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IMPROCEDIBILITA', INTERESSE A FINI RISARCITORI E ACCERTAMENTO DELL’ILLEGITTIMITA’ DEL PROVVEDIMENTO IMPUGNATO

ago 13, 2022

L’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. - il quale prevede che, quando nel corso del giudizio l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori - deve essere interpretato nel senso che è sufficiente, PER il RAGGIUNGIMENTO DI TALE SCOPO (MERO ACCERTAMENTO DI ILLEGITTIMITà), UNA DICHIARAZIONE PROCESSUALE della parte interessata.

In particolare, non è necessario specificare i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione, e la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall’art. 73 cod. proc. amm., a garanzia del contraddittorio nei confronti delle altre parti.

Si tratta di una dichiarazione con la quale, a modifica della domanda di annullamento originariamente proposta, il ricorrente manifesta il proprio interesse affinché sia comunque accertata l’illegittimità dell’atto impugnato. Dal punto di vista processuale il fenomeno è inquadrabile come una emendatio della domanda, in senso riduttivo quanto al petitum immediato, non integrante pertanto un mutamento non consentito nell’ambito del principio della domanda, come evincibile dalla clausola di salvezza rispetto al divieto dei nova in appello previsto dall’art. 104, comma 1, c.P.A..

A sua volta, la dichiarazione di interesse risarcitorio in funzione dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto impugnato mira a provocare una pronuncia che, seppur non modificativa della realtà giuridica, come invece quella demolitoria di annullamento, verte comunque su un antecedente logico-giuridico dell’azione risarcitoria, per la quale è conseguentemente predicabile l’attitudine a divenire cosa giudicata in senso sostanziale ai sensi dell’art. 2909 del codice civile (Adunanza Plenaria n. 8 del 2022)



In epoca antecedente al codice del processo amministrativo, e dunque prima che fossero disciplinati i rapporti tra l’azione di annullamento e quella risarcitoria a tutela di interessi legittimi, si era affermata presso la giurisprudenza la tendenza a restringere le ipotesi di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione sulla domanda di annullamento, quando non dichiarata dal ricorrente. Si era giunti in questa prospettiva a considerare procedibile il ricorso anche in assenza di utilità materiali ricavabili dalla sentenza, quando fosse comunque ravvisabile un interesse morale dello stesso a vedersi riconoscere le proprie ragioni. Ancora di recente, nell’ambito della tendenza tuttora presente presso la giurisprudenza, propria di una giurisdizione di tipo soggettivo quale quella amministrativa, si afferma che, al di fuori dei casi in cui la sopravvenuta carenza di interesse è dichiarata dallo stesso ricorrente, l’inutilità per lo stesso di una decisione di merito è ipotesi che va accertata con particolare rigore ed è ravvisabile solo in presenza di un radicale mutamento della situazione di fatto o di diritto esistente al momento della proposizione del ricorso.

L’istituto previsto dall’art. 34, comma 3 del c.p.a., si colloca nella descritta tendenza.

In un sistema evoluto di tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, in cui alla tradizionale azione di annullamento si è affiancata con pari dignità rispetto ad essa l’azione risarcitoria, l’accertamento di illegittimità ai fini risarcitori previsto dalla disposizione processuale in esame risponde alla medesima esigenza sulla cui base era stato ristretto l’ambito di applicazione dell’improcedibilità del ricorso. Essa consiste nel conservare un’utilità alla decisione di merito sulla domanda di annullamento, pur a fronte di un mutamento della situazione di fatto e di diritto rispetto all’epoca in cui la stessa è stata azionata.

Nondimeno, gli approdi sopra richiamati della giurisprudenza con riguardo all’azione di annullamento non possono essere estesi per intero con riguardo all’interesse risarcitorio. Quest’ultimo deve infatti essere manifestato in giudizio dalla parte interessata, e cioè dal ricorrente. Rispetto all’onere di parte non può invece supplire il rilievo ufficioso del giudice sulla persistenza delle condizioni dell’azione di annullamento fino alla decisione.

L’esigenza che l’interesse sia dichiarato dalla parte si correla al fatto che, nell’ambito della sopra richiamata natura di giurisdizione di diritto soggettivo della giurisdizione amministrativa, come in precedenza accennato, è allo stesso ricorrente che è per legge rimessa l’iniziativa a tutela del suo interesse risarcitorio. La manifestazione dell’interesse risarcitorio, una volta venuto meno quello all’annullamento dell’atto impugnato, è dunque il presupposto indispensabile affinché il giudice possa pronunciarsi sulla legittimità dello stesso atto con pronuncia di mero accertamento. In questi termini va inteso l’inciso finale dell’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. «se sussiste l’interesse ai fini risarcitori», posto a condizione della pronuncia di accertamento.

Diversamente da quanto supposto dal più recente orientamento di giurisprudenza, che ha preteso dal ricorrente un maggiore sforzo ricostruttivo degli estremi della futura domanda di risarcimento da proporre, ai fini del mero accertamento di legittimità dell'atto impugnato, la dichiarazione è condizione necessaria ma nello stesso tempo sufficiente perché sorga l’obbligo per il giudice di accertare tale illegittimità. Non occorre a questo scopo né che siano esposti i presupposti dell’eventuale domanda risarcitoria né tanto meno che questa sia in concreto proposta. L’accertamento di cui all’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. va infatti coordinato con la disciplina processuale dell’azione di risarcimento contenuta nel codice del processo amministrativo, ed in particolare con il sopra richiamato art. 30, comma 5, cod. proc. amm., che consente di proporre la domanda risarcitoria «nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza».



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