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ASPETTATIVA INDIVIDUALE E IMMEDIATA APPLICAZIONE DI DISPOSIZIONI DI LEGGE CHE ELIMINANO ASSEGNI AD PERSONAM

ago 13, 2022

Per le chiare indicazioni della Corte costituzionale, in consonanza con la Corte EDU, può escludersi ogni dubbio di contrasto con il principio del legittimo affidamento (come corollario del principio di certezza dei rapporti giuridici) della normativa di cui all’articolo 1, comma 458, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in base alla quale, a seguito dell’abrogazione dell’articolo 202 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e dell’articolo 3, commi 57 e 58, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, è terminata, dal primo febbraio 2014, la corresponsione dell’assegno personale riconosciuto prima di allora ai professori universitari al loro rientro nei ruoli dell’Università dopo avere ricoperto il ruolo di consigliere del C.S.M. in qualità di componente c.d. laico eletto dal Parlamento.

Pur volendo dire legittimamente maturata l’aspettativa dei consiglieri c.d. laici alla conservazione del favorevole trattamento economico in godimento all’entrata in vigore dei commi 458 e 459 dell’articolo 1 della l. n. 147 del 2013, è certo che le nuove regole rispondano ad interessi generali (che hanno cioè “causa normativa adeguata”), ciò che rende ragionevole la decisione in punto di loro immediata applicazione.

La nuova disciplina del trattamento economico del dipendente pubblico alla cessazione dell’incarico risponde INFATTI ad un’esigenza di contenimento della spesa pubblica, poiché porta alla soppressione di quel surplus di retribuzione (l’assegno ad personam) – non correlata all’attività svolta al rientro presso l’amministrazione di appartenenza né conseguente all’anzianità maturata – percepita per il solo fatto del pregresso svolgimento dell’incarico.

Sussistono nel caso di specie sia ragioni di contenimento della spesa pubblica, le quali possono giustificare l’immediata modifica della disciplina dei rapporti in corso di svolgimento, dovendo il legislatore fronteggiare subito l’avvertito eccessivo dispendio di denaro pubblico, sia ragioni di eliminazione della differenziazione dei trattamenti economici all’interno della stessa amministrazione.

INVERO, PREVEDENDO CHE ALLA cessazione dell’incarico sia corrisposto al dipendente “un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità”, il legislatore riconosce alle due carriere – quella che per un tratto si svolge fuori dall’amministrazione e l’altra integralmente al suo interno – pari dignità quanto alla maturazione del trattamento economico.

D’altra parte, l’effetto abrogativo del comma 458 porta nel caso di specie a definire altresì un unico trattamento dei consiglieri eletti dal Parlamento alla cessazione dell’incarico, a fronte delle differenti discipline prima esistenti in ragione della categoria di provenienza al momento dell’elezione (Adunanze Plenarie n. 9 e 10 del 2022)



Lo scrutinio di ragionevolezza della norma sopravvenuta che appaia suscettibile di lesione del legittimo affidamento va svolto in tre momenti successivi; se è superato positivamente l’uno, è possibile passare all’altro.

Preliminarmente è da verificare se l’aspettativa del privato nella conservazione inalterata della sua situazione soggettiva per l’intera durata del rapporto sia giustificata al momento in cui sopravviene la modifica normativa (e, per questo motivo, appunto legittima).

Lo è se si tratta posizione adeguatamente consolidata per essersi protratta per un tempo ragionevolmente lungo (Corte cost. 9 maggio 2019 n. 108; 26 aprile 2018 n. 89; 1° dicembre 2017, n. 250; 20 maggio 2016, n. 108; 31 marzo 2015, n. 56) e se la modifica peggiorativa non era prevedibile; ciò che accade quanto la situazione soggettiva è sorta in un contesto giuridico atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento (cfr. Corte cost. 24 gennaio 2017, n. 16; 31 marzo 2015, n. 56).

Se l’affidamento è realmente legittimo, occorre accertare se ricorra la “causa normativa adeguata”, ovvero della ragione dell’intervento legislativo che vale a giustificare la ripercussione della nuova norma su di uno stabile assetto di interessi.

Infine, è pur sempre necessario – se anche ricorra una “causa normativa adeguata” – che sia rispettato il limite della proporzionalità, nel senso che l’intervento normativo deve essere coerente rispetto all’obiettivo perseguito dal legislatore.

La suesposta elaborazione trova concordi la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti dell’uomo.

L’intervento normativo modificativo può risultare lesivo dei principi costituzionali interni, ma anche dell’art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ove è stabilito, nella prima parte del par. 1, che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni” – qui da intendersi in senso ampio, non solo quale res materiale, ma come ogni attività che possa essere qualificata come “diritto patrimoniale” fino a comprendere anche la “aspettativa legittima” della sua acquisizione. Anche un diritto di credito rientra, pertanto, tra i beni protetti.

Il pacifico godimento dei beni è tutelato dall’ingerenza dell’autorità pubblica; ingerenza che può avvenire anche mediante esercizio della funzione legislativa.

La Corte considera l’ingerenza dei poteri pubblici nel godimento dei beni compatibile con l’art. 1 del Protocollo n. 1 se soddisfa il principio di legalità, se necessaria per una ragione legittima di pubblica utilità o per un interesse generale e sempre che abbia luogo mediante mezzi ragionevolmente proporzionati al fine che si intende realizzare.

Disposizioni retroattive sono peraltro ritenute conformi al requisito di legalità; le finalità per le quali l’ingerenza può essere giustificata poiché rispondente ad una ragione di pubblica utilità o ad un interesse generale sono varie: in ogni caso, quando si tratta di misure generali di strategia economica o sociale la Corte riconosce allo Stato un ampio margine di apprezzamento, poiché, per la conoscenza diretta della loro società e delle sue esigenze, le autorità nazionali sono in linea di massima in una posizione migliore del giudice internazionale per decidere cosa sia nel “pubblico interesse”.

Così, l’eliminazione delle disposizioni discriminatorie e il controllo della spesa pubblica sono considerati fini legittimi per meglio garantire la giustizia sociale e tutelare il benessere economico dello Stato.

E’ inoltre necessario che vi sia il giusto equilibrio (fair balance) tra le esigenze dell’interesse generale e l’obbligo di proteggere i diritti fondamentali della persona; ciò che non sussiste se l’interessato sopporta un “onere individuale eccessivo”.



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