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Spigolature 6. Cronologia e ontologia del diritto

Sergio Conti • gen 16, 2023

Segnalo dalla rivista telematica “Politica.eu” il saggio “Immanenza e trascendenza nella teoria della legalità” del prof. Salvatore Amato - ordinario di Filosofia del diritto Università di Catania - reperibile on line all'indirizzo http://www.rivistapolitica.eu/immanenza-trascendenza/ .

Il saggio riproduce con ampie revisioni il IV Capitolo di S. Amato, 2002, Coazione, coesistenza, compassione. Giappichelli, Torino.


Questo l'inizio del saggio:

Lo sviluppo del diritto, ci fa notare Perelman, presuppone la conciliazione dell’inconciliabile, la sintesi degli opposti. «Questo sforzo per risolvere delle incompatibilità è in uso a tutti i livelli dell’attività giuridica».

Il legislatore, il giudice e il singolo interprete si trovano, ciascuno a suo modo, a produrre incoerenze, dando però per scontata la coerenza del tutto. A questa capacità del sistema giuridico di restare (o di apparire?) coerente nell’incoerenza noi diamo il nome di legalità. La legalità è il valore (la normalità) che sta dietro una struttura variabile (i rapporti tra regole). È un principio: l’esistenza di un ordine, l’esistenza di un senso nel confuso insieme di leggi, sentenze, comportamenti. È un fatto: l’esistenza di un rapporto tra norma e norma, tra norma e comportamento. Potremmo parlare di una sorta di «effetto specchio» tanto necessario quanto apparentemente impossibile. Ogni atto giuridico dovrebbe essere il riflesso di un atto precedente dal quale deriva e al quale rimanda. Tuttavia, questi legami di conformità, che la legalità dovrebbe garantire, sono osservabili empiricamente (la costituzione rimanda alla legge, la legge alla sentenza… e così via), ma appaiono difficilmente giustificabili teoreticamente. La regola precede la regola cronologicamente, nel senso che ogni regola presuppone l’esistenza di un’altra regola e poi di un’altra e così all’infinito, ma c’è qualcosa che giustifichi questo continuo rincorrersi? Oltre la cronologia, c’è l’ontologia? C’è un’essenza a cui questo rimando reciproco conduce?


Queste domande diventano ancora più cruciali alla luce del diritto moderno che, in quanto diritto posto, assume la mutabilità e variabilità a modello della propria dimensione strutturale. Come osserva Luhmann, «il diritto vale positivamente solo quando la decidibilità e quindi la mutabilità diventa permanente attualità e può essere sopportata come tale». Se tutto è difforme, se tutto cambia non esiste la legalità, non esiste alcuna plausibile connessione tra le norme. La natura, Dio, la ragione… costituivano, nei modelli giusnaturalistici, una valvola di sfogo con cui rendere tollerabile la mutabilità del diritto attraverso la convinzione di una immutabilità delle premesse.

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