Blog Layout

Procreazione medicalmente assistita, legame genetico, genitore sociale e atto di nascita

gen 18, 2023

Tribunale di Arezzo, Sezione Civile, sentenza del 10 novembre 2022


IL CASO E LA DECISIONE

Due donne unite civilmente, e legate da una convivenza di natura sentimentale da una decina di anni, hanno chiesto al Giudice civile competente di dichiarare illegittimo il rifiuto dell’Ufficiale di Stato civile di un paese in provincia di Arezzo di procedere al riconoscimento del rapporto di filiazione tra una delle due donne e i minori nati dalla sua compagna, promovendo il ricorso per opposizione previsto dall’art. 95, co. 1 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.

Nello specifico, il rapporto di filiazione di cui viene chiesto il riconoscimento sarebbe derivato dalla conclusione positiva in Spagna di un procedimento di procreazione medicalmente assistita (c.d. PMA), presso una clinica autorizzata, la quale aveva sottoposto a fecondazione i gameti depositati dalla donna a cui è stato successivamente negato il riconoscimento, per poi impiantarli, per il compimento della gravidanza, nell'utero della sua compagna, a cui sola l’Ufficiale di Stato civile interessato ha infine attribuito il rapporto di filiazione, in quanto madre biologica.

Secondo le ricorrenti, esisterebbe nell’attuale disciplina legislativa un vuoto normativo, che obbliga la madre partoriente a dichiarare all'Ufficio di Stato civile, al momento della formazione dell'atto di nascita dei minori, che gli stessi sarebbero nati da una presunta relazione extraconiugale, nonostante i figli siano nati in realtà costanza di unione civile con la seconda madre “genetica” (che ha partecipato al concepimento tramite fecondazione dei propri ovuli), in attuazione di un progetto familiare condiviso.

Invero, la mancata regolamentazione del rapporto di filiazione in caso di coppie omogenitoriali provocherebbe una lesione dell’interesse superiore del minore, impedendo a costui di avere il legame giuridico con un soggetto che condivide con lui lo stesso patrimonio genetico.

Di conseguenza, le ricorrenti hanno chiesto che il Tribunale adito, una volta riconosciuto il legame di filiazione intercorrente anche tra i bambini coinvolti e la "seconda" madre biologica - e non solo con la madre partoriente -, ordinasse all'Ufficiale di Stato Civile interessato l'integrazione dell'atto di nascita dei minori, mediante l'aggiunta del cognome dell'altra donna.

Il Giudice ordinario di primo grado ha respinto il ricorso sulla base del seguente ragionamento:

- poiché l'art. 5 della legge n. 40/2004 sancisce che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita soltanto coppie di maggiorenni viventi e di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, non è consentito, allo stato attuale della legislazione vigente, l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali, anche in relazione alla previsione di sanzioni amministrative a carico di chi applica le tecniche di PMA a coppie "composte da soggetti dello stesso sesso”;

- la legittimità costituzionale di tale scelta legislativa è già stata affermata dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 221/2019, ha evidenziato che l'infertilità fisiologica della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all'infertilità (di tipo assoluto e irreversibile) della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive, trattandosi di fenomeni ontologicamente distinti;

- la sussistenza, sul piano fattuale, di un concreto rapporto genitoriale non solo intenzionale ed affettivo ma anche biologico tra i minori ed entrambe le ricorrenti non può tuttavia conferire allo stesso il riconoscimento richiesto sul piano giuridico, stante l'assenza, allo stato attuale, di strumenti normativi tali da consentire l’accoglimento della domanda, e posto che l'esigenza di tutela dell'interesse dei minori, sempre allo stato della legislazione vigente, non può comunque legittimare il Tribunale a sostituire le proprie valutazioni con quelle spettanti esclusivamente al legislatore, cui solo compete l'individuazione degli strumenti giuridici più idonei allo scopo, e necessari anche al fine di assicurare uniformità di tutela su tutto il territorio nazionale.


GENITORE BIOLOGICO E GENITORE INTENZIONALE (O SOCIALE)

Come visto, l'art. 5 della legge n. 40/2004, sancendo che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, non consente, di conseguenza, l'accesso alla procreazione medicalmente assistita alle coppie omosessuali.

La legittimità costituzionale di tale scelta legislativa è già stata affermata dalla Corte Costituzionale che, con la citata sentenza n. 221/2019, ha chiarito che, nella specie, non vi è alcuna incongruenza interna alla disciplina legislativa della materia alla quale occorra porre rimedio, in quanto l'infertilità fisiologica della coppia omosessuale (femminile) non è affatto omologabile all'infertilità sic et simpliciter (di tipo assoluto e irreversibile della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive), così come non lo è l'infertilità "fisiologica" della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata, con la conseguenza che l'esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull'orientamento sessuale. Secondo la Corte costituzionale, la scelta espressa dal legislatore nella legge n. 40/2004 sarebbe non eccedente il margine di discrezionalità del quale il legislatore fruisce nella materia di interesse, pur rimanendo quest'ultima aperta a soluzioni di segno diverso, in parallelo all'evolversi deli apprezzamento sociale della fenomenologia considerata.

D’altra parte, anche la Corte Europea dei diritti dell'Uomo ha affermato che una legge nazionale che riservi l'inseminazione artificiale a coppie eterosessuali sterili, attribuendole una finalità terapeutica, non può essere considerata fonte di una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle coppie omosessuali, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU, trattandosi di situazioni non paragonabili.

In effetti, pur rientrando l'unione omosessuale nella nozione di formazione sociale di cui all'art. 2 Cost., non solo l'infertilita fisiologica della coppia omosessuale non è assimilabile a quella della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive, ma neppure la Costituzione impone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli.

Né a opposte conclusioni, sempre secondo la Corte costituzionale, può condurre la successiva legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), che, pur riconoscendo la dignità sociale e giuridica delle coppie formate da persone dello stesso sesso, non consente, comunque, la filiazione, sia adottiva che per fecondazione assistita, in loro favore.

Invero, dal rinvio che il comma 20 dell'art. 1 di detta legge opera alle disposizioni sul matrimonio (cosiddetta clausola di salvaguardia) restano escluse, perché non richiamate, quelle che regolano la paternità, la maternità e l'adozione legittimante (cfr. Corte Cost., n. 237/2019).

D’altra parte, sempre la Corte EDU, pur osservando che il mancato riconoscimento del rapporto di filiazione è destinato inevitabilmente ad incidere sulla vita familiare del minore, ha escluso la configurabilità di una violazione del diritto al rispetto della stessa, ove sia assicurata in concreto la possibilità di condurre un'esistenza paragonabile a quella delle altre famiglie.

Al riguardo, non rileva – come precisato anche nel caso esaminato dal Tribunale di Arezzo – la distinzione tra maternità puramente "intenzionale" e il caso di maternità biologica.

Invero, lo sbarramento sopra delineato sussiste anche in un'ipotesi, come quella esaminata dal giudice aretino, in cui il ricorso tende ad accertare il rapporto di filiazione ed i suoi effetti giuridici con il genitore che non è tale solo "intenzionalmente", nel senso di aver prestato il proprio consenso alla tecnica di fecondazione assistita, ma anche "geneticamente", nel senso che i figli nati da tale procedura di procreazione medicalmente assistita condividono con la donna che chiede di essere riconosciuta anch'essa come madre il patrimonio genetico (avendo quest'ultima sottoposto al procedimento di fecondazione medicalmente assistita i propri ovuli, poi impiantati nella donna che ha portato avanti la gestazione ed il parto).

D’altra parte, come ha bene precisato recentissimamente la Corte di Cassazione a Sezioni unite (n. r.g. 30401 pubblicata il 30 dicembre 2022), in un caso in cui a reclamare il proprio status nell’atto di nascita del minore era il genitore (uomo) d’intenzione, che insieme al padre biologico ne aveva voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione in un Paese estero, non è possibile neanche negare al genitore privo di legame biologico la possibilità di adottare il bambino.

Sotto questo ulteriore profilo, le Sezioni unite hanno dovuto rispondere all’interrogativo, sollevato dall’ordinanza di rimessione, se il rifiuto del riconoscimento di effetti del provvedimento giurisdizionale straniero che accerta il rapporto di filiazione anche con il genitore intenzionale sia giustificato dal contrasto con l’ordine pubblico internazionale.

Secondo la Corte di cassazione, in questi casi il rifiuto è legittimo in quanto la pratica della maternità surrogata (vietata sotto minaccia di sanzione penale, dall’art. 12, comma 6, della legge n. 40 del 2004), quali che siano le modalità della condotta e gli scopi perseguiti, offenderebbe in modo intollerabile la dignità della donna e minerebbe nel profondo le relazioni umane, di modo che non è automaticamente trascrivibile il provvedimento giudiziario straniero, ovvero l’originario atto di nascita, che indichi quale genitore del bambino il genitore d’intenzione, che insieme al padre biologico ne ha voluto la nascita ricorrendo alla surrogazione nel Paese estero, sia pure in conformità della lex loci.

Tuttavia, pure il bambino nato da maternità surrogata ha un diritto fondamentale al riconoscimento, anche giuridico, del legame sorto in forza del rapporto affettivo instaurato e vissuto con colui che ha condiviso il disegno genitoriale.

Secondo i Giudici di ultima istanza, tale ineludibile esigenza – volta anche a non negare al minore il godimento degli stessi diritti degli altri bambini nati in condizioni diverse – è garantita attraverso l’utilizzo dell'istituto dell'adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, primo comma, lettera d), della legge n. 184 del 1983.

Invero, nonostante la Corte costituzionale, con la sentenza n. 33 del 2021, ha reputato non del tutto adeguata ai principi costituzionali e sovranazionali l’applicazione della suddetta ipotesi di adozione per garantire effetti giuridici al rapporto tra genitore sociale e minore - in quanto la stessa non determina un rapporto di filiazione pieno, dato che non crea legami del bambino con i parenti dell'adottante, e ha il limite di richiedere, come condizione insuperabile, l’assenso del genitore biologico, che potrebbe mancare in caso di crisi della coppia –, l’attuale inerzia sul punto del legislatore non impedisce al Giudice di utilizzare tale strumento per dare riconoscimento giuridico, con il conseguimento dello status di figlio, al legame di fatto con il partner del genitore genetico che ha condiviso il disegno procreativo e ha concorso nel prendersi cura del bambino sin dal momento della nascita, rappresentando l'adozione l'unico modo per dare forma giuridica al rapporto con il genitore intenzionale. 

D’altra parte, con la sentenza n. 79 del 2022, depositata il 28 marzo 2022, la Corte costituzionale ha rimosso l’impedimento alla costituzione di rapporti civili con i parenti dell’adottante (art. 55 della legge n. 184 del 1983, in relazione all’art. 300, secondo comma, cod. civ.), intervenendo su uno snodo centrale della disciplina dell’adozione in casi particolari, all’insegna della piena attuazione del principio di unità dello stato di figlio.

In seguito a tale sentenza, dunque, anche l’adozione del minore in casi particolari produce effetti pieni e fa nascere relazioni di parentela con i familiari dell’adottante. Al pari dell’adozione “ordinaria” del minore di cui agli artt. 6 e ss. della legge n. 184 del 1983, l’adozione in casi particolari non si limita a costituire il rapporto di filiazione con l’adottante, ma fa entrare l’adottato nella famiglia dell’adottante. L’adottato acquista dunque lo stato di figlio dell’adottante.

Quanto infine alla ulteriore circostanza problematica, sotto un profilo applicativo, secondo cui la disciplina dell’adozione in casi particolari richiede, ex art. 46 della legge n. 184 del 1983, ai fini del perfezionamento della procedura, l’assenso del genitore biologico, il quale potrebbe non prestarlo in situazioni di sopravvenuta crisi della coppia, le Sezioni unite hanno evidenziato che l’effetto ostativo del dissenso dell’unico genitore biologico all’adozione del genitore sociale può e deve essere valutato esclusivamente sotto il profilo della conformità all’interesse del minore, secondo il modello del dissenso al riconoscimento.

In altri termini, è possibile superare la rilevanza ostativa del dissenso all’adozione in casi particolari ai sensi della lettera d), tenendo conto che il contrasto non rischia soltanto di vanificare l'acquisto di un legame ulteriore rispetto a quello che il minore ha con la famiglia di origine, ma anche di sacrificare uno dei rapporti sorti all'interno della famiglia nella quale il bambino è cresciuto, privandolo di un apporto che potrebbe invece essere fondamentale per la sua crescita e il suo sviluppo.

In questa prospettiva, il genitore biologico potrebbe negare l'assenso all'adozione del partner solo nell'ipotesi in cui quest'ultimo non abbia intrattenuto alcun rapporto di affetto e di cura nei confronti del nato, oppure abbia partecipato solo al progetto di procreazione ma abbia poi abbandonato il partner e il minore.



Share by: