CONSEGUENZE PROCESSUALI DEL MANCATO TEMPESTIVO DEPOSITO DELLA SENTENZA APPELLATA

13 agosto 2025

L’ADUNANZA PLENARIA HA DOVUTO STABILIRE SE, NEL CASO DEL MANCATO TEMPESTIVO DEPOSITO DELLA SENTENZA APPELLATA – CONGIUNTAMENTE AL DEPOSITO DEL RICORSO DI SECONDO GRADO –, SI VERIFICHI O MENO LA DECADENZA PREVISTA DALL’ART. 94, COMMA 1, DEL MEDESIMO CODICE.

NEL CONFRONTARSI RISPETTO A DUE DIVERSI ORIENTAMENTI MATURATI IN MATERIA, IL CONSIGLIO DI STATO HA RITENUTO DI ADERIRE A QUELLO SECONDO CUI LA SANZIONE DELLA DECADENZA NON E’ RIFERIBILE AL MACATO TEMPESTIVO DEPOSITO DELLA SENTENZA IMPUGNATA, EVIDENZIANDO COME DECISIVO L’ARGOMENTO LETTERALE.

INVERO, L’ART. 94, COMMA 1 C.P.A. FISSEREBBE UN CHIARO E DIRETTO COLLEGAMENTO CON LA SANZIONE DELLA DECADENZA UNICAMENTE PER L’INCOMBENZA RELATIVA AL DEPOSITO DEL RICORSO, DAL MOMENTO CHE L’EFFETTO PRECLUSIVO E’ CONFINATO IN UN INCISO (“…A PENA DI DECADENZA”) CHE LA NORMA HA INSERITO, SUL PIANO STRUTTURALE, NELLA PARTE DEL PRECETTO RIFERITA ESCLUSIVAMENTE AL DEPOSITO DEL RICORSO.

NE DERIVA CHE E’ STATA CREATA NEL TESTO UNA FORMALE CESURA TRA L’ADEMPIMENTO PRINCIPALE (IL DEPOSITO DELL’ATTO DI APPELLO) E I DUE ADEMPIMENTI ACCESSORI (I DEPOSITI DELLA SENTENZA DI PRIMO GRADO E DELLA PROVE DELLE ESEGUITE NOTIFICAZIONI).

L’ESTENSIONE, DUNQUE, DEL MEDESIMO EFFETTO PRECLUSIVO A TUTTI GLI INCOMBENTI PREVISTI NELL’ART. 94 RICHIEDEREBBE UNA INTERPRETAZIONE ESTENSIVA DEL DATO TESTUALE CHE PERO’ E’ OSTACOLATA DAL RILIEVO CHE LE DISPOSIZIONI CHE FISSANO ONERI DECADENZIALI E CAUSE DI INAMMISSIBILITA’ DOVREBBERO ESSERE FORMULATE IN MODO TASSATIVO, E QUINDI SONO SOTTOPOSTE, PER EISGENZE DI CERTEZZA DEL DIRITTO, OLTRE CHE IN OSSEQUIO AL CANONE DI PREVEDIBILITA’ DEGLI EFFETTI APPLICATIVI, A UN’INTERPRETAZIONE ANCORATA AL DATO STRETTAMENTE LIGUISTICO.

SOTTO ALTRO PROFILO, L’ADUNANZA PLENARIA HA RIMARCATO CHE, IN COERENZA CON IL PRINCIPIO DELLA EFFETTIVITA’ DELLA TUTELA GIURISDIZIONALE, IL GIUDICE DEVE PREFERIRE UNA INTERPRETAZIONE CHE CONSENTA UNA PRONUNCIA DI MERITO, RISPETTO A UNA PRONUNCIA DI RITO ADOTTATa IN ECCESSO RISPETTO ALLA RATIO DELLA PREVISIONE VIOLATA, POSTO CHE LA PREVISIONE DI UN TERMINE A PENA DI DECADENZA SI GIUSTIFICA SOLO PER IL DEPOSITO DEL RICORSO, TRATTANDOSI DI UN INCOMBENTE DIRETTO ALL’INSTAURAZIONE DEL RAPPORTO PROCESSUALE E ALLA DEVOLUZIONE ALL’ORGANO GIURISDIZIONALE DELLA CONTROVERSIA (Adunanza Plenaria, nn. 4 e 5/2025)


Secondo l’orientamento più risalente del Consiglio di Stato – orientamento poi disatteso dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria in commento - l’art. 94 del c.p.a. si dovrebbe considerare quale norma inderogabile, che imporrebbe doveri puntuali a tutela di interessi di ordine pubblico processuale, compreso l’onere di deposito della sentenza impugnata, che non sarebbe diventato un ‘adempimento superfluo’, malgrado i componenti del Consiglio di Stato possano accedere al fascicolo di primo grado, così come a quello del giudizio al loro esame, ove si consideri che va verificato se la sentenza impugnata sia stata notificata al soccombente, al fine di accertare se l’impugnazione sia tempestiva.

Secondo questo orientamento, la parte appellante, con il deposito della sentenza, non si limiterebbe a compiere un’attività materiale, ma porrebbe in essere un’attività stricto sensu giuridica, perché, depositando la sentenza senza la documentazione attestante la sua notifica, assumerebbe implicitamente la responsabilità di dichiarare che essa non è stata notificata.

L’onere in questione non si potrebbe neanche considerare “sproporzionato o irragionevole”, essendo richiesto solo il deposito della sentenza, entro un termine ragionevole decorrente dalla notifica dell’impugnazione, trattandosi, tra l’altro, di applicazione coerente del dovere di cooperazione di cui all’art. 2, comma 2, del c.p.a., preordinato a consentire la ragionevole durata del processo.

Secondo l’Adunanza Plenaria, peraltro, non solo tale orientamento si pone contro il criterio di interpretazione letterale delle disposizioni normative, ma sarebbe anche avvalorata dal canone dell’interpretazione storico-evolutiva, che impone al diritto vivente di adeguare il dato letterale ai cambiamenti decisivi verificatisi tra la sua entrata in vigore e la sua applicazione attuale.

Nella specie, si deve considerare che l’art. 94 c.p.a. è stato redatto prima dell’entrata in vigore delle disposizioni sul processo amministrativo telematico, le cui modalità applicative consentono al giudice di ovviare agevolmente alla dimenticanza della parte che ha proposto l’impugnazione, con la consultazione del fascicolo telematico di primo grado e del sito della giustizia amministrativa. 

Ne consegue che un’irregolarità soltanto formale non può dunque comportare alcuna decadenza, che risulterebbe irragionevole e sproporzionata, per il principio di strumentalità delle forme (art. 159 c.p.c.), nel vigore delle regole sul processo amministrativo telematico, improntate alla semplificazione delle forme e all’informatizzazione dell’intero procedimento.

Sotto altro profilo, una disposizione espressa che comminasse la decadenza - per effetto del mancato o tardivo deposito della sentenza impugnata – non sarebbe coerente con i principi costituzionali ed euro-unitari sul diritto di azione e di difesa (artt. 24. 103, 113 e 117, primo comma, della Costituzione; artt. 6 della CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea).

Secondo la costante giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, l’ampia discrezionalità di cui è dotato il legislatore nella conformazione degli istituti processuali incontra il limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte compiute, che viene travalicato qualora emerga un’ingiustificata compressione del diritto di agire in giudizio in ragione di un vizio esterno all’atto di esercizio dell’azione.

Inoltre, per la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, non può essere dichiarata inammissibile una impugnazione quando sia mancato un adempimento meramente formale, mentre la Corte di giustizia dell’Unione europea ha affermato che il diritto di agire in giudizio, pur non atteggiandosi a diritto assoluto, è passibile solo di restrizioni proporzionate e volte al perseguimento di uno scopo legittimo.