Avvocati e collegi consultivi tecnici: una irragionevole discriminazione

a cura di Federico Smerchinich • 11 agosto 2025

TAR Lazio, Roma, sentenza n. 9437 pubblicata il 19 maggio 2025

IL CASO E LA DECISIONE

(commento di Federico Smerchinich)


Tra i vari strumenti che il legislatore ha previsto per risolvere in maniera alternativa, o meglio preventiva, le controversie nell’ambito dell’esecuzione dei contratti pubblici, vi è il collegio consultivo tecnico (di seguito “CCT”), introdotto dal d.l. n. 76/2020, il c.d. decreto “Semplificazioni”, nella vigenza del d.lgs. n. 50/2016, e confermato, oltre che aggiornato, dal d.lgs. n. 36/2023 e dal suo correttivo. Questo istituto sta riscontrando particolare successo pratico, ma è anche stato fonte di dibattito e discussione nelle aule giudiziarie, come nella sentenza in commento.

Difatti, uno degli snodi cruciali dell’applicazione di questo istituto è capire chi ne possa essere membro o presidente.

Il caso portato all’attenzione della giurisprudenza amministrativa prende le mosse da un ricorso proposto da alcuni avvocati in proprio e dall’Ordine degli avvocati di Roma per l’annullamento in parte qua del decreto del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili (di seguito “MIMS”) n. 12 del 17.01.2022, di adozione delle linee guida per l’omogenea applicazione da parte delle stazioni appaltanti delle funzioni del collegio consultivo tecnico. 

Difatti, l’art. 6 comma 8 bis d.lgs. n. 76/2020 ha individuato nel MIMS il soggetto che deve determinare i requisiti per accedere al ruolo di membro del CCT e tale Ministero ha predisposto un decreto contenente i requisiti e le indicazioni sulle compatibilità con tali ruoli, ma escludendo gli avvocati del libero foro da tale possibilità. 

Nell’ambito del giudizio in commento vi è stato anche l’intervento ad adiuvandum di un’associazione specialistica che rappresenta parte degli avvocati amministrativisti. 

Nella sostanza i ricorrenti hanno contestato che il decreto del MIMS avrebbe esplicitamente escluso gli avvocati del libero foro dalla possibilità di ricoprire il ruolo di presidente dei CCT. In particolare, è stato evidenziato che l’allegato A al decreto del MIMS, nel fissare i requisiti esperienziali per la nomina del "giurista", non avrebbe contemplato, tra i professionisti ivi elencati, gli avvocati del libero foro come possibili presidenti del CCT.

Una soluzione che sarebbe stata contraddittoria rispetto all’art. 6 d.l. n. 76/2020 che aveva introdotto questo istituto, ma anche discriminatoria rispetto alla nomina degli avvocati in altri ruoli come quello di giudice della Corte Costituzionale, membro laico del CSM o membro della Camera Arbitrale presso l’ANAC, dove l’avvocato del libero foro è equiparato ad altre figure professionali.

I ricorrenti hanno anche ricordato che la legge professionale forense n. 247/2012 riconosce agli avvocati del libero foro un ruolo di rilevanza pubblicistica e gli garantirebbe, quale prerogativa dell’istituto, un ruolo negli organi di natura tecnica.

Infine, è stata contestata altresì l’assenza del parere del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici da parte del MIMS prima della stesura del decreto impugnato.

Da parte sua, il Ministero si è difeso sostenendo che il decreto ammetterebbe comunque la partecipazione degli avvocati alla presidenza dei CCT, purché dimostrino il possesso di certi (ulteriori) requisiti.

Nelle more del processo, dopo l’accoglimento dell’istanza cautelare con sospensione degli atti contestati, è mutata la disciplina sui contratti pubblici, con la pubblicazione del d.lgs. n. 36/2023, dove l’istituto del CCT è stato riconfermato e "istituzionalizzato"; d'altra parte, la disciplina in materia di requisiti tecnici per la nomina come componente e presidente di CCT è stata resa autonoma dal decreto ministeriale del 2022 soltanto con la pubblicazione del c.d. "correttivo" al codice (d.lgs. n. 209/2024). I ricorrenti hanno in ogni caso manifestato la permanenza del loro interesse alla decisione del ricorso, in quanto, pur avendo la sopravvenienza normativa eliminato la presunta discriminazione ai danni degli avvocati del libero foro, soltanto la conferma nel merito dell'illegittimità del pregresso decreto ministeriale avrebbe potuto consolidare gli effetti positivi derivanti dalla nomine nel frattempo avvenute in favore dei singoli professionisti, sulla base della sospensiva accordata dal TAR.

In via preliminare, il Giudice di primo grado ha dichiarato inammissibile l’intervento ad adiuvandum di un avvocato in proprio, richiamando la giurisprudenza che non ritiene possibile l’intervento in giudizio della parte che avrebbe potuto proporre ricorso autonomo, e quello dell’associazione specialistica, rilevando in tal caso la sostanziale non omogeneità della posizione di tutti gli iscritti dell’associazione, tenuto conto che per ogni categoria professionale contemplata dal gravato punto 2.4.2., lett. c), dell’Allegato A, del d.m. n. 12/2022 era richiesto il possesso di una specifica esperienza decennale per poter assumere l’incarico di presidente del CCT, e che non fosse dunque "escluso che alcuni degli iscritti all’associazione, per ragioni di carattere temporale, non possiedano ancora tale requisito e, quindi, non possano attualmente ambire allo svolgimento dell’incarico in questione (...)".

Secondariamente, il TAR si è pronunciato sulla permanenza dell’interesse a ricorrere dei ricorrenti. In particolare, il giudice di prime cure ha concordato con i ricorrenti sul fatto che, mentre il d.lgs. n. 36/2023, con gli artt. 215-219, ha superato la fase transitoria disposta dal d.l. n. 76/2020, rinviando comunque alla disciplina del d.m. n. 12/2022 contestato, solo con il cd. correttivo si è definitivamente abbandonato tale decreto ministeriale.

Da questo momento in poi, infatti, è stato lo stesso d.lgs. n. 36/2023 a divenire fonte normativa del CCT tramite il suo allegato V.2 art. 2 rubricato “Requisiti e incompatibilità”.

Alla luce di questa disamina, il TAR ha accertato la permanenza dell’interesse a ricorrere relativamente agli incarichi di presidente assunti prima della novella legislativa introdotta con il correttivo d.lgs. n. 209/2024, nelle more consentita solo in virtù della sospensione cautelare richiesta e concessa con riferimento allo stesso decreto ministeriale oggetto di impugnazione.

Difatti, dal correttivo in avanti è pacifico che anche gli avvocati del libero foro possono divenire presidenti del CCT in presenza dei requisiti richiesti. Inoltre, il TAR ha precisato che i requisiti di cui alle lett. da a) ad f) dell’art. 2 comma1 allegato V.2. d.lgs. n. 36/2023 possano essere cumulati.

Dopo aver risolto le questioni di rito, il TAR ha proceduto all'esame di merito del ricorso, ritenendo illegittimo che gli avvocati del libero foro non fossero stati espressamente annoverati tra le figure professionali che il MIMS aveva incluso nella categoria dei giuristi di cui all’art. 2.4.2. lett. c) del d.m. 12/2022, in quanto tali idonei a divenire presidenti del CCT.

Secondo il TAR, questa esclusione sarebbe irragionevole, dato che consentirebbe solo agli avvocati con esperienza ultra decennale da presidente presso le commissioni per l’accordo bonario di divenire presidente di CCT, anche considerando che ormai le commissioni per l’accordo bonario sono un istituto in disuso.

Inoltre, il TAR ha rilevato un interessante profilo di illegittimità del decreto, laddove, pur escludendo gli avvocati del libero foro, giustappone a qualifiche derivanti da un rapporto di dipendenza con lo Stato, altre qualifiche prive di un vincolo funzionale con l’amministrazione statale (es. dirigenti di stazioni appaltanti con personalità giuridica di diritto privato) che agiscono iure privatorum e solo occasionalmente sono funzionali al raggiungimento di interessi pubblici. Un’equiparazione in melius di tali soggetti con i dipendenti delle amministrazioni statali che si rivela dunque anch'essa irragionevole e discriminatoria, se confrontata con la contestuale decisione di escludere da tale ambito gli avvocati.

