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L'angolo cieco della modernità

a cura di Silvana Bini • mar 18, 2024

PREMESSA

(a cura di Roberto Lombardi)


Si potrebbe dire che il Comune di Milano cerca disperatamente di contenere i danni derivanti dalla modernità, di cui pure rappresenta un avamposto, difendendosi con uno strumentario giuridico tutto da definire.

La morte nell’agosto dello scorso anno di una giovane di 28 anni colpita da un camion, mentre percorreva in bicicletta una strada centrale in città, ha scosso la collettività e si è incasellata in coda ad altre tragedie simili e recenti.

La bicicletta è finita sotto le ruote del Tir e nonostante i rapidi soccorsi le lesioni subite dalla ciclista sono risultate fatali.

Inevitabile l’aumento della polemica per l’assenza di sicurezza in città, anche per ciò che riguarda la circolazione stradale.

Prima ancora, nel 2023, le cronache ci raccontano di altri quattro episodi mortali che hanno coinvolto ciclisti: una mamma di 38 anni falciata in Piazzale Loreto, una sua coetanea schiacciata sotto un mezzo pesante davanti alla centralissima biblioteca Sormani, un operaio di origini cinesi trascinato per centinaia di metri da un camion mentre si recava a lavoro e una signora più in là con gli anni investita da una betoniera.

A fronte di questi accadimenti oggettivi, uno studio del Politecnico di Milano ha indicato, in via generale, un preoccupante incremento del tasso di incidentalità ciclistica nella città negli ultimi anni.

E il Comune come ha deciso di arginare questa scia abbastanza impressionante di morti? Tanto per cominciare, un tavolo tecnico con invito “allargato” sul tema della sicurezza stradale e della visibilità limitata dei conducenti dei veicoli pesanti.

Successivamente, un’istruttoria che ha portato a una deliberazione di Giunta comunale e a un’ordinanza sindacale nel luglio del 2023.

Risultato: divieto di circolazione in città dal lunedì al venerdì (nei confini della cosiddetta area B) e dalle 7.30 alle 19.30 per i veicoli di categoria M2, M3, N2 e N3 (mezzi pesanti e pesantissimi) che non siano muniti di adesivi di segnalazione dell’angolo cieco (cioè la porzione del campo visivo nascosta al guidatore) e di sistemi avanzati capaci di rilevare la presenza di pedoni e ciclisti e di emettere un segnale sonoro di allerta.

Lo strumento giuridico utilizzato, posta l’esistenza di un Regolamento UE che ha già reso obbligatorio per un certo tipo di veicoli “pericolosi” l’equipaggiamento con sistemi avanzati di sicurezza alla guida, è stato quello del sempre verde codice della strada, in particolare l’art. 7, comma 9 di tale complesso normativo.

Secondo questa disposizione, i Comuni, con deliberazione della Giunta, provvedono a “delimitare” le aree pedonali e le zone a traffico limitato tenendo conto, tra l’altro, degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione.

E’ lo strumento giusto? Lo hanno chiesto alcune imprese di trasporti con un ricorso al TAR. Secondo i Giudici di primo grado non lo è, secondo il Giudice di appello lo è.

Resta però una considerazione amara.

Dall’istruttoria effettuata dall’amministrazione comunale meneghina l’incidenza causale dell’aumento delle morti di ciclisti sarebbe da attribuire essenzialmente a due fattori: la diffusione senza precedenti dell’uso, in ambito urbano, di mezzi di trasporto più agili e meno inquinanti, ma anche meno sicuri per il conducente, di quelli tradizionali (biciclette e monopattini), come conseguenza delle politiche per il contrasto all’inquinamento atmosferico e per favorire il distanziamento sociale da pandemia; il rilevante incremento in ambito urbano della circolazione di mezzi d’opera diretti ai diversi cantieri aperti nei condomini a seguito dell’introduzione dei bonus edilizi.

In altri termini, i mezzi di contrasto alla crisi sociale ed economica determinata da alcuni importanti mali moderni (in particolare, pandemie e inquinamento) avrebbero generato un conflitto mortale sulle sedi stradali. 

L’angolo cieco della modernità, verrebbe da dire sorridendo, se non fosse per la realtà delle singole tragedie umane.


IL TIR E L'ELEFANTE

(a cura di SIlvana Bini)


Il Comune di Milano, con la nobile finalità di prevenire incidenti spesso mortali, in cui sono coinvolti i c.d. utenti deboli della strada, ha adottato una serie di disposizioni, in base alle quali alcune categorie di veicoli (che in questa sede chiameremo, per semplificare, TIR) devono dotarsi di un sistema di rilevazione, che sia in grado di segnalare la presenza di pedoni e ciclisti in coincidenza con il cd. angolo cieco, cioè la fascia spaziale che sfugge alla visibilità da parte del guidatore.

In assenza di detti dispositivi i veicoli ingombranti di categoria M2, M3, N2 e N3 non possono circolare nelle aree B e C, istituite dal Comune ai sensi dell’art. 7, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 285 del 1992, ai fini di limitare la circolazione nel centro abitato.

Il divieto è circoscritto a determinate fasce ore dei giorni feriali e oggetto di parziali deroghe.

Quasi contemporaneamente, nella gestione concreta di una vicenda certamente più “leggera”, l’amministrazione comunale meneghina si è dovuta occupare, nell’ambito del rilascio dell’autorizzazione a detenere animali al fine di potere svolgere una manifestazione circense, della rimozione di alcune criticità connesse alla detenzione e alla custodia degli animali, e in particolare della necessità, per lo svolgimento della manifestazione circense, che non fosse detenuto “in solitaria” un singolo elefante. La vicenda giudiziaria conseguente a quest'ultima fattispecie viene approfondita in altro articolo di questo sito.

L’elemento comune dei due casi sembra essere, a una prima superficiale analisi, quello del divieto sia per l’elefante che per i Tir di entrare nel territorio comunale o in alcune parti di esso, ma in realtà, anche ad osservare le vicende giudiziarie che si sono sviluppate in seguito, il vero trait d’union è rappresentato dal fatto che in ambo i casi si pone un problema di potere normativo/regolamentare del Comune.


Quanto alla questione della circolazione dei TIR in città, Il Tar ha accolto il ricorso, riconoscendo l’incompetenza del Comune ad adottare gli atti adottati, e ritenendo al contrario che vi fosse la competenza degli organi statali, trattandosi di circolazione stradale.

Il Tribunale ha premesso che “la disciplina della circolazione stradale corrisponde ad una pluralità di competenze legislative esclusive dello Stato, tra le quali primeggia l’ordine pubblico e la sicurezza (art. 117, secondo comma, lett. h Cost.), in ragione della finalità di prevenire reati colposi afferenti all’impiego dei veicoli. In aggiunta, e a seconda degli scopi dell’intervento di volta in volta spiegato, si profilano le competenze legislative esclusive statali in tema di ordinamento civile (art. 117, secondo comma, lett. l Cost.) e di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (art. 117, secondo comma, lett. s Cost.). come da giurisprudenza costituzionale costante a partire dalla sentenza n. 428 del 2004 (in seguito, sentenze n. 223 del 2010; n. 77 del 2013; n. 129 del 2021; n. 69 del 2023).

Ne consegue che compete alla fonte primaria statale non soltanto disciplinare la materia, ma anche allocare le relative funzioni amministrative al più idoneo livello di governo, secondo i criteri di cui all’art. 118 Cost.”.

Il Tribunale ha ricordato poi che è il codice della strada che ha demandato agli organi centrali l’omologazione e l’approvazione sia dei dispositivi di controllo e regolazione del traffico (artt. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992; art. 192 del regolamento di esecuzione n. 495 del 1992), sia dei dispositivi ulteriori di marcia, che la normativa dello Stato elenca in modo non tassativo, posto che compete al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti imporne di “supplementari” (art. 72, comma 6, del d.lgs. n. 285 del 1992).

Proprio questa norma introdurrebbe una clausola generale di chiusura che non prevede alcuna competenza regolatoria in capo ai Comuni, così come non vi sarebbe alcuna previsione statale che consente ai Comuni l’esercizio di una potestà amministrativa in materia di circolazione stradale. 

Da sottolineare come nella sentenza siano ben definite le competenze di Stato, Regioni e Comune.

Lo Stato ha competenza esclusiva in materia di circolazione stradale, in cui rientra l’omologazione e l’approvazione dei dispositivi di controllo e regolazione del traffico (artt. 45 del d.lgs. n. 285 del 1992; art. 192 del regolamento di esecuzione n. 495 del 1992).

Ove anche possa profilarsi uno spazio di intervento per il legislatore regionale nell’ambito della tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.), esso non può spingersi fino all’approvazione di strumenti di regolazione e marcia che non siano stati oggetto di intesa con i competenti organi statali (Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 2023, in relazione alla legge lombarda n. 8 del 2022)”.

L’art. 7, comma 1, lett. b) del d. lgs. n. 285 del 1995, sul quale si è basata l’azione del Comune di Milano, permette invece all’ente locale di istituire aree a traffico limitato nei centri abitati (aree B e C di Milano nel caso di specie) per “esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale”.

Non può essere quindi questa norma, sulla quale secondo i Giudici di primo grado si sarebbe basata l’azione del Comune di Milano, ad abilitare un potere di intervento in materia di sicurezza pubblica e privata.

Infatti un dispositivo volto a scongiurare incidenti in danno di pedoni e ciclisti risponde ad un’esigenza di ordine pubblico e sicurezza, del tutto estranea a componenti incidenti sull’ambiente e i beni culturali.

Il TAR ha poi escluso che la competenza del Comune possa fondarsi sul regolamento n. 2019/2144/UE, il cui art. 4, paragrafo 5, prescrive che i veicoli di categoria M, N e O (art. 2) possano essere immatricolati solo se dotati, a partire dal 7 luglio 2024 (data rinvenibile nell’Allegato II), di dispositivi a tutela degli “utenti vulnerabili della strada”, tra i quali “ciclisti e pedoni” (art. 3, n. 1).

L’attuazione del diritto dell’Unione spetta, infatti, al livello di governo individuato dagli Stati membri, salvo casi peculiari estranei alla presente questione (Corte costituzionale, sentenza n. 126 del 1996). Pertanto, non potrà che essere la normativa statale a determinare gli organi deputati ad assicurare l’effettività delle prescrizioni unionali recate dal regolamento prima citato, e dal regolamento delegato della Commissione n. 2022/1398/UE.

Il Giudice d’appello non ha però condiviso la linea interpretativa del TAR; e ha riformato la sentenza di primo grado, con una decisione che ha preliminarmente individuato un'altra fonte normativa del potere esercitato dal Comune di Milano.

Non l'art. 7, comma 1, ma l’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992, espressamente richiamato nella deliberazione n. 971 del 2023.

Mentre infatti con la lett. b) del comma 1 dell’art. 7 del d. lgs. n. 285 del 1992 si permette all’ente locale di istituire aree a traffico limitato nei centri abitati per “esigenze di prevenzione degli inquinamenti e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale” (conformemente alle direttive impartite dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e sentiti il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e il Ministro per i beni culturali e ambientali), ai sensi dell’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992 "i comuni, con deliberazione della Giunta, provvedono a delimitare le aree pedonali e le zone a traffico limitato tenendo conto degli effetti del traffico sulla sicurezza della circolazione, sulla salute, sull'ordine pubblico, sul patrimonio ambientale e culturale e sul territorio”.

Secondo il Giudice d’appello il divieto imposto dal Comune con i provvedimenti gravati, riguardanti l’accesso e la circolazione in una zona della città, in determinati orari e giorni della settimana e per determinati veicoli, costituisce una modalità di istituzione di una zona a traffico limitato ai sensi dell’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992.

Esso è infatti introdotto al fine di “fare tutto il possibile per ridurre considerevolmente l’incidentalità”, atteso che si “si registrano sinistri, anche mortali, che vedono coinvolti utenti deboli della strada e mezzi ingombranti, anche articolati, riconducibili all’assenza di sistemi avanzati in grado di rilevare la presenza di pedoni e ciclisti situati in prossimità immediata del veicolo stesso”.

Il tema della sicurezza della circolazione e conseguentemente dell’incolumità personale è quindi centrale nel giustificare l’adozione dei provvedimenti gravati. Sicché il Comune ha esercitato il potere allo stesso conferito dal comma 9 dell’art. 7 del d. lgs. n. 285 del 1992 e non il potere di limitare la circolazione per motivi di inquinamento e di tutela del patrimonio artistico, ambientale e naturale conferito con il comma 1 lett. b) dell’art. 7 del d. lgs. n. 285 del 1992.

Il Giudice d’appello ha riconosciuto al Comune il potere “non solo di delimitare le zone a traffico limitato ma anche di conformare il contenuto di detta limitazione, che altrimenti dovrebbe sussistere una disciplina (uniforme) delle zone a traffico limitato, laddove invece proprio la normativa richiamata intesta agli enti di maggior prossimità al cittadino di conformarle in base alle esigenze locali, al fine di perseguire una pluralità di interessi (sicurezza della circolazione, salute, ordine pubblico, patrimonio ambientale e culturale e territorio), la cui tutela richiede di per sé una diversa modulazione della limitazione stradale", non rinvenendosi i presupposti per confinare il potere comunale "alla sola delimitazione delle zone a traffico limitato, il cui ordinamento sarebbe altrove stabilito, dovendosi invece riconoscere agli enti locali il potere di conformarle. Detto potere è un potere avente un contenuto discrezionale, potendo essere attuato attraverso plurime e diverse prescrizioni, dettate non solo da necessità tecniche o comunque dall’esercizio di una discrezionalità tecnica, ma anche da scelte amministrative: i provvedimenti limitativi della circolazione veicolare all’interno dei centri abitati sono espressione di scelte latamente discrezionali, che coprono un arco esteso di soluzioni possibili, incidenti su valori costituzionali spesso contrapposti, che vanno contemperati secondo criteri di ragionevolezza la cui scelta è rimessa all’autorità competente” (Cons. St., sez. V, 9 gennaio 2024 n. 282)”.

Pertanto è “legittima la diversità del regime circolatorio in base al tipo, alla funzione e alla provenienza dei mezzi di trasporto, sicché la tipologia dei limiti (divieti, diversità temporali o di utilizzazioni, subordinazione a certe condizioni) viene articolata dalla pubblica autorità tenendo conto di vari elementi (diversità dei mezzi impiegati, impatto ambientale, situazione topografica o dei servizi pubblici, conseguenze pregiudizievoli)”.

A sostegno di questa soluzione è stata richiamata la giurisprudenza formatasi sull’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992, che ha riconosciuto che “tale previsione attribuisce espressamente alla giunta comunale un potere generale di regolazione delle limitazioni del traffico veicolare urbano e d’individuazione di specifiche aree da pedonalizzare, in considerazione del generale impatto sul territorio, corrispondendo ad un obiettivo programmatorio generale del traffico veicolare. La giunta comunale può, dunque, imporre specifici divieti, integrali e non, di circolazione e sosta, contestualmente a una considerazione di sistema delle esigenze di regolamentazione del traffico e della distribuzione di ragione urbanistica delle funzioni (residenziale, commerciale, ecc.) e di salvaguardia dei centri storici o comunque delle zone da opportunamente pedonalizzare o semipedonalizzare” (Cons. St., sez. II, 27 ottobre 2021 n. 7185 e sez. V, 21 ottobre 2019 n. 7129).

In applicazione a questo orientamento, è stato riconosciuto legittimo il provvedimento del Comune di Milano, che “ha determinato la creazione di una zona a traffico limitato, non introducendo invece un divieto “totale” di circolazione (...), che comunque avrebbe potuto introdurre: la circostanza che il Comune di Milano abbia circoscritto l’ambito temporale di applicazione del divieto (istituto dal lunedì al venerdì, in una determinata fascia oraria) costituisce un’ulteriore declinazione del potere di limitare, e non di escludere, l’accesso alla zona di riferimento.

Pertanto, declinando in tal modo il divieto (e prevedendo delle deroghe, su cui infra) con i provvedimenti gravati è stata regolamentata la zona a traffico limitato denominata “Area B”, istituita con deliberazione n. 1366 del 2018, che già richiama l’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992, e le cui limitazioni sono fatte salve nella delibera n. 971 del 2023 (“ferme le limitazioni previste dall’Allegato n. 3 della deliberazione di Giunta Comunale n. 1366/2018”), mentre con deliberazione di giunta comunale n. 1617 del 2018 la disciplina dell’”Area C” è stata “resa coerente con la disciplina viabilistica della Zona a Traffico Limitato (ZTL) denominata “Area B”.”

D'altra parte, sempre secondo il Consiglio di Stato, l’amministrazione avrebbe così esercitato i “poteri conferiti ai comuni in quanto enti locali di maggiore prossimità al cittadino”, in applicazione all’art 118 Cost., iscrivendosi il potere intestato ai Comuni dall’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992 nell’ambito delle potestà in ordine alle prerogative di viabilità, sicurezza e incolumità pubblica di cui il Comune può fare uso in quanto si riverberino sul territorio di riferimento.

Ed è un fatto pacifico che la sicurezza urbana “può venire esercitata a livello decentrato, se tale da potere essere collegata, nel rispetto della legge dello Stato, a funzioni di interesse regionale o locale” (Corte cost. 13 aprile 2023 n. 69).

Laddove quindi emergano, nell’ambito del territorio comunale, esigenze di regolazione del traffico veicolare e di contenimento delle ricadute negative sulla sicurezza e incolumità pubblica, il Comune è dotato del potere di soddisfarle con gli strumenti allo stesso offerti dal codice della strada.

La sentenza di appello si sofferma poi ad esaminare tutti i rapporti tra la potestà comunale di regolamentare la circolazione stradale e le diverse e fondamentali libertà personali (in particolare, la libertà di circolazione e le libertà economiche, escludendo qualsiasi profilo di incostituzionalità del divieto sia con l’art. 16 Cost. che “non preclude alla legge di adottare, per ragioni di pubblico interesse, misure che influiscano sul movimento della popolazione” (Corte cost. 29 gennaio 2005 n. 66), sia con le libertà economiche, che non “soverchiano le ragioni dell’incolumità e della sicurezza e ciò non solo in ragione del principio di tutela della persona umana che connota la Costituzione italiana ma anche in una prospettiva eurounitaria”.

Assume inoltre rilievo sulla competenza legittima del Comune l’ultima parte dello stesso comma 9 dell’art. 7 del d. lgs. n. 285 del 1992, che si occupa espressamente della facoltà comunale di prevedere una specifica tipologia di deroga ai divieti nascenti dall'istituzione di zone a traffico limitato, subordinata al pagamento di una somma di denaro. In tal caso è lo stesso legislatore a stabilire che le tipologie dei comuni che possono avvalersi di tale facoltà, le modalità di riscossione del pagamento, le categorie dei veicoli esentati, nonché, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d. lgs. n. 281 del 1997, i massimali delle tariffe siano stabiliti “con decreto del Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili” (in base alla modifica apportata al comma 9 dall’art. 7 comma 1 lett. 0a) del d.l. n. 68 del 2022, modificato dalla legge n. 108 del 2022, in precedenza “con direttiva emanata dall'Ispettorato generale per la circolazione e la sicurezza stradale”, introdotto con l’art. 5 comma 1 lett. e) del d. lgs. n. 360 del 1993).

Al di fuori di questo caso, pertanto, è lo stesso Comune a definire le deroghe alle limitazioni di circolazione.

Non è quindi richiesta una specifica base normativa che consenta al Comune di prevederle, poiché, secondo i giudici d’appello, basterebbe in tal senso il riconoscimento del potere conformativo dell’Amministrazione.

I Giudici, infine, partendo dalla consapevolezza che “i provvedimenti impugnati non rappresentano un atto necessitato, né nell’an, né nel contenuto, e che la scelta discrezionale del Comune si muove in una prospettiva non diffusa sul territorio nazionale e la cui implementazione porta con sé elementi di novità, anche di natura concreta”, hanno esaminato ulteriori profili di interesse generale.

Una volta individuata la norma primaria di attribuzione della competenza, la decisione di utilizzare i poteri conformativi relativi alla configurazione delle zone a traffico limitato per il raggiungimento di obiettivi volti alla più ampia tutela della persona, nel solco del principio personalistico che informa l’ordinamento costituzionale, spetta esclusivamente al Comune.

Così come resta affidata all'amministrazione comunale il potere di gestire, anche interagendo con gli organi istituzionali coinvolti, le eventuali problematiche relative all’integrazione delle deroghe e le ricadute sulla portata del divieto posto, "così potendo valutare la compatibilità del concreto atteggiarsi di quest’ultimo con gli obiettivi perseguiti, nell’ambito dei termini (sopra indicati) di esercizio del potere conformativo di cui all’art. 7 comma 9 del d. lgs. n. 285 del 1992".

In altri termini, il Consiglio di Stato - a differenza della visione molto più ristrettiva del Giudice di primo grado - ha riconosciuto un potere fortissimo in capo ai Comuni, e ha contemporaneamente affidato loro il compito di dosare proporzionalmente tale potere, in una prospettiva che peraltro sembra prescindere da profili di automatica illegittimità ma che va semplicemente nella direzione della sussistenza di una responsabilità politica dell'ente.

Con l'ulteriore conseguenza - per la verità poco rilevante per il diritto - che le modalità individuate per rispondere alle esigenze della collettività di riferimento costituiranno mero oggetto di valutazione di opportunità da parte dei cittadini, "nell’ambito dell’ordinaria dinamica democratica tipica degli organi elettivi".



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