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L'elefante solitario e i poteri regolamentari del Comune

Silvana Bini • mar 18, 2024

Tar Lombardia, Milano, sentenza n. 1571/2023 del 3.6.2023


IL CASO E LA DECISIONE

Un circo chiede al Comune di Milano il rilascio dell’autorizzazione a detenere animali al fine di poter svolgere una manifestazione circense. Il Comune, dopo aver sentito i Garanti per la tutela degli animali, ha prima richiesto di rimuovere alcune criticità connesse alla detenzione e alla custodia degli animali.

Quindi ha rilasciato l’autorizzazione per lo svolgimento della manifestazione circense, imponendo tuttavia quale prescrizione il divieto di detenzione di un singolo elefante.

Il divieto di detenzione di un singolo esemplare di elefante è stato motivato dagli Uffici comunali richiamando le prescrizioni contenute nelle Linee guida CITES del 2006, integralmente recepite dall’art. 34 del Regolamento per il Benessere e la Tutela degli Animali del Comune di Milano.

Il "Circo Madagascar" - ovvero la ditta individuale che lo gestisce - ha chiesto a questo punto al TAR l'annullamento del divieto, e il Tribunale adito ha dovuto esaminare l’art. 34 sopra citato, in quanto norma presupposta dell’apposizione della condizione posta dal Comune, ma, prima ancora, il radicamento della potestà regolamentare del Comune.

E' stato così evidenziato che in linea generale tale potestà rinviene il proprio diretto fondamento nella Costituzione che, all’art. 117, sesto comma, terzo periodo, stabilisce che “i Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

Anche la legislazione primaria riconosce espressamente una tale potestà, statuendo che, “nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dello statuto, il comune e la provincia adottano regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni” (art. 7 del D. Lgs. n. 267 del 2000 - Testo unico degli Enti locali; cfr. anche art. 4 della legge n. 131 del 2003 – c.d. legge “La Loggia”: in giurisprudenza, ex multis, T.A.R. Lombardia, Milano, III, 29 novembre 2021, n. 2631).

Quindi, alla stregua delle richiamate previsioni, la potestà regolamentare è attribuita al Comune per la disciplina della propria organizzazione e per lo svolgimento delle funzioni proprie o allo stesso conferite (dalla legge statale o regionale: cfr., per l’individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, l’art. 14, comma 27, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, con legge n. 122 del 2010).

Tale assetto – direttamente correlato alla circostanza che il Comune è ente a competenza generale, rappresentativo della collettività presente sul proprio territorio (cfr. art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 267 del 2000) – deve essere tuttavia coordinato, come già rilevato, con l’applicazione, nell’ambito pubblicistico, almeno in via generale e salvo eccezioni, del principio di legalità (ex art. 97 Cost.), che presuppone la sussistenza di una norma primaria attributiva, anche in via implicita, del potere o della funzione a un determinato organo o Ente, in modo da legittimarne l’intervento in sede normativa, e quindi anche regolamentare.

È stato, difatti, rilevato che l’autonomia comunale “non implica una riserva intangibile di funzioni, né esclude che il legislatore competente possa modulare [- con legge, appunto, -] gli spazi dell’autonomia municipale a fronte di esigenze generali che giustifichino ragionevolmente la limitazione di funzioni già assegnate agli enti locali” (Corte costituzionale, sentenze n. 202 del 2021 e n. 160 del 2016).

Del resto, in presenza di esigenze generali, si possono giustificare disposizioni legislative limitative delle funzioni già assegnate agli enti locali, purché non venga menomato il nucleo fondamentale delle funzioni loro spettanti, e il richiamato art. 117, sesto comma, Cost., nella sua prima parte, stabilisce che “la potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia”, da cui discende che la potestà regolamentare comunale è inibita, o comunque risulta recessiva, laddove, pur a fronte di funzioni attribuite all’Ente locale, esiste o viene successivamente introdotta una disciplina – anche a livello di fonte secondaria – relativa a una materia appartenente alla potestà legislativa statale o regionale: deve sottolinearsi a tal fine che il testo costituzionale definisce “materie” quelle attribuite alla potestà, oltre che legislativa, anche regolamentare dello Stato e delle Regioni, mentre qualifica come “funzioni” quelle attribuite al potere regolamentare dei Comuni (cfr. art. 117, secondo comma, lett. p, e sesto comma, e art. 118 Cost.).

