Contraddittorio preventivo con il contribuente e prova di resistenza: contenuto e valutazione

Alma Chiettini • 12 agosto 2025

Cass. civ., sez. unite, 25.7.2025, n. 21271


L’art. 6 bis della l. n. 212 del 2000 (introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 219 del 2023, come interpretato autenticamente dall’art. 7 bis del d.l. n. 39 del 2024 e attuato dal d.m. 24.4.2024) è una disposizione innovativa che (salvo talune eccezioni indicate nel suo comma 2) ha introdotto anche nell’ordinamento tributario il principio generale di obbligatorietà del contraddittorio procedimentale, “informato ed effettivo”, mediante la comunicazione al contribuente di uno “schema d’atto” con contestuale fissazione del termine di sessanta giorni per la presentazione di controdeduzioni e dell’obbligo a carico dell’Amministrazione di motivare le osservazioni non accolte.

Precedentemente, nell’ordinamento tributario italiano non era codificato per l’Amministrazione finanziaria il generale obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, anche alla luce del fatto che l’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000 prevedeva il contraddittorio solo per gli accertamenti consequenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, con esclusione quindi delle verifiche cc.dd. “a tavolino”.

Nell’ordinamento dell’Unione europea, invece, l’obbligo generale di attivazione del contraddittorio in capo all’Amministrazione rappresenta un principio pienamente acquisito e la giurisprudenza unionale afferma da tempo che il diritto a una buona amministrazione sancito dall’art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è inteso anche come “il diritto a che le questioni siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione”. Tuttavia, sempre secondo la giurisprudenza unionale, la violazione dell’obbligo di contraddittorio, in assenza di una norma specifica che ne definisca in termini puntuali le conseguenze, comporta l’invalidità dell’atto solo quando il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e se, in mancanza del suddetto vizio, il procedimento si sarebbe potuto concludere in maniera diversa. 

Questo criterio è stato recepito dal giudice nazionale il quale ha riconosciuto che i principi fondamentali del diritto europeo impongono, nell’ambito dei cosiddetti “tributi armonizzati”, ove ha luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, un generale obbligo dell’Amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo solo quando il contribuente assolve alla “prova di resistenza” (Cass. civ., sez. unite, 9.12.2015, n. 24823).

La giurisprudenza nazionale successiva alla fondamentale pronuncia delle Sezioni Unite del 2015 ha fornito interpretazioni oscillanti sull’oggetto della prova di resistenza. Alcune sentenze hanno richiesto l’allegazione da parte del contribuente delle ragioni che avrebbe potuto far valere e non ha proposto, correlando la valutazione di non pretestuosità alla astratta rilevanza delle difese non potute svolgere in relazione all’addebito contestato, ossia alla loro idoneità a incidere sull’esito del procedimento, senza accenno a valutazioni giudiziali di tipo prognostico sui diversi possibili esiti procedimentali; altre sentenze invece ritenuto necessario la verifica in concreto dell’impatto del vizio sul procedimento, talora inasprendo il contenuto della prova di resistenza mediante la richiesta al contribuente della dimostrazione della idoneità delle ragioni addotte a incidere a suo favore sull’esito finale dell’accertamento.

La sentenza a sezioni unite qui segnalata ha bene chiarito l’oggetto della prova di resistenza affermando il seguente principio di diritto: «con riguardo alla disciplina previgente ed alle verifiche ‘a tavolino’ su tributi armonizzati, la violazione dell’obbligo di contraddittorio procedimentale comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto gli ‘elementi in fatto’ che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, fittizia o strumentale, tale essendo quella non idonea, secondo una valutazione probabilistica ex ante spettante al giudice di merito, a determinare un risultato diverso del procedimento impositivo».

La Corte è giunta a tale conclusione, invero di portata generale in tema di “prova di resistenza”, osservando che:

- il contraddittorio preventivo ha natura endoprocedimentale, non processuale, ed è funzionale alla costruzione istruttoria della fattispecie impositiva mediante l’allegazione di “fatti e circostanze” di cui l’Amministrazione non è a conoscenza, operando essa da una sfavorevole posizione iniziale di asimmetria informativa che può essere colmata solo con l’apporto conoscitivo del contribuente; l’accollo della prova di resistenza a carico del contribuente trova giustificazione proprio in questa strutturale asimmetria e nella correlata vicinanza al contribuente dell’elemento da acquisire;

- la potenzialità del richiesto “risultato diverso” (che costituisce il nucleo dimostrativo fondamentale) deve essere comprovata con la “specifica indicazione dei fatti e delle informazioni mancate”, in una con la loro concreta e ragionevole idoneità a orientare l’Amministrazione a non più adottare il provvedimento impositivo, oppure ad adottarlo con un contenuto oggettivamente o soggettivamente più mite;

- i fatti deducibili nel contraddittorio preventivo non sono necessariamente gli stessi che possono essere dedotti in sede giurisdizionale; 

- il giudice di merito, nell’esaminare il vizio di mancato esperimento del contraddittorio endoprocedimentale, deve “compiere - prima ed indipendentemente dal giudizio di fondatezza dell’impugnazione - una valutazione rispondente ai tipici canoni della prognosi postuma ex ante (perché riguardante il momento dell’omesso contraddittorio preventivo), ispirata a parametri di fattualità, specificità, concretezza, probabile idoneità causale dell’elemento tralasciato a sortire un risultato diverso del procedimento impositivo, solo per questa via escludendosi il carattere meramente pretestuoso, vacuo e strumentale dell’istanza”.

In definitiva, la prova di resistenza deve avere ad oggetto “elementi di tipo fattuale” e non di natura esclusivamente giuridica, elementi che si presentino attinenti e rilevanti nella fattispecie concreta, elementi che si dimostrino potenzialmente idonei, indipendentemente dalla loro fondatezza, a deviare in senso favorevole al contribuente l’esito dell’istruttoria accertativa.