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FRUIZIONE DI PERIODI DI RIPOSI DA PARTE DEL PADRE, NEL CASO DI MADRE “CASALINGA”

feb 01, 2023

I periodi di riposo di cui all’articolo 39 del d. lgs. n. 151/2001 hanno natura non di “beneficio” concedibile dall’Amministrazione, bensì di diritto, e non possono essere riferiti ad un “istituto contrattuale a tutela della genitorialità”, ESSENDO previsti da una fonte primaria, in attuazione dI PRECISI parametri costituzionali, il che esclude la natura “eccezionale” della disposizione e la conseguente necessità di una sua interpretazione restrittiva.

Ciò che, dunque, distingue la posizione della madre da quella del padre non è l’esclusività della titolarità del diritto in capo alla prima – di modo che la titolarità paterna dei diritti si porrebbe come subalterna o derivata da quella della madre –, quanto la modalità di esercizio del medesimo.

Poiché il diritto-dovere di “mantenere, istruire, educare i figli” è posto dalla Costituzione in capo ad entrambi i genitori, la titolarità dei singoli diritti - teleologicamente orientati all’attuazione del valore costituzionalmente tutelato dall’articolo 30 COST. - non può che essere riconosciuta pariteticamente ad entrambi, ferma, come è ovvio, la titolarità in capo alla madre di quei distinti diritti che propriamente si riconnettono alla esclusività della funzione biologica ed alla sua tutela (poiché la tutela della maternità trova una sua specifica ed autonoma previsione di tutela nell’articolo 31, comma secondo, Cost.).

Sul piano del concreto esercizio, invece, in presenza di una sola possibilità di fruizione dei periodi di riposo (il cui “peso” grava comunque sul datore di lavoro), il legislatore riconosce, ragionevolmente, una posizione poziore alla madre nel godimento del diritto, potendo il padre goderne o nel caso in cui, essendo unico titolare della potestà genitoriale, non si pone alcuna alternatività (articolo 40, lett. a) e d), o laddove la madre sia impossibilitata (articolo 40, lett. d), ovvero ancora nel caso in cui “non se ne avvalga” (lett. b).

In tale contesto, risulta ragionevole la regola per la quale la fruizione dei periodi di riposo spetti al padre “nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”.

Una volta che la legge ha riconosciuto il diritto a periodi di riposo per il genitore lavoratore dipendente (in primis per la madre, in alternativa per il padre), ed in misura non cumulabile tra i due, la non considerazione – ai fini dell’esercizio del diritto - della presenza nel nucleo familiare della madre non lavoratrice dipendente comporterebbe una irragionevole esclusione dalla titolarità (ed esercizio) del diritto del padre lavoratore dipendente.

Ciò che il legislatore ha inteso disporre, con la previsione della lett. c) dell’articolo 40, è la più completa attuazione del diritto del genitore lavoratore dipendente al periodo di riposo di cui all’articolo 39 del d.lgs. n. 151/2001.

Depone in tal senso l’espressione (“nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente”), che, nella sua chiarezza lessicale, non consente interpretazioni riduttive dell’ambito dei destinatari.

In altre parole, perché si possa godere, nel caso di specie (articolo 40, lett. c), dei periodi di riposo durante il primo anno di vita del bambino da parte del padre, occorre solo il duplice presupposto che questi sia un lavoratore dipendente e che la madre non lo sia, null’altro essendo previsto dalla legge.

L’interpretazione opposta - volta ad escludere dall’applicazione i casi in cui la madre sia ‘casalinga’ - risulterebbe in contrasto col testo della legge.

Tale esclusione, più che seguire ad una interpretazione restrittiva (comunque non consentita per le ragioni innanzi esposte), risulterebbe in contrasto col dato testuale della disposizione, non potendo l’interprete richiedere la sussistenza di un ulteriore presupposto di fatto, rispetto a quelli chiaramente indicati dal legislatore.

L’interpretazione letterale risulta coerente anche con l’esigenza di tenere conto dei principi costituzionali sulla parità tra il padre e la madre e sulla tutela del figlio (Adunanza Plenaria n. 17 del 2022)


Gli articoli 39 e 40 del testo unico n. 151 del 2001 hanno dato luogo a distinti orientamenti giurisprudenziali.

Per un primo orientamento “positivo”, l’espressione («nel caso in cui la madre non sia lavoratrice dipendente») include, secondo il significato proprio delle parole, tutte le ipotesi di inesistenza di un rapporto di lavoro dipendente, e dunque non solo quella della donna che svolga attività lavorativa autonoma, ma anche quella di una donna che non svolga alcuna attività lavorativa o comunque svolga un’attività non retribuita da terzi (se a quest’ultimo caso si vuol ricondurre la figura della ‘casalinga’).

Per un secondo orientamento “negativo”, poiché la formulazione letterale della disposizione non appare del tutto perspicua, si dovrebbe escludere in termini assoluti il principio di alternatività nella cura del minore e la scelta del legislatore non consentirebbe di ricondurre la ‘casalinga’ alla dizione di “non lavoratrice dipendente”, posto che la considerazione dell’attività domestica come vera e propria attività lavorativa prestata a favore del nucleo familiare non esclude, ma, al contrario, comprende, come è esperienza consolidata, anche le cure parentali; d’altronde, secondo questo orientamento, l’autonomia di gestione del tempo di attività nell’ambito familiare consente evidentemente alla madre di dedicare l’equivalente delle due ore di riposo giornaliero alle cure parentali.

In definitiva, la scelta fatta dal legislatore, interpretata nel senso anzidetto, costituirebbe il necessario punto di equilibrio tra contrapposte esigenze, garantendo l’assistenza alternativamente di uno dei due genitori attraverso un delicato bilanciamento tra il diritto-dovere di entrambi i coniugi di assistere i figli (che ha anche indubbio rilievo sociale) e la necessità di iscrivere l’esercizio di tale diritto-dovere nel quadro delle specifiche esigenze del datore di lavoro (anch’esse aventi rilevanza sociale).

Per un terzo orientamento “intermedio", poiché la legge non riconosce al padre «un diritto proprio», indipendente e parallelo a quello riconosciuto alla madre alla fruizione dei riposi giornalieri, egli «deve provare l’esistenza di concreti impedimenti che si frappongano alla possibilità per la moglie ‘casalinga’ (e dunque lavoratrice non dipendente, come si ritiene debba essere qualificata) di assicurare le necessarie cure al bambino.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha scelto di aderire al primo orientamento, sulla base sia dell’interpretazione letterale della norma che del rispetto dei principi costituzionali regolanti la materia.



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