In conclusione, il TAR ritiene che la scelta del MIMS di escludere gli avvocati del libero foro dai soggetti che possono essere presidenti del CCT non risulta espressione di un corretto e ragionevole esercizio della discrezionalità riconosciuta al Ministero dall’art. 6 comma 8 bis d.l. n. 76/2020, anche considerando che questa norma al comma 1 prevede che una delle funzioni del CCT sia quella di prevenire e risolvere le controversie nella fase esecutiva dei contratti pubblici e che l’esclusione si pone in contraddizione con la possibilità di nominare gli avvocati come membri della Camera Arbitrale presso l’ANAC di cui all’art. 210 d.lgs. n. 36/2023.

All’esito di tali argomentazioni, il TAR ha accolto dunque il ricorso, precisando tuttavia che, stante l’intervento del correttivo sul d.lgs. n. 36/2023 - che ha, di fatto, abrogato il d.m. n. 12/2022 -, nessuna modifica normativa deve essere apportata dal MIMS in conseguenza di tale pronuncia. 


I GIURISTI DI CARRIERA E IL NUOVO ISTITUTO: LIMITI E PERICOLI

(annotazione a cura di Roberto Lombardi)


Sembra abbastanza paradossale che il TAR Lazio abbia dovuto "sbloccare", prima con una pronuncia cautelare e poi con una decisione "confermativa" di merito, la possibilità di nomina come presidente di CCT per gli avvocati.

Se infatti si guarda agli obiettivi dell'istituto, alle competenze richieste e all'effettiva vicinanza alle parti di chi presiede il Collegio, la figura dell'avvocato "esperto" pare garantire al meglio (o quasi) una buona interpretazione del ruolo.

Più discutibile invece è lo sdoganamento normativo, senza se e senza ma, in favore dei magistrati, per lo svolgimento di questo ruolo. Dopo il divieto assoluto di arbitrati, stabilito nell'ormai lontano 2012 dalla Legge Severino, qualcuno si è chiesto, non senza ragioni, se il legislatore del 2020 ("decreto semplificazione" del luglio 2020), che ha introdotto i Collegi Consultivi Tecnici, non abbia di fatto aggirato il divieto.

D’altra parte, posto che il Collegio Consultivo Tecnico ha la funzione di assistenza per la rapida risoluzione delle controversie, o delle dispute tecniche di ogni natura, suscettibili di insorgere nel corso dell’esecuzione del contratto di affidamento di lavori diretti alla realizzazione di opere pubbliche, ivi inclusi i lavori di manutenzione straordinaria, e che per i lavori sopra soglia l’istituzione del Collegio Consultivo Tecnico è obbligatorio, trattasi in ogni caso di attività consultiva.

Ciò la distingue nettamente dall'attività degli arbitrati: il collegio consultivo, infatti, non dirime una controversia, ma previene e affianca la stazione appaltante nella fase esecutiva, ovvero – nell’ipotesi di collegi consultivi tecnici facoltativi - anche nella fase di stesura di predisposizione del bando e di scelta del contraente.

Tuttavia, secondo la linea di pensiero critica nei confronti della forte apertura del nuovo istituto ai magistrati, il rischio di possibili pregiudizi alla imparzialità di questa articolare tipologia di giurista, che aveva giustificato il divieto degli arbitrati, è qui forse ancora maggiore, data la inevitabile commistione tra magistrato e stazione appaltante.

Di certo, un ruolo fondamentale spetta alla disciplina interna dei singoli organi di autogoverno, a cui è devoluto il compito di meglio definire regole che la normativa ha lasciato a maglie larghe.

Il sistema ideale sarebbe quello del conferimento, basato su criteri oggettivi e rigidamente predeterminati, in grado di ridimensionare la possibilità di vincoli fiduciari impropri.

Tuttavia, almeno nella giustizia amministrativa - tra le cui file, specie al Consiglio di Stato, si annoverano i principali beneficiari delle presidenze dei più importanti di CCT - il sistema tipico è quello dell'autorizzazione, con richiesta nominativa da parte di stazione appaltante e impresa appaltatrice. A questo riguardo , la disciplina interna in materia di incarichi di presidente dei collegi consultivi tecnici è stata regolamentata dal CPGA con delibera n. 65 del 2020 e ha subito una sostanziale modifica nei suoi aspetti più significativi, a seguito di ulteriore delibera adottata dal Consiglio nella seduta del 5 luglio 2023.

Si è passati da una incompatibilità automatica ex ante (nel caso di partecipazione, nell’anno precedente all'incarico, a un collegio che aveva deciso una controversia in cui era parte il soggetto privato o pubblico coinvolto nell'appalto) a un sistema di “disclosure” con riserva di gradimento.

In pratica, una volta che l’interessato ha ricevuto l'incarico dai due soggetti coinvolti nell’esecuzione dell’appalto, la segreteria dell’Ufficio di appartenenza del magistrato destinatario di tale incarico verifica se costui ha fatto parte di un collegio che ha deciso, nei due anni precedenti alla sua designazione, un contenzioso coinvolgente una delle partiche gli hanno conferito l’incarico stesso.

Se il riscontro è positivo, tale notizia viene comunicata ai due soggetti interessati, affinché gli stessi possano rideterminarsi negativamente, se lo desiderano, rispetto all'incarico già conferito.

Il ragionamento sottostante a tale scelta del Consiglio di Presidenza è che le parti che attribuiscono l'incarico, prima della designazione del magistrato, potrebbero non essere a conoscenza di eventuali cause di incompatibilità; tuttavia, l'incompatibilità normalmente valorizzata dall'Organo di autogoverno è quella riferibile a una potenziale lesione dell'immagine del magistrato e a un sostanziale pregiudizio al corretto svolgimento delle sue funzioni, con interesse dei privati che dovrebbe restare sullo sfondo.

Sono stati inoltre introdotti tre limiti alla maggiore elasticità della nuova disciplina:

- la possibilità che il Capo dell'Ufficio possa sindacare il pregiudizio di funzionalità derivante dall'incarico (con un parere di “opportunità”);

- il limite numerico massimo di tre incarichi per volta;

- l'obbligo di comunicazione semestrale dei compensi ricevuti in relazione all'incarico stesso (poi diventato annuale).

Da notare, a tale ultimo riguardo, che la parte fissa del compenso per la partecipazione a un CCT è soltanto eventuale, perché subordinata alla partecipazione ad almeno 4 riunioni.

Il calcolo del compenso è inoltre soggetto a una serie di riferimenti matematici che lo rendono molto complesso (oltre che, come detto, presuntivo), per cui in sede di prima applicazione delle norme interne è stata ritenuta sufficiente l'indicazione del parametro principale di valutazione, che resta il valore dell'appalto da eseguire.

La questione riveste comunque molta importanza in rapporto al rispetto del limite del 65% della retribuzione media della qualifica di appartenenza del magistrato, limite entro cui deve essere contenuta la remunerazione per gli incarichi extraistituzionali se l’anno successivo se ne vuole assumere un altro, e si tratta in ogni caso di somme (almeno quelle pagate dal privato) che fuoriescono dal tetto retributivo massimo stabilito per i dipendenti pubblici dal legislatore.

Occorre peraltro verificare, adesso che la Corte costituzionale con la sentenza n. 135 di quest'anno ha dichiarato l'illegittimità sopravvenuta della norma sul “tetto retributivo”, se continuerà o meno, da parte dei magistrati (specie di quelli amministrativi), la preferenza per le presidenze dei CCT - dato che parte del compenso ricevuto, ovvero quello di competenza della parte privata, non soggiace al citato "tetto" -, o se si riapriranno i tradizionali percorsi verso il cumulo di incarichi governativi ben remunerati, una parte dei quali, per il livello stipendiale e retributivo raggiunto dal magistrato assegnatario dell'ulteriore incarico, era fino ad oggi, di fatto, svolta a titolo "gratuito".