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RIPRISTINO E SMALTIMENTO DI RIFIUTI. ONERI DEL CURATORE FALLIMENTARE

giu 28, 2021

GLI OBBLIGHI DI CUI ALL’ART. 192 DEL D.LGS. N. 152 DEL 2006 (RIPRISTINO DELLO STATO DEI LUOGHI A SEGUITO DI ABBANDONO E DEPOSITO INCONTROLLATI DI RIFIUTI SUL SUOLO E NEL SUOLO, O DI IMMISSIONE DI RIFIUTI DI QUALSIASI GENERE NELLE ACQUE SUPERFICIALI E SOTTERRANEE), A CUI ERA TENUTA LA SOCIETA’ FALLITA PRIMA DEL FALLIMENTO, NON PERDONO GIURIDICA RILEVANZA, E RICADONO SULLA CURATELA FALLIMENTARE, DOPO LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO.

LA RESPONSABILITA’ DELLA RIMOZIONE E’ RICONNESSA ALLA QUALIFICA DI DETENTORE ACQUISITA DAL CURATORE FALLIMENTARE, NON CON RIFERIMENTO AI RIFIUTI, MA IN VIRTU’ DELLA DETENZIONE DELL’IMMOBILE INQUINATO SU CUI I RIFIUTI INSISTONO E CHE, PER ESIGENZE DI TUTELA AMBIENTALE E DI RISPETTO DELLA NORMATIVA NAZIONALE E COMUNITARIA, DEVONO ESSERE SMALTITI.

L’ABBANDONO DI RIFIUTI E L’INQUINAMENTO COSTITUISCONO “DISECONOMIE ESTERNE” GENERATE DALL’ATTIVITA’ D’IMPRESA, PER CUI I COSTI DERIVANTI DA TALI DISECONOMIE RICADONO SULLA MASSA DEI CREDITORI DELL’IMPRENDITORE STESSO, CREDITORI CHE, PER CONTRO, BENEFICIANO DEGLI EFFETTI DELL’UFFICIO FALLIMENTARE DELLA CURATELA IN TERMINI DI RIPARTIZIONE DEGLI EVENTUALI UTILI DEL FALLIMENTO.

I COSTI DELLA BONIFICA, IN ALTRI TERMINI, NON POSSONO RICADERE SULLA COLLETTIVITA’ INCOLPEVOLE, PERCHE’ CIO’ ANDREBBE IN CONTRASTO NON SOLO CON IL PRINCIPIO COMUNITARIO “CHI INQUINA PAGA” MA ANCHE CON LA REALTA’ ECONOMICA SOTTESA ALLA RELAZIONE CHE INTERCORRE TRA IL PATRIMONIO DELL’IMPRENDITORE E LA MASSA FALLIMENTARE DI CUI IL CURATORE HA LA RESPONSABILITA’, MASSA CHE, SOTTO IL PROFILO ECONOMICO, SI PONE IN CONTINUITA’ CON DETTO PATRIMONIO (Adunanza Plenaria n. 3 del 2021)



L’Adunanza plenaria ha preliminarmente escluso che il curatore possa qualificarsi come avente causa del fallito nel trattamento di rifiuti, salve, ovviamente le ipotesi in cui la produzione dei rifiuti sia ascrivibile specificamente all’operato del curatore, non dando vita il Fallimento ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico.

Né ha ritenuto di dovere utilizzare, per risolvere la questione esaminata, il richiamo al principio di diritto enunciato dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 10 del 2019, che ha riguardato una fattispecie in cui vi era stata la successione di un ‘distinto soggetto giuridico’ a quello su cui precedentemente gravava l’onere della bonifica, il quale era dunque subentrato negli obblighi gravanti sul precedente titolare. 

Non verificandosi dunque un fenomeno successorio, a seguito di dichiarazione di fallimento, ed essendo da escludere una responsabilità del curatore del fallimento, né in quanto autore della condotta di abbandono incontrollato dei rifiuti, né in quanto avente causa a titolo universale del soggetto inquinatore, posto che la società dichiarata fallita conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio, attribuendosene la facoltà di gestione e di disposizione al medesimo curatore, l’Adunanza plenaria ha ritenuto che la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportino in ogni caso la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozione.

Invero, l'unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, essendo ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all’amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall'impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento.

Nell’ottica del diritto europeo (che non pone alcuna norma esimente per i curatori), i rifiuti devono comunque essere rimossi, pur quando cessa l’attività, o dallo stesso imprenditore che non sia fallito, o in alternativa da chi amministra il patrimonio fallimentare dopo la dichiarazione del fallimento.



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