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Nuovi obblighi vaccinali e ricorsi del personale sanitario sospeso: osservazioni minime in tema di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale

di Sergio Conti, già Presidente di TAR • gen 19, 2022

Con la sentenza 20 ottobre 2021 n. 7045, la 3^ Sezione del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla costituzionalità dell’obbligo di vaccinazione contro il virus Sars-CoV-2, per gli esercenti le professioni sanitarie posto dall’art. 4 del D.L. 1 aprile 2021 n. 44, conv. con mod. in l. n. 76 del 28 maggio 2021.

La citata norma dispone che gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario di cui all’art. 1, comma 2, della l. n. 43 del 2006, che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali sono obbligati a sottoporsi a vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2. La disposizione prevede, in caso di non ottemperanza all’obbligo vaccinale, una complessa procedura di accertamento e l’adozione di incisive – per quanto temporanee – conseguenze sanzionatorie sul rapporto lavorativo.

La legittimità di questa disciplina è stata contestata da un gruppo di sanitari avanti al Tribunale amministrativo regionale per il Friuli Venezia Giulia, in quanto ritenuta incompatibile con il diritto convenzionale, con quello eurounitario e in contrasto con diversi parametri costituzionali.

In particolare, i ricorrenti muovono da una premessa di ordine tecnico-scientifico, con cui sostengono che il breve tempo di cui si sono potute giovare le case farmaceutiche per gli studi, la predisposizione e la sperimentazione delle soluzioni vaccinali per prevenire il virus Sars-CoV-2, non ha consentito di raggiungere quelle condizioni di sicurezza e di efficacia dei vaccini, che devono precedere e assistere ogni prestazione sanitaria imposta ai sensi dell’art. 32, comma secondo della Costituzione.

Ancora, sottolineano che le stesse case farmaceutiche produttrici dei vaccini hanno riconosciuto che, se non sono ancora note le potenzialità dei vaccini, quanto alla capacità di impedire la trasmissione del virus, la capacità di impedire la contrazione della malattia e la durata dell’efficacia preventiva, ugualmente non sono ancora note nemmeno le conseguenze, soprattutto a lungo termine, derivanti dalla somministrazione dei vaccini, come emerge dagli ampi stralci delle note informative, riportate nel ricorso, che, sostengono ancora gli appellanti, i pazienti sarebbero costretti ad accettare mediante la sottoscrizione del modulo di consenso informato.

Il TAR Friuli Venezia Giulia - con la sentenza n. 263 del 10 settembre 2021, resa in forma semplificata ad esito di domanda cautelare ai sensi dell’art. 60 c.p.a. - ha dichiarato inammissibile il ricorso per la ritenuta carenza dei presupposti per la proposizione di una impugnazione collettiva e cumulativa.

In sede di appello, il Consiglio di Stato ha riformato tale decisione, ritenendo ammissibile il ricorso, e lo ha respinto nel merito. In particolare, per quanto in questa sede interessa, ha ritenuto manifestamente infondate le questioni di costituzionalità prospettate dai ricorrenti.


La giurisdizione

Per quanto riguarda la questione della giurisdizione della G.A. sulla vicenda esaminata il TAR Friuli Venezia Giulia e il Consiglio di Stato non si sono posti (in assenza di eccezioni al riguardo) la questione, ed hanno implicitamente affermato la stessa [1].

Diversa è stata tuttavia la posizione assunta dal TAR Liguria [2] e dal TAR Marche [3], che hanno affermato la spettanza della questione al Giudice ordinario, ritenendo che i ricorrenti agiscano per la tutela di un loro diritto fondamentale quale quello alla salute che, nella sua componente oppositiva - che rileva nella specie - non può essere compresso e come tale degradato da provvedimenti amministrativi (Corte cost., 26 luglio 1979, n. 88).

Così si è espresso recentemente anche il TAR Veneto, con la sentenza n. 1548 del 2021, in cui è stato specificato che la recente modifica operata dal legislatore all’art. 4 del D.L. 1 aprile 2021 n. 44 (con l’art. 1, comma 1, lett. b), d.l. 26 novembre 2021, n. 172), pur non essendo applicabile ratione temporis alla fattispecie in concreto esaminata, "sotto il profilo interpretativo fa emergere una volta di più come il legislatore abbia del tutto inteso escludere l’intermediazione del potere pubblico: se nella precedente versione, infatti, come sopra detto, alle aziende sanitarie è stato attribuito un compito di verifica certativa eventualmente con profili di mera valutazione medica, nell’attuale versione, addirittura, è stato del tutto escluso un ruolo delle amministrazioni sanitarie ai fini dell’accertamento dell’inadempimento che, peraltro, viene effettuato dagli Ordini sulla scorta di un mero rilievo documentale, per mezzo di un atto definito esplicitamente avente natura dichiarativa e non disciplinare".


La manifesta infondatezza rilevata dal giudicante

Numerose e rilevanti sono le questioni affrontate dalla sentenza [4]. In questa sede ci si intende soffermare su un particolare aspetto: quello relativo alla decisione da parte del Collegio di rigettare, per manifesta infondatezza, la sollevata questione di legittimità costituzionale della norma che impone l’obbligo vaccinale, così sottraendola allo scrutinio di legittimità da parte della Corte costituzionale. Con il presente scritto ci si intende in particolare interrogare sulla legittimità e sulla opportunità di un siffatto modo di procedere da parte del Supremo consesso amministrativo.

I ricorrenti avevano articolato le seguenti questioni di legittimità costituzionale sostenendo che l’imposizione dell’obbligo vaccinale:

a) contrasterebbe con l’art. 32 Cost. e con il diritto di autodeterminazione che esso riconosce alla persona, affermando che l’imposizione di un determinato trattamento sanitario obbligatorio non può prescindere dalla garanzia delle condizioni di sicurezza ed efficacia del trattamento medesimo, che costituiscono condiciones di una imposizione che, per definizione, non incontra il consenso del destinatario;

b) violerebbe l’art. 3 Cost. sotto i profili della ragionevolezza, della proporzionalità e dell’uguaglianza, evidenziando: 1) – quanto alla ragionevolezza - che il vaccino non costituirebbe misura idonea allo scopo poiché non vi è certezza che il soggetto vaccinato non sia in grado di trasmettere il virus Sars-CoV-2 e, dunque, non si può ritenere che la sua somministrazione soddisfi il fine pubblico al quale è preordinata; 2) circa il canone della proporzionalità - che nel perseguimento dell’interesse generale il legislatore avrebbe dovuto prediligere gli strumenti che comportavano il minor sacrificio per gli interessi contrastanti (quali misure di distanziamento, utilizzo di guanti e mascherine, disinfettanti e paratie in plexiglass oppure sottoposizione degli operatori sanitari a tamponi molecolari o salivari, in grado si svelare, con elevata probabilità, lo stato di salute di chi vi si sottopone) mentre l’imposizione dell’obbligo avrebbe dovuto costituire, in una logica di equilibrato bilanciamento tra gli opposti valori in gioco, l’extrema ratio; 3) – in relazione al principio di uguaglianza – la natura discriminatoria della vaccinazione, imposta al solo personale sanitario, senza ragione alcuna, a differenza di tutti gli altri cittadini, in quanto la libertà di autodeterminazione non potrebbe essere sacrificata solo in nome di esigenze di interesse pubblico che, nel caso in esame, stante la mancanza di garanzie in ordine all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini, oltre che all’inidoneità di questi ad evitare la trasmissione del virus Sars-CoV-2, evidentemente non sarebbero configurabili;

d) violerebbe gli artt. 2 e 32 Cost., per la mancata previsione dell’indennizzo per il caso in cui, dalla somministrazione, dovesse derivare un pregiudizio grave e/o permanente per l’integrità fisica del soggetto al quale il vaccino è inoculato;

e) violerebbe gli artt. 9 e 33 Cost., in quanto l’art. 4 del d.l. n. 44 del 2021 li obbligherebbe ad accettare la vaccinazione, quando essi potrebbero e vorrebbero prediligere misure alternative idonee al raggiungimento della finalità perseguita, nonostante gli stessi siano tutti soggetti legati all’ambiente sanitario, in grado di manifestare dissensi informati e non meramente aprioristici e preconcetti, pur godendo essi di conoscenze specifiche nel settore. Ciò impedirebbe, peraltro, anche il progresso della ricerca scientifica, con violazione dell’art. 9 Cost., che tutela la libertà della ricerca scientifica stessa, in riferimento ad altre possibili soluzioni curative;

f) contrasterebbe con gli artt. 1, 2, 3, 4, 35 e 36 Cost. perché la conseguenza prevista per l’inadempimento dell’obbligo e, cioè, la sospensione dell’esercizio professionale, autonomo o dipendente, confliggerebbe con la tutela del principio lavoristico, sul quale è fondata la Repubblica (art. 1 Cost.), sopprimendo di fatto l’esercizio del diritto al lavoro e la percezione di un compenso che fornisca al lavoratore e alla sua famiglia le risorse necessarie ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa: non sarebbe possibile correlare un obbligo contrario alla libertà di scelta della cura all’impossibilità di esercitare la propria professione, se non violando gli artt. 1, 2 4 e 36 della Costituzione.

Tutte le suddette questioni - ad eccezione di quella di cui alla lett. C), che è stata dichiarata non rilevante nel giudizio - sono state ritenute manifestamente infondate.


Osservazioni critiche

Secondo l’art. 1 della legge cost.  9.2.1948 n.1, “La questione d'illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge della Repubblica, rilevata d'ufficio o sollevata da una delle parti nel corso di un giudizio e non ritenuta dal giudice manifestamente infondata, è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione”.

L’art. 23 della legge 87/1953 specifica che «l'autorità giurisdizionale, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale o non ritenga che la questione sollevata sia manifestamente infondata, (…) emette ordinanza». [5]

Pertanto, il giudice innanzi al quale è sollevata questione di costituzionalità di una legge (o di un atto avente forza di legge) deve effettuare un duplice vaglio preliminare sulla: 1) rilevanza (“qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione stessa”); 2) non manifesta infondatezza (“ritenga che la questione sia “manifestamente infondata”).

Al riguardo è stato icasticamente osservato [6] che l’ordinanza di respingimento per manifesta irrilevanza o infondatezza deve essere adeguatamente motivata, specificandosi che la motivazione non deve però risultare così lunga e complessa da contraddire, con ciò stesso, l’asserita manifesta irrilevanza o infondatezza dell’eccezione [7].

Si è poi posto in luce [8] - nel trattare della questione della c.d. “interpretazione conforme” -  che la questione di costituzionalità non deve sollevarsi se è (ritenuta) manifestamente infondata, mentre deve simmetricamente essere sollevata se è (ritenuta) non manifestamente infondata, concludendo nel senso che nel secondo caso sussiste un obbligo del giudice, al quale corrisponde specularmente il diritto della parte che ha proposto eccezione di costituzionalità di vedere sollevata la relativa questione se questa non è manifestamente infondata.

Resta da chiarire come possa essere definita la manifesta infondatezza e quale sia il percorso ragionativo per mezzo del quale si arriva ad evincerla.

Secondo una prospettazione [9] la manifesta infondatezza si ha ove è assente «il minimo dubbio sulla interpretazione delle norme legislative».

Si è affacciata poi la tesi [10] secondo la quale «il giudice, anche se ritiene soggettivamente infondata la questione sollevata dalle parti, deve rinviarla alla Corte qualora non sia in grado di mostrare palesemente tale infondatezza. Con la conseguenza che possono darsi casi in cui il giudice deve rinviare alla Corte questioni proposte dalle parti che egli non solleverebbe d’ufficio».

