Adozione di maggiorenne nell’ambito dell’unione civile tra persone dello stesso sesso
Tribunale Benevento, sez. I, 22 maggio 2025, n. 1090, Pres. M.I. Romano, est. A. De Luca
IL CASO E LA DECISIONE
P.S. si è unita civilmente (ai sensi della l. n. 76 del 2016), con P.A., convivendo altresì con R.C., figlia di quest’ultima madre, avuta nell’ambito di un precedente legame affettivo con il deceduto R.A..
P.S., quindi, ha proposto domanda di adozione di maggiorenne, in favore di R.C., asserendo il forte legame affettivo con quest'ultima. Nel corso del giudizio sono state sentite R.C. e la madre naturale P.A.: la prima ha espresso la volontà di essere adottata da P.S.; la seconda ha manifestato il proprio consenso all'adozione. Il PM ha espresso parere favorevole.
Il Tribunale di Benevento, all’esito del giudizio, ha disposto l’adozione di R.C., da parte di P.S. precisando che l'adottata posponesse il cognome dell'adottante al proprio, venendosi per l'effetto a chiamare R.P.C..
Sotto il profilo giuridico, occorre premettere che Il legislatore, con la richiamata l. n. 76 del 2016 ha disciplinato le c.d. unioni civili tra persone dello stesso sesso, introducendo una specifica ipotesi di “formazione sociale”, in conformità ai precetti programmatici di cui agli artt. 2 e 3 Cost..
Secondo il Tribunale, quindi, anche a livello normativo la relazione di coppia omosessuale rientra nella nozione di “vita privata”, nonché di “vita familiare”.
D’altronde, il legislatore non disciplina l’adozione del figlio del partner dello stesso sesso (cd. stepchild adoption), neppure nel caso in cui l'adottando sia maggiorenne, atteso che la l. n. 76 del 2016 non menziona l’art. 291 c.c. tra le norme applicabili alle unioni civili.
Secondo il Tribunale, però, ciò non esclude che tale lacuna possa essere colmata in via interpretativa per garantire il diritto dei figli alla certezza e stabilità del rapporto con coloro che effettivamente esercitano il ruolo genitoriale.
L'adozione di maggiorenni, infatti, ha la funzione di riconoscimento giuridico di una relazione sociale, affettiva e identitaria, nonché di una storia personale tra adottante e adottando, diventando così uno strumento volto a consentire la formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da saldi vincoli personali, morali e civili.
Quindi, il Giudice di prime cure asserisce che non vi sarebbe ragione per escludere tale forma di adozione anche alle unioni civili, in mancanza di espressa preclusione normativa in tal senso: perciò, se tale possibilità è ammessa dalla giurisprudenza più recente nell'ipotesi, diversa e più complessa per la minore età dell'adottando, dell'adozione del minore “in casi particolari”, non vi sarebbe ragione per non ammettere la stepchild adoption nel caso di adozione di maggiorenne, essendo la finalità perseguita sempre quella di consentire la formazione di famiglie tra soggetti legati di fatto da saldi vincoli personali.
L'orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di stepchild adoption del minore muove dall'affermazione che “il desiderio di avere figli, "naturali" o adottati, rientra nell'ambito del diritto alla vita familiare, nel vivere liberamente la propria condizione di coppia riconosciuto come diritto fondamentale, anzi, ne è una delle espressioni più rappresentative.
Pertanto, una volta valutato in concreto il superiore interesse del minore ad essere adottato e l'adeguatezza dell'adottante a prendersene cura, un'interpretazione dell'art. 44 l. n. 184/1983 che escludesse l'adozione per le coppie omosessuali, solo in ragione dell'orientamento sessuale, sarebbe un'interpretazione non conforme al dettato costituzionale, in quanto lesiva del diritto di uguaglianza” [1].
Ed ancora, l'orientamento sessuale e il rapporto di coniugio degli adottanti non rappresentano limiti elevati al rango di principi di ordine pubblico internazionale. Nella genitorialità sociale, dice la corte, «l'imitatio naturae manca ab origine ed è ampiamente compensata dalle ragioni solidaristiche dell'istituto e, con riferimento al minore, dalla realizzazione, da assoggettarsi a verifica giurisdizionale, del processo di sviluppo personale e relazionale più adeguato alla sua crescita» [2].
Secondo tale orientamento giurisprudenziale, la mancata previsione legislativa dell'accesso all'adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all'orientamento consolidato in giurisprudenza anche prima dell'entrata in vigore della legge sulle unioni civili a favore di tale adozione. Infatti, con l'entrata in vigore della legge sulle unioni civili “resta fermo” (ex art. 1, comma 20, l. n. 76 del 2016) quanto previsto non solo dalla legge, ma dal c.d. diritto vivente, ossia dall'interpretazione che della disciplina sulle adozioni è stata fornita dalla giurisprudenza, “che, nel pieno rispetto del diritto del minore, inserito in una famiglia same sex, ha dato tutela ad una bigenitorialità, ancorché realizzata tramite l'adozione in casi particolari, attributiva di uno status filiationis” [3].
Nel solco di tale orientamento, il Tribunale di Milano, in tema di trascrizione in Italia dell'atto di nascita formato all'estero relativo a bambino con genitori dello stesso sesso, ha ribadito che la scelta del legislatore italiano nell'ambito della l. n. 76 del 2016 di non prevedere la c.d. stepchild adoption non può indurre a ritenere contraria all'ordine pubblico tale tipologia genitoriale, dal momento che non solo all'estero la stessa è pacificamente prevista e tutelata, ma anche in Italia la genitorialità same sex ha ormai trovato riconoscimento sulla base nell'interesse del minore, “a conferma dell'assenza di superiori, contrari e ineludibili principi di rango primario alla genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso; non esistendo del resto dati scientifici che attestino la rilevanza dell'orientamento sessuale dei genitori sul benessere dei figli” [4].
In definitiva, secondo il Tribunale di Benevento, va data prevalenza e tutela all'interesse al riconoscimento del rapporto genitoriale di fatto instauratosi con l'altra figura genitoriale sociale anche se dello stesso sesso, ciò in assenza di ostacoli di natura normativa o di altra natura in tal senso.
In materia è recentissimo l'arresto del Tribunale Minorenni Trento del 11 giugno 2024 che, nel condividere l'elaborazione giurisprudenziale sopra ricordata, ha ribadito che la nuova normativa ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di “famiglia” (è inequivoco il riferimento, nella normativa, alla “vita familiare”, a tacer d'altro), così offrendo all'adozione in casi particolari un substrato relazionale solido, sicuro, giuridicamente tutelato.
La legge di nuovo conio ha evidenziato, con l'articolo 1, co. 20, che: “al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso”, mentre l'ultimo periodo del medesimo comma prevede che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
Tal ultima locuzione è stata interpretata come clausola di salvaguardia espressiva, nel momento in cui “consente”, della volontà di dare continuità all'interpretazione giurisprudenziale così come sviluppatasi nel tempo, di modo che pare evidente che dalla legge 76/2016 non emerge affatto una volontà del Legislatore di delimitare più rigidamente i confini interpretativi dell'adozione in casi particolari ma, semmai, emerge la volontà contraria.
In definitiva, ove l'adozione risponda all'interesse dell'adottando e vi sia il consenso di tutti i soggetti interessati “non si comprende come possano essere posti ostacoli alla richiesta di adozione se non per il prevalere di pregiudizi legati ad una concezione dei vincoli familiari non più rispondente alla ricchezza e complessità delle relazioni umane nell'epoca attuale. Del resto, proprio la interpretazione evolutiva della Corte EDU della nozione di vita familiare di cui all'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, è giunta ad affermare che nell'ambito della vita familiare deve annoverarsi il rapporto fra persone dello stesso sesso, rapporto che non può quindi essere escluso dal diritto di famiglia con la conseguenza che non già le aspirazioni o i desideri degli adulti debbano avere necessariamente pari riconoscimento da parte dell'ordinamento, bensì i diritti dei bambini” [5].
Sotto altro e concorrente profilo, secondo il Tribunale di Benevento, la differenza di età di circa 16 anni tra la ricorrente e l'adottanda non sarebbe di ostacolo all'accoglimento della domanda. Infatti, si afferma in giurisprudenza che l’art. 291 c.c., nel richiedere la differenza di diciotto anni tra adottante e adottando, introduca una ingiusta limitazione e compressione dell'istituto dell'adozione di maggiorenne nell'accezione e configurazione sociologica assunta negli ultimi decenni, ciò in contrasto con le previsioni di cui all’art. 30 Cost., e all'art. 8 CEDU.
In tal senso, “in tema di adozione del maggiorenne, il giudice nell'applicare la regola che impone il divario minimo di età di 18 anni tra l'adottante e l'adottato, deve procedere ad una interpretazione dell'art. 291 c.c. compatibile con l’art. 30 Cost., secondo la lettura data dalla Corte Costituzionale e in relazione all'art. 8 CEDU, che consenta, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, una ragionevole riduzione di tale divario minimo al fine di tutelare situazioni familiari consolidatesi da tempo e fondate su una comprovata affectio familiaris” [6].
Ed ancora, “in tema di adozione del maggiorenne, non appare ostativa una differenza di età fra l'adottante e l'adottando pari a 14 anni e sei mesi in luogo dei 18 anni previsti dalla legge a fronte di una convivenza quasi decennale fra i soggetti interessati. Tale convivenza, nel caso di specie, depone inequivocabilmente nel senso della ragionevole riduzione del divario minimo, al fine di tutelare la situazione familiare consolidatasi da tempo e fondata sulla comprovata affectio familiaris. L'ammissibilità dell'adozione, dunque, pur in difetto della differenza di età fissata dall'’art. 291 c.c., risulta possibile dall'interpretazione costituzionalmente orientata, in conformità all'art. 30 cost. e all'art. 8 Cedu, secondo quanto ormai chiarito dalla giurisprudenza di legittimità” [7].
Il Tribunale di Benevento, quindi, applicando tali principi al caso in esame, ha ritenuto che, seppur l'adottante presenta una differenza di età con l'adottanda di sedici anni, quest'ultima ha attualmente quarant'anni e vive con l'adottante e la madre naturale (unite civilmente) dall'età di tredici anni, costituendo a tutti gli effetti un nucleo familiare consolidato e compatto da quasi trent'anni.
Ciò che viene in rilievo è la richiesta di concretizzare la lunga convivenza “di fatto” tra l'adottante e l'adottanda, attraverso un riconoscimento formale che sancisca la consolidata comunione di affetti e di vita vissuta. La sussistenza di un effettivo rapporto genitoriale instauratosi fra il genitore sociale e la figlia della propria partner è emersa anche in sede di audizione personale delle parti coinvolte in detta vicenda.
Il Giudice ha valorizzato il fatto che all’udienza del 9 luglio 2024 R.C. ha dichiarato di voler “essere adottata da P.S.”, in quanto è stata il suo “punto di riferimento”, avendola cresciuta dall'età di 5 anni e convivendo con lei dall'età di 13 anni. Dichiarazioni che hanno trovato conferma, oltre che dalla stessa P.S., anche dalla madre naturale dell'adottanda che, nel non opporsi a tale volontà, ha ribadito l'intensità del loro legame affettivo.
Pertanto, su tali considerazioni, secondo il Tribunale, impedire questo tipo di adozione “ritenendo insuperabile la differenza minima di età di ben diciotto anni ”, costituirebbe espressione di un'interpretazione puramente letterale della norma che non tiene conto, a parere del collegio, di argomentazioni di carattere sistematico ed evolutivo.
La riduzione di tale divario di età appare ragionevole alla luce delle circostanze del caso concreto, essendo volta a tutelare la situazione familiare consolidatasi nel tempo e fondata su una comprovata affectio familiaris.
[1] Tribunale Minorenni Roma, 23 dicembre 2015.
[2] Cass. Civ., Sez. Un., n. 9006 del 2021.
[3] Tribunale Minorenni Bologna, 6 luglio 2017.
[4] Tribunale Milano, sez. VIII, sent. 15 novembre 2018.
[5] Tribunale Minorenni Trento, 11 giugno 2024.
[6] Cass. Civ., sez. I, n. 7667 del 2020.
[7] Tribunale Viterbo, 25 novembre 2022.