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Le amministrazioni comunali e i diritti dei cittadini molestati

a cura di Silvana Bini • giu 24, 2023

Premessa

(a cura di Roberto Lombardi)


Due curiose vicende giudiziarie si sono recentemente fatte largo nella narrazione della cronaca locale, in quanto hanno coinvolto il rapporto tra i cittadini e la loro amministrazione territoriale di riferimento.

I Giudici aditi hanno dovuto così dare una risposta di giustizia che non solo si è confrontata con le esigenze rivendicate dal privato, ma anche con la concezione di tutela pubblica "collettiva" attualmente vigente, definendone limiti e modalità.

A Milano, un giovane che si trovava presso la montagnetta di San Siro/Monte Stella per un evento serale organizzato da alcuni licei di Milano e regolarmente autorizzato dal competente ufficio del Comune, aveva avuto la "cattiva" idea di utilizzare alle due di notte un bagno chimico pubblico.

La scelta si era rivelata un errore perché un altro giovane, evidentemente in preda ai fumi dell'alcol, prendeva a calci il bagno chimico, facendolo ribaltare con dentro il malcapitato utilizzatore.

In primo grado, il Tribunale di Milano ha condannato il Comune di Milano al risarcimento dei danni subiti dal giovane "ribaltato", quantificandoli in più di 9.000 euro.

Dal punto di vista giuridico, il Giudice di primo grado ha argomentato che il mancato ancoraggio del bagno chimico al suolo - bagno che infatti aveva perso stabilità a seguito di sconsiderati calci provenienti dall'esterno della struttura - aveva comportato un fattore di notevole rischio per gli avventori, rischio da ritenersi facilmente prevedibile e intuibile da parte del proprietario e custode della cosa (ovvero il Comune di Milano).

Di conseguenza, l'ente pubblico a cui è attribuito il potere/dovere di custodia avrebbe dovuto essere ritenuto responsabile ex art. 2051 c.c. per il comportamento omissivo e negligente mantenuto nel caso di specie.

Tale condotta si sarebbe infatti innestata come fattore causale diretto - anche se concorrente con il comportamento violento del "calciatore" - nel creare l'evento lesivo del ribaltamento e tutti i danni ingenerati da tale ribaltamento e patiti dal ribaltato.

Il Giudice di seconda istanza non è stato però d'accordo con questa impostazione.

Secondo la Corte di Appello di Milano, infatti, non esiste alcuna norma tecnica che imponga all'amministrazione comunale di ancorare i bagni chimici pubblici al suolo, anche perché tali bagni sono, per definizione, dotati di necessaria "mobilità". [1]

Ne consegue che la necessità di evitare il rischio di ribaltamento avrebbe dovuto essere considerata fuori dagli obblighi di diligenza del Comune di Milano, e che l'evento esterno che aveva provocato tale ribaltamento (calci di un'altra persona) avrebbe dovuto essere catalogato tra quelle circostanze fortuite tali da escludere la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c..; in particolare si è trattato, secondo la Corte di Appello, di un evento, il fatto doloso del terzo, imprevedibile e non evitabile da parte del custode della res, neppure con l'uso della normale diligenza.

E in definitiva, dopo i calci e le conseguenti lesioni - e considerando che l'identità del calciatore era rimasta evidentemente ignota - al giovane "ribaltato" è toccato pagarsi anche le spese del giudizio. Oltre al danno la beffa, si direbbe.

A Brescia, invece, dei cittadini, molestati non da improvvisati "calciatori" ma da una sistematica attività di "intrattenimento" da strada ad alto volume, hanno avuto ragione a dolersi dell'inerzia dell'amministrazione locale, dopo una complicata vicenda processuale che si va di qui a poche righe a descrivere.

Nel complesso, la sensazione che le due vicende lasciano al commentatore è quella di una conflittualità quasi irrisolvibile tra esigenze del cittadino e dovere di protezione del suo ente maggiormente rappresentativo, conflittualità che il diritto prova a comporre con uno strumentario processuale che lascia tutto sommato soddisfatti a metà.

Forse basterebbe inserire nella disciplina civilistica sostanziale, per evitare l'insorgere di defatiganti controversie come quelle descritte in questo articolo,  una norma che stabilisca un dovere assoluto di protezione dei Comuni nel loro ambito territoriale di riferimento, in presenza di una lesione seria di un diritto fondamentale della persona, e qualora non sia stato possibile per il danneggiato identificare il primo responsabile del comportamento lesivo.


Movida, diritto al riposo e limiti del Giudice ordinario

di Silvana Bini


Alcuni cittadini residenti in una zona centrale del Comune di Brescia, disturbati dalla movida notturna, hanno citato il Comune in questione avanti il Tribunale ordinario, chiedendo che venisse accertata l’intollerabilità delle immissioni provenienti da detta strada comunale e, quindi, condannato il Comune di Brescia, ex art. 844 c.c., “alla cessazione immediata delle predette immissioni ovvero alla messa in opera delle necessarie misure per ricondurre alla normale tollerabilità le immissioni medesime”, nonché al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali patiti.

Il Tribunale di primo grado ha accolto le domande risarcitorie ed inibitorie e condannato il Comune “a far cessare le immissioni di rumore nella proprietà degli attori provenienti da una Via interessata dalla movida, ovvero ad adottare le cautele idonee a riportare dette immissioni entro la soglia della normale tollerabilità, mediante la predisposizione di un servizio di vigilanza, organizzato per tutte le sere dal giovedì alla domenica nei mesi da maggio ad ottobre, con impiego di agenti comunali che si adoperino, entro la mezz’ora successiva alla scadenza dell’orario di chiusura degli esercizi commerciali autorizzati, a far disperdere ed allontanare dalla strada comunale via Fratelli Bandiera le persone che stazionano lungo la stessa”.

Inoltre, il Comune è stato condannato al pagamento della somma di euro 20.000,00, in favore di ciascun attore a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale e della somma di euro 9.049,70, oltre interessi, in favore di un cittadino, a titolo di danno patrimoniale.

La Corte d’appello ha peraltro riformato la sentenza di primo grado.

Se da un lato è stato confermato che l’art. 844 c.c. trova applicazione anche nei confronti della pubblica amministrazione, i cui provvedimenti non avrebbero il potere di affievolire il diritto alla salute, così da radicare davanti al giudice ordinario la giurisdizione sulle cause in materia, è stato tuttavia esposto, d'altro canto, che “l’utilizzo della strada quale bene di cui l’ente locale è proprietario” non sarebbe avvenuta, “da parte degli avventori dei locali pubblici, nell’ambito di un provvedimento ampliativo concessorio”, costituendo la presenza dei locali  “l’occasione per gli assembramenti molesti”, là dove, poi, “il potere-dovere di intervenire in capo all’ente locale non (poteva) essere riferito a un generico dovere di tutelare la quiete pubblica ma va ancorato a precise disposizioni di legge per non sfociare in attività arbitrarie”.

Quindi, “per configurarsi una responsabilità omissiva”, non era sufficiente il richiamo all’art. 844 c.c., ma sarebbe stato necessario “ancorare l’obbligo di intervenire a una disposizione di legge che imponga il controllo sull’utilizzo della strada al fine di evitare schiamazzi notturni”.

Questa disposizione di legge non sono le norme del codice della strada (la cui finalità è solo quella della sicurezza della circolazione dei veicoli); non le norme in materia di sicurezza e ordine pubblico (che intestano tali compiti allo Stato e non al l’ente locale, se non per circostanze eccezionali, non ricorrenti nel caso in esame); non l’art. 54 del d.lgs. n. 267/2000, non essendo nella specie “contestato l’uso del potere di regolamentazione degli orari da parte del sindaco, bensì la mancata adozione di provvedimenti concreti per rendere effettiva l’osservanza di ordinanze emesse”, non potendo “configurarsi un obbligo del Comune, e in particolare del Sindaco quale ufficiale di governo, di dare esecuzione coattiva alle proprie ordinanze”.

Il Giudice d’appello ha anche rilevato che la titolarità passiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio non spettasse al Comune di Brescia, in assenza di norme specifiche che ne imponessero l’obbligo di un puntuale intervento al riguardo (che non si riducesse al mero dovere di assicurare la quiete pubblica) e, per altro verso, ha comunque escluso che le pretese azionate dagli attori potessero radicare un potere del giudice ordinario di determinare le modalità di intervento della P.A., esorbitando le stesse dai limiti interni della giurisdizione ad esso spettante, in forza del combinato disposto degli artt. 113 Cost. e 4 della legge n. 2248/1865 all. E., poiché non era ad esso giudice consentito “di disporre l’effettuazione di un pubblico servizio, arrivando addirittura a dettarne le modalità esecutive, pena la violazione dei principi stessi sul riparto di giurisdizione previsti dall’art. 113 Cost. e dall’art. 4 della legge 2248/1865 all. E”, là dove un “diverso argomentare porterebbe il giudice ordinario semplicemente a sostituirsi all’autorità locale in un caso in cui alcuna norma consente tal sorta di operazione e in violazione del principio costituzionale della separazione dei poteri”. 

La Corte di Cassazione ha peraltro cassato con rinvio la sentenza di appello. [2]

La Suprema Corte ha rilevato innanzi tutto che la tutela del privato che lamenti la lesione del diritto alla salute [costituzionalmente garantito e incomprimibile nel suo nucleo essenziale (art. 32 Cost.)], ma anche del diritto alla vita familiare [convenzionalmente garantito (art. 8 CEDU: cfr., tra le altre, Cass. n. 2611/2017; Cass. n. 19434/2019; Cass. n. 21649/2021)] e della stessa proprietà [che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l’affievolimento (Cass. n. 1636/1999)], cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, ex art. 844 c.c., provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria), trova fondamento, anche nei confronti della P.A., nelle stesse predette norme a presidio dei beni oggetto dei menzionati diritti soggettivi. 

Quindi vi è legittimazione passiva del Comune, proprietario della strada da cui provengono le immissioni, quando il privato domanda la tutela del diritto alla salute, del diritto alla vita familiare e della proprietà, perché la PA è comunque tenuta al rispetto del principio del neminem laedere e può, in astratto, essere condannata sia al risarcimento del danno sia ad un facere idoneo a ricondurre le immissioni alla soglia della normale tollerabilità. L’accertamento della responsabilità deve avvenire ai sensi dell’art. 2043 c.c., “per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato”.

Secondo la Cassazione, ”anche la domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili, non implica, di per sé, una attribuzione al giudice ordinario di poteri esorbitanti rispetto a quelli previsti dall’ordinamento e, dunque, ad esso inibiti dal principio desumibile dall’art. 4, comma 2, della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., siccome incidenti sul potere discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione nell’espletamento dei suoi compiti istituzionali. La circostanza che il primo giudice avesse predeterminato il facere del Comune convenuto imponendo ad esso taluni comportamenti implicanti l’adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi – come l’effettuazione di un servizio pubblico di vigilanza, organizzandone anche le modalità operative - non impediva, però, ogni diversa delibazione del giudice di secondo grado, coerente con la portata della domanda formulata dagli attori, che fosse volta ad imporre alla P.A. (non già le modalità di esercizio del potere discrezionale ad essa spettante, ma) di procedere agli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità, ossia quegli interventi orientati al ripristino della legalità a tutela dei diritti soggettivi violati”.

Quindi, la Corte d’Appello del rinvio dovrà nuovamente pronunciarsi sulle domande degli attori alla luce dei principi affermati dalla Cassazione, valutando a fini risarcitori quali regole tecniche o canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni il Comune abbia violato nel caso di specie, e accertando la colpa generica del Comune, esclusa la responsabilità oggettiva.

Il Giudice d’appello dovrà infine provvedere, eventualmente, ad ordinare interventi idonei ed esigibili al fine di limitare le immissioni rumorose, escludendosi ovviamente ordini che implichino la determinazione delle modalità di esercizio di poteri discrezionali.

La Cassazione ha delimitato il perimetro dei poteri di condanna del giudice ordinario, partendo dal presupposto che si tratta di sede stradale aperta alla circolazione.

La giurisdizione spetta al G.O., in quanto il petitum sostanziale della domanda attiene alla tutela del diritto alla salute e alla serenità della vita all’interno della propria abitazione, diritti lesi da immissioni intollerabili, causate indirettamente da una condotta omissiva del Comune, proprietario della strada.

La domanda volta a far cessare le immissioni intollerabili non implica, di per sé, una attribuzione al giudice ordinario di poteri esorbitanti rispetto a quelli previsti dall’ordinamento e, dunque, ad esso inibiti dal principio desumibile dall’art. 4, comma 2, della legge 20 marzo 1865 n. 2248 All. E., siccome incidenti sul potere discrezionale riservato alla Pubblica Amministrazione nell’espletamento dei suoi compiti istituzionali. 

La domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dai cittadini a causa delle immissioni acustiche intollerabili, “non postula alcun intervento del giudice ordinario di conformazione del potere pubblico e, dunque, non spiega alcuna incidenza rispetto al perimetro dei limiti interni della relativa giurisdizione, ma richiede soltanto la verifica della violazione da parte della P.A. del principio del neminem laedere e, dunque, della sussistenza o meno della responsabilità ai sensi dell’art. 2043 c.c., per aver mancato di osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni quale condotta, connotata da c.d. colpa generica, determinativa di danno ingiusto per il privato". 

Se quindi la domanda di cessazione delle immissioni e quella di risarcimento del danno rientrano nella giurisdizione del G.O., questi però non può imporre l’adozione di provvedimenti discrezionali ed autoritativi (come aveva statuito il giudice di primo grado), ma può imporre alla P.A. di adottare gli interventi idonei ed esigibili per riportare le immissioni acustiche entro la soglia di tollerabilità.




[1] Corte di Appello di Milano, Seconda sezione civile, sentenza del 8 marzo 2023, n. R.G. 2241/2022

[2] Corte di Cassazione, sentenza n. 14209 del 23 maggio 2023

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