Particolarmente efficace – e del tutto condivisibile – appare la definizione [11]  secondo la quale il promovimento della questione di legittimità costituzionale presuppone che il giudice abbia ritenuto questa “non manifestamente infondata”, dovendo, invece, rigettare l’eccezione eventualmente proposta dalle parti ove ritenga la questione stessa arbitraria. Si tratta di un “filtro” predisposto per evitare l’afflusso alla Corte di questioni “pretestuose”, a fini evidenti di economia, sia per non sovraccaricare la Corte di lavoro inutile, sia per stroncare manovre dilatorie nel giudizio a quo; l’Autore prosegue evidenziando, però, che “al tempo medesimo, si trattava di un “filtro” leggero, tale da non sottrarre al giudizio della Corte tutte le questioni effettivamente meritevoli di essere valutate”.

Da ultimo appare opportuno richiamare le considerazioni scolte da C. Mortati [12] sugli abusi che, in questo senso, vennero in essere nei primi anni di funzionamento della Corte, mediante dichiarazioni di manifesta inammissibilità di questioni di legittimità costituzionale estremamente serie, che venivano così sottratte al loro “giudice naturale” e cioè alla Corte.

Alla stregua di questo rapido excursus pare che non sia condivisibile la scelta del Supremo Consesso Amministrativo di dichiarate illico et immediate - con sentenza ex art. 60 c.p.a. resa all’esito della camera di consiglio cautelare - manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale.

E’ pure singolare che la dichiarazione di manifesta infondatezza e il rigetto complessivo del ricorso su una questione del tutto nuova e di assoluto rilievo sia avvenuta, all’esito della camera di consiglio sull’istanza cautelare, con sentenza semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ove si consideri che ne è scaturita una “sentenza semplificata” di circa 90 pagine.

Senza entrare qui nel merito delle argomentazioni giuridiche e dei presupposti scientifici che il Consiglio di Stato ha posto a base della sua decisione (che pure potrebbero essere svolte) [13], non può condividersi la scelta di impedire l’accesso della questione alla Corte costituzionale.

Le questioni sollevate riguardano delicati profili relativi alla libertà della persona e al diritto alla salute, nel delicatissimo rapporto fra tutela del singolo e della collettività. Ed è proprio in relazione a queste tematiche che è storicamente nato il costituzionalismo [14]

Tanto più che la questione si è venuta a porre non già in una situazione per così dire ordinaria, ma nel mezzo della c.d. “emergenza Covid-19” la quale ha determinato, oltre ai gravi problemi sanitari, l’introduzione nel sistema normativo di rilevanti deroghe e limitazioni di libertà e di diritti costituzionali.

Si può ben dire che il deferimento alla Corte costituzionale della tematica era non solo opportuno ma obbligato.

Per contro, con la sentenza in discorso, il Consiglio di Stato ha ritenuto di decidere immediatamente la questione, privando i ricorrenti della possibilità di ottenere, come previsto dalla Costituzione, che sulla legittimità costituzionale della norma nel contesto dell’emergenza Covid si pronunciasse la Corte costituzionale.

Peraltro, se si scorre il registro delle questioni sollevate negli ultimi mesi innanzi alla Corte (rinvenibili sul sito della Corte alla voce “questioni pendenti”) si vede che queste spesso attengono a questioni di poco momento o meramente patrimoniali. Appare dunque singolare che proprio la questione dell’obbligo vaccinale – che attiene alla libertà personale e ai trattamenti sanitari imposti - sia paradossalmente una delle pochissime sulla quale i giudici a quo abbiano ritenuto di definire in senso negativo la questione, impedendone l’accesso al vaglio della Corte costituzionale.

E’ indice di cattiva salute del sistema delle garanzie che su questioni che riguardano la libertà si pronunci, negando qualsiasi contrasto con le tutele poste dalla Carta fondamentale, non già la Corte costituzionale ma il Consiglio di Stato, il quale, va ricordato, è tra l'altro organo ancipite ai sensi dell’art. 100 e 113 della Costituzione (da un lato organo di consulenza del Governo e dall’altro organo di vertice della Giustizia amministrativa), che con il Governo può e deve avere, dunque, collegamenti stretti sia sotto il profilo istituzionale [15] sia sotto quello fattuale.




[1] Nello stesso senso successivamente si è posto il T.A.R. Lazio con la sentenza n. 11543/2021

[2] Sentenze nn. 983, 984, 985, 986, 987 e 991 della 1^ Sez. in data 18.11.2021 in www.giustizia-amministrativa.it

[3] Sentenza 18.12.2021 n. 870 in www.giustizia-amministrativa.it

[4] Rinvenibile in www.giustizia-amministrativa.it

[5] Sull’esigenza che fra la Corte costituzionale e autorità giudiziaria sussista “un’atmosfera di intesa e di reciproca comprensione”, “una vera e propria collaborazione attiva” per salvaguardare e attuare la Costituzione si veda N. Occhiocupo La Corte costituzionale “esigenza intrinseca” della Costituzione Repubblicana in valori e principi del regime repubblicano vol. 3 legalità e garanzie a cura di S. Labriola Bari 2006 pag. 515 n. 128 e bibliografia ivi richiamata.

[6] P. Biscaretti di Ruffia Diritto costituzionale XIV ediz. Napoli 1986 p- 634 -635

[7] P. Calamandrei Sulla nozione di “manifesta infondatezza Riv. dir. proc., Padova, 1956, II, 164/167.

[8] O. Chessa “Non manifesta infondatezza versus interpretazione adeguatrice? Intervento al Convegno del Gruppo di Pisa su Interpretazione conforme e tecniche argomentative”, Milano 6 e 7 giugno 2008.

[9] C. LAVAGNA, Criteri formali e sostanziali nella valutazione della manifesta infondatezza, in Giur. cost., 1957, 923 ss., spec. 928,

[10] F. PIZZETTI – G. ZAGREBELSKY, “Non manifesta infondatezza” e “rilevanza” nella instaurazione incidentale del giudizio sulle leggi, Milano, 1972, 89

[11] A. Cerri: Corso di giustizia costituzionale 3^ edizione Milano 2001 pag. 177

[12] C. Mortati Ancora sulla manifesta infondatezza in Giur. Cost. 1959

[13] Al riguardo perspicue e del tutto condivisibili appaiono le criticità sollevate da C. Scarselli in Nota a Consiglio di Stato 20 ottobre 2021 n. 7045 in Giustizia insieme, 17 novembre 2021, www.giustiziainsieme.it

[14] V. la voce Costituzionalismo in Enciclopedia storica Treccani, che così lo definisce “Complesso dei principi che caratterizzano la forma di governo detto costituzionale, che sorge in reazione allo Stato assoluto e ha il suo ordinamento regolato con norme stabili, scritte, contenute appunto in una costituzione, carta o statuto. Con il c., al concentramento di tutto il potere statale nelle mani del monarca si sostituisce la «divisione dei poteri» (esecutivo, legislativo e giudiziario); il popolo è chiamato a partecipare alla vita politica e l’attività dei governanti deve essere informata ai principi della pubblicità e della responsabilità. Scopo primario del c. è la garanzia della libertà dell’individuo; attraverso la sottomissione del potere politico alla legge, infatti, esso mira a garantire ai cittadini l’esercizio dei diritti individuali, ponendo lo Stato in condizione di non poterle violare. …Il costituzionalismo moderno si articola attorno a cinque nuclei: la costituzione scritta, il potere costituente, la dichiarazione dei diritti, la separazione dei poteri, il controllo di costituzionalità delle leggi.

[15] Va ricordato che il Presidente del Consiglio di Stato è designato dal Governo, posto che l’art. 22 della L. 27.4.1982 n. 186 prevede che il Presidente della Repubblica lo nomini con suo decreto “su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del consiglio di presidenza”.

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