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Refezione scolastica e libertà di scelta alimentare: dall’autorefezione alla modulazione del “tempo mensa” in periodo di emergenza sanitaria

Nicola Fenicia • feb 09, 2021

Negli ultimi anni la giustizia amministrativa si è in più occasioni occupata del servizio di refezione scolastica in rapporto alla consumazione di alimenti di preparazione domestica, approdando ad importanti conclusioni, utili soprattutto nell’attuale fase di emergenza epidemiologica.

Ma occorre cominciare illustrando alcuni concetti fondamentali. 

Il servizio mensa è compreso nel “tempo scuola” perché condivide le finalità educative proprie del progetto formativo scolastico di cui è parte, realizza obiettivi di socializzazione e di condivisione, e svolge per legge una ulteriore funzione di educazione all’alimentazione sana.

D’altro canto, il “tempo mensa” non è dedicato all’attività didattica in senso stretto ed è sottratto all’obbligo di frequentazione scolastica.

Il servizio mensa, in base all’art. 6 del d.lgs. n. 63 del 2017, è “attivabile a richiesta degli interessati” e dunque, per legge, è un servizio locale a domanda individuale, facoltativo sia per l’ente locale, libero anche di non erogarlo, sia per l’utenza, libera di non avvalersene e perciò esentata dal pagamento della relativa retta. 

Il servizio mensa è in genere organizzato dagli enti comunali mediante il suo affidamento a ditte private con contratti di durata annuale o pluriannuale, e contribuzione ai costi da parte delle famiglie, previa individuazione delle fasce tariffarie in considerazione del valore dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), sino al limite della gratuità totale in taluni casi.

Il Legislatore è intervenuto più volte, dal 1999, a disciplinare il servizio delle mense scolastiche: ad es. con la L. 23/12/1999, n. 488, che all’art. 59 raccomanda di utilizzare nelle mense scolastiche prodotti biologici, tipici e tradizionali e a denominazione protetta, tenendo conto delle linee guida e delle altre raccomandazioni dell'Istituto nazionale della nutrizione; oppure con la L. 27/12/2002, n. 289, il cui art. 35 affida ai collaboratori scolastici l'accoglienza e la sorveglianza degli alunni e l'ordinaria vigilanza e assistenza agli alunni durante la consumazione del pasto nelle mense scolastiche; o ancora con la L. 18/08/2015, n. 141, il cui art. 6 impone alle istituzioni pubbliche che gestiscono mense scolastiche di procedere alla relativa gestione mediante “appalti verdi”.

Degni di nota sono anche l’ art. 13 L. 1/12/2015, n. 194 e l’art. 10 L. 19/08/2016, n. 166 – che attribuiscono alle mense scolastiche un ruolo nella tutela della biodiversità di interesse agricolo e alimentare e nella lotta agli sprechi di cibo, promuovendo, a decorrere dall'anno scolastico 2017/2018, il consumo di prodotti biologici e sostenibili per l'ambiente, nell'ambito dei servizi di refezione scolastica - e l’art.62, comma 5-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, che impone ancora una volta il consumo di prodotti biologici e sostenibili per l'ambiente, nell'ambito dei servizi di refezione scolastica.

Da tale quadro normativo se ne ricava (v. Cons. Stato, VI, sez. n. 7640/2020) che la ristorazione scolastica non è soltanto semplice soddisfacimento dei fabbisogni nutrizionali, ma anche educazione e promozione della salute dei bambini, che coinvolge i docenti e i genitori attraverso la promozione di abitudini alimentari corrette.

La relativa vigilanza compete alle ASL (Servizi Igiene Alimenti e Nutrizione), mentre agli enti locali e agli istituti scolastici spetta di organizzare il servizio secondo le rispettive necessità. Al gestore invece è fatto carico di svolgere il servizio nel rispetto della normativa vigente e degli impegni contrattuali circa gli standard qualitativi previsti.

Fatte queste premesse, la questione ripetutamente affrontata dalla giustizia amministrativa è, nello specifico, quella della possibilità di ammettere l’esistenza di un diritto degli alunni di consumare alimenti di preparazione domestica nel locale adibito a refettorio, unitamente e contemporaneamente ai compagni di classe, sotto la vigilanza e con l’assistenza dei docenti, secondo modalità che favoriscano la socializzazione degli alunni, ma soprattutto ne azzerino i rischi in materia di salute e sicurezza.

Ebbene, con diverse sentenze si è statuito che, seppure non si tratta di un diritto soggettivo perfetto, come invece è ad esempio il diritto a svolgere attività alternative al posto dell’ora di religione, la pretesa sopra decritta configura comunque una posizione soggettiva meritevole di considerazione da parte dell’istituzione scolastica nell’esercizio della sua autonomia organizzativa, e dunque integra un interesse legittimo capace di influire sulle scelte, rimesse alle singole istituzioni scolastiche, riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa.

Quindi si è riconosciuto, innanzitutto, che non è possibile vietare il consumo, da parte degli alunni, di cibi portati da casa o comunque diversi da quelli forniti dalla ditta appaltatrice del servizio, e in secondo luogo che deve essere tendenzialmente evitata una modalità solitaria di consumazione del pasto, dovendosi, per quanto possibile, garantire, da parte dell’amministrazione scolastica e dei singoli docenti, la consumazione dei pasti degli studenti in un tempo e in uno spazio condivisi che ne favoriscano la loro socializzazione.

D’altro canto, il riconoscimento di tale libertà alimentare eviterebbe, in presenza di allergie, abitudini alimentari legate alla propria etnia o religione, o semplicemente di gusti alimentari diversi, un possibile spreco di cibo della mensa che non verrebbe interamente consumato dagli alunni, e al contempo promuoverebbe una collaborazione fra genitori e corpo docente volta ad assecondare le esigenze dei bambini, i quali potrebbero subire delle inutili mortificazioni se si sentissero costretti a consumare dei pasti non graditi.

Oltretutto, l’esistenza di una alternativa alla consumazione del pasto della mensa, stimolerebbe i gestori del servizio ad offrire cibi di migliore qualità.   

Con la recente sentenza n. 7640 del 2 ottobre 2020, il Consiglio di Stato si è spinto ad affermare che, in linea di principio, la richiesta dell’alunno di consumare il proprio pasto portato da casa, nel locale adibito a refettorio insieme agli altri compagni, deve trovare piena soddisfazione.

A fronte di tale criterio di base, nelle sentenze dei giudici amministrativi non sono state ritenute di ostacolo alla richiesta di autorefezione le ragioni solitamente opposte da parte degli istituti scolastici, quali quelle secondo cui “non vi sarebbe sufficiente personale A.T.A. per le mansioni di preparazione e pulizia del locale mensa”, “vi sarebbero rischi igienico-sanitari, di allergie, e/o di contaminazione alimentare, con possibili conseguenze sulla salute degli alunni in mancanza di linee guida ministeriali sulla consumazione del pasto domestico”, “non sarebbe prevista dalla legge la vigilanza da parte del personale docente degli alunni che pranzano con il pasto domestico”, o “non vi sarebbero sufficienti spazi da adibire per il consumo del pasto domestico”. 

Al contrario, si è affermato che i pasti di preparazione domestica costituiscono un’estensione dell’attività di preparazione alimentare familiare autogestita, senza intervento di terzi estranei al nucleo familiare, e che la preparazione di questi è un’attività non assoggettata alle imposizioni delle vigenti normative in materia di igiene dei prodotti alimentari e delle imprese alimentari e relativi controlli ufficiali (Reg. C.E. n. 178/2004, C.E. n. 852/2004 n. 882/2004), e non è soggetta a forme di autorizzazione sanitaria, né a forme di controlli sanitari, ricadendo completamente sotto la sfera di responsabilità dei genitori o degli esercenti la potestà genitoriale, sia per quanto concerne la preparazione, sia per ciò che attiene la conservazione ed il trasporto dei cibi in ambito scolastico.

La sola competenza del dirigente e del corpo docente sarebbe dunque quella che passa attraverso il generale dovere di vigilanza sui minori, semmai volta, nello specifico, ad evitare che vi siano scambi di alimenti, ma senza che vi siano aggravi di responsabilità.

Ad ogni modo, al fine di ridurre al massimo possibile il rischio alimentare connesso ai pasti, sia per quelli preparati in ambito domestico, sia per quelli preparati nel normale servizio refezionale, è sempre possibile adottare, anche al livello di singolo istituto scolastico, accorgimenti tecnici ed organizzativi: percorso autonomo per i cibi domestici e, quindi, non commistione di alimenti; contenitori ermetici forniti dalle famiglie ai figli; adozione di misure idonee ad evitare scambi di cibi. Troverebbe inoltre applicazione il d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 (su tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro).

Infine, il personale A.T.A. e gli spazi per la mensa, se sono sufficienti per coloro che ne utilizzano i servizi, lo saranno anche per chi fa autorefezione. 

Ora, tali acquisizioni giurisprudenziali si rivelano particolarmente rilevanti e utili nell’attuale periodo di emergenza epidemiologica, in atto ormai dall’inizio dello scorso anno. 

L’attuale situazione sanitaria, innanzitutto, imporrà agli istituti scolastici di adeguare attentamente, sotto il profilo igienico-sanitario, l’organizzazione scolastica, soprattutto con particolare attenzione al servizio di mensa per gli alunni, dove è necessaria l’adozione di tutte le possibili precauzioni volte ad evitare che tale momento di convivialità diventi occasione di trasmissione del contagio. Anzi, nell’attuale contingenza la soluzione dell’autorefezione potrebbe addirittura risultare vantaggiosa, dato che il pasto da casa passa evidentemente per le mani dei soli genitori.

Ma se si tiene conto della flessibilità dell’organizzazione del servizio mensa di cui si è sopra dato conto e della non essenzialità ai fini strettamente didattici del “tempo mensa”, le istituzioni scolastiche dovrebbero essere portate anche a consentire una rimodulazione degli orari scolastici, ove proposta da una maggioranza di genitori, anche a livello di singole classi, diretta a concentrare l’orario scolastico (spesso già ridotto per via della situazione emergenziale) nelle ore del mattino e nelle primissime ore del pomeriggio, con l’eliminazione del “tempo mensa”, e conseguente rinuncia da parte dei genitori al relativo servizio. 

Tale soluzione, se debitamente istruita e modulata dalla dirigenza e da questa quindi ritenuta compatibile con gli interessi organizzativi e in generale con il buon andamento dell’istituzione scolastica, dovrebbe essere poi tempestivamente comunicata all’ente locale al fine di permettergli una riorganizzazione del servizio mensa e, qualora possibile, una revisione degli accordi contrattuali con la ditta erogatrice del servizio, con conseguente esonero dei genitori dal pagamento del servizio che non viene erogato né fruito.



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