Blog Layout

Vulnerabilità del sistema tributario e compressione della tutela dei diritti

a cura di Alma Chiettini • ott 23, 2023

(Commento a Corte Costituzionale 17 ottobre 2023, n. 190)


La Corte di Cassazione civile, Sez. Unite, con sentenza del 6 settembre 2022, n. 26283 - già commentata nella Sezione Tributario di questo sito -, aveva dichiarato manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3 bis del d.l. n. 146 del 2021, con cui è stato inserito il comma 4 bis nell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, e affermato che la novella si applicava anche ai processi pendenti.

La predetta norma ha prescritto che «l’estratto di ruolo non è impugnabile» e che «il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, … oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici, … o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione».

La questione della legittimità costituzionale del comma 4 bis dell’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973 è comunque arrivata alla Corte costituzionale (grazie a ordinanze della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Napoli e del Giudice di pace di Napoli), che si è pronunciata con la sentenza che si va qui a commentare.

Si tratta di un pronuncia che, pure non avendo dichiarato l'illegittimità della norma, ha evidenziato l'inesorabile intreccio che nel nostro Paese esiste tra storture del sistema tributario e restrizioni del diritto alla difesa.

I giudici rimettenti avevano ipotizzato la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. poiché, a seguito della novella, la tutela giurisdizionale del contribuente dinanzi al giudice tributario sarebbe “diversa (e deteriore) laddove sia competente il G.T. rispetto alla tutela accordata innanzi al G.O. per le medesime ipotesi e per le medesime ragioni”, posto che in caso di opposizione ex art. 615 c.p.c. la tutela è esperibile immediatamente, indipendentemente dalla notifica di un ulteriore atto, e sine die.

Ancora, la violazione del principio di uguaglianza sarebbe desumibile dal fatto che le ipotesi stabilite dalla norma riguardano solo tre dei pregiudizi legati ai rapporti del contribuente con la pubblica amministrazione, mentre resterebbero irragionevolmente escluse ipotesi di altri possibili pregiudizi. Sarebbe inoltre sussistita la violazione dei parametri di cui agli artt. 24 e 113 Cost., sia perché la drastica riduzione delle ipotesi di tutela immediata comporterebbe un vulnus al diritto di difesa del contribuente, sia perché resterebbero sprovvisti di tutela pregiudizi diversi da quelli relativi a rapporti con la pubblica amministrazione.

È stata dedotta anche la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. in quanto l’applicazione della norma censurata ai giudizi pendenti, mutando radicalmente l’esito del processo in corso, comporterebbe, oltre alla compromissione del diritto di agire in giudizio e della parità delle parti, anche la lesione dei principi di ragionevolezza, dell’affidamento dei contribuenti, della coerenza e della certezza dell’ordinamento e del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

Occorre premettere che tutte le questioni sono state dichiarate inammissibili, sia per ragioni di rito (difetto di motivazione sulla rilevanza), sia, soprattutto, perché il rimedio al vulnus riscontrato richiederebbe un intervento normativo di sistema riservato al legislatore.

Ma la lettura della sentenza è utile perché (punto 10 e ss. della parte dispositiva) riepiloga la storia del peculiare istituto dell’impugnazione degli estratti di ruolo, condividendo le osservazioni della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria del 30 giugno 2021 che aveva evidenziato come “l’introdotta possibilità (nel 2015), di impugnare la cartella di pagamento che si ritenga invalidamente notificata e di cui il contribuente sia venuto a conoscenza dall’estratto di ruolo (che ne afferma la valida notifica), scontrandosi con le gravi inefficienze del sistema italiano della riscossione, ha condotto all’enorme proliferazione di controversie strumentali di impugnazione degli estratti di ruolo radicate dai debitori iscritti a ruolo, con un aumento esponenziale delle cause innanzi alle Commissioni tributarie, ai Giudici di pace e, più in generale, alla Magistratura ordinaria per far valere, spesso pretestuosamente, ogni sorta d’eccezione avverso cartelle notificate anche molti anni prima, senza che l’Agente della riscossione si fosse attivato in alcun modo per il recupero delle pretese ad esse sottese, e perfino nei casi in cui vi avesse rinunciato, anche nell’esercizio dell’autotutela”. E si riconosce che è vero che il legislatore è intervenuto limitando la possibilità di impugnare direttamente il ruolo, ma che è altresì vero che nell’ultimo anno la massa dei ricorsi si è notevolmente ridotta, come ha affermato la difesa erariale.

Tuttavia, afferma la Corte, “è indubbio che a tale esito si è giunti incidendo sull’ampiezza della tutela giurisdizionale”: con ciò condividendo le ragioni (pertanto non manifestamente irragionevoli) volte a sostenere che il “bisogno” di tutela giurisdizionale può manifestarsi in situazioni diverse, e fondate, da quelle considerate nella norma censurata, per esempio nel caso di cessione di azienda, quando l’esistenza di un considerevole debito fiscale non contestato e non contestabile può incidere sul valore di cessione; oppure nell’ipotesi di contraenti privati che necessitano di verifiche circa le pendenze fiscali delle potenziali controparti. 

Nondimeno, tale “bisogno” di tutela giurisdizionale anticipata è causato dalla “patologica situazione della singolare esistenza di un magazzino di entrate non riscosse pari ad oltre mille miliardi di euro e che, secondo gli ultimi dati, comprende più di 170 milioni di cartelle, di cui il 60 per cento notificate prima del 2015, dove risultano quindi affastellate cartelle che, seppur evidentemente prescritte, incombono sul contribuente e ne possono compromettere la credibilità fiscale”.

Sul punto la Corte ricorda di aver già rimarcato che “una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate è elemento indefettibile di una corretta elaborazione e gestione del bilancio, inteso come bene pubblico funzionale alla valorizzazione della democrazia rappresentativa, mentre meccanismi comportanti una lunghissima dilazione temporale sono difficilmente compatibili con la sua fisiologica dinamica”.

La Corte considera, in via decisiva, che “l’abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema non può in via sistematica comprimere il bisogno di tutela anticipata dei soggetti (fossero anche pochi) che legittimamente lo invocano”. Ma soggiunge, realisticamente, che “il rimedio alla situazione che si è prodotta per effetto della norma censurata coinvolge profili rimessi – quanto alle forme e alle modalità – alla discrezionalità del legislatore e non spetta alla Corte”.

Più nello specifico, la Corte segnala che si potrebbe “estendere la possibilità della tutela anticipata a fattispecie ulteriori”, ma pure “agire in radice, ovvero sulle patologie che ancora permangono nel sistema italiano della riscossione”. Occorre, in definitiva, “un intervento normativo di sistema, implicante scelte di fondo tra opzioni tutte rientranti nella discrezionalità del legislatore”.

La Corte conclude formulando “il pressante auspicio” che il Governo dia efficace attuazione ai princìpi e criteri direttivi per la revisione del sistema nazionale della riscossione contenuti nella delega conferitagli dall’art. 18 della legge 9 agosto 2023, n. 111, a salvaguardia del pieno adempimento del dovere tributario in quanto “preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi”.

La parola torna, a questo punto, al Legislatore.



Share by: