Blog Layout

(Anno 2020) INTERDITTIVA ANTIMAFIA E FINANZIAMENTI PUBBLICI

mar 08, 2021

LA "CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA" DI CUI AGLI ARTT. 92, COMMA 3, E 94, COMMA 2, DEL D. LGS. 159/2011 - SECONDO CUI L'INTERDITTIVA ANTIMAFIA SOPRAVVENUTA COMPORTA LA RESTITUZIONE DI QUANTO OTTENUTO DAL PRIVATO "NEI LIMITI DELLE UTILITÀ CONSEGUITE" DALL'AMMINISTRAZIONE - NON SI APPLICA ALL'IPOTESI DELLA CONCESSIONE DI FINANZIAMENTI PUBBLICI, MA SOLO AL CASO DEL RECESSO DAI CONTRATTI DI APPALTO.

SI TRATTA DI NORME ECCEZIONALI – E DUNQUE DI STRETTA INTERPRETAZIONE - CHE RAPPRESENTANO UNA PRECISA SCELTA DEL LEGISLATORE, SCELTA CHE SI GIUSTIFICA IN RAGIONE DI UN “BILANCIAMENTO” DELLE CONSEGUENZE DERIVANTI DA UNA ESECUZIONE DEL CONTRATTO DISPOSTA “IN ASSENZA” DI INFORMATIVA ANTIMAFIA.

PERALTRO, LA LOCUZIONE “FATTO SALVO IL PAGAMENTO DEL VALORE DELLE OPERE GIÀ ESEGUITE E IL RIMBORSO DELLE SPESE SOSTENUTE” NON PUÒ CHE ESSERE RIFERITA SOLTANTO AL CASO DI CONTRATTI PER I QUALI, STANTE LA SOPRAVVENIENZA DELL’INFORMAZIONE ANTIMAFIA INTERDITTIVA, SI PROCEDA AL “RECESSO”. LA DISPOSIZIONE PARLA INFATTI ESPLICITAMENTE DI “OPERE GIÀ ESEGUITE”, OVVERO DI “SPESE SOSTENUTE PER L’ESECUZIONE DEL RIMANENTE”, CON CIÒ FACENDO EVIDENTE RIFERIMENTO, PER IL TRAMITE DEI LEMMI “OPERE” ED “ESECUZIONE”, AI CONTRATTI DI APPALTI DI LAVORI, AI QUALI IL COMMA 3 DELL’ART. 94 ASSIMILA POI I CONTRATTI DI APPALTI DI SERVIZI E FORNITURE.

UNA DIVERSA INