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Autore: dalla Redazione ("pillole" di diritto europeo) 30 aprile 2025
Corte giust. Ue 3^, 25.1.24, causa C-474-22/ Corte giust. Ue 9^, 16.5.24, causa C-405/23/ Corte giust. Ue 8^, 16.1.25, causa C-516/23/ Corte giust. Ue 7^, 6.3.25, causa C-20/24 Il regolamento (CE) n. 261/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 febbraio 2004 , istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato. Alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia che equipara la situazione dei passeggeri di voli che hanno subito un ritardo prolungato , vale a dire un ritardo di tre ore o più all'arrivo alla loro destinazione finale, a quella dei passeggeri di voli cancellati, il Giudice tedesco di appello competente ha interpretato l'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), di tale regolamento, nel senso che un passeggero che sia stato informato di un ritardo di tre ore o più prima della sua partenza può beneficiare della compensazione pecuniaria prevista agli articoli 5 e 7 del regolamento, anche se non si è presentato in aeroporto. Nel caso di specie, in effetti, un passeggero disponeva di una prenotazione confermata presso un vettore aereo per un volo da Düsseldorf a Palma di Maiorca, ma, ritenendo che il ritardo annunciato di tale volo gli avrebbe fatto perdere un appuntamento di lavoro, decideva di non imbarcarsi. Il volo era poi effettivamente giunto a destinazione con 3 ore e 32 minuti di ritardo. Investita della questione, la Corte federale di Giustizia tedesca ha chiesto in via pregiudiziale al Giudice eurounitario se, per ottenere il diritto a compensazione pecuniaria per un ritardo del volo superiore a tre ore rispetto all'orario di arrivo previsto, il passeggero debba presentarsi all'accettazione, conformemente all'articolo 3, paragrafo 2, lettera a), del regolamento sopra citato, all'ora indicata dal vettore aereo, operatore turistico o agente di viaggio autorizzato, e al più tardi quarantacinque minuti prima dell'ora di partenza pubblicata, oppure se, nel caso di un ritardo prolungato – così come nel caso della cancellazione del volo -, tale requisito venga meno. La Corte di Giustizia ha chiarito che l'elemento cruciale che l’ha indotta ad assimilare il ritardo prolungato di un volo all'arrivo alla cancellazione di un volo, attiene al fatto che i passeggeri di un volo con ritardo prolungato subiscono, al pari dei passeggeri di un volo cancellato, un danno che si concretizza in una perdita di tempo irreversibile , pari o superiore a tre ore, che può essere risarcito unicamente con una compensazione pecuniaria. Pertanto, in caso di cancellazione di un volo o di ritardo prolungato di un volo all'arrivo alla sua destinazione finale, il diritto alla compensazione pecuniaria previsto all'articolo 7, paragrafo 1, del regolamento n. 261/2004 è intrinsecamente connesso all'esistenza di tale perdita di tempo pari o superiore a tre ore. Orbene, un passeggero che non si è recato all'aeroporto, in quanto disponeva di elementi sufficienti per concludere che il volo sarebbe arrivato alla sua destinazione finale solo con un ritardo prolungato, non ha, con tutta probabilità, subito una siffatta perdita di tempo. La perdita di tempo non è infatti un danno generato da un ritardo, ma costituisce un disagio , al pari di altri disagi inerenti alle situazioni di negato imbarco, di cancellazione del volo e di ritardo prolungato e che accompagnano tali situazioni, come la mancanza di comfort , la temporanea privazione di mezzi di comunicazione normalmente disponibili o il fatto di non poter condurre in modo continuativo i propri affari personali, familiari, sociali o professionali. Ne deriva che l’ art. 3, par. 2, lett. a), del regolamento 261/2004 va interpretato nel senso che, per beneficiare della compensazione pecuniaria di cui all’art. 5, par. 1, e all’art. 7, par. 1, di tale regolamento, in caso di ritardo prolungato del volo, ossia un ritardo di tre ore o più rispetto all’orario di arrivo originariamente previsto dal vettore aereo, un passeggero del trasporto aereo deve essersi presentato in tempo utile all’accettazione o, se si è già registrato online , deve essersi presentato in tempo utile all’aeroporto presso un rappresentante del vettore aereo operativo. Il danno individuale può essere peraltro compensato con il “ risarcimento supplementare ” disciplinato dall’art. 12 del regolamento n. 261/2004, il quale presuppone che la domanda sia fondata sul diritto nazionale o sul diritto internazionale. Un volo in partenza dall'aeroporto di Colonia-Bonn, e con destinazione Kos, subiva un ritardo di 3 ore e 49 minuti all'arrivo, a causa principalmente del fatto che, da un lato, il volo precedente aveva già subito un ritardo di 1 ora e 17 minuti per via di una carenza del personale addetto alla registrazione dei passeggeri, e, dall’altro, il carico dei bagagli nell'aereo era stato rallentato in quanto anche il personale del gestore del secondo aeroporto, responsabile del servizio, era in numero insufficiente. Secondo la società ricorrente, che aveva acquisito i diritti di alcuni passeggeri ad ottenere la compensazione pecuniaria, il ritardo del volo in questione non avrebbe potuto essere giustificato alla luce di circostanze eccezionali , ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 3, del regolamento n. 261/2004. D’altra parte, per il Giudice del Land tedesco investito della questione, risultava risolutivo della causa proprio lo stabilire se la carenza di personale del gestore dell'aeroporto di Colonia-Bonn, addotta dal vettore aereo come causa del ritardo prolungato del volo, configurasse o meno una «circostanza eccezionale» ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 3, del regolamento n. 261/2004. Infatti, in caso di risposta affermativa a tale questione, il vettore aereo medesimo non avrebbe dovuto essere tenuto a offrire alcuna compensazione pecuniaria alla ricorrente, in quanto la parte del ritardo del volo di cui trattasi che le sarebbe stata imputabile non avrebbe raggiunto le 3 ore. Investita della relativa questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha innanzitutto premesso che, in forza dell' articolo 5, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 261/2004 , i passeggeri interessati da un volo che abbia subito un ritardo di almeno 3 ore all'arrivo alla sua destinazione finale non hanno diritto a una compensazione pecuniaria se il vettore aereo operativo è in grado di dimostrare che il ritardo prolungato è dovuto a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso ai sensi dell'articolo 5, paragrafo 3, del regolamento n. 261/2004. Sotto questo profilo, la nozione di «circostanze eccezionali», ai sensi dell'articolo sopra richiamato, designa eventi che, per la loro natura o per la loro origine, non sono inerenti al normale esercizio dell'attività del vettore aereo interessato e sfuggono all'effettivo controllo di quest'ultimo, condizioni che sono cumulative e il cui rispetto deve essere oggetto di una valutazione caso per caso. D’altra parte, dice la Corte, “ occorre ricordare che gli eventi la cui origine è «interna» devono essere distinti da quelli la cui origine è «esterna» a tale vettore aereo. Rientrano così in tale nozione, nell'ambito del verificarsi degli eventi cosiddetti «esterni», quelli che derivano dall'attività del vettore aereo e da circostanze esterne, più o meno frequenti nella pratica, ma che un vettore aereo non controlla in quanto trovano origine in un fatto naturale o in quello di un terzo, come un altro vettore aereo o un soggetto pubblico o privato che interferisca nell'attività aerea o aeroportuale ”. In conclusione, sono queste le coordinate in base alle quali il giudice del rinvio deve decidere se il ritardo prolungato del volo di cui trattasi fosse effettivamente dovuto a circostanze eccezionali, posta la necessità ulteriore di valutare, alla luce degli elementi di prova forniti dal vettore aereo interessato, se quest'ultimo abbia dimostrato che tali circostanze non avrebbero potuto essere evitate anche se fossero state adottate tutte le misure del caso e che esso ha adottato le misure adeguate alla situazione in grado di ovviare alle conseguenze di quest'ultima, “ salvo acconsentire a sacrifici insopportabili per le capacità della sua impresa nel momento pertinente ”. Alcuni soggetti avevano effettuato una prenotazione presso un vettore aereo per voli andata e ritorno da Francoforte sul Meno a Denpasar (Indonesia), con scalo a Doha, nell’ambito di una campagna promozionale di detto vettore aereo operativo, volta a consentire ai professionisti del settore sanitario di effettuare prenotazioni di voli, pagando soltanto le tasse e i diritti relativi a tali prenotazioni. I voli oggetto della prenotazione venivano peraltro cancellati e il vettore aereo interessato non garantiva il riavvio successivo dei passeggeri alle stesse condizioni e per la stessa destinazione. Gli interessati chiedevano pertanto al Giudice nazionale competente un risarcimento per la violazione, da parte di tale vettore aereo operativo, del suo obbligo di assistenza risultante dall’ articolo 8, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 261/2004 . Nell’ambito di tale causa, il giudice del rinvio si è interrogato, in primo luogo, sull’applicabilità, nel caso di specie, del predetto regolamento, qualora si debba ritenere che un passeggero viaggia gratuitamente, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 261/2004, quando deve pagare unicamente le tasse sul trasporto aereo e i diritti aeroportuali. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha risposto al quesito pregiudiziale affermando che l' art. 3, par. 3, del regolamento n. 261/2004 va interpretato nel senso che un passeggero non viaggia gratuitamente quando, per effettuare la propria prenotazione, abbia dovuto pagare esclusivamente tasse sul trasporto aereo e diritti. Inoltre, secondo i Giudici eurounitari, l'art. 8, par. 1, lett. c), va interpretato nel senso che esso non richiede, ai fini della sua applicazione, l'esistenza di un nesso temporale tra il volo cancellato e il volo di riavviamento desiderato da un passeggero, potendo tale riavviamento verso la destinazione finale essere richiesto in condizioni di trasporto comparabili a una data successiva, a seconda delle disponibilità di posti. Un vettore aereo che propone voli charter aveva concluso con un operatore turistico un contratto, nell'ambito del quale il vettore aereo ha fornito all'operatore voli specifici in date particolari, per i quali l'operatore stesso ha poi venduto biglietti ai passeggeri interessati, dopo averne pagato preventivamente i prezzi Alcuni di questi passeggeri hanno partecipato a un viaggio «tutto compreso», che includeva un volo in partenza da Tenerife, con destinazione Varsavia; il contratto relativo al viaggio «tutto compreso» era stato concluso tra altra società, a nome di tali passeggeri, e l'operatore turistico che aveva acquistato preventivamente i biglietti. Tale volo aveva accusato un ritardo all'arrivo di più di 22 ore. Per dimostrare la propria legittimazione ad agire per ottenere un risarcimento dei danni connessi al ritardo del volo in questione, i passeggeri in questione avevano presentato copie delle carte d'imbarco per tale volo. Tuttavia, il vettore aereo aveva negato la compensazione pecuniaria a tali passeggeri, in quanti gli stessi non avrebbero dimostrato di essere in possesso di una prenotazione confermata e pagata per il volo suddetto. Infatti, secondo il vettore de quo , il viaggio «tutto compreso» di detti passeggeri sarebbe stato pagato dall'operatore turistico a condizioni preferenziali , cosicché i medesimi passeggeri avrebbero viaggiato gratuitamente o a tariffa ridotta, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 3, del regolamento n. 261/2004, il che escluderebbe il diritto a una compensazione a norma di tale regolamento. Investita della questione pregiudiziale, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha stabilito che l’art. 2, lett. g), e l’art. 3, par.2, lett. a), del regolamento n. 261/2004 vanno interpretati nel senso che la carta d’imbarco può costituire un titolo che attesta che la prenotazione è stata accettata e registrata dal vettore aereo o dall’operatore turistico, cosicché si può ritenere che il passeggero in possesso di tale carta possieda una “prenotazione confermata” per il volo di cui trattasi, in una situazione in cui non venga dimostrata alcuna particolare circostanza anomala. In particolare, l’art. 3, par. 3, del regolamento va interpretato nel senso che non si può ritenere che il passeggero viaggi gratuitamente o a una tariffa ridotta non accessibile, direttamente o indirettamente, al pubblico, ai sensi di tale disposizione, quando, da una parte, l’operatore turistico paga il prezzo del volo al vettore aereo operativo conformemente alle condizioni di mercato e, dall’altra, il prezzo del viaggio “tutto compreso” è pagato a tale operatore non da detto passeggero, ma da un terzo. Spetta a tale vettore aereo dimostrare, secondo le modalità previste dal diritto nazionale, che detto passeggero ha viaggiato gratuitamente o ad una tariffa ridotta.
Autore: Alma chiettini 24 aprile 2025
Corte costituzionale, sent. n. 36 del 2025 e sent. n. 34 del 2025 A fine marzo di quest'anno, la Corte costituzionale ha adottato due pronunce di interesse per il diritto tributario. Quanto alla sentenza n. 36 del 2025 , occorre premettere che i l d.lgs. n. 220 del 2025, di modifica del d.lgs. n. 546 del 1992 , aveva introdotto due novità nel giudizio d’appello: - all’ art. 58, comma 1 , il divieto di “nuovi mezzi di prova”, divieto che letto in combinato disposto con l’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 220 comportava che la nuova regola si applicasse anche giudizi instaurati in secondo grado a far data dal giorno successivo all’entrata in vigore della nuova disposizione (ossia il 4 gennaio 2024); - all’ art. 58, comma 3 , il divieto di “deposito delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti, delle notifiche dell’atto impugnato ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità che possono essere prodotti in primo grado anche ai sensi dell’articolo, 14 comma 6-bis”. Ebbene, con la sentenza n. 36, depositata il 27 marzo 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato: - l’illegittimità costituzionale per irragionevolezza della disciplina di cui al comma 1 dell’art. 58, in quanto la novella, sebbene formalmente prevista solo per il futuro, nella sostanza incideva sugli effetti giuridici di situazioni processuali instauratesi quando era in vigore la normativa precedente. Trattandosi di una disposizione intertemporale, vige “ il principio generale il quale esige che il passaggio da un previgente ad un nuovo regime processuale non sia regolato da norme manifestamente irragionevoli e lesive dell’affidamento nella tutela delle posizioni legittimamente acquisite ”. Per cui la Corte ha giudicato fondate le censure ex artt. 3 e 111 Cost. con cui si prospettava, da un lato, la “ palese ed ingiustificata violazione del principio del giusto processo sotto il profilo della prevedibilità delle regole processuali dell’intero percorso di tutela e, dall’altro, il pregiudizio recato alla scelta difensiva delle parti dei processi già instaurati in primo grado al momento dell’entrata in vigore della novella processuale ”; - l’illegittimità costituzionale della seconda disposizione censurata dell’art. 58 limitatamente alle parole “delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere rilevanti ai fini della legittimità della sottoscrizione degli atti”. Nella sentenza si legge che “l a novella del 2023 ha optato per un modello di gravame ad istruttoria chiusa, temperato, però, dal riconoscimento della facoltà per le parti di introdurre in secondo grado prove nuove indispensabili ai fini della decisione o incolpevolmente non dedotte in primo grado. Rispetto a tale regola generale, il divieto assoluto di produzione delle deleghe, delle procure e degli altri atti di conferimento di potere non trova appiglio nelle caratteristiche oggettive dei suddetti documenti, non essendo rinvenibile in essi un elemento differenziale sul quale il legislatore possa costruire una disciplina diversificata ”. Inoltre - ha rilevato ancora la Corte - la nuova disciplina, dove inibisce il deposito delle deleghe, delle procure e degli atti di conferimento di potere, pur quando ne sia stata incolpevolmente impossibile la produzione in primo grado, comprime ingiustificabilmente il diritto alla prova , posto che in tali ipotesi il processo di appello costituisce la prima e unica occasione per dedurre i mezzi istruttori che non siano stati introdotti in primo grado per causa non imputabile alla parte. Per quanto concerne, invece, il divieto di produzione in appello delle notifiche dell’atto impugnato , ovvero degli atti che ne costituiscono presupposto di legittimità, la Corte ne ha escluso sia la irragionevolezza sia la contrarietà ai parametri costituzionali dedotti, perché il legislatore ha inteso evitare che l’appello venga promosso al solo fine di effettuare un deposito documentale che, pur essendo da solo sufficiente per la definizione del giudizio, sia stato omesso in prime cure. La sentenza n. 34, depositata il 21 marzo 2025 , si segnala invece non tanto per il tema trattato (l’assoggettamento anche delle società di gestione del risparmio - c.d. SGR - all’imposta sui redditi delle società con un’addizionale dell’8,5 per cento), ma per i principi generali dettati (meglio: ricordati), in materia di imposizione tributaria : - la Costituzione non impone una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria; essa esige piuttosto un indefettibile raccordo con la capacità contributiva , in un quadro di sistema informato a criteri di progressività, come svolgimento ulteriore, nello specifico campo tributario, del principio di eguaglianza, collegato al compito di rimozione degli ostacoli economico-sociali esistenti di fatto alla libertà ed eguaglianza dei cittadini-persone umane, in spirito di solidarietà politica, economica e sociale; - per “capacità contributiva”, ai sensi dell’ art. 53 Cost. , si intende l’idoneità del soggetto all’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico cui l’imposizione è collegata, presupposto che consiste in qualsiasi indice rivelatore di ricchezza, secondo valutazioni riservate al legislatore, salvo il controllo di legittimità costituzionale sotto il profilo della loro arbitrarietà o irrazionalità; - in un contesto complesso come quello contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben possono denotare una forza o una potenzialità economica; - viste le peculiari caratteristiche del mercato finanziario, non è irragionevole individuare uno specifico e autonomo indice di capacità contributiva, idoneo a giustificare una regola differenziata di determinazione della base imponibile, nella “ appartenenza dei soggetti passivi al mercato finanziario, quale indice di capacità contributiva ”; - per cui l’ appartenenza al mercato finanziario , del quale le SGR fanno parte, può rappresentare, in ipotesi circoscritte temporalmente e dettate da una crisi economica generale, un non irragionevole e non arbitrario indice di capacità contributiva, anche alla luce dei principi di uguaglianza tributaria e di solidarietà.
