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Da Parigi a Strasburgo. La "via" giudiziaria del green pass, tra controlli di legalità e di necessità

a cura di Francesco Tallaro • ott 22, 2021

Non serviva dominare le arti divinatorie per prevedere che presto sarebbero state sottoposte al giudizio delle Corti quelle misure con cui, nei vari Paesi, i governi cercano di disciplinare l’uscita dall’emergenza dettata dalla pandemia di Covid-19, allentando – da un lato – le misure restrittive sin qui mantenute, ma introducendo – di converso – nuovi presidi di sicurezza.

Le pronunce sino ad ora più interessanti sono state rese sulla disciplina francese del c.d. green pass, adottata con legge n. 2021-689 del 31 maggio 2021, così come modificata dalla legge n. 2021-824 DC del 26 luglio 2021 [1].

Tale legge, oltre a confermare l’autorizzazione al Primo Ministro ad adottare le misure di contenimento che hanno caratterizzato la lotta all’epidemia prima della diffusione della vaccinazione (divieto di circolazione, chiusura delle attività produttive, regolamentazione delle riunioni e divieto di assembramenti), gli consente, a partire dal 2 giugno 2021 e sino al 15 novembre 2021, anche di subordinare all’esibizione del c.d. green pass l’accesso ad alcuni luoghi.

Va notato che, rispetto alla disciplina adottata poi in Italia con d.l. 23 luglio 2021, n. 105, conv. con mod. con l. 16 settembre 2021, n. 16, e successivamente variamente modificata, l’obbligo di esibizione del green pass non deriva direttamente dalla legge, ma da un provvedimento amministrativo del Primo Ministro, che è appositamente autorizzato a ciò dalla legge e che lo può adottare nei casi in cui i dati epidemiologici lo consiglino.

Il green pass si può ottenere, anche Oltralpe come in Italia, grazie a un esame molecolare o antigenico che dimostri l’assenza di infezione da Sars-CoV-2, a seguito della somministrazione della seconda dose di vaccino oppure dopo la guarigione dal Covid-19. Il Primo Ministro, dunque, può subordinare alla sua esibizione l’utilizzo di mezzi di trasporto collettivi; l’ingresso ai luoghi di svago, ai ristoranti e ai bar, alle fiere, alle esposizione e ai convegni; l’ammissione – limitatamente agli accompagnatori e agli utenti beneficiari di servizi soggetti a programmazione – ai servizi sanitari, sociali e socio-sanitari; addirittura l’accesso, salvo che per i generi di prima necessità, ai grandi magazzini centri commerciali.

Anche i lavoratori, pubblici o privati, che debbano accedere in qualcuno di questi luoghi per prestare la loro opera sono tenuti a esibire la certificazione. Laddove i lavoratori a tempo indeterminato non possano o non vogliano farlo, potranno utilizzare, con il consenso del datore di lavoro, i giorni di riposo e di congedo; nel caso in cui ciò non sia possibile, il loro contratto di lavoro rimane sospeso, con correlata sospensione anche dalla retribuzione, salva la necessità di un incontro con il datore di lavoro per cercare di rimediare alla situazione, per esempio attraverso l’impiego del lavoratore in un luogo diverso. Per i lavoratori a tempo determinato, invece, la normativa prevedeva in origine la risoluzione anticipata del rapporto, senza corresponsione di alcuna indennità.

La legge 2021-824 DC del 26 luglio 2021 è stata sottoposta preventivamente, per come previsto dall’ordinamento francese, all’esame del Conseil constitutionnel, cui si sono rivolti il Primo ministro, più di sessanta deputati e più di sessanta senatori. Il giudice costituzionale si è pronunciato con decisione del 5 agosto 2021, n. 2021-824 [2].

La disciplina è stata dichiarata parzialmente illegittima, nella misura in cui assoggettava i lavoratori a tempo determinato a un trattamento diverso e deteriore rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, prevedendo, quanto ai primi, la possibilità di rottura unilaterale del vincolo del contratto da parte del datore di lavoro, mentre per i secondi è contemplata soltanto l’ipotesi delle sospensione dall’impiego senza stipendio.

Nondimeno, il Conseil constitutionnel ha fatto salvo l’impianto complessivo delineato dal legislatore. Premesso che spetta al legislatore bilanciare i vari interessi in gioco, nel caso concreto si è ritenuto che le misure adottate, pur incidendo sulla libertà di circolazione e anche sulla libertà di espressione collettiva di idee ed opinioni, siano proporzionate rispetto al pericolo da scongiurare.

