Guida al diritto (27/2025)

Carmine Spadavecchia • 23 luglio 2025

in materia penitenziaria (sovraffollamento carceri)

- Fabio Fiorentin*, Istituti di pena: bilanci e riflessioni per mettere mano a riforme urgenti (Guida al diritto 27/2025, 10-13, editoriale). Il tasso di sovraffollamento medio delle carceri italiane sfiora il 135%. La “nuova” liberazione anticipata prevede di portare dagli attuali 45 a 60 giorni lo “sconto” di pena per ogni semestre di pena detentiva espiata [*magistrato di sorveglianza presso il Tribunale di Venezia]


in materia fiscale (il c.d. correttivo):

DLg 12.6.2025 n. 81 (GU 12.6.25 n. 134, in vigore dal 13 giugno 2025), Disposizioni integrative e correttive in materia di adempimenti tributari, concordato preventivo biennale, giustizia tributaria e sanzioni tributarie.

- testo del decreto (stralcio, Guida al diritto 27/2025, 14-34)

- commenti:

- Antonio Iorio, Per l’adesione al Cpb conteggiata anche la maxi-deduzione del 120% (Guida al diritto 27/2025, 35-39) (Guida al diritto 27/2025, 35-39) [le novità]

- Antonio Iorio, Sulla conciliazione in Cassazione soluzioni che non hanno appeal (Guida al diritto 27/2025, 40-44) [l’accertamento]


in tema di immigrazione (trattenimento nei CPR: libertà personale senza garanzie):

- Corte cost. 3.7.25 n. 96, pres. Amoroso, red. Petitti (Guida al diritto 27/2025, 49): Gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell’immigrazione non possono scalfire il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. [La Corte costituzionale delinea il quadro di riferimento con particolare attenzione alla disciplina internazionale Ancorandosi a un precedente del 2022, a proposito delle Rems (le residenze per l’esecuzione di misure di sicurezza), la Corte ricorda che è la legge a dovere prevedere non solo i «casi», ma, almeno nel loro nucleo essenziale, i «modi» con cui il trattenimento può restringere la libertà personale. La norma del T.U. oggetto di contestazione invece garantisce allo straniero trattenuto soltanto adeguati standard igienico-sanitari e abitativi, la necessaria informazione relativa al suo status, l’assistenza e il pieno rispetto della sua dignità, e la libertà di corrispondenza anche telefonica con l’esterno. «Si tratta - osserva la sentenza - di una normativa del tutto inidonea a definire, in modo sufficientemente preciso, quali siano i diritti delle persone trattenute». Le questioni sollevate sono giudicate inammissibili in quanto la Corte ammette di non potere individuare nell’ordinamento norme primarie in grado di colmare il vuoto individuato. Ricade necessariamente sul legislatore il dovere di introdurre una disciplina che delimiti la discrezionalità dell’Amministrazione nel rispetto dei diritti della persona, con particolare riferimento «alle caratteristiche degli edifici e dei locali di soggiorno e pernottamento, alla cura dell’igiene personale, all’alimentazione, alla permanenza all’aperto, all’erogazione del servizio sanitario, alle possibilità di colloquio con difensore e parenti, alle attività di socializzazione»].


in tema di appalti (società miste e società in house):

- Cons. Stato IV 17.6.25 n. 5289, pres. Carbone, est. Monteferrante (Guida al diritto 27/2025, 88 T sotto il titolo: Società a partecipazione pubblica, Palazzo Spada impone un doppio giro di vite): Sono società miste «a controllo pubblico» anche quelle «a controllo pubblico frazionato» in cui i soci pubblici dispongono complessivamente, in assemblea ordinaria, della maggioranza dei voti previsti dall'art. 2359 c.c., anche se la quota del socio privato è superiore alla quota di ciascun singolo socio pubblico, anche se mancano specifici patti parasociali o vincoli statutari e anche se il socio privato nomina l'amministratore delegato. L'art. 17 Tusp non consente alle società miste, a differenza delle società in house, di concorrere a gare indette da enti terzi e, comunque, di svolgere attività diverse da quelle rientranti nella «gara a doppio oggetto».

- (commento di) Marcello Clarich e Giuseppe Urbano, Possibile il conflitto tra le due norme, interna più rigida ed europea più larga (Guida al diritto 27/2025, 98-102). Il Consiglio di Stato, da un lato, estende la nozione di «controllo pubblico» (vanno qualificate società a controllo pubblico quelle in cui «una o più amministrazioni pubbliche» dispongano della «maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria»), dall’altro lato, limita drasticamente l’operatività delle società miste. La sentenza è destinata ad avere un impatto significativo sull’organizzazione e la gestione di molte società pubbliche: Essa non si limita a una esegesi dell’art. 17 Tusp, ma afferma anche la legittimità costituzionale ed europea della norma. Il “nostro” maggior rigore rischia di collidere con la libertà di iniziativa economica o di circolazione di operatori privati.

 


in tema di usucapione (interruzione):

- Cass. 2^, 1.6.25 n. 14744 (Guida al diritto 27/2025, 62-63, annotata da Mario Piselli): In tema di interruzione dell'usucapione, poiché il possesso non richiede, per il suo permanere, il costante, materiale rapporto con la cosa che ne costituisce l'oggetto, essendo sufficiente la disponibilità del godimento della cosa stessa da parte del possessore, non contrastata da terzi, la semplice assenza di manifestazioni del predetto rapporto materiale per un dato periodo, anche se provata, non è di per sè idonea a dimostrare la volontaria dismissione del possesso, la quale deve essere assolutamente univoca per produrre l'indicata interruzione.

 

in tema di contratti di durata a prestazioni corrispettive (appalto - cessione)

- Cass. 3^, 31.5.25 n. 14682 (Guida al diritto 27/2025, 62 s.m., annotata da Mario Piselli): Nel caso di cessione dei contratti a prestazioni corrispettive di durata e, cioè, ad esecuzione periodica, continuata o prolungata (come l'appalto), solo parzialmente adempiuti, una volta avvenuto il trasferimento della suddetta posizione contrattuale, i crediti che dovessero sorgere in base all'attività di adempimento delle ulteriori prestazioni contrattuali successive, quali corrispettivo delle stesse, certamente devono ritenersi sorgere direttamente in capo al cessionario e in nessun modo potrebbero ritenersi oggetto di una vera e propria cessione di credito (futuro) da parte del contraente cedente, che degli stessi non è stato, né potrebbe ritenersi, neanche per un attimo, in via meramente logico-giuridica, divenuto titolare, anche a prescindere dalla cessione del contratto stesso.


in tema di locazioni:

- Cass. 3^, 13.6.25 n. 15891 (Guida al diritto 27/2025, 52 T): In caso di contratto locativo abitativo stipulato per iscritto, a canone libero, non simulato e non registrato, ma concluso prima dell’entrata in vigore della legge 311/2004 (introduttiva della nullità per mancata registrazione), trova applicazione, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il meccanismo della riconduzione a congruità previsto dall'art. 13, comma 6, L 431/1998 (come modificato dalla L 208/2015). Il giudice, accertata la nullità (anche se erroneamente dichiarata), deve determinare il canone in misura non eccedente quella concordata dalle associazioni di categoria, anche in presenza di un contratto a canone libero.

- (commento di) Fulvio Pironti, I giudici delineano un quadro rigoroso e valorizzano la tutela del conduttore (Guida al diritto 27/2025, 58-61). La Cassazione compie un’analisi storica delle norme evidenziando che la nullità del contratto per mancata registrazione è stata introdotta solo con la legge 311/2004. La pronuncia ha un’importanza sistematica: chiarisce presupposti e limiti della riconduzione a congruità per i contratti non registrati, anteriori e successivi al 2005.


sulla procura alle liti:

- Cass. SSUU 2.7.25 n. 17876 (Guida al diritto 27/2025, 47): Non è invalida la procura speciale rilasciata all’estero priva di traduzione in lingua italiana. L’obbligo dell’italiano si riferisce agli atti del processo e non a quelli ad esso prodromici come la procura alle liti. In un simile caso non trova applicazione il disposto dell’art. 122, co. 1, c.p.c. (“In tutto il processo è prescritto l’uso della lingua italiana”), riferito agli atti processuali in senso proprio, vale a dire soltanto alle attività processuali e agli atti che si formano nel e per il processo e non agli atti che siano solamente coordinati o preparatori a quelli processuali. La traduzione, dunque, non costituisce requisito di validità della procura, né è configurabile una sua nullità. Si tratta di un approdo coerente col principio di tassatività delle cause di nullità sancito dall’art. 156, comma 1, c.p.c... A tanto deve aggiungersi che l’imporre (praeter legem, stante il diverso tenore delle riportate norme di cui agli articoli, rispettivamente, 156 c.p.c. e 109 c.p.p.) l’obbligo di traduzione in lingua italiana della procura rilasciata all’estero come requisito di validità dell’atto comporterebbe l’introduzione di un palese ostacolo al diritto di azione senza che questa costrizione sia giustificata da un preminente interesse pubblico a uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata. Va invece applicato, come a ogni altro documento esibito dalle parti, l’art. 123 c.p.c. Ne discende che la traduzione in lingua italiana “non integra requisito di validità dell’atto, rimettendo, così, al potere del giudice disporre la nomina del traduttore”. Il giudice, dunque, ha la facoltà, ma non l’obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, del quale può fare a meno se sia in grado di intendere il significato dei documenti, o qualora non vi siano contestazioni sul loro contenuto o sulla loro traduzione.


in tema di abuso d’ufficio (abrogazione del reato):

- Corte cost., 3.7.25 n. 95, pres. Amoroso, red. Viganò (Guida al diritto 27/2025, 49; comunicato 8.5.25 in Guida al diritto 19/2025, 32): Non è incostituzionale l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio (art. 323 c.p.) in quanto dalla Convenzione di Merida non è desumibile né l’obbligo di prevedere una simile fattispecie di reato né il divieto di abrogarlo. [La Corte ha esaminato le questioni di costituzionalità sollevate da 14 autorità giurisdizionali, tra cui la Corte di cassazione, sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ad opera della L 114/2024. La Corte ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., che condiziona l’esercizio della potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, tra cui quelli derivanti da convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, nella specie gli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (c.d. Convenzione di Merida. Se una convenzione - osserva la Corte - effettivamente prevedesse l’obbligo, per il legislatore nazionale, di configurare come reato una certa condotta, la Corte ben potrebbe dichiarare illegittima la legge che abbia abrogato quel reato, violando l’obbligo assunto dallo Stato in sede internazionale. L’effetto della pronuncia della Corte sarebbe, in tal caso, quello di ripristinare la legge in precedenza in vigore. Nel merito, la Corte ha però escluso che da esse possa ricavarsi un obbligo di prevedere come reato le condotte di abuso di ufficio, reato che peraltro non è uniformemente presente in tutti gli ordinamenti penali degli Stati firmatari] 


in tema di droga:

- Corte cost. 1.7.25 n. 90, pres. Amoroso, red. Marini (Guida al diritto 27/2025, 48 e 68 T, sotto il titolo: Stupefacenti: la messa alla prova si deve applicare anche al “piccolo spaccio”): L'art. 168-bis, comma 1, c.p. è incostituzionale nella parte in cui non consente la sospensione del procedimento con messa alla prova per il reato previsto dall'art. 73, comma 5 (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti, qualificato di lieve entità) del DPR 9.10.1990 n. 309 (TU in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). [La Corte, dopo aver rilevato che la questione non concerne la nuova cornice edittale del reato e aver circoscritto la questione al solo art. 168-bis, primo comma, c.p., l’ha accolta in riferimento all’art. 3 Cost.. È infatti irragionevole e foriero di disparità di trattamento che, tra i due reati a confronto, l’accesso alla messa alla prova sia precluso per la fattispecie meno grave (il piccolo spaccio), mentre per quella più grave (l’istigazione all’uso illecito di sostanze stupefacenti) sia, in astratto, ammissibile. L’esclusione del reato di piccolo spaccio dal perimetro applicativo della messa alla prova ha così determinato un’anomalia, ribaltando la scala di gravità tra le due figure criminose in comparazione, ambedue attinenti agli stupefacenti e preposte alla tutela dei medesimi beni giuridici. L’esclusione del piccolo spaccio dall’ammissione alla messa alla prova, che coniuga in sé una funzione premiale e una forte vocazione risocializzante, frustra anche le finalità di deflazione giudiziaria che detto istituto persegue, in particolare, per i reati di minore gravità e di facile accertamento, come quello in esame]

- (commento di) Giuseppe Amato, La decisione preserva la funzione risocializzante della misura penale (Guida al diritto 27/2025, 79-82) 


in tema di procedure fallimentari (clausole abusive nei contratti con i consumatori):

- Corte giust. Ue 4^, 3.7.25, causa C-582/23 (Guida al diritto 27/2025, 104 solo massima): L'art. 6, par. 1, e l'art. 7, par. 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, letti alla luce del principio di effettività, ostano a una normativa nazionale la quale preveda che, nell'ambito di una procedura fallimentare relativa a persone fisiche, dopo che l'elenco dei crediti sia stato approvato da un organo giurisdizionale, senza che lo stesso abbia esaminato il carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, e dopo che la procedura sia stata avviata dinanzi al tribunale fallimentare, quest'ultimo sia vincolato da tale elenco, sicché non può valutare il carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto di mutuo sul quale si fonda un credito iscritto in detto elenco, né modificare tale elenco, ma deve sospendere la procedura e rimettere al suddetto organo giurisdizionale la questione del carattere eventualmente abusivo di tali clausole. Le indicate norme, lette alla luce del principio di effettività, ostano a una normativa nazionale che, nell'ambito di una procedura fallimentare relativa a persone fisiche, non preveda la possibilità, per il tribunale fallimentare, di disporre provvedimenti provvisori diretti a regolare la situazione del fallito in attesa di una decisione che concluda l'esame del carattere abusivo delle clausole contenute in un contratto di mutuo su cui si fonda un credito iscritto nell'elenco dei crediti approvato da un altro organo giurisdizionale, senza che quest'ultimo abbia esaminato il carattere eventualmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi. 

- (commento di) Marina Castellaneta, Procedure fallimentari, il giudice deve valutare se nei contratti

c’erano clausole abusive subite dal consumatore (Guida al diritto 27/2025, 104-106). Stabiliti per la prima volta, nell’ambito di un fallimento, gli obblighi del giudice nazionale verso i consumatori vittime di clausole abusive. La mancata attivazione della contestazione delle clausole non è una rinuncia “libera e informata” alla protezione affermata dalla direttiva.



 


c.s. 


 


Chi non ha principi morali si avvolge nella bandiera della moralità (Umberto Eco)