Autore: dott.ssa Elettra Papaccio 14 aprile 2025
[NDR: la dott.ssa Papaccio, che ha già collaborato con questo sito quando svolgeva l'attività di tirocinio presso il Tribunale amministrativo regionale, è in procinto di assumere adesso le funzioni di MOT presso la Corte di appello di Napoli, dopo avere superato brillantemente le prove (e per ben due volte gli scritti) del concorso in magistratura ordinaria] PREMESSA La riforma Cartabia ha introdotto nel corpo del codice di procedura civile un istituto inedito nel nostro ordinamento, ossia il rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di cassazione, per la risoluzione di una questione di diritto nuova e controversa, prima della decisione del giudice del merito . Fino alla recente modifica, invero, la Suprema Corte quale giudice di legittimità interveniva sulle questioni di diritto, al fine di enunciare il principio da applicare da parte del giudice del merito al caso concreto, solo in via successiva in sede di impugnazione, avverso una pronuncia in grado unico o di appello, censurata dal ricorrente sulla base dei motivi tassativi di cui all’ art 360 c.p.c. . In disparte la ipotesi del regolamento preventivo di giurisdizione, in tutti gli altri casi, la Corte di cassazione si è sempre pronunciata su un provvedimento già adottato da parte del giudice del merito, in funzione di giudizio di pura legittimità ed in veste nomofilattica, come previsto dalla legge sull’ordinamento giudiziario. L’ art 65 del Regio decreto numero 12 del 1941 , in proposito, statuisce che la Corte di cassazione “ assicura l’esatta osservanza e la uniforme interpretazione ed applicazione della legge, garantisce la unità del diritto oggettivo, vigila sul rispetto dei limiti delle giurisdizioni e regola i conflitti di competenza ”, così indentificando i tratti caratteristici del giudice di legittimità, garante della corretta applicazione del diritto oggettivo e della uniformità della sua applicazione nell’ordinamento da parte dei giudici di merito. In tale ottica dispone anche l’ art 111 Costituzione , che proietta il singolo giudizio di legittimità verso una funzione più ampia della risoluzione del caso concreto in punto di diritto, e più precisamente nella dimensione di un processo avente come scopo l’unità del sistema giuridico e la osservanza della legge. In analoga ottica nomofilattica si inscrive anche la norma di recente introduzione di cui all’ art 363 bis c.p.c. , significativamente collocata subito dopo l’ articolo 363 c.p.c. che disciplina le ipotesi in cui, su richiesta del Procuratore generale, o di ufficio, viene enunciato il principio di diritto nell’interesse della legge. L’inedito istituto del rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di cassazione accentua la funzione di cui all’art 65 della legge sull’ordinamento giudiziario, e precisamente ciò si realizza mediante la sottoposizione della questione giuridica controversa alla Suprema Corte, prima che il giudice del merito si pronunci, al fine di fornire allo stesso il principio di diritto da applicare, vincolante nel caso in esame. Lo scopo dell’istituto è quello di fornire al giudice del merito, in via anticipata rispetto alla decisione, la corretta interpretazione della legge da applicare al caso concreto, su una questione di diritto nuova e controversa. In tal modo si consente di realizzare, da un lato, un risparmio di energie processuali , e dall’altro di potenziare la funzione nomofilattica, fornendo ex ante al giudice a quo una pronuncia della Corte di cassazione, che dirima una controversia, in punto di diritto, suscettibile di dar luogo a orientamenti differenti e non uniformi davanti a più giudici di merito. Infatti i presupposti e requisiti, per la attivazione della richiesta alla Suprema Corte, sono: 1-che la questione, “esclusivamente di diritto ”, sia necessaria alla definizione anche parziale del giudizio, ponendosi come passaggio logico indispensabile da compiere per addivenire alla decisione. 2-che la stessa non sia ancora stata risolta dalla Corte di cassazione, ovvero che sia inedita perché non si è ancora posta all’attenzione del giudice di legittimità. 3-che la questione presenti gravi difficoltà interpretative , richiedendo un impegno ermeneutico apprezzabile , per individuare la soluzione adeguata al caso concreto tra una pluralità di potenziali interpretazioni. 4-la serialità , ossia la circostanza che la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi, non predeterminati a priori e appunto molteplici. Ciò significa che, se non risolta una tantum in sede di rinvio pregiudiziale, la medesima questione potrebbe riproporsi davanti a giudici diversi, producendo una proliferazione di differenti interpretazioni e - come il delta di un fiume - moltiplicando le decisioni a scapito della armonia e uniformità tra i decisioni. La norma appena descritta, che ha già trovato applicazioni nel processo civile, sebbene in un numero limitato di casi, ha consentito alla Suprema Corte di risolvere questioni interpretative, prevenendo contrasti giurisprudenziali in materie che presentano oggettive difficoltà ermeneutiche, ovvero riguardanti questioni inedite. LA NORMA E LE SUE APPLICAZIONI “EXTRA VAGANTI” La disposizione sembrava posta per rimanere circoscritta al processo civile , considerata la sua funzione endoprocessuale e dunque focalizzata sulla risoluzione di questioni suscettibili di concretizzarsi, se non preventivamente risolte, in una impugnativa afferente al vizio ex art 360 numero 3), ovvero cd. error in iudicando . Tuttavia si è già riscontrata la prima richiesta di “esportazione” dell’istituto al processo tributario , con l’ordinanza di rinvio della Corte di Giustizia tributaria di Agrigento, che ha dato origine alle recenti Sezioni Unite del dicembre 2023. Con tale rinvio è stata sottoposta alla Suprema Corte una questione di giurisdizione, cui era sotteso il controverso inquadramento della fattispecie sostanziale oggetto di lite: in una controversia inerente al diniego di contributo a fondo perduto ex d.l. 34 del 2020, ha assunto carattere pregiudiziale ai fini della determinazione della giurisdizione, l’esatto inquadramento della natura giuridica della posizione soggettiva sottesa. Le Sezioni Unite – con sentenza 13 dicembre 2023 n. 34851 -, in tale occasione, hanno ritenuto utilizzabile il nuovo strumento ermeneutico anche da parte del giudice tributario, rilevando che “ è proprio la funzione nomofilattico-deflattiva assegnata al rinvio pregiudiziale ad avvalorarne … l’utilità .. in una materia come quella tributaria, nell’ambito della quale si rivela particolarmente pressante l’esigenza di assicurare l’uniforme interpretazione del diritto, anche al fine di contenere la proliferazione di un contenzioso notoriamente assai consistente sotto il profilo quantitativo e spesso connotato da caratteri di serialità, nonché di consentire una più rapida definizione delle controversie pendenti. ” La stessa relazione di accompagnamento alla riforma, osservano le Sezioni Unite, menziona la esigenza, particolarmente avvertita in materia tributaria, di « rendere più tempestivo l’intervento nomofilattico, con auspicabili benefici in termini di uniforme interpretazione della legge, quale strumento di diretta attuazione dell’art. 3 della Costituzione, prevedibilità delle decisioni e deflazione del contenzioso ». Aggiunge la Suprema Corte che « una interpretazione autorevole e sistematica della Corte resa con tempestività, in poco tempo ed in concomitanza alle prime pronunzie della giurisprudenza di merito, può svolgere un ruolo deflattivo significativo, prevenendo la moltiplicazione dei conflitti e con essa la formazione di contrastanti orientamenti territoriali ». Una volta ammessa - con la pronuncia del 2023 - la esportazione dell’istituto al di fuori dei confini del processo civile, il TAR Liguria, con la ordinanza del 28 febbraio 2025, n. 230 ha attivato per la prima volta il rinvio nel giudizio amministrativo . Anche in questa fattispecie il rinvio è stato operato al fine di risolvere una questione di giurisdizione. Il ricorso è originato dall’impugnativa degli atti di una procedura concorsuale per il conferimento dell’incarico quinquennale di Direzione della Struttura Complessa “Chirurgia Generale ad Alta Complessità” - disciplina di Chirurgia Generale - Area di Chirurgia e delle Specialità Chirurgiche, dell’Azienda Sociosanitaria Ligure 5. Si tratta di procedure di conferimento di incarichi direttivi di strutture caratterizzate da maggiore autonomia nella gestione, in base a quanto previsto dall’atto organizzativo adottato dalla ASL ( cfr. ex art 15, comma 6, del d.lgs. 502/1992 ). Sul conferimento di tali incarichi dirigenziali è divenuta controversa la giurisdizione , a seguito di una recente modifica normativa, che ha riformato l’art. 15, comma 7 bis del d.lgs 502/92, sostituito dall’ art. 20, comma 1, l. 5 agosto 2022 n. 118 . Per effetto della richiamata novella legislativa, l’art 15 sopra citato ora prevede una maggiore procedimentalizzazione della procedura di scelta del dirigente. Precedentemente, infatti, la procedura era basata su