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RICONOSCIMENTO DELLE QUALIFICHE PROFESSIONALI ACQUISITE IN PAESI UE

feb 01, 2023

Così come il sistema automatico, anche quello generale di riconoscimento delle qualifiche professionali acquisite in ciascun Paese membro, attraverso la verifica amministrativa dei titoli di formazione o delle attestazioni di competenza, è funzionale alla circolazione in ambito sovranazionale dei lavoratori e dei servizi, e nello specifico all’accesso alle ‘professioni regolamentate’, soggette cioè in base alla legislazione nazionale al possesso di una necessaria qualificazione, in condizioni di parità con i cittadini dello Stato ospitante.

I due regimi di riconoscimento sono dunque complementari e teleologicamente ordinati al medesimo obiettivo.

La richiesta nel sistema generale di riconoscimento delle qualifiche professionali di una documentazione che comprovi la necessaria qualificazione costituisce lo strumento attraverso il quale l’autorità competente di ciascuno Stato ospitante è posta nelle condizioni di svolgere la necessaria verifica sul possesso dei requisiti minimi per l’accesso alla ‘professione regolamentata’.

Al riguardo, il riconoscimento tipizzato dalla direttiva 2005/36/CE, normativamente predeterminato nel senso di una presa di atto del titolo professionale, dell’attestazione di competenza, o dell’esperienza professionale acquisita dall’interessato, si colloca comunque in un sistema che, nell'ottica di «facilitare il riconoscimento reciproco dei diplomi, dei certificati ed altri titoli stabilendo regole e criteri comuni che comportino, nei limiti del possibile, il riconoscimento automatico di detti diplomi, certificati ed altri titoli», ha valenza espansiva anche per il regime generale di riconoscimento, demandato ad una fase amministrativa di verifica dei percorsi di formazione e acquisizione delle necessarie competenze professionali seguiti dall’interessato in ciascun Paese dell’Unione.

In tale prospettiva, la mancanza dei documenti necessari ai sensi dell'art. 13 della direttiva 2005/36/CE non può pertanto essere automaticamente considerata ostativa al riconoscimento della qualifica professionale acquisita in uno Stato membro dell’Unione europea, dovendosi verificare in concreto il livello di competenza professionale acquisito dall’interessato, e valutarlo per accertare se corrisponda o sia comparabile con la qualificazione richiesta nello Stato di destinazione per l’accesso alla ‘professione regolamentata’ (Adunanza Plenaria n. 18 del 2022)


La direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 (relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali), recepita in Italia con il decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206, ha istituito un sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali conseguite in ciascun Paese dell’Unione europea, finalizzato a consentire ai cittadini europei di accedere a ‘professioni regolamentate’ presso gli altri Stati membri dell’Unione, in condizioni di parità con i cittadini del Paese estero, diverso da quello d’origine, presso il quale si intende esercitare l’attività.

Come enunciato dall’art. 1 della direttiva 2005/36/CE, questa «fissa le regole» in base alle quali ciascuno Stato membro dell’Unione, «che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio a possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri (…) e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione».

La direttiva definisce poi «professione regolamentata» quella per il cui accesso è richiesto «direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, (i)l possesso di determinate qualifiche professionali» [art. 3, par. 1, lett. a)]. Le «qualifiche professionali» sono a loro volta quelle «attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza (…) e/o un’esperienza professionale» [art. 3, par. 1, lett. b)],

In base al sistema di riconoscimento istituito dalla direttiva, la «Stato membro ospitante», cui è rivolta l’istanza dall’interessato qualificatosi in altro Paese membro dell’Unione, consente l’esercizio di una ‘professione regolamentata’ «alle stesse condizioni dei suoi cittadini», quando lo stesso richiedente sia «in possesso dell’attestato di competenza o del titolo di formazione prescritto, per accedere alla stessa professione o esercitarla sul suo territorio» (art. 13, par. 1).

L’art. 13 precisa che gli attestati di competenza o i titoli di formazione sulla cui base deve svolgersi il riconoscimento della qualifica professionale conseguita in un altro Stato membro (Stato d’origine) devono «essere stati rilasciati da un’autorità competente» di quest’ultimo e devono inoltre attestare «un livello di qualifica professionale almeno equivalente al livello immediatamente anteriore a quello richiesto nello Stato membro ospitante».

In mancanza dei necessari attestati di competenza o titoli di formazione, è nondimeno consentito il riconoscimento a favore dei «richiedenti che abbiano esercitato a tempo pieno la professione di cui a tale paragrafo per due anni nel corso dei precedenti dieci, in un altro Stato membro che non la regolamenti e abbiano uno o più attestati di competenza o uno o più titoli di formazione» (art. 13, par. 2).

Secondo l’Adunanza plenaria, in conformità con quanto statuito dalla Corte di giustizia con la sentenza 8 luglio 2021, C-166/20 (resa in una vicenda analoga a quella trattata dall'Adunanza plenaria stessa), il Ministero dell’Istruzione è tenuto ad esaminare «l’insieme dei diplomi, dei certificati e altri titoli», posseduti da ciascun interessato al riconoscimento dei titoli conseguiti in altro Paese UE, senza peraltro prescindere dalle attestazioni rilasciate dalla competente autorità dello Stato d’origine, e previo confronto tra, da un lato, le competenze attestate da tali titoli e da tale esperienza e, dall’altro, le conoscenze e le qualifiche richieste dalla legislazione nazionale, onde accertare se gli stessi interessati abbiano o meno i requisiti per accedere alla ‘professione regolamentata’ di insegnante, eventualmente previa imposizione delle misure compensative di cui all'art. 14 della direttiva 2005/36/CE.



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