Se quindi spetta ai livelli di governo superiori (Stato e Regioni) la disciplina legislativa e regolamentare riguardante le “materie” – intese come ambiti omogenei dell’ordinamento complessivo (si prescinde dalla distinzione tra materie in senso stretto e competenze di tipo trasversale) -, agli enti locali è attribuito il potere regolamentare in ordine ai compiti e alle potestà agli stessi affidati (“funzioni amministrative”); la potestà regolamentare di matrice comunale è pertanto indirizzata a regolare lo svolgimento dei predetti compiti, mentre la disciplina sostanziale delle materie spetta, di regola, agli Enti sovraordinati, in tal modo inibendosi la possibilità di regolamentazione diretta delle stesse da parte del Comune.

Dopo questo ampio preliminare esame, il Giudice adito ha dato atto che nella materia relativa al benessere e al trattamento degli animali in generale, allo stato, non si rinviene una complessiva ed esauriente regolamentazione da parte della legislazione primaria (europea, nazionale o regionale), essendo state adottate norme che disciplinano il trattamento degli animali come fattori della produzione agricola finalizzata al consumo umano o in quanto soggetti a sperimentazioni scientifiche, oppure sono rivolte alla tutela degli animali di affezione e alla prevenzione di malattie pericolose per l’uomo (cfr. legge n. 623 del 1985, sulla protezione degli animali da allevamento e da macello; legge n. 281 del 1981, legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo, attuata nella Regione Lombardia con legge n. 16 del 2006; legge n. 150 del 1992, riguardante la disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione; d. lgs. n. 146 del 2001, sulla protezione degli animali negli allevamenti; legge n. 189 del 2004, sul divieto di maltrattamento degli animali e l’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate; Regolamento C.E. n. 1 del 2005, sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate; D. Lgs. n. 73 del 2005, relativo alla custodia degli animali selvatici nei giardini zoologici; Regolamento C.E. n. 1099 del 2009, sulla protezione degli animali durante l’abbattimento; legge n. 201 del 2010, sulla protezione degli animali da compagnia; D. Lgs. n. 26 del 2014, sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici; D. Lgs. n. 135 del 2022, in materia di commercio, importazione, conservazione di animali della fauna selvatica ed esotica e formazione per operatori e professionisti degli animali).

Il Tribunale ha però ritenuto che le attuali disposizioni devono “necessariamente rapportarsi con la recente riforma costituzionale entrata in vigore in data 9 marzo 2022, che contiene uno specifico riferimento alla tutela dell’ambiente e degli animali".

Secondo tale riforma, la Repubblica tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni, e la  legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali (nuovo art. 9, terzo comma, Cost.).

Attraverso tale novella costituzionale si è dato vita a una riserva assoluta di legge statale con riguardo alla tutela degli animali, rafforzandosi in tal modo la già prevista potestà legislativa esclusiva statale in materia di ambiente (art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione).

Posto che allo stato non è stata ancora approvata una legge statale attuativa del richiamato disposto costituzionale, si deve ritenere pienamente in vigore il Regolamento per il Benessere e la Tutela degli Animali approvato dal Consiglio comunale di Milano il 3 febbraio 2020, ovvero antecedentemente alla modifica dell’art. 9 della Costituzione, allorquando non esisteva una riserva assoluta di legge statale per tutela degli animali (non essendo ritenuta ostativa dalla giurisprudenza costituzionale la previsione di cui all’art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione.)

Tale interpretazione trova conforto nella giurisprudenza, non solo costituzionale, che all’atto dell’entrata in vigore della Riforma del Titolo V della Seconda Parte della Costituzione approvata nel mese di ottobre del 2001, ha ritenuto che gli atti normativi (anche di rango regolamentare) legittimamente emanati prima della riforma nel rispetto della pregressa normativa, poi superata dalla predetta riforma, nel rispetto del principio di continuità dell’ordinamento, continuano a restare in vigore (c.d. norme cedevoli), fino a quando non vengano sostituite da nuove norme dettate dall’Autorità dotata di competenza nel nuovo sistema (Corte costituzionale, sentenze n. 376 del 2002 e n. 13 del 2004; Consiglio di Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 1). Anche il legislatore ha confermato la validità del principio di continuità, richiamandolo espressamente nell’art. 1, comma 2, della legge n. 131 del 2003 (c.d. Legge La Loggia: “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”).

Quindi, anche in assenza di espressa “autorizzazione” del legislatore statale, secondo il TAR Lombardia certamente avrebbe dovuto ritenersi valida ed efficace la normativa regolamentare vigente, che solo un futuro intervento espresso del richiamato legislatore potrà conformare, tenuto altresì conto, come rilevato in precedenza, che la tutela degli animali è strettamente funzionale al perseguimento di un obiettivo “proprio” anche del Comune.

Dopo questa ulteriore premessa, il Tribunale è passato ad esaminare la norma regolamentare impugnata, posta a presupposto dell’autorizzazione condizionata.

La contestata disposizione comunale, adottata nel perseguimento di finalità di tutela del benessere animale – certamente rientrante nella titolarità del Comune con riguardo al proprio ambito territoriale, - si porrebbe infatti quale strumento idoneo al perseguimento di siffatto obiettivo; d'altra parte, il Comune, nell’ambito delle proprie finalità istituzionali,  può certamente ricorrere al potere regolamentare per disciplinare le funzioni di cui è titolare e può anche, nel caso vi sia una interferenza con materie affidate alla potestà normativa di altri enti, intervenire in tali settori, purché la sovrapposizione che si determina risulti strettamente funzionale al perseguimento dell’obiettivo “proprio” del Comune e non rappresenti, invece, un tentativo di regolamentare surrettiziamente in via diretta materie avulse dalla competenza del medesimo ente; si deve trattare in altri termini di una interferenza che non fuoriesca dal perimetro degli interessi comunali e che non impatti poi sul nucleo essenziale della disciplina sostanziale della materia già oggetto di regolamentazione da parte dello Stato o della Regione (cfr., per un parallelo, Corte costituzionale, sentenza n. 119 del 2020).

Nella fattispecie esaminata, il Giudice di prime cure ha ritenuto che non solo ricorressero tutti i richiamati presupposti per la perdurante vigenza della normativa regolamentare comunale, ma anche che ricorresse il rispetto del principio di proporzionalità, poiché nella stessa si fa riferimento al “disincentivo” del possesso degli esemplari a rischio e non si prevede una generale inibizione dell’attività da parte degli operatori del settore circense, i quali non subiscono alcuna rilevante e ingiustificata limitazione della propria iniziativa economica privata.

E’ stato ritenuto legittimo anche il richiamo alle Linee guida adottate dalla Commissione CITES del 2006, non oggetto di formale recepimento da parte del Ministero dell’Ambiente, a differenza di quelle del 2000: infatti, fino all’entrata in vigore del d.lgs. n. 135 del 2022 (che ha abrogato l’art. 6 della legge n. 150 del 1992), la detenzione di animali di specie selvatica utilizzati nei circhi e delle mostre faunistiche, al fine di garantire il rispetto delle loro esigenze di benessere e di cura, era rimessa alla valutazione dell’apposita Commissione scientifica prevista dall’art. 4, comma 5, della legge n. 150 del 1992, c.d. Commissione scientifica CITES (“Con decreto del Ministro dell’ambiente, adottato di concerto con il Ministro delle politiche agricole e forestali e con il Ministro del commercio con l’estero, è istituita presso il Ministero dell’ambiente la Commissione scientifica per l’applicazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione, firmata a Washington il 3 marzo 1973, di cui alla legge 19 dicembre 1975, n. 874”).

Quindi si tratta dell’Autorità preposta, per espressa disposizione di legge, al settore della tutela degli animali e alla verifica della corretta applicazione della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione.

E’ una Commissione scientifica – definita Autorità scientifica dall’art. 13, par. 2, Regolamento CE n. 338/97 – per cui le sue determinazioni sono qualificate e possono essere poste a fondamento di una attività normativa (regolamentare, nella specie). 

In tal senso il TAR ha rievocato la recente giurisprudenza costituzionale, secondo la quale risulta in linea con il dettato costituzionale la circostanza che soltanto i dati scientifici forniti dalle Autorità istituzionalmente preposte allo specifico settore possano giustificare le scelte politiche del titolare del potere normativo (legislativo e regolamentare), non potendo il predetto apporto essere sostituito ricorrendo a fonti diverse, ancorché possa trattarsi di “esperti” del settore, visto che non risulterebbero chiari i criteri di scelta di siffatti ultimi soggetti (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 14 del 2023).

Peraltro, per riconoscere “validità” alle determinazioni delle istituzioni scientifiche non si richiede un loro recepimento attraverso atti dotati di forza precettiva – ovvero non devono essere validate da alcuna altra Autorità pubblica, attraverso forme o modalità particolari – ma basta che le stesse siano state ritualmente adottate, nel rispetto delle regole proprie del settore, dalla medesima Autorità.

Di conseguenza, non rileva che le Linee guida formulate nel 2006 – a differenza di quelle risalenti al 2000 – non siano state recepite in un atto formale da parte del Ministero dell’Ambiente, trattandosi di una determinazione che la Commissione CITES ha adottato in ragione della necessità di aggiornare la disciplina di riferimento: è stato, infatti, precisato che “il 10 maggio 2000 la Commissione Scientifica ha emanato le prime linee guida di indirizzo per il mantenimento di animali presso circhi e mostre itineranti. Trascorsi sei anni dall’approvazione del documento, tenuto conto delle ricadute applicative e delle nuove conoscenze acquisite in materia, è sentita l’esigenza di aggiornare la disciplina di riferimento per renderla più aderente alle necessità di tutela del benessere animale e degli operatori del settore”.

Pertanto, il riferimento contenuto nel Regolamento comunale impugnato alle Linee guida del 2006 non è stato ritenuto dal TAR illegittimo, ma anzi  pienamente coerente con i principi espressi in materia dalla Corte costituzionale.

Sulla base queste articolate e approfondite argomentazioni, il Giudice di prima istanza ha concluso per la legittimità dell’art. 34, comma 4, del Regolamento per il Benessere e la Tutela degli Animali del Comune di Milano, dove si stabilisce che “il Comune di Milano dall’entrata in vigore di questo Regolamento disincentiva sul proprio territorio l’attendamento di circhi, spettacoli e mostre itineranti con al seguito esemplari meritevoli di particolare protezione quali quelli indicati [nelle “Linee guida per il mantenimento degli animali nei circhi e nelle mostre itineranti”, emanate dalla Commissione Scientifica CITES con Delibera del 13 aprile 2006, e successive modificazioni,] appartenenti alle seguenti specie/gruppi tassonomici: primati, cetacei, lupi, orsi, pinnipedi, rinoceronti, ippopotami, giraffe, grandi felini ed elefanti. II disincentivo si estende anche alle iniziative aventi carattere meramente espositivo”.

In particolare, è valso il riferimento a quella parte delle citate Linee guida in cui si prevede che, in sede di allestimento e preparazione di uno spettacolo circense, “non può essere ammessa la detenzione di un singolo [elefante], così come la detenzione di maschi e femmine insieme” .

Conseguentemente, anche l'assenso condizionato alla manifestazione circense in città, cui si lega il il divieto di detenzione di un singolo elefante, è stata ritenuta legittima e proporzionale, posto che il divieto di detenzione del singolo esemplare non impedisce lo svolgimento dell’intero spettacolo, pur rendendolo inevitabilmente meno attrattivo.



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