un’analisi comparativa dei titoli, posseduti dai candidati “ai fini della predisposizione di una terna di candidati idonei formata sulla base dei migliori punteggi attributi”; poi si passava alla “individuazione da parte del direttore generale, del candidato da nominare, tra i due che avessero ottenuto il punteggio più elevato”. In tale contesto la giurisdizione ordinaria era fondata – cfr. ex multis Cass., SU, n. 13491/2021- sulle stesse modalità della selezione, articolate in “uno schema che non prevede lo svolgimento di prove selettive, con la formazione di graduatoria finale e l’individuazione del candidato vincitore, ma soltanto la scelta, di carattere essenzialmente fiduciario”. Di qui, in applicazione dell’ art 63 del TU del pubblico impiego , le controversie si ritenevano devolute al giudice ordinario, escludendo la natura concorsuale della procedura e ritenendo la stessa integrata da atti adottati con i poteri del privato datore di lavoro. Infatti è pacifico ormai che , in tema di impiego pubblico privatizzato, il g.a. mantiene una riserva ex art 63 del TU pubblico impiego, solo per le procedure concorsuali finalizzate alla assunzione, o anche alla progressione in un’area o fascia superiore quella di appartenenza. Per contro, il conferimento di un incarico dirigenziale , ivi compresa la dirigenza sanitaria, non costituisce un concorso avendo come destinatari personale già in servizio ed in possesso della relativa qualifica, e rappresentando una scelta tra curricula e non una valutazione comparativa. Con la recente modifica normativa, gli incarichi di direzione di struttura sanitaria complessa sono ora attribuiti sulla base dell’ analisi comparativa dei curricula e dei titoli professionali posseduti dai candidati “secondo criteri prefissati preventivamente”, in modo tale da far prescegliere il candidato con il punteggio migliore. Le interpretazioni di queste novità procedurali, in giurisprudenza, hanno dato origine a due opposte soluzioni in punto di giurisdizione. Secondo un primo orientamento sussiste tuttora la giurisdizione del giudice ordinario, anche dopo la modifica normativa. Infatti la procedura attiene al “conferimento degli incarichi di direzione” , le cui controversie sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario per espressa previsione ex art. 63, comma 1, del d.lgs n. 165/01 ( come ha già affermato ex multis Cass., SU, nn. 13491/2021) e le modifiche del 2022 nulla mutano in ordine alla natura dell’incarico, essendo la procedura selettiva finalizzata all’attribuzione di un incarico dirigenziale e non avendo natura concorsuale. La giurisdizione del giudice amministrativo è per contro configurabile solo nelle ipotesi di concorsi finalizzati alla “assunzione” del dipendente, mentre l’incarico di direttore di struttura complessa è conferibile a chi sia già stato assunto nel ruolo della dirigenza medica mediante concorso pubblico ai sensi dell’art. 15, comma 7, primo periodo del d.lgs n. 502/92 e s.m.i.. In tali termini la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che “ la riserva stabilita in favore del giudice amministrativo concerne soltanto le procedure concorsuali strumentali all’assunzione o alla progressione in un’area o fascia superiore a quella di appartenenza, laddove gli atti di conferimento d’incarichi dirigenziali - i quali non concretano procedure concorsuali ed hanno come destinatari persone già in servizio nonché in possesso della relativa qualifica - conservano natura privata in quanto rivestono il carattere di determinazioni negoziali assunte dall’Amministrazione con i poteri e le capacità del comune datore di lavoro ” (Cass., SU, nn. 13491/2021). In sintesi, secondo tale tesi, la novella legislativa, pur incrementando la procedimentalizzazione della selezione, nulla innoverebbe sul riparto di giurisdizione. (Consiglio di Stato sezione III, 4 giugno 2024, n. 5017; C. S. III, 19 luglio 2024, n. 6534). Secondo un secondo orientamento , più recente, del Consiglio di Stato, tali controversie sarebbero attratte alla giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto, per effetto della riforma, sarebbe venuto meno il carattere fiduciario del conferimento dell’incarico e la procedura sarebbe ora inscritta nel modello concorsuale. Ciò si desumerebbe dal fatto che la selezione non è limitata ai medici in servizio presso l’Asl interessata, ma “aperta e pubblica” e quindi assume i connotati di una procedura per l’immissione in servizio di un sanitario, in posto qualificato: la stessa sarebbe finalizzata all’assunzione del sanitario sub specie di “progressione in un'area o fascia superiore a quella di appartenenza” ovvero all’acquisizione di uno “status” professionale più elevato (Consiglio di Stato sentenza 18 ottobre 2024 n. 8344). In ordine alla questione così inquadrata, il TAR Liguria ha ravvisato la sussistenza di tutti i presupposti di cui all’art 363 bis c.p.c., ovvero la natura esclusivamente di diritto del quesito, la possibilità che la questione si ponga in molteplici giudizi, come dimostra la giurisprudenza in materia, la novità della questione e il contrasto giurisprudenziale ancora irrisolto, sia in seno alla giurisprudenza amministrativa sia da parte della Suprema Corte in sede di regolamento della giurisdizione. Trattandosi di una questione che indubbiamente condiziona la risoluzione della controversia, in particolare in quanto la scelta tra le diverse opzioni ermeneutiche viene a riflettersi sulla sussistenza in radice della potestas decidendi del g.a., il Collegio, ha operato il rinvio di interpretazione alla Corte di cassazione, rilevando che occorre in limine risolvere una questione da cui dipende la sussistenza della propria giurisdizione. OSSERVAZIONI FINALI La circostanza centrale nel caso in esame è proprio inerente alla utilizzabilità dello strumento del rinvio pregiudiziale da parte del giudice amministrativo , e quindi alla possibilità, anche in tali casi, di sua esportazione al di fuori del contesto del codice di procedura civile. Quanto alla possibilità di operare il rinvio ex art 363 bis c.p.c. da parte dei giudici speciali , occorre rifarsi alla sopra richiamata pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione che ha risolto il problema favorevolmente, rispetto al rinvio operato dal giudice tributario ( SSUU sentenza 13 dicembre 2023 n. 34851). Nell’ottica della estensibilità dell’istituto anche al processo amministrativo, il Tar Liguria rileva come la questione che intende sottoporre alla Cassazione sia relativa alla giurisdizione sulla controversia, la quale ex art. 111, comma 7 Cost. e art. 110 c.p.a. è scrutinabile dalla Suprema Corte, quale organo regolatore della giurisdizione, anche rispetto alle decisioni dei giudici speciali. Ancora, argomenta il TAR Liguria come il rinvio esterno contenuto nell’ art. 39 comma 1, c.p.a. – secondo cui “Per quanto non disciplinato dal presente codice si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi generali”- consenta l’opzione ermeneutica prescelta. In ciò giova richiamare la similitudine con il processo tributario, ove è presente analogo rinvio esterno al codice di procedura civile, e precisamente all’ art. 1, comma 2, d.lgs. 546/92, norma che è stata adoperata per ritenere consentito il rinvio pregiudiziale da parte del giudice tributario, come affermato dalla Cassazione nel precedente sopra citato ( SSUU sentenza del 13 dicembre 2023 n. 34851). La circostanza che il Tribunale amministrativo regionale appartenga a una giurisdizione speciale non sarebbe ostativa ex se alla facoltà per i giudici amministrativi di sollevare rinvio pregiudiziale ex art 363 bis c.p.c., atteso che il rinvio è operato proprio ai fini della determinazione della giurisdizione, ambito in cui “la Cassazione costituisce l’organo di vertice, con il compito di assicurare l'esatta osservanza, l'uniforme interpretazione della legge e l'unità del diritto oggettivo”. Inoltre tale istituto - “ essendo volto a sollecitare un responso anticipato della Corte in ordine ad una questione di diritto, non ancora risolta dalla giurisprudenza di legittimità ed avente carattere seriale, che presenti gravi difficoltà interpretative ed appaia rilevante ai fini della decisione della controversia ” - sembra specialmente adeguato laddove la questione di giurisdizione sottenda una delicata e complessa questione di diritto afferente l’inquadramento sistematico dell’istituto di diritto sostanziale su cui si fonda l’attribuzione della giurisdizione. A favore della possibilità di applicare l’istituto anche al processo amministrativo, va rilevato l’inquadramento dato allo stesso dalle Sezioni Unite nella richiamata pronuncia 34851/2023, e precisamente le rilevanti differenze che “lo strumento ex art 363 bis c.p.c. presenta” rispetto al regolamento preventivo di giurisdizione, in quanto opera ad iniziativa del giudice, che può utilizzarlo non solo nel giudizio primo grado ma anche in quello di appello. In tal sede è significativa la definizione del rinvio pregiudiziale quale “strumento complementare” di definizione delle questioni di giurisdizione, rispetto a quelli già disciplinati dal c.p.c., il regolamento preventivo ad istanza di parte ex art 41 c.p.c. , e il regolamento di ufficio che è solo successivo. Questo inquadramento consente quindi di dare maggiore spazio ad un rinvio pregiudiziale anche in un’ottica di definizione della giurisdizione, proprio per evitare un inutile dispendio di energie processuali, deflazionando il contenzioso, mediante la enunciazione di un principio suscettibile di essere applicato in controversie seriali. Tuttavia le apprezzabili ragioni favorevoli alla ammissibilità dell’istituto vanno confrontate con le possibili obiezioni, specifiche per il processo amministrativo, che non sembrano essere state ancora vagliate nella fattispecie già esaminata dalla Cassazione, relativa al processo tributario. Può osservarsi che il rapporto tra giudice amministrativo e Corte di cassazione è delineato all’art 111 Costituzione , secondo cui le decisioni del Consiglio di Stato sono sindacabili dalla Suprema Corte solo per “motivi di giurisdizione”, con esclusione dei vizi costituenti errores in procedendo o in iudicando compiuti dal giudice speciale. Di qui occorre porre una particolare cautela alla estensibilità dell’istituto al processo amministrativo, onde evitare che venga piegato ad un surrettizio ampliamento delle cosiddette questioni di giurisdizione conoscibili dalla Cassazione. Il riferimento è alle posizioni espresse dalla Corte costituzionale, in riguardo alla diversa problematica del sindacato sull’eccesso di potere giurisdizionale, che focalizzano la necessità di intendere in senso stretto le questioni di giurisdizione (Corte costituzionale n. 6 del 2018), preservando una autonomia di decisione e procedura del giudice speciale. In tal sede la Consulta ha quindi ridimensionato un'eccessiva dilatazione del concetto di eccesso di potere giurisdizionale , che avrebbe consentito un sindacato sugli errores in iudicando o in procedendo , con una torsione del vizio di cui all’art 360 numero 1 c.p.c. inerente ai motivi di giurisdizione. Nel caso del rinvio pregiudiziale per motivi di giurisdizione questa torsione sembra escludersi, dal momento che la Corte di cassazione è chiamata ad una sorta di actio finium regundorum , che ha lo stesso contenuto del sindacato svolto in sede di regolamento di giurisdizione, o ex post in sede di ricorso per motivi di giurisdizione; può dunque condividersi la tesi per cui l’istituto si pone in linea con l’esigenza del giusto processo , in quanto finalizzato ad ottenere pronunce orientate a garantire la certezza e prevedibilità del diritto. In ultima analisi va condivisa l’osservazione secondo cui il rinvio pregiudiziale, più che destabilizzare le garanzie di autonomia riconosciute ad ogni giudice dall’ art 101, secondo comma Costituzione , rappresenta un’opportunità in più offerta al giudice di merito per rivolgersi alla Corte regolatrice della giurisdizione. Non sembra di ostacolo la osservazione, formulata da una parte della dottrina, secondo cui il rinvio pregiudiziale, anche se limitato ai fini di una questione di giurisdizione, troverebbe una barriera nella circostanza che in tale questione i profili di diritto sono inscindibilmente connessi a quelli di fatto . Al riguardo la Suprema Corte, nella citata sentenza concernente il Giudice tributario, ha osservato che tale inscindibilità contraddistingue tutte le questioni di carattere processuale, ove la Corte è chiamata ad operare come giudice anche del fatto. In ogni caso, in tali questioni è ben possibile distinguere l’aspetto riguardante la interpretazione della norma giuridica astrattamente applicabile, dalla ricostruzione della concreta vicenda processuale, che rimane “ affidata al giudice di merito, sia in via preventiva , ai fini della motivazione in ordine alla rilevanza della questione, che in via successiva, ai fini della applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte ”. In altri termini si è rilevato che, fermo che i profili fattuali sono riservati in via esclusiva al giudice di merito, a quello di legittimità può demandarsi il profilo giuridico consistente non già nell’individuare il giudice a cui spetta la giurisdizione, ma nella “interpretazione delle norme sostanziali e processuali dalle quali dipende il riparto di giurisdizione”(cfr. sempre Cassazione, Sezioni Unite numero 34851/2023). Vale sottolineare che in ogni caso la Suprema Corte ha già chiarito nella citata sentenza che la sua pronuncia non sarà mai nel senso di statuire in via diretta a chi spetti la giurisdizione, bensì di qualificare la posizione giuridica sottesa alla questione di giurisdizione , rimanendo nel campo del giudice del merito il compito di trarne le conseguenze, benché entro il vincolo del principio di diritto. In attesa di conoscere la decisione della Suprema Corte in ordine all’estensibilità del rinvio sollevato al processo amministrativo, si rileva come l'ordinanza del giudice di primo grado , nel solco della giurisprudenza di altri giudici speciali, abbia colto la possibilità, offerta dal codice di rito in virtù del rinvio esterno, di dialogo anticipato con la Corte regolatrice della giurisdizione. In tal modo, il giudice amministrativo contribuirebbe a realizzare lo scopo della norma di recente introduzione, ossia una previa risoluzione di questioni di diritto rispetto alla decisione di merito, nell’ottica di economia processuale, ragionevole durata del processo e dell’armonia tra decisioni di diversi giudizi, al fine di assicurare l’uniformità del diritto oggettivo.
Autore: dalla Redazione 5 aprile 2025
Ci sono alcuni curiosi e interessanti cortocircuiti su istituti giuridici importanti (processuali e non) tra Giudici di primo grado e Giudici di secondo grado della magistratura amministrativa, che a intervalli più o meno regolari ritornano a galla. Un conflitto attuale di portata fortemente impattante sulle prossime generazioni di giovani avvocati – di coloro cioè che si accingono a partecipare (per possibilmente superarle) alle prove dell’esame di abilitazione – nasce dalle norme che disciplinano lo specifico tema nell’ambito della professione forense . La disciplina in materia, prima di essere novellata con la L. n. 247 del 2012, era dettata dal r.d.l. n. 1578 del 1933 , come modificato e integrato nel 2003. In linea generale, l’art. 22, comma 9, del r.d.l. n. 1578/1933 attribuisce alla Commissione centrale istituita presso il Ministero della Giustizia il potere di fissare i criteri di giudizio delle prove scritte, mentre l’art. 17-bis, r.d. n. 37 del 1934 prevede che le stesse consistano in tre elaborati, per la valutazione dei quali ognuno dei cinque componenti delle commissioni dispone di dieci punti di merito. La commissione assegna il punteggio a ciascuno dei tre lavori, con annotazione immediata del voto deliberato in calce all’elaborato. Con la nuova disciplina introdotta dalla L. n. 247 del 2012 , il legislatore ha riformato in toto l’ordinamento della professione forense, novellando anche la disciplina dell’esame di abilitazione. L’ art. 46, comma 5 , della legge del 2012 pone in capo alla commissione uno specifico onere motivazionale , innovando in tal senso il precedente assetto normativo e stabilendo che la commissione medesima annoti “ le osservazioni positive o negative nei vari punti di ciascun elaborato, le quali costituiscono motivazione del voto che viene espresso con un numero pari alla somma dei voti espressi dai singoli componenti ”. Tuttavia, l’applicabilità della nuova disciplina, ivi compreso, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale, il disposto rafforzamento dell’obbligo motivazionale, è stata differita dal successivo art. 49 fino al corrente anno. Nelle more, il Legislatore, oltre ad avere rinviato anno dopo anno l’applicabilità delle nuove modalità d’esame, ha introdotto disposizioni ad hoc per lo svolgimento delle differenti sessioni annuali, ma il problema della consistenza da dare alla motivazione è rimasto e anzi si è aggravato. E’ sufficiente o meno il voto numerico nei giudizi espressi dalla commissione esaminatrice? Il tema è stato vagliato negli anni sia dalla giurisprudenza amministrativa che da quella costituzionale. Il Giudice delle leggi, in un primo tempo, con la sentenza n. 28/2006 , ha dichiarato inammissibili le questioni di illegittimità delle norme del vecchio ordinamento forense, nella parte in cui avrebbero consentito la formulazione di una motivazione solo numerica per l’attribuzione del voto alle prove di esame per l’abilitazione alla professione forense. La Corte ha ritenuto che all’epoca la giurisprudenza amministrativa fornisse un panorama articolato di possibili soluzioni interpretative (tra cui anche la tesi dell’apprezzabilità caso per caso della sufficienza e idoneità del punteggio numerico), e che dunque non sarebbe stato corretto, da parte sua, dare l’avallo “a favore di una determinata interpretazione della norma”. Pochi anni dopo, con la sentenza n. 20/2009 , la Corte costituzionale ha preso atto dell’evoluzione della giurisprudenza amministrativa ed ha riconosciuto che la tesi della sufficienza del voto solo numerico si era consolidata, costituendo