Esse, invero, non pongono in capo ai cittadini alcun obbligo specifico di diligenza, né impongono la vaccinazione anti Covid-19, visto che il green pass si ottiene secondo tre diverse modalità (vaccinazione, esecuzione di un test, guarigione dall’infezione). In ogni caso, il principio di proporzionalità risulta rispettato innanzitutto per il fatto che il potere di subordinare all’esibizione del green pass l’accesso ad alcuni luoghi è stato attribuito al Primo Ministro solo in via temporanea, sino al 15 novembre 2021, e solo allo scopo, il cui perseguimento è verificabile in sede di sindacato giurisdizionale, di tutelare la salute pubblica. Inoltre, l’obbligo di esibizione del green pass riguarda solo luoghi in cui è possibile la presenza simultanea di una gran massa di persone, con aumento esponenziale del rischio di contagio, e il controllo avviene con mezzi che non consentono di conoscere le modalità di rilascio della certificazione (e dunque non consentono di conoscere dati sanitari) e senza che debbano essere acquisiti documenti di identità.

Il Conseil constutionnel ha respinto anche l’argomento secondo cui il legislatore, selezionando i luoghi in cui è necessaria l’esibizione del green pass, abbia violato il principio di uguaglianza: da un lato, l’obbligo può essere imposto, a determinate condizioni, solo per l’accesso a luoghi sensibili dal punto di vista epidemiologico; d’altra parte, nemmeno vi è discriminazione tra cittadini vaccinati e cittadini non vaccinati, atteso che entrambe le categorie possono ottenere, come già sottolineato, la certificazione.

Infine, è stato ritenuto che non vi sia alcuna violazione della libertà di iniziativa economica, atteso che ai titolari delle attività imprenditoriali e professionali a cui è possibile accedere solo mediante l’esibizione del green pass viene semplicemente richiesto un controllo del documento, che è imposizione non sproporzionata, se si tiene conto del rischio epidemiologico che il provvedimento intende depotenziare.

Superato il controllo di costituzionalità, sulla legge che pone i presupposti per l’obbligatorietà del green pass è stata chiamata a pronunciarsi anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, investita da una mole di circa 18.000 ricorsi, presentati da cittadini francesi organizzati dal signor Guillaume Zambrano attraverso un sito Internet che offre agli utenti la possibilità di ottenere un modello precompilato di ricorso alla Corte di Strasburgo.

La Corte si è pronunciata con sentenza della Sezione Quinta del 7 ottobre 2021 [3], con cui è stato esaminato per primo proprio il ricorso del signor Zambrano, che è stato duramente ripreso nelle motivazioni per l’uso improprio da lui fatto dello strumento messo a disposizione dei cittadini europei lesi nei loro diritti fondamentali.

Il ricorso, in effetti, è stato dichiarato inammissibile, in quanto il ricorrente non ha dimostrato la sussistenza dei requisiti indispensabili per ottenere una pronuncia della Corte. Egli, infatti, non ha innanzitutto dato dimostrazione di aver esaurito le vie di ricorso interno, ed anzi non ha mai dedotto di essersi rivolto al giudice francese per cercare tutela a fronte dell’affermata lesione dei suoi diritti fondamentali.

Inoltre, la Corte ha ritenuto indimostrata la qualità di vittima, che sussiste quando il ricorrente dimostri di aver subito direttamente gli effetti della supposta violazione. Tale requisito è indispensabile, visto che la Corte non è chiamata a risolvere questioni in astratto e non è ammessa d’innanzi ad essa l’azione popolare.

La decisione, tuttavia, presenta interesse sistematico, in quanto, così come già aveva fatto il Conseil constitutionnel, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha ritenuto di precisare che la normativa francese sul green pass, non introduce una nuova vaccinazione obbligatoria [4], posto che la certificazione necessaria per accedere ad alcuni luoghi può essere ottenuta in tre diverse modalità.

E nemmeno è possibile ipotizzare che vi sia stata una violazione della privacy (intesa quale libertà di autodeterminazione) del ricorrente, non risultando che egli sia stato messo dinnanzi al dilemma di porre in essere un comportamento contrastante con le proprie intime convinzioni oppure subire una sanzione, e posto che l’esibizione del green pass è un obbligo richiesto tanto ai soggetti vaccinati quanto ai soggetti non vaccinati.

Dunque, nonostante la conclusione in rito del giudizio, la Corte ha fornito indicazioni utili a chi sia chiamato a valutare, anche in Italia, la legittimità della disciplina sul green pass.


 
[1] Il testo è disponibile alla pagina web https://www.assemblee-nationale.fr/dyn/15/textes/l15t0660_texte-adopte-provisoire.pdf

[2] Il testo è disponibile alla pagina web https://www.conseil-constitutionnel.fr/decision/2021/2021824DC.htm

[3] Il testo è disponibile alla pagina web https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-212465%22]}

[4] Questione su cui si era pronunciata la Grande Camera con sentenza dell’8 aprile 2021, Vavřička e altri c. Repubblica ceca, annotata in questo blog alla pagina web https://www.primogrado.com/diritto-alla-privacy-e-vaccinazione-obbligatoriaa7af2add

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