detto Stato relativa all’ingresso o al transito degli stranieri », tale articolo non può essere interpretato nel senso che rientri nei comportamenti illeciti da esso previsti la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, faccia entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di Paesi terzi di cui è effettivamente affidataria. A ciò osta innanzitutto l'esame degli obiettivi che la suddetta direttiva si propone, in quanto, anche se la formulazione aperta dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), sopra richiamato si presta a diverse interpretazioni, la condotta illegale di accompagnamento di minori di cui la straniera è affidataria costituisce non già un favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che la direttiva in questione mira a combattere, ma deriva dall’assunzione diretta, da parte di tale persona, della responsabilità che le incombe in quanto per l’appunto affidataria di detti minori. In altri termini, interpretare troppo estensivamente la norma eurounitaria in questione comporterebbe un’ingerenza particolarmente grave nel diritto al rispetto della vita familiare e dei diritti del minore , sanciti, rispettivamente, agli articoli 7 e 24 della Carta, al punto da pregiudicare il “contenuto essenziale” di tali diritti fondamentali, ai sensi dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta. La lesione di tale contenuto essenziale deriverebbe dal fatto stesso di “criminalizzare” una condotta che non è altro che l’espressione particolare e concreta della responsabilità generale degli adulti sui minori ad essi affidati, in quanto, nel caso di specie, l’immigrato clandestino “si limita, in linea di principio, ad assumere concretamente un obbligo inerente alla sua responsabilità personale, che si fonda sul suo rapporto familiare con detti minori, al fine di garantire loro la protezione e le cure necessarie al loro benessere nonché al loro sviluppo”. D’altra parte, siffatta interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90 si impone anche alla luce dell’articolo 18 della Carta, qualora la persona interessata, una volta entrata nel territorio dello Stato membro di cui si tratta, abbia presentato una domanda di protezione internazionale, così come avvenuto nel caso trattato dal Giudice a quo . Invero, il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra e conformemente al Trattato UE e al Trattato FUE, e l’applicazione della citata direttiva 2002/90 non pregiudica la protezione concessa ai rifugiati e ai richiedenti asilo e, in particolare, l’osservanza, da parte degli Stati membri, delle loro obbligazioni internazionali ai sensi, in particolare, dell’ articolo 31 della convenzione di Ginevra . Ed è anche in virtù di tali obblighi che deve essere riconosciuto il diritto di qualsiasi cittadino di un Paese terzo o di un apolide di presentare una domanda di protezione internazionale nel territorio di uno Stato membro, comprese le sue frontiere o le zone di transito, anche qualora egli si trovi in una situazione di soggiorno irregolare in detto territorio, a prescindere dalle possibilità di successo della sua domanda. La Corte di Giustizia ha pertanto concluso nel senso che non rientra nei comportamenti illeciti di favoreggiamento dell’ingresso illegale la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, fa entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di paesi terzi che l’accompagnano e di cui è effettivamente affidataria e, dall’altro lato, che l’articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90, letto alla luce degli articoli 7 e 24 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali, osta a una normativa nazionale che sanziona penalmente una siffatta condotta. I REATI E LE SCRIMINANTI L’ art. 12 del testo unico sull’immigrazione contiene più fattispecie delittuose, e, in particolare: - la condotta di chi promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l'ingresso nel territorio dello Stato, ovvero di altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente ( comma 1 ); - la condotta, residuale, di chi, al fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero o nell'ambito delle attività punite a norma dell'articolo de quo , favorisce la permanenza di questi nel territorio dello Stato in violazione delle norme del testo unico ( comma 5 ); - la condotta di colui che, a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, dà alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo del contratto di locazione ( comma 5-bis ). D’altra parte, alcune delle norme contenute nell’art. 12 del testo unico sull'immigrazione, e in particolare i suoi commi 1, 3, 3-bis e 3-ter , investono una materia interessata da obblighi assunti in sede di diritto internazionale e imposti dal diritto dell’Unione europea. Viene anzitutto in considerazione il Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità transnazionale organizzata per combattere il traffico illecito di migranti via terra, via mare e via aria (cosiddetto Protocollo di Palermo ), il cui art. 6, paragrafo 1, obbliga gli Stati parte a criminalizzare tra l’altro, allorché il fatto sia commesso intenzionalmente e a scopo di profitto, il «traffico di migranti» («smuggling of migrants»). L’indicato art. 6, al paragrafo 3, impone poi a ciascuno Stato parte di adottare le misure legislative e di altra natura che si rendano necessarie a conferire il carattere di circostanze aggravanti del reato di traffico di migranti alla messa in pericolo della vita o dell’incolumità dei migranti interessati (lettera a), ovvero alla loro sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, incluso lo sfruttamento (lettera b). Gli obblighi di criminalizzazione stabiliti dal Protocollo in parola sono, dunque, limitati a condotte commesse a scopo di profitto, mentre l’obbligo di prevedere specifici aggravamenti di pena sussiste solo per le ipotesi coperte oggi, nel diritto italiano, dall’art. 12, comma 3, lettere b) e c), t.u. immigrazione, relative rispettivamente all’esposizione a pericolo per la vita o l’incolumità del migrante e alla sua sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti. Quanto al diritto dell’Unione europea, gli obblighi di incriminazione in materia sono essenzialmente quelli stabiliti dal combinato disposto della decisione quadro 2002/946/GAI del Consiglio, del 28 novembre 2002 , relativa al rafforzamento del quadro penale per la repressione del favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, e dalla direttiva, adottata in pari data, 2002/90/CE del Consiglio , volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (che assieme formano il cosiddetto “ Facilitators Package ”). Secondo questi obblighi, le correlative sanzioni penali devono essere “effettive, proporzionate e dissuasive”. Quanto al bene-interesse protetto dalla norma penale, l’intera gamma delle ipotesi delittuose descritte dall’art. 12 t.u. immigrazione ha quale comune oggetto di tutela l’ ordinata gestione dei flussi migratori , interesse definibile quale bene giuridico “strumentale”, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici “finali”, di sicuro rilievo costituzionale, potenzialmente a rischio nel caso di fenomeni di immigrazione incontrollata, quali, in particolare, gli equilibri del mercato del lavoro, le risorse (limitate) del sistema di sicurezza sociale, l’ordine e la sicurezza pubblica. D'altra parte - e ciò si evince con forza dal dialogo instauratosi nel caso in commento, e sullo specifico punto, tra Giudice penale interno e Giudice eurounitario - dall'esame degli obiettivi che la sopra richiamata direttiva 2002/90/CE del Consiglio si propone, la condotta illegale di accompagnamento di minori di cui la straniera è affidataria non costituisce un favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che la direttiva in questione mira a combattere, ma deriva dall’assunzione diretta, da parte di tale persona, della responsabilità che le incombe in quanto per l’appunto affidataria di detti minori. Sotto altro profilo, poi, l’interpretazione meno estensiva della disciplina eurounitaria sulla illiceità delle condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è corroborata anche dal citato protocollo di Palermo sul traffico di migranti, protocollo, il quale, all’articolo 2, si pone l’obiettivo di criminalizzare il traffico di migranti, proteggendo al contempo i diritti dei migranti stessi. Ne consegue che i presupposti applicativi stabiliti dal comma 2 dell'art. 12 del d.lgs. n. 286 del 1998 per il riconoscimento dell'esimente speciale (" Fermo restando quanto previsto dall'articolo 54 del codice penale, non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato" ) devono conformarsi a tali principi. In particolare, secondo l'interpretazione della Corte di Giustizia sul punto, la scriminante speciale prevista dall’articolo 12, comma 2, del Testo Unico sull’Immigrazione (cosiddetta "scriminante umanitaria" ) non solo possiede un ambito di operatività più ampio rispetto allo stato di necessità disciplinato dall’ articolo 54 del codice penale - che per potersi ritenere configurato richiede il pericolo attuale di grave danno alla persona, e non l'esistenza di una mera condizione di bisogno -, ma deve concepirsi come ancora più elastica ed estesa, per non incorrere in una violazione del diritto eurounitario. Invero, la norma in questione individua uno specifico ambito spaziale per la sua applicabilità, posto che la condotta del soggetto agente non sarà punibile solo se lo straniero si trovi già nel territorio italiano, mentre, secondo la Corte di Giustizia - ciò che non potrà non avere anche riflessi sul piano della responsabilità della donna imputata dinanzi al Tribunale di Bologna - l'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2002/90/CE del Consiglio, del 28 novembre 2002, volta a definire il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali, letto alla luce degli articoli 7 e 24 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, osta ad una normativa nazionale che sanzione penalmente la condotta di una persona che, in violazione del regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone, fa entrare nel territorio di uno Stato membro minori cittadini di paesi terzi che l’accompagnano e di cui è effettivamente affidataria. In altri termini, delle due l'una, interpretando il dictum dei Giudici unionali (e, dunque, secondo il diritto sovranazionale vincolante): o l'esercizio del diritto lato sensu genitoriale è da considerarsi "assistenza umanitaria" prestata nei confronti degli stranieri (minori) in condizioni di bisogno, anche se costoro non sono presenti nel territorio dello Stato (con effetto estensivo della scriminante già esistente), oppure, accanto alla cosiddetta scriminante umanitaria , le norme in materia di immigrazione devono contemplare anche la cosiddetta scriminante familiare del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ovvero l'accompagnamento illecito oltre la frontiera di minori affidati al soggetto che scappa da situazioni di pericolo per la sua vita.