ormai un vero e proprio “diritto vivente”. La questione, pur ritenuta ammissibile, venne però respinta nel merito, in quanto i parametri di costituzionalità denunciati afferivano all’aspetto processuale della tutela, non preclusa di per sé dalla ritenuta sufficienza del voto numerico. Successivamente, la Consulta ha anche precisato che dall’art. 17-bis, comma 2, del r.d. n. 37 del 1934, coordinato con i successivi artt. 23, comma quinto, e 24, primo comma, sarebbe emerso che “il criterio prescelto dal legislatore” per la valutazione delle prove scritte nell'esame di avvocato era in ogni caso quello del punteggio numerico, costituente la modalità di formulazione del giudizio tecnico-discrezionale finale espresso su ciascuna prova, e che sarebbe bastata ai fini della legittimità e della congruità della valutazione espressa la mera graduazione del dato numerico stesso. In un passaggio importante, però, la Corte ha altresì evidenziato che la ritenuta adeguatezza motivazionale del solo punteggio numerico risponderebbe alle esigenze di buon andamento dell'azione amministrativa di cui all’ art. 97, primo comma, della Costituzione , le quali rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni che hanno condotto ad un giudizio di non idoneità, avuto riguardo sia ai tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia al numero dei partecipanti alle prove. In altri termini, i criteri di economicità e di efficacia che regolano il procedimento amministrativo in genere giustificherebbero in questo caso la scelta del modulo valutativo adottato dal legislatore. Quando però è sopravvenuta la legge 2012 n. 247, che, come visto, ha imposto l’apposizione di osservazioni positive o negative nei vari punti dell’elaborato a motivazione del voto, è stato subito evidente che il Legislatore aveva adottato un’impostazione innovativa rispetto a quella salvaguardata dalla Corte costituzionale, imponendo un obbligo motivazionale ulteriore rispetto al solo voto numerico. Di tale innovazione non ha evidentemente preso atto l’ Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 7 del 2017 ), la quale, nelle more dell’entrata in vigore della nuova disciplina, ha ribadito l’inapplicabilità dell’art. 46, comma 5, della l. n. 247/2012, a fronte di una disposizione che ne differisce l’applicazione, con scelta, quella del differimento, ritenuta non irragionevole perché non producente effetti distorsivi sul piano della tutela. E’ stata così ancora una volta confermata la capacità e l’idoneità del voto numerico, attribuito in base a criteri predeterminati, ad esprimere e sintetizzare il giudizio tecnico-discrezionale della commissione senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, atteso che il voto medesimo garantirebbe la trasparenza del giudizio. Sono trascorse le stagioni, e con esse le alterne vicende dell’esame di avvocato (la cui struttura ha ovviamente risentito anche degli effetti della pandemia), fino a quando la sessione dell’anno 2023 , disciplinata da una norma ad hoc ( art. 4-quater del d.l. n. 51 del 2023 ), ha addirittura previsto lo svolgimento di una sola prova scritta (oltre ad un esame orale in caso di superamento della prima), per la cui valutazione ognuno dei tre componenti della sottocommissione avrebbe avuto a disposizione dieci punti di merito, senza ovviamente specificare alcun particolare onere motivazionale in capo agli esaminatori. E’ stato lecito a questo punto chiedersi – e così hanno cominciato a fare alcuni Tribunali, sulla spinta dei ricorsi giurisdizionali proposti dai candidati “bocciati” con un semplice numerino – se la particolare situazione di fatto su cui si era basata la Corte costituzionale nel ritenere sufficiente la motivazione meramente numerica sia adesso cambiata. Tanto per dirne una, la contrazione nel tempo del numero dei candidati e delle prove da correggere ha determinato il necessario contenimento dei tempi di correzione. Ad esempio, proprio nella sessione dell’anno 2023 hanno partecipato un numero di candidati molto minore rispetto alle precedenti (9.703 aspiranti avvocati a fronte di 27.451 partecipanti alla sessione del 2016, a cui si riferiva la decisione assunta dall’Adunanza Plenaria nel 2017), e questi stessi candidati hanno dovuto redigere un solo elaborato scritto, a fronte delle tre prove previste dalle sessioni svoltesi sino al 2019. E’ dunque ancora possibile sostenere, nell’attuale contesto, che la finalità di garantire il buon andamento dell’azione amministrativa renda inesigibile la formulazione da parte della Commissione di una motivazione ulteriore rispetto al solo punteggio ? Altra domanda che è lecito porsi è se la scelta operata dal Legislatore con l’art. 46 della legge n. 47 del 2012 (c.d. motivazione rafforzata), pur non sostanziandosi attualmente nell’obbligo di apposizione di specifiche annotazioni – in conseguenza del reiterato rinvio sull’applicabilità di tale norma – abbia comunque un valore precettivo “indiretto”, orientando le commissioni ad apporre quanto meno dei segni grafici idonei a palesare le parti dell’elaborato ritenute insufficienti o particolarmente meritevoli in relazione ai criteri valutativi dettati dalla normativa di riferimento per ciascuna sessione. Una diversa interpretazione potrebbe invero porre un problema di irragionevolezza della disciplina legislativa che ha imposto il differimento delle nuove norme, anno dopo anno, specie se si considera che, con il passare del tempo, si possono attenuare le ragioni, di regola legate alla necessità di approntare una disciplina attuativa, che suggeriscono di rinviare l’efficacia di una riforma legislativa. Il netto cambiamento del contesto di base in cui è maturata l’esigenza di differimento dell’introduzione della motivazione rafforzata (eccessivo numero di domande dei candidati all’esame) potrebbe infatti indubbiamente fare sorgere un problema di coerenza della disciplina stessa con la ratio che la ispira e con la nuova situazione di fatto. Si potrebbe dunque ipotizzare che l’ulteriore differimento dell’applicabilità della riforma dell’esame di avvocato riguardi soltanto le modalità di correzione degli elaborati scritti indicate dal legislatore del 2012, e non già il più generale obbligo di motivazione rinforzata, che deve oramai ritenersi introdotto nell’ordinamento. L’alternativa sarebbe quella di sollevare questione di legittimità costituzionale, una volta realizzata l’impossibilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina di rango primario. Sotto questo profilo, il Tribunale amministrativo per la Lombardia, con una recentissima pronuncia, ha ritenuto di potere fornire, rispetto all’ultima legge di proroga, un’interpretazione compatibile con il principio di ragionevolezza desumibile dall’ art. 3 della Costituzione , e ha ritenuto necessario che fin da subito i giudizi espressi dalla commissione d’esame siano supportati da una motivazione ulteriore rispetto a quella solo numerica, motivazione che, seppure non debba necessariamente consistere nell’apposizione di annotazioni, consenta di percepire, secondo modalità rimesse alla discrezionalità dell’amministrazione, le ragioni del giudizio espresso, in modo ulteriore e più specifico rispetto a quanto si realizza con il voto numerico. [1] Con la conseguenza che dovrebbe andare “in soffitta”, nel caso di specie, anche la tesi secondo cui la rigida parametrazione dei criteri di valutazione costituirebbe un sufficiente presupposto per l’adeguatezza della motivazione numerica. E il Consiglio di Stato? Cosa ne pensa il Giudice di appello e insieme di cassazione dei TAR? Proprio in uno dei ricorsi “gemelli” che ha poi portato alla decisione innovativa – si direbbe quasi “rivoluzionaria” - del Tar Milano, l’ordinanza cautelare che ha riformato quella di primo grado ha così scolpito il suo giudizio sul tema: “ (…) contrariamente a quanto assume il Tar, la censura relativa all’attribuzione del solo voto numerico non può ritenersi condivisibile alla luce del costante orientamento del Consiglio di Stato che sulla sufficienza del voto numerico ad esternare adeguatamente le ragioni del giudizio della Commissione di esame per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato si è espressa in senso affermativo (cfr. ex multis, sez. III, ord., 28 giugno 2024, n. 2452; id., ord., 29 settembre 2023, n. 3994; id. 12 aprile 2023, n. 3712; id., sez. IV, 11 gennaio 2019, n. 56) ”. [2] E adesso? Adesso non resta che aspettare che il Consiglio di Stato si pronunci nuovamente sul motivatissimo, ulteriore provvedimento (stavolta non un’ordinanza cautelare, bensì una sentenza) del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia. Staremo a vedere. Nel frattempo, la professione di avvocato, che è già diventata una difficile sfida per i giovani laureati che non vogliono o non possono fare altro, si arricchisce di un ulteriore punto interrogativo proprio ai blocchi di partenza , quando servirebbero più che mai regole chiare, trasparenti e uguali per tutti. [1] TAR per la Lombardia, Milano, sez. III, sent. n. 1170/2025, depositata il 4 aprile 2025. [2] Consiglio di Stato, sez. III, ordinanza n. 2965/2024.
Autore: a cura di Paolo Nasini 1 aprile 2025
Trib. Potenza, Sez. Proprietà Industriale e Intellettuale, 30 settembre 2024, n. 1546, Pres. est. Rosa Maria Verrastro IL CASO E LA DECISIONE La decisione del Tribunale lucano consegue all’azione esperita da una società per azioni nei confronti dell'Azienda Sanitaria Locale di Matera, con la quale è stato chiesto l'accertamento, previa interpretazione degli atti costituenti fonte del rapporto contrattuale tra le parti, dell' inadempimento della convenuta alle obbligazioni assunte in forza della convenzione stipulata tra le parti, con condanna della stessa all'esatto adempimento, ovvero al risarcimento del danno in forma specifica. La società, quindi, ha chiesto che fossero accertati e dichiarati i danni subiti e subendi a causa dell'inadempimento dell'Azienda; in subordine, che fosse accertato e dichiarato, l'arricchimento senza causa a favore della convenuta Azienda, con conseguente condanna della stessa al pagamento del giusto indennizzo per ingiustificato arricchimento. Secondo l’attrice, l'Azienda convenuta, in contrasto con gli atti di gara e con il tenore letterale della stessa convenzione sottoscritta dalle parti nel 2015, avrebbe imposto alla prima di sostenere costi per prestazioni estranee rispetto a quelle a suo carico, come contemplate nelle fonti del rapporto contrattuale; in particolare, l'Amministrazione, in base ad una erronea lettura degli atti di gara, avrebbe ritenuto che alcune prestazioni, e segnatamente il servizio di lavanolo, la pulizia e sanificazione dei locali, lo smaltimento dei rifiuti speciali e la ristorazione per merende in corso di trattamento fossero ricomprese nelle obbligazioni di essa concessionaria e, pertanto, che si trattasse di voci di costo integralmente a suo carico; che essa, pure manifestando formalmente il proprio dissenso, aveva sostenuto dette spese, in modo da consentire l'inizio delle attività, riservando di adire l'autorità giudiziaria a tutela delle proprie ragioni. La società, poi, ha specificato di avere sostenuto ingenti costi, non solo per la materiale erogazione dei predetti servizi, lievitati di anno in anno, ma anche per l'organizzazione di essi all'interno della struttura affidatale in gestione. Si è costituita in giudizio l'Azienda convenuta chiedendo il rigetto della domanda. In particolare, valorizzando l' art. 2 del disciplinare di gara e l' art. 10 della convenzione stipulata tra le parti , nonché la voce " gestione utenze", inserita nello studio di fattibilità costituente parte integrante degli atti di gara, e fonte ulteriore del contenuto del contratto, l’Amministrazione ha eccepito che tali servizi e connessi costi, nei quali rientravano le prestazioni indicate dalla concessionaria come ulteriori e non previste, dovevano intendersi, invece e come da contratto, a carico del concessionario. Il Tribunale con sentenza non definitiva ha accertato l’inadempimento dell’Amministrazione rimettendo la causa sul ruolo per l’accertamento dei danni subiti dalla ricorrente. In via preliminare, il Tribunale ha dichiarato la giurisdizione del giudice ordinario , avendo la controversia ad oggetto la fase attuativa del rapporto tra le parti, con conseguente assenza di profili di discrezionalità amministrativa, e la competenza della Sezione Specializzata in Materia di Impresa, giusta art. 3 comma 2 lett. f) del D.Lgs. 168/2003 , stante la rilevanza comunitaria della procedura di evidenza pubblica prodromica alla stipula della convenzione di affidamento. Nel merito, la questione fondamentale oggetto della controversia concerneva l'interpretazione del contratto in essere tra le parti e le fonti della sua disciplina. All'art. 2 della convenzione si legge che il contratto ha ad oggetto " la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la successiva gestione del Presidio Ospedaliero di Tinchi nei modi e nei termini definiti dal bando di gara ulteriormente integrato secondo la proposta offerta in fase di gara ed approvato con deliberazione aziendale ". Al successivo art. 17, le parti hanno individuato quale fonte di disciplina del rapporto: lo studio di fattibilità, il bando di gara, la relazione sulle caratteristiche dei servizi e della gestione, il progetto preliminare, l'offerta economica comprensiva del piano economico finanziario, l'atto di costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese. In ordine alle obbligazioni a carico del concessionario, ricollegate alla "fase di gestione", il contratto, all'art. 10, ha previsto che il primo fosse tenuto ad eseguire tutte le prestazioni ed i servizi di cui al disciplinare di gara, allegato alla convenzione, tutte richiamate testualmente ed indicate in: a) erogazione di prestazioni dialitiche ed eventuali prestazioni affini non contemplate nella tabella inserita nel corpo dell'articolo 10; b) "servizi accessori", questi individuati in: gestione e manutenzione dell'opera ivi comprese le pertinenze esterne, gestione e manutenzione degli impianti; manutenzione di apparecchi di dialisi; servizio di gestione utenze, servizi amministrativi. Nel medesimo articolo, era specificato che gli obblighi dell'Azienda erano individuati esclusivamente negli atti di gara, incluso il piano finanziario, oltre che nel contratto ed ancora che " il concessionario non potrà in nessun caso sollevare eccezione alcuna in merito all'inadempimento, da parte dell'azienda, di obbligazioni non esplicitamente individuate negli atti innanzi citati ". Il corrispettivo in capo al cessionario è stato individuato, all'art. 4, nella remunerazione delle prestazioni di dialisi rese all'utenza e remunerate a mezzo del sistema di DRG, prevedendosi, inoltre, un canone di concessione determinato in complessivi Euro 7.442.885,10 con durata convenuta in anni 9, a decorrere dalla data di effettiva operatività del Centro Dialisi. La proprietà delle opere è risultata in capo all'Amministrazione (il centro è situato all'interno di un Ospedale) che, con la procedura di evidenza pubblica descritta, ne ha affidato la progettazione e realizzazione, oltre che la gestione economica, al concessionario. Ancora, è risultato che l'Amministrazione convenuta all'art. 2 del bando di Project Financing , indetto ex art. 153 e segg. del D.Lgs. 163/2006 , ha manifestato la propria volontà di affidare ad un concessionario " la progettazione, costruzione e gestione del centro dialisi presso l'Ospedale di Tinchi mediante finanzia di progetto ". Al medesimo art. 2 del bando di gara è stato specificato che si intendevano incluse nella concessione tutte le prestazioni inerenti a "lavori, servizi e forniture come in dettaglio riportate nello studio di fattibilità", con la esclusione del personale tecnico sanitario ed infermieristico. Le prestazioni erano elencate in dettaglio nel medesimo art. 2, trattandosi di prestazioni legate al servizio di emodialisi, ovvero prestazioni di tipo sanitario. L'art. 3 del bando ha esplicitato le condizioni economiche dell'intervento, come tratto dallo studio di fattibilità (anch'esso parte dei documenti di gara e fonte della disciplina convenzionale) e ragguagliato "alla remunerazione decennale del 50 per cento sui ricavi dell'anno 2013 realizzati da ASM per prestazioni di dialisi", calcolati come da tariffario regionale per le varie prestazioni. Alla fine dell'art. 3 è stato specificato che per tutta la durata della concessione il concessionario sarebbe stato remunerato in base alle prestazioni effettivamente rese, applicando i DGR, decurtati dello sconto offerto in fase di gara; gli importi erano indicati nella colonna F inserita nel corpo dell'art. 3. L'offerta economica ed il "piano economico finanziario" presentati dal candidato dovevano indicare, tra l'altro, i "valori della gestione operativa" ovvero i ricavi, i costi operativi, le utenze, le tariffe. Un documento fondamentale, costituente allegato al bando di gara e fonte contrattuale, è lo " studio di fattibilità " commissionato a soggetto esterno dall'Azienda, i cui costi sono stati posti a carico del concessionario, in quanto in esso sono indicati i termini esatti dell'investimento. Il bando di gara richiamava, quanto al contenuto prestazionale, sia nella fase di progettazione e realizzazione delle opere, sia nella fase di gestione dell'attività, lo studio di fattibilità; in questo, le prestazioni a carico del concessionario erano dettagliatamente esplicitate e si riferivano, relativamente alla fase di gestione, alla fornitura e posa in opera di arredi, impianti e materiale di consumo funzionale alla erogazione delle prestazioni di dialisi. Nell'analisi dei costi e ricavi dell'intervento erano indicati, senza alcuna specificazione, quali voci di costo: la "manutenzione impiantistica, il service apparecchiature, il materiale sanitario, le "utenze", il personale tecnico amministrativo il personale sanitario (questo relativamente ad eventuali sostituzioni) altri " costi", questi non specificamente individuati (allegato E ed analisi dei costi). Al paragrafo “C” lo studio descriveva in dettaglio le attrezzature e l'impiantistica che avrebbe dovuto essere fornita e tenuta in esercizio nel corso della gestione, ed elencava " il materiale di consumo", qualificando la fornitura come ulteriore voce di costo. Lo studio di fattibilità conteneva gli elementi essenziali sulla scorta dei quali l'imprenditore avrebbe potuto - e dovuto - valutare il proprio piano di investimento, stimando cioè i ricavi ed i costi della concessione, sia quanto alla costruzione, sia quanto alla successiva gestione dell'opera realizzata (nel conto economico compaiono tra l'altro quali voci di costo le utenze e altre spese non meglio specificate nel corpo del documento). All'ultima pagina, sulla scorta dei dati in precedenza analizzati, erano indicati i flussi finanziari ed i tempi di recupero dell'investimento. Il Tribunale, quindi, ha sottolineato la centralità del documento in questione nella redazione del piano dell'investimento redatto dall'aggiudicatario, presentato in sede di partecipazione. Inoltre, il Giudice ha dato conto del fatto che parte attrice ha anche depositato le FAQ a mezzo delle quali la Stazione Appaltante chiariva i termini del servizio, le fonti della disciplina del rapporto, precisando che " viene richiesta al concorrente la realizzazione dell'immobile, la fornitura delle apparecchiature e degli arredi, gli specifici servizi di manutenzione, la fornitura di materiali di consumo e la gestione amministrativa delle attività sanitarie, necessari per le prestazioni sanitarie nella enucleazione minima di cui all'art. 2 del disciplinare che saranno svolte da personale medico, tecnico sanitario ed infermieristico il quale continuerà ad essere a carico di questa Azienda Sanitaria ". Ciò posto in punto di fatto, il Tribunale ha rammentato, in diritto, che, la norma applicata dall'Amministrazione nella indizione della gara, ovvero l' art. 153 del D.Lgs. 163/2006 , nel testo applicabile ratione temporis (la procedura è stata indetta prima della entrata in vigore del D.Lgs. 50/2016 ) prevede testualmente e nelle parti di interesse che: " 1. Per la realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità...inseriti nella programmazione triennale e nell'elenco annuale di cui all'articolo 128, ovvero negli strumenti di programmazione formalmente approvati dall'amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente finanziabili in tutto o in parte con capitali privati, le amministrazioni aggiudicatrici possono, in alternativa all'affidamento mediante concessione ai sensi dell'articolo 143, affidare una concessione, ponendo a base di gara uno studio di fattibilità, mediante pubblicazione di un bando finalizzato alla presentazione di offerte che contemplino l'utilizzo di risorse totalmente o parzialmente a carico dei soggetti proponenti. 2. Il bando di gara è pubblicato con le modalità di cui all'articolo 66 ovvero di cui all'articolo 122, secondo l'importo dei lavori, ponendo a base di gara lo studio di fattibilità predisposto dall'amministrazione aggiudicatrice. 2-bis. Lo studio di fattibilità da porre a base di gara È redatto dal personale delle amministrazioni aggiudicatrici in possesso dei requisiti soggettivi necessari per la sua predisposizione in funzione delle diverse professionalità coinvolte nell'approccio multidisciplinare proprio dello studio di fattibilità. 3. Il bando, oltre al contenuto previsto dall'articolo 144, specifica: a) che l'amministrazione aggiudicatrice ha la possibilità di richiedere al promotore prescelto, di cui al comma 10, lettera b), di apportare al progetto preliminare, da questi presentato, le modifiche eventualmente intervenute in fase di approvazione del progetto. 4. Le amministrazioni aggiudicatrici valutano le offerte presentate con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa di cui all'articolo 83. 5. Oltre a quanto previsto dall'articolo 83 per il caso delle concessioni, l'esame delle proposte è esteso agli aspetti relativi alla qualità del progetto preliminare presentato, al valore economico e finanziario del piano e al contenuto della bozza di convenzione. 6. Il bando indica i criteri, secondo l'ordine di importanza loro attribuita, in base ai quali si procede alla valutazione comparativa tra le diverse proposte. 7. Il disciplinare di gara, richiamato espressamente nel bando, indica, in particolare, l'ubicazione e la descrizione dell'intervento da realizzare, la destinazione urbanistica, la consistenza, le tipologie del servizio da gestire, in modo da consentire che le proposte siano presentate secondo presupposti omogenei. 9. Le offerte devono contenere un progetto preliminare, una bozza di convenzione, un piano economico-finanziario asseverato da un istituto di credito o da società di servizi costituite dall'istituto di credito stesso ed iscritte nell'elenco generale degli intermediari finanziari nonché la specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione. Il piano economico-finanziario comprende l'importo delle spese sostenute per la predisposizione delle offerte, comprensivo anche dei diritti sulle opere dell'ingegno di cui all' articolo 2578 del codice civile . 11. La stipulazione del contratto di concessione può avvenire solamente a seguito della conclusione, con esito positivo, della procedura di approvazione del progetto preliminare e della accettazione delle modifiche progettuali da parte del promotore, ovvero del diverso concorrente aggiudicatario ". L' art. 143 richiamato, a sua volta, prevede che: " 1. Le stazioni appaltanti affidano le concessioni di lavori pubblici con procedura aperta o ristretta, utilizzando il criterio selettivo dell'offerta economicamente più vantaggiosa. 2. Quale che sia la procedura prescelta, le stazioni appaltanti pubblicano un bando in cui rendono nota l'intenzione di affidare la concessione. 3. I bandi relativi alle concessioni di lavori pubblici contengono gli elementi indicati nel presente codice, le informazioni di cui all'allegato IX B e ogni altra informazione ritenuta utile, secondo il formato dei modelli di formulari adottati dalla Commissione in conformità alla procedura di cui all'articolo 77, paragrafo 2, direttiva 2004/18 ". L'allegato, quanto ai requisiti specifici dei bandi in materia di concessioni, prevede l'obbligatoria indicazione, tra l'altro, di "b) Oggetto della concessione; natura ed entità delle prestazioni". Secondo il Tribunale, dalla formulazione delle norme esaminate emerge chiaramente come nella procedura di project financing sia assolutamente centrale l' assunzione del rischio che l'operatore economico assume, e che permea la causa stessa del contratto. Fondamentale, pertanto, è la conoscibilità di tutti i costi connessi con l'investimento , conoscibilità che si realizza attraverso l'obbligo, in capo alla Stazione Appaltante di indicare, in atti e nello studio di fattibilità, il costo dell'investimento ed i criteri - trasparenti - sui quali l'impresa redigerà il piano economico finanziario. Il Tribunale, quindi, ha rammentato che: " Non basta, allora, che le clausole contrattuali in cui si traduce l'operazione economica congegnata dall'amministrazione comportino il trasferimento del rischio economico al gestore del servizio (nel caso di specie, il rischio di disponibilità), di modo che egli non abbia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei servizi, ma è necessario pure che siano specificati tutti gli oneri economici che concorrono a definire il rischio che l'operatore economico è chiamato ad assumere. In mancanza, non potrà dirsi attendibile l'elaborazione Piano economico finanziario - nel quale l'amministrazione è tenuta a riportare i costi preveduti e i ricavi possibili di modo da prefigurare l'utile conseguibile ovvero, in sintesi, le condizioni di equilibrio economico - finanziario dei servizi. D'altronde, se l'operatore non è posto a conoscenza di tutti gli oneri del servizio che dovrà svolgere, non sarà in condizione di valutare se, per la sua organizzazione di impresa, sia in grado di sostenere il rischio senza incorrere in perdite di attività e la sua offerta risulterà inevitabilmente non attendibile, potendo accadere che sia indotto a rivedere al ribasso la qualità del servizio offerto in corso di rapporto solo per evitare perdite " [1] . Ed ancora, sempre in materia di project financing e concessione è stato affermato che: " se con la procedura in questione normalmente la controprestazione a carico del cessionario consiste i nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente l'opera realizzata, allora egli deve essere in grado di conoscere tutti gli oneri ed i costi legati all'investimento, in base a documenti ed atti che è obbligo dell'Amministrazione di predisporre in maniera chiara e trasparente; da tanto discende che le condizioni, anche di costo, dell'intervento non possono essere modificate a detrimento del concessionario, nel corso del rapporto" [2] . Secondo il Giudice, d'altro canto, la conoscibilità degli elementi di costo diviene più essenziale se si riflette sulla circostanza che il procject financing consiste in una sorta di operazione di finanziamento che vede il coinvolgimento di soggetti privati non solo nella realizzazione e gestione di opere di interesse pubblico, ma anche nel finanziamento dei costi iniziali; costi che sono recuperati a seguito della gestione dell'opera stessa e dello sfruttamento delle attività collegate ad essa. Il vantaggio per le Stazioni appaltanti consiste, per converso, nella possibilità di realizzare opere utili alla collettività, nonostante la notoria carenza di fondi pubblici a tal fine necessari, grazie al coinvolgimento nel progetto di privati che si assumono il rischio dell'iniziativa in forza di una prospettiva di guadagno futuro. Il Tribunale, quindi, nel caso concreto, ha ritenuto che non solo nella documentazione di gara, ma anche nella convenzione non era previsto che gli oneri legati al servizio lavanolo, pulizia e sanificazione locali, smaltimento rifiuti speciali e ristorazione per merende in corso di trattamento fossero a carico del concessionario; non ha ritenuto, per contro, che la voce di costo denominata " gestione utenze " ricomprendesse anche tali voci di costo, normalmente rientrando nella nozione di "utenze" le spese di somministrazioni di energia, gas ed altro collegate con il funzionamento della struttura. Conclusivamente, il Giudice non ha ritenuto fondata l'interpretazione del contratto offerta dall'Amministrazione, sottolineando, comunque, come la stessa, in presenza di un dato testuale che enuclea i costi di gestione (non ricomprendendo le voci aggiuntive), non potesse ritenersi conforme all'accordo formatosi tra le parti in base al bando ed ai suoi allegati ed alla offerta del concessionario corredata dal piano economico finanziario, questo redatto in base allo studio di fattibilità posto a base di gara. Inoltre, l’Amministrazione ha sottolineato che si tratterebbe di una interpretazione contraria al principio di buona fede che costituisce fonte aggiuntiva del rapporto, sia nella fase della conclusione del contratto, che nella fase della sua esecuzione, costituendo canone ermeneutico ex art. 1366 c.c. . A tal proposito, il Tribunale rammenta che, in linea generale, l' art. 1362 c.c. prevede che nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la reale intenzione comune delle parti, valutando il loro comportamento successivo, anche posteriore alla conclusione del contratto. Nella ricerca della comune intenzione delle parti al momento della conclusione del contratto, lo strumento ermeneutico principale non può che essere costituito dalle espressioni utilizzate dalle stesse [3] . Secondo il Giudice di prime cure, il contratto, stante il suo oggetto, deve essere interpretato facendo applicazione dei principi costituzionali e dunque contemperando l' art. 97 Cost. in tema di buon andamento dell'attività amministrativa ma anche di trasparenza, e l' art. 41 in tema di libertà dell'iniziativa economica privata. Alla luce di quanto precede, quindi, il Tribunale ha accertato la violazione da parte dell’Amministrazione dell’art. 7 della convenzione, che, in tema di "obblighi ed oneri a carico del concedente", prevedeva che il primo si impegnasse a " prestare la propria collaborazione a svolgere le attività di propria competenza al fine di consentire il regolare svolgimento del rapporto concessorio ". Ciò in quanto l'Amministrazione ha ingiustificatamente imposto al concessionario (per il quale l'inizio della gestione economica era essenziale per il rientro dell'investimento) l'erogazione di prestazioni ulteriori, in base ad una interpretazione contraria agli atti di gara, alla specificazione degli obblighi a carico del concessionario previsti in convenzione, oltre che al principio di buona fede . [1] Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2022, n. 2809 . [2] Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2012, n. 3474. [3] Cass. civ., sez. lav., 02 agosto 2002, n.11609; Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2002, n. 6953.