Magistratura e separazione delle carriere: non è una questione di meriti
Quando, nell'ormai lontano 2004, chi vi scrive entrò in magistratura ordinaria, al Governo c'erano Silvio Berlusconi ed una maggioranza politica apertamente critica nei confronti del sistema giudiziario esistente.
Era ormai passata l'epopea di Falcone e Borsellino - vittime di stragi mafiose ripugnanti che lo Stato non ha saputo prevenire -, ma ancor di più aveva ormai esaurito la sua spinta la controversa stagione di "Mani pulite".
La magistratura - specie quella penale - non era più considerata intoccabile, in quanto non godeva più dello stesso credito di dieci anni prima nell'opinione pubblica, e infatti fu "toccata" con la cosiddetta riforma Castelli.
Pur con alcuni interventi probabilmente positivi su problemi reali (come l'introduzione della temporaneità delle funzioni direttive e la tipizzazione degli illeciti disciplinari), la prima vera riforma della magistratura ordinaria - in parte poi ritoccata dall'intervento della L. n. 111 del 2007 -, disancorando il passaggio agli incarichi di Presidente e Procuratore dalla regola della sola progressione per anzianità di servizio (cui conseguiva una semplice valutazione di "non demerito", ai fini dell'attribuzione delle funzioni) ha aperto le porte a un'estremizzazione del potere delle cosiddette correnti in seno al CSM.
Dopo di che, gli accertati abusi correntizi sulle nomine hanno avviato un'ulteriore stretta nei confronti dei magistrati da parte della politica.
Si potrebbe dire, con una sintesi estrema e forse un po'superficiale, ma non lontana da vero, che la riforma Castelli ha prodotto il fenomeno "Palamara", e che il "caso Palamara", aggravando una patologia già esistente, ha generato la necessità di operare nuovi interventi sul presunto malato grave, ovvero il sistema giudiziario nel suo complesso.
Resta a questo punto da capire quanto il malato sia grave e quanto la medicina elaborata dall'attuale governo con il suo progetto di riforma della Costituzione sulla cosiddetta separazione delle carriere sia quella giusta e proporzionata rispetto al male da curare.
Di certo, si è detto molto spesso, e non senza un minimo di ragione, che la magistratura abbia mostrato una certa incapacità di intervenire dal suo interno su alcune oggettive disfunzioni del sistema.
La più grave incongruenza, a parere del sottoscritto, è stata l'estrema tolleranza nei confronti di un certo modo di fare il magistrato che, prima ancora che dannoso verso il sistema e verso la collettività, è stato percepito in modo critico e a tratti inaccettabile dalla classe forense, che pure spesso è restia, per comprensibili motivi, a denunciare la cosa alle Autorità competenti.
L'arroganza, la superficialità di scrittura, la lentezza nelle decisioni e la maleducazione che in alcuni casi caratterizzano l'interpretazione del ruolo di giudice (ma lo stesso vale, mutatis mutandis, per i p.m.) meritavano e meriterebbero una presa di posizione molto severa da parte del CSM e, prima ancora, da parte dei capi degli uffici. E non può trovare facile compensazione nella pure indubbia elevata e generalizzata preparazione tecnica della categoria - scelta a seguito di uno dei concorsi più seri e qualificanti in circolazione -, caratteristica, questa, vieppiù esaltata dall'incomparabilità di spessore culturale specifico che esiste tra la magistratura togata e la magistratura onoraria, cui pure vanno a volte addebitate, per colpa del sistema di selezione di tale importante e rilevante categoria di ausilio giurisdizionale, pronunce che non fanno altro che appesantire il lavoro dei giudici togati di secondo grado e di quelli di legittimità.
Correlativamente, un certo modo di fare giustizia di alcuni Procuratori della Repubblica - "condito" da smania di protagonismo e indagini apparentemente "mirate" - ha sempre più creato conflitti anche gravi nel tessuto interno degli Uffici, esponendo gli stessi a una facile critica e richiesta di "ordine" dall'esterno.
D'altra parte, anche su questo aspetto la famosa riforma Castelli sembra avere fallito, producendo, con la semi-gerarchizzazione dell'ufficio del p.m., da un lato una eccessiva simbiosi tra Capo dell'ufficio e polizia giudiziaria, dall'altro una mortificazione dell'iniziativa del singolo magistrato.
La riforma costituzionale della magistratura approvata appena due giorni fa al Senato senza alcuna modifica rispetto al testo originario presentato dal Governo [1] ha la peculiare caratteristica di non affrontare nessuno dei nodi problematici emersi nel tempo con riferimento all'efficienza ed efficacia del sistema Giustizia - che prima di ogni altra cosa dovrebbe assicurare qualità e velocità di risposta alle istanze dei cittadini, qualunque sia il tenore di tali istanze -, ma di provare a ridefinire il ruolo di giudici e pubblici ministeri, separandone irreversibilmente i percorsi professionali.
In aggiunta, il Legislatore mostra notevole sfiducia nel sistema che fino ad oggi ha regolato l'autogoverno dei magistrati ordinari, sottraendo ai due nuovi CSM (quello dei giudici e quello dei p.m.) le decisioni in materia disciplinare - che saranno effettuate da un ulteriore organo appositamente istituito, l'Alta corte - e svuotando di fatto il potere delle correnti con l'introduzione del metodo del sorteggio "secco" per accedere ai Consigli, in luogo del metodo elettivo.
Al di là della correttezza o meno dell'intervento di ortopedia istituzionale immaginato dall'attuale Governo in carica - e posto che la riforma è proposta in aperto contrasto con la volontà di molti dei soggetti nei cui confronti agirà, ovvero i magistrati -, il panorama sul cui sfondo si delinea tale riforma è tutt'altro che indicativo di uno scenario idilliaco, per quanto riguarda i rapporti tra politica e magistratura, il che, già di per sé, avrebbe dovuto forse consigliare maggiore prudenza nell'imporre un punto di vista sull'altro senza una vera mediazione sostenibile.
Colpiscono in particolare alcune vicende di contrasto palese tra poteri dello Stato che si sono nel frattempo delineate.
In primis, la questione della definizione di Paese sicuro e del contenzioso in merito alla titolarità o meno del singolo Governo di individuare in modo definitivo e non sindacabile dai giudici quali siano i Paesi sicuri, nonché la vicenda Open Arms, riaccesa dalla decisione della Procura della Repubblica di impugnare la sentenza di assoluzione emessa in favore di Matteo Salvini. [2]
Secondariamente, due potenziali conflitti tra politica e magistratura non decisivi ma fortemente evocativi del clima che si respira, ovvero la vicenda del disegno di legge "Salva Milano" - portato avanti in aperto contrasto con le iniziative giudiziarie della magistratura meneghina, che sono recentemente sfociate anche in richieste di custodia cautelare in carcere - e la questione delle Olimpiadi invernali 2026, con la denuncia da parte dei pubblici ministeri procedenti, secondo qualificate fonti di stampa, del tentativo di sterilizzazione di una loro indagine in materia di turbativa d'asta tramite la qualificazione, per decreto legge, della Fondazione Milano-Cortina come ente di diritto di privato, sottraendolo ai vincoli e alle conseguenze giuridiche (e penali) che deriverebbero dalla sua qualificazione come organismo di diritto pubblico. [3]
Da ultimo, i magistrati hanno espresso al più alto livello netta contrarietà al c.d. decreto sicurezza, tramite la relazione su novità normativa dell'ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte di cassazione, sia con riferimento al merito che con riferimento al metodo seguito nell'approvazione della nuova disciplina.
Colpisce, in particolare, in quest'ultimo scatto critico sull'operato del Governo in carica, il chiaro riferimento ad una sostanziale sovversione della separazione procedurale stabilita dalla Costituzione tra esercizio ordinario del potere legislativo delle Camere ed esercizio straordinario di tale potere da parte dell'esecutivo, avendo il Governo di fatto esautorato, secondo la relazione, con un decreto legge, il Parlamento nel mentre questo svolgeva il suo compito istituzionale, e procedeva alla discussione in Senato, dopo la prima approvazione della Camera, delle medesime norme confluite poi nel decreto-legge, al fine neanche troppo velato di evitare ulteriori "perdite di tempo" con l'eventuale ritorno (in caso di modifiche) del testo alla Camera.
Tutto questo cosa c'entra però con la separazione delle carriere e con l'elezione tramite sorteggio dei rappresentanti di giudici e pubblici ministeri? Si pensa forse che i conflitti con la politica diminuiranno di numero o si attenueranno nell'intensità? O che l'individuazione di una linea di confine netta tra le due categorie di giuristi indebolirà la capacità della magistratura - nella sua rappresentanza istituzionale e associativa - di costituire un argine "tecnico" rispetto agli abusi del potere politico?
Perché la verità è che se la tesi di partenza è che l'ufficio del pubblico ministero si propone nel nostro Paese come un "potere irresponsabile", avendoglielo l'attuale assetto costituzionale consentito, allora sarebbe stato forse più coerente sottoporlo direttamente alla direzione funzionale dell'esecutivo, con tutte le conseguenze che ciò comporterebbe, tuttavia, in termini di minori garanzie del cittadino comune.
Correlativamente, pare ormai spuntata la tesi secondo cui i giudici sarebbero succubi dei pubblici ministeri, avendo trovato tale tesi clamorosa smentita in un numero veramente importante di vicende giudiziarie note al pubblico, ed essendo al contrario ormai evidente, anche in alcuni risvolti processuali balzati recentemente sugli altari della cronaca, che il magistrato requirente medio non gradisce che il suo giudice venga meno, anche solo in apparenza, al requisito dell'imparzialità e indipendenza dalle parti coinvolte nel procedimento. [4]
Piuttosto, dovrebbe forse preoccupare il Legislatore la possibilità che un Ufficio del p.m. sottratto dalla comune cultura della giurisdizione propria dei giudici - fino ad oggi garantita a tutti i magistrati dal concorso unico, dal tirocinio indifferenziato prima dell'assunzione delle funzioni e dalla possibilità di provare almeno una volta entrambe le esperienze professionali - potrebbe, questo sì, diventare graniticamente autoreferenziale e interessato soltanto a produrre numeri in positivo. E i numeri che contano, nel settore penale, non sono altro che arresti, sequestri e condanne.
Con la prospettiva che più le decisioni si identificano con richieste e non con veri e propri giudizi e più nell'animo del singolo magistrato rischia di avviarsi un lento ma inesorabile processo di deresponsabilizzazione e impoverimento culturale.
D'altra parte, se è vero che inquisire è diverso dal giudicare, è altresì vero che l'attuale maggioranza politica non è arrivata al punto di negare che entrambe le attività devono essere svolte con indipendenza.
E allora, si è chiesto Ferruccio de Bortoli a margine di una lectio magistralis di Gustavo Zagrebelsky, "perché separare le carriere"? [5]
Nell'occasione, l'ex presidente della Corte costituzionale ci ha ricordato la vera essenza del ruolo di chi svolge funzioni giurisdizionali (qualunque esse siano), ovvero l'interpretazione di tale ruolo con modestia e rigore.
E se il motivo della riforma in corso di approvazione in Parlamento sta nel fatto che si crede che la somma delle singole indegnità abbia colpito irreversibilmente la credibilità dell'intero ordine, forse bisognerebbe agire a fondo sulle cause.
Ma se non si crede questo, e l'unica necessità è contenere le (relativamente poche) mele marce, possibilmente cacciandole per sempre dalla magistratura, torna in mente la sproporzione tra la punizione e i demeriti denunciata nel film "Gli spietati" dallo sceriffo, mentre il fuorilegge gli punta il fucile sulla testa prima di sparare. [6]
[1] Proposta di legge C. 1917 (Meloni, Nordio; S. 1353) "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare", approvata in prima lettura dalla Camera in data 16 gennaio 2025 e dal Senato in data 22 luglio 2025.
[2] Si veda, per un approfondimento di entrambe le questioni, l'articolo pubblicato sul sito al seguente link: https://www.primogrado.com/i-migranti-della-discordia-viaggio-in-uno-scontro-tra-poteri-tipicamente-italico
Nelle more, quanto alla definizione di Paese sicuro, è stata discussa la problematica giuridica di fondo dinanzi alla Corte di Giustizia UE (ma non è ancora stata depositata la relativa sentenza), dopo l'acquisizione del parere indipendente dell’Avvocato generale Richard de la Tour, che ha proposto alla Corte, tra l'altro, di pronunciarsi nel senso che non è contraria al diritto eurounitario una prassi in forza della quale uno Stato membro procede alla designazione di un Paese terzo come Paese di origine sicuro mediante atto legislativo, a condizione che il giudice nazionale investito del ricorso avverso una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente proveniente da un siffatto Paese disponga, in virtù dell’obbligo di un esame completo ed ex nunc imposto da detto articolo 46, paragrafo 3, delle fonti di informazione sulla cui base il legislatore nazionale ha inferito la sicurezza del paese interessato.
[3] Per un approfondimento della vicenda delle Olimpiadi 2026 si rimanda al seguente link: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/25_aprile_16/milano-cortina-2026-e-la-fondazione-pubblica-o-privata-i-pm-al-gip-manda-alla-corte-costituzionale-la-legge-meloni-oppure-37e8d020-9589-4b99-814e-f3d67b366xlk.shtml
[4] Si veda al riguardo quanto riportato dal Corriere della Sera al seguente link: https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/25_giugno_16/caso-alessia-pifferi-il-pm-chiede-l-astensione-del-giudice-l-anm-di-cui-e-dirigente-critico-le-mie-indagini-547f7c66-e9f8-46a5-beab-af8eb701dxlk.shtml
[5] L'articolo di de Bortoli è rinvenibile al seguente link:
https://www.corriere.it/frammenti-ferruccio-de-bortoli/25_marzo_20/il-giudice-guido-galli-zagrebelsky-e-il-senso-della-giustizia-ac7e00cb-240f-42cb-ab81-3a49e66f5xlk.shtml
[6] https://www.mymovies.it/film/1992/glispietati/