Traffico di influenze e obblighi sovranazionali di incriminazione

dalla Redazione • 1 ottobre 2025

Tribunale sez. uff. indagini preliminari - Roma, ordinanza del 31/01/2025


IL CASO

Alcuni soggetti venivano imputati dinanzi al Tribunale penale di Roma ai sensi dell'art. 346-bis c.p., per avere pianificato, in concorso tra di loro, lo sfruttamento di relazioni personali e occulte con il Commissario per l'emergenza sanitaria nazionale Covid, al fine di indurre tale soggetto - pubblico ufficiale nell'esercizio delle proprie funzioni - a compiere atti contrari ai doveri di ufficio (atti integranti l'abrogato reato di abuso di ufficio).

Così facendo, avrebbero ottenuto, in favore di specifici imprenditori anch'essi concorrenti nel reato, una esclusiva di fatto nell'intermediazione delle forniture di maschere chirurgiche e dispositivi di protezione individuale, in violazione dei doveri di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione, così come richiamati anche dall'art. 122 del d.l. n. 18 del 2020, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27.

L'accreditamento in tal modo operato presso il Commissario produceva, secondo l'accusa, da un lato la garanzia della possibilità di selezionare "in solitaria" le società cinesi a cui commissionare la fornitura di un numero rilevante di mascherine protettive, per un importo pari a oltre a un miliardo di euro, dall'altro l'ottenimento per l'accreditatore di quasi 12 milioni quale prezzo per l'illecita mediazione.

Nel corso dell'udienza preliminare, il Pubblico ministero sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera e) della legge n. 114 del 2024, nella parte in cui tale norma aveva modificato in "riduzione" lo spettro di azione dell'art. 346 bis c.p., sul presupposto che, consistendo la principale condotta criminosa contestata agli imputati in una mediazione onerosa teleologicamente orientata alla commissione di fatti che, nella legislazione all'epoca vigente, costituivano ipotesi di abuso di ufficio a vantaggio indebito di privati, l'intervenuta modifica normativa avrebbe privato di rilevanza penale un fatto non solo di estrema gravità ma anche in relazione al quale era stato disposto il sequestro del profitto e del prezzo del reato.

Il Giudice penale adito accoglieva l'impostazione accusatoria, ritenendo non manifestamente infondata la questione sollevata, oltre che rilevante ai fini del decidere, e conseguentemente rimetteva con ordinanza gli atti alla Corte costituzionale.

TRAFFICO DI INFLUENZE E NUOVA FORMULAZIONE

Il reato previsto e punito dall'art. 346-bis c.p. prevedeva, originariamente, la reclusione da uno a tre anni, per la condotta di colui che, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319-ter, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente si faceva dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all'omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio.

La stessa pena si applicava anche a chi indebitamente dava o prometteva denaro o altro vantaggio patrimoniale.

Successivamente, la L. n. 3 del 2019, in attuazione dell'obbligo internazionale derivante dalla Convenzione di Strasburgo sulla corruzione, ha riformulato la struttura della fattispecie, ampliando l'area di applicabilità della norma, con particolare riferimento - ma non solo - alla natura della utilità erogata o promessa, ed elevato i limiti edittali della pena.

Tuttavia, con un ulteriore intervento normativo, l'art. 1 lett. e) della L. n. 114 del 2024 ha ridotto in misura consistente il possibile parametro applicativo della fattispecie, introducendo le seguenti specificità della condotta:

- il profilo della mediazione illecita deve consistere nell'utilizzazione intenzionale intenzionale di relazioni realmente esistenti, e non anche meramente asserite, con l'agente pubblico;

- l'utilità data o promessa per la mediazione illecita viene limitata ai casi di denaro o altra utilità economica;

- la predetta mediazione deve essere finalizzata alla commissione di un reato da parte dell'agente pubblico, dal quale possa derivare un vantaggio indebito.

Secondo il Tribunale di Roma, nel caso in commento, la contestuale abrogazione del reato di abuso di ufficio ad opera della stessa legge n. 114 del 2024 ha reso, di fatto, la norma di cui all'art. 346-bis c.p., nell'ipotesi di mediazione onerosa, di difficilissima applicazione, anche e soprattutto perché uno dei reati-obiettivo era proprio l'abuso di ufficio.

Sempre secondo il Giudice penale di primo grado, in punto di ammissibilità della questione di costituzionalità prospettata nel caso concreto, l'eventuale declaratoria di illegittimità della norma che da ultimo ha riformulato l'art. 346-bis del codice penale, restringendone sensibilmente, come detto, la portata, avrebbe sì come effetto in malam partem quello di far rivivere la previgente e più ampia formulazione della condotta sanzionabile (effetto ordinariamente inammissibile, in quanto sussiste in materia incriminatrice riserva assoluta in favore del legislatore), ma sarebbe giustificata in via eccezionale - secondo quanto statuito in recenti arresti dalla stessa Corte costituzionale - dalla asserita contrarietà della modifica legislativa del 2024 a specifici obblighi sovranazionali rilevanti ai sensi dell'art. 117 della Costituzione.

In particolare, nell'ipotesi del reato di traffico di influenze, sussisterebbe con portata cogente, e necessità di incriminazione delle fattispecie oggetto di parziale depenalizzazione, la Convenzione di Strasburgo (Convenzione penale sulla corruzione adottata dal Consiglio d'Europa), la quale, all’art. 12, con riguardo al traffico di influenze, avrebbe posto per gli Stati aderenti, un vero e proprio obbligo di incriminazione, e non una “raccomandazione”, ovvero un “obbligo a prendere in considerazione”.

Inoltre, la convenzione di Strasburgo ha individuato un contenuto minimo di condotte che devono essere necessariamente oggetto d'incriminazione, e ha dato rilievo, contrariamente alla normativa introdotta con la L. n. 114 del 2024, allo sfruttamento, da parte del mediatore, di relazioni non solo esistenti ma anche millantate, oltre che, quale contropartita della condotta illecita, a qualsiasi vantaggio indebito, e non solo a utilità economiche.

Dubita il Tribunale di Roma anche della legittimità, in rapporto alla citata convenzione, della limitazione del concetto di mediazione illecita a quella diretta a far commettere al funzionario pubblico un atto contrario ai doveri d'ufficio costituente reato.

D’altra parte, prosegue il Giudice penale di primo grado, il contenuto precettivo dell'art. 12 della Convenzione di Strasburgo, nel delineare in maniera dettagliata le condotte che devono essere previste come reato dagli Stati membri (quale “contenuto minimo”), non si porrebbe in contrasto con l'art. 25, comma 2 della Costituzione e con il principio di tassatività e determinatezza della norma incriminatrice ovvero con altri principi fondamentali della Carta costituzionale; in altri termini, la norma pattizia internazionale apparirebbe conforme a Costituzione e ben potrebbe essere considerata come parametro di valutazione delle leggi ordinarie interne.

Inoltre, quanto al rilievo per cui, a differenza di altre fattispecie di reato delineate nella Convenzione di Strasburgo, il traffico di influenze non avrebbe analoga portata cogente in virtù della possibilità di formulare sul punto “riserve” da parte degli Stati aderenti, il Tribunale di Roma fa rilevare che il dispositivo pattizio è ormai  divenuto vincolante per lo Stato Italiano, posto che all'atto dell'approvazione della legge 3/2019 non erano state confermate ulteriormente le riserve apposte al momento del deposito della ratifica.

In conclusione, il Giudice penale di primo grado dubita della legittimità dell'art. 1, comma 1, lett. e) della L. n. 114/2024, nella parte in cui, nel richiedere che la mediazione illecita sia solo quella finalizzata alla commissione di un atto contrario ai doveri di ufficio costituente reato non prevede, tra le possibili finalità della condotta, i fatti rientranti della ormai abrogata ipotesi di abuso di ufficio.

La disposizione della Costituzione violata sarebbe, nel caso di specie, l'art. 117 Cost., non avendo gli organi legislativi dell'ordinamento rispettato il vincolo discendente dagli obblighi internazionali, tra i quali rientrano anche quelli di incriminazione.

Conclude il Tribunale di Roma, dunque, nel senso che una legge ordinaria che non rispetti i vincoli derivanti da un trattato internazionale, si pone in diretto contrasto con l'art. 117 Cost..

La parola, adesso, passa al Giudice delle leggi.