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Mascherina sì, mascherina no

a cura di Roberto Lombardi • mag 09, 2022

Ed eccoci all'ultimo tagliando prima del ”liberi tutti”.

Più che essere o non essere, la domanda del giorno è: mettere o non mettere la mascherina?

Sguardi preoccupati si scorgono andando in giro per bar, farmacie, parrucchieri e luoghi di lavoro. L'esitazione è d'obbligo. Soltanto entrando al cinema si ha la liberatoria certezza, in questo particolare periodo storico, di dovere indossare ancora tutti la mascherina, per giunta la ffp2.

Ma cosa sta realmente accadendo, giuridicamente parlando?

Partiamo dalla fine.

Il 28 aprile scorso il Ministro della Salute, terminato lo stato di emergenza, esauriti i decreti-legge a disposizione, e finita anche un po'la pazienza di quegli italiani che non vorrebbero essere da meno rispetto agli altri europei - ormai in gran parte tornati alla "normalità" -, ha tirato fuori l'ultima ordinanza covid dal suo capace "cilindro” emergenziale.

Si leggono nella motivazione di questa ordinanza delle cose stupefacenti, e anche un po'preoccupanti, a volerla prendere sul serio, come peraltro sarebbe giusto che fosse.

"Considerato che, in relazione all'attuale andamento epidemiologico, persistono esigenze indifferibili di contrasto al diffondersi della pandemia da Covid-19".

Una tale premessa, peraltro non corroborata da nessuna reale spiegazione di quale sia l'attuale andamento epidemiologico, né dal richiamo di un parere tecnico sul punto (il CTS è stato ormai smobilitato), ma accostata all'utilizzo di un potere extra ordinem - la cosiddetta ordinanza contingibile e urgente, capace di derogare alla normativa vigente - dovrebbe essere seguita, nella normalità dei casi, se si fosse cioè davvero in una situazione seria di rischio sul territorio nazionale, da misure drastiche di contenimento della diffusione del virus, come nel recente passato abbiamo già conosciuto.

Una tale premessa, inoltre, non sarebbe stata certamente plausibile se una popolazione quasi interamente vaccinata fosse anche sicuramente "protetta" contro la malattia grave, o ancora, ma è lo stesso, se fosse accertato definitivamente che il virus che oggi circola non cagiona una malattia grave ma una specie di raffreddore rinforzato. (1)

E invece, alla giustificazione "catastrofista" dell'atto, segue semplicemente l'obbligo di indossare, astrattamente fino al 15 giugno 2022, le mascherine in aerei, treni, traghetti, autobus, ospedali, RSA, cinema e luoghi al chiuso dove si svolgono spettacoli dal vivo o eventi sportivi.

Una sola domanda, dal punto di vista strettamente giuridico: siamo sicuri che la motivazione dell'ordinanza soddisfi i requisiti minimi stabiliti dalla giurisprudenza perché tale tipo di provvedimento possa incidere su diritti soggettivi costituzionalmente rilevanti?

Si impone un facere invasivo della libertà personale con un atto amministrativo monocratico e non con una legge, senza che siano indicati, se non tramite una clausola di stile (”considerato che persistono esigenze indifferibili di contrasto…”), i reali presupposti di urgenza che devono assistere l’esercizio di un potere così penetrante.

Si tratta di un comando che si pone addirittura in tensione con un paio di norme primarie di segno contrario (art. 85 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e art. 5 della legge n. 152 del 1975), le quali pretendono che ordinariamente il viso non sia coperto in luoghi aperti al pubblico.

Si tratta inoltre di un obbligo che per essere legittimamente imposto tramite atto amministrativo dovrebbe rivelarsi idoneo a fronteggiare una situazione di rischio imprevista e/o straordinaria ed essere confinato entro ragionevoli limiti temporali, dati dalla persistenza della situazione eccezionale, senza peraltro mai risultare sproporzionato, cioè eccedente le finalità del momento, o destinato a regolare stabilmente una situazione o un assetto di interessi.

Lasciamo la risposta ai Tribunali, se mai si occuperanno della questione.

E tuttavia, dal punto di vista pratico, la disposizione più criptica è quella contenuta nel secondo periodo del comma 2 dell’art. 2 dell’ordinanza ministeriale: “È comunque raccomandato di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso pubblici o aperti al pubblico”.

Cosa significa, dal punto di vista giuridico? Niente, se non la “creazione” di una sorta di effetto di liceità che rende, ad esempio, giustificato coprirsi il volto in luoghi aperti al pubblico, ma che non potrebbe, per altro verso, obbligare utenti o lavoratori a soggiacere ad una sorta di misura “discriminatoria” in tali luoghi (del tipo: entri soltanto se hai la mascherina).

Nei fatti, si è creata una curiosa disparità tra uffici pubblici e aziende private, oltre che, quanto ai primi, tra un ufficio pubblico e un altro.

Il tutto nasce da una bizzarra combinazione tra quanto previsto dal legislatore con il suo ultimo decreto-legge anti-covid, attualmente in sede di conversione (“Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell'epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”), e quanto previsto in ordine sparso dalle altre mille autorità, private e pubbliche, di questo Paese.

L’art. 5 del decreto-legge n. 24 del 24 marzo 2022 stabilisce come termine finale dell’utilizzo obbligatorio dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie il 30 aprile 2022, ma fa salvo l’art. 3 del decreto-legge n. 52 del 2021, secondo cui fino alla conclusione dell'anno scolastico 2021-2022, nelle istituzioni e nelle scuole primarie e secondarie nonché negli istituti tecnici è fatto obbligo di utilizzo delle mascherine di tipo chirurgico, o di maggiore efficacia protettiva.

A sua volta, l’art. 3 del d.l. n. 24 sopra citato affida al Ministro della Salute, a decorrere dal 1° aprile 2022 e fino al 31 dicembre 2022, in relazione all'andamento epidemiologico, un potere di ordinanza, di concerto con i Ministri competenti per materia o d'intesa con la Conferenza delle regioni e delle province autonome, al fine di adottare e aggiornare linee guida e protocolli volti a regolare lo svolgimento in sicurezza dei servizi e delle attività economiche, produttive e sociali.

Nella realtà delle cose, negli ambienti di lavoro privati è stato prorogato fino al 30 giugno 2022 il “Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-CoV-2/COVID-19”, che prevede la permanenza dell’obbligatorietà dell’uso delle mascherine per i lavoratori “in tutti i casi di condivisione degli ambienti di lavoro, al chiuso o all'aperto” e fatti salvi i casi di “attività svolte in condizioni di isolamento”.

Al contrario, per quanto riguarda gli ambienti di lavoro pubblici – ad eccezione, come visto, delle scuole -, il Ministro della Pubblica amministrazione ha emesso un’ordinanza, in data 29 aprile 2022, in cui, dopo avere ribadito che non sussiste per il personale alcun obbligo specifico di indossare dispositivi individuali di protezione delle vie respiratorie, ha distinto i casi in cui l’utilizzo della mascherina è raccomandato e i casi in cui tale utilizzo non è raccomandato (!), e ha lasciato alle singole amministrazioni la “patata bollente” di decidere quali misure in concreto adottare.

La domanda sorge spontanea. Ma, se nei luoghi di lavoro pubblici le mascherine non sono più obbligatorie – e tutto depone, come visto, in tal senso –, quali dovrebbero essere le disposizioni adottate in materia dalle singole amministrazioni, se non quelle di specificare in quali ambienti sono raccomandate e in quali ambienti non sono raccomandate?

E poi. Quanto incidono questi suggerimenti del datore di lavoro sulle singole sensibilità dei lavoratori? In questo particolare periodo storico, ognuno si è fatto la sua idea e ha creato la propria linea di condotta per proteggersi dalla malattia virale.

In assenza di un dovere di protezione della collettività che venga cristallizzato in un obbligo giuridico, le raccomandazioni pubbliche lasciano il tempo che trovano. 

La verità è che forse la protezione dal virus pandemico – da tutti i virus – dovrebbe restare, in condizioni di normalità, affidata al buon senso e alla scelta individuale delle persone.

Oggi abbiamo gli strumenti per proteggerci senza costringere gli altri a farlo a loro volta (mascherine ffp2 e vaccinazioni) e in questa prospettiva la raccomandazione odierna del Ministro della Salute ha senso, se rivolta a tutelare quella parte di popolazione – ancora consistente, in conseguenza delle fragilità individuali e dei risvolti psichici generati dalla pandemia – che ritiene di non essere al sicuro da un rischio esistente, seppure largamente ridimensionato; non ha senso, se è invece la spia di uno Stato paternalista che vuole continuare a condizionare la vita di tutti instillando esso stesso la paura.

Nel frattempo, dalla Gran Bretagna (*) – ma lo stesso discorso vale anche per gli altri Paesi che hanno vaccinato molto e bene - giungono notizie di un drastico calo di contagi e morti nonostante l’eliminazione da tempo di tutte le misure obbligatorie di contenimento della diffusione del virus, ivi comprese le mascherine al chiuso.

Sarà forse che il “covid italiano” è il più resistente di tutti?



(1) Sul tema "pandemia" sono stati pubblicati sul sito i seguenti approfondimenti:

- Sistema democratico e Diritto emergenziale

- Vaccino e Covid-19: obbligo, raccomandazione o libero arbitrio?

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