Blog Layout

Spigolature 19. Ragione, natura e diritto nel pensiero di Benedetto XVI

Sergio Conti • gen 12, 2024

Segnalo, nella ricorrenza dell'anniversario della morte del papa Benedetto XVI [1], l'articolo di Daniele Onori “Il magistero giuridico di Benedetto XVI” apparso sulla rivista “Centro studi Livatino” il 31 dicembre 2023 (reperibile online all'indirizzo https://www.centrostudilivatino.it/il-magistero-giuridico-di-benedetto-xvi-ricordando-il-discorso-al-bundestag/ ).

Lo scritto disamina il pensiero sul diritto di Joseph Ratzinger ripercorrendo i concetti enunciati in due occasioni: la lectio magistralis proferita il 10 novembre 1999 in concomitanza della concessione della laurea honoris causa in Giurisprudenza da parte dell’Università LUMSA [2]; e il discorso al Bundestag del 22/09/2011 [3].

Nella prima occasione, l'allora cardinale Ratzinger rileva che: «L’elaborazione e la strutturazione del diritto non è immediatamente un problema teologico, ma un problema della “recta ratio”, della retta ragione. Questa retta ragione deve cercare di discernere, al di là delle opinioni e delle correnti di pensiero, ciò che è giusto, il diritto in se stesso, ciò che è conforme all’esigenza interna dell’essere umano di tutti i luoghi e che lo distingue da ciò che è distruttivo dell’uomo. […] . La redenzione non dissolve la creazione ed il suo ordine, ma al contrario ci restituisce la possibilità di percepire la voce del creatore nella sua creazione e così di comprendere meglio i fondamenti del diritto. Metafisica e fede, natura e grazia, legge e vangelo non si oppongono, ma sono intimamente legati»

Al Bundestag, il Papa ha iniziato il suo discorso «con una piccola narrazione tratta dalla Sacra Scrittura. Nel Primo Libro dei Re si racconta che al giovane re Salomone, in occasione della sua intronizzazione, Dio concesse di avanzare una richiesta. Che cosa chiederà il giovane sovrano in questo momento importante? Successo, ricchezza, una lunga vita, l’eliminazione dei nemici? Nulla di tutto questo egli chiede. Domanda invece: “Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male” (1Re 3,9). Con questo racconto la Bibbia vuole indicarci che cosa, in definitiva, deve essere importante per un politico: la volontà di attuare il diritto e l’intelligenza del diritto. Se la politica non è capace di distinguere il bene dal male, si può aprire la strada alla contraffazione del diritto, alla distruzione della giustizia. Togli il diritto – e allora che cosa distingue lo Stato da una grossa banda di briganti? ha sentenziato una volta sant’Agostino».

Ha poi voluto evidenziare che una politica priva della capacità di discernere tra il bene e il male, e che non si basa su un principio superiore di giustizia, inevitabilmente conduce alla catastrofe e all’ignominia. «Noi tedeschi sappiamo per nostra esperienza che queste parole non sono un vuoto spauracchio. Noi abbiamo sperimentato il separarsi del potere dal diritto, il porsi del potere contro il diritto, il suo calpestare il diritto, così che lo Stato era diventato lo strumento per la distruzione del diritto – era diventato una banda di briganti molto ben organizzata, che poteva minacciare il mondo intero e spingerlo sull’orlo del precipizio».

Benedetto XVI ha osservato che il cristianesimo non ha mai inteso le legge divina come l’islam intende la shari’a, cioè come un diritto rivelato che il diritto dello Stato deve semplicemente riprodurre. Senza citare per nome l’islam – ma il riferimento implicito è evidente -, il Papa ha ricordato che «contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto allo Stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto», attingendo alla tradizione filosofica greca e al diritto romano. Da questo incontro – che era già stato al centro del famoso discorso tenuto da Benedetto XVI a Ratisbona il 12 settembre 2006 – «è nata – ha ricordato – la cultura giuridica occidentale, che è stata ed è tuttora di un’importanza determinante per la cultura giuridica dell’umanità». L’Occidente nasce dalla scelta del cristianesimo di non proporre o imporre un «diritto religioso» ma di mettersi «dalla parte della filosofia, riconoscendo come fonte giuridica valida per tutti la ragione e la natura nella loro correlazione».

 

Particolarmente interessante è poi la trattazione sul diritto naturale e sulla sua attuale eclissi.

Nel rinviare alla lettura integrale dell'articolo del prof. Onori, riporto di seguito alcuni interessantissimi spunti di riflessione.

Se si considera la natura – con le parole di Hans Kelsen – «un aggregato di dati oggettivi, congiunti gli uni agli altri quali cause ed effetti”, allora da essa realmente non può derivare alcuna indicazione che sia in qualche modo di carattere etico. Una concezione positivista di natura, che comprende la natura in modo puramente funzionale, così come le scienze naturali la riconoscono, non può creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto, ma suscitare nuovamente solo risposte funzionali. La stessa cosa, però, vale anche per la ragione in una visione positivista, che da molti è considerata come l’unica visione scientifica. In essa, ciò che non è verificabile o falsificabile non rientra nell’ambito della ragione nel senso stretto. Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggettivo e cadono fuori dall’ambito della ragione nel senso stretto della parola. Dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran parte il caso nella nostra coscienza pubblica – le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco». La svolta culturale della modernità si manifesta attraverso la netta separazione tra essere e dover essere. L’antropocentrismo immanentistico, con la sua enfasi sulla libertà individuale e sull’autonoma configurazione della vita sociale, ha condotto, in gran parte in modo inconsapevole, a privare il diritto della sua radice entitativa e del suo fondamento ontologico.

...

La sostanzialità chiara presente nel rapporto di debito nel sapere classico, come esplicitamente delineato nella concezione tommasiana della ipsa res iusta, si è praticamente ridotta alla congruenza formale o alla forza legale della pretesa. Il fenomeno giuridico è stato così scollegato dal suo presupposto metafisico essenziale, relegato al mero potere della volontà. La scienza della giustizia è stata limitata alla logica e alla coerenza del sistema di regole stabilite convenzionalmente.




[1] Così Benedetto XVI si è espresso sul rapporto tra origine della cultura europea e preservazione dei parametri giuridici esistenti: "“La cultura europea ha avuto origine dall’incontro di Gerusalemme, Atene e Roma, dalla congiunzione della fede in Dio di Israele, della ragione filosofica dei Greci e del pensiero giuridico di Roma. Questo triplice confluire del sapere plasma l’essenza stessa dell’Europa. Nella consapevolezza della responsabilità umana di fronte a Dio e nel riconoscimento della dignità inviolabile di ogni essere umano, tale convergenza ha delineato parametri giuridici, il cui preservare costituisce la nostra missione in questo frangente storico”.

[2] Cfr. https://www.gliscritti.it/approf/2005/conferenze/ratzinger01.htm

[3] DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Reichstag di Berlin Giovedì, 22 settembre 2011 cfr https://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2011/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20110922_reichstag-berlin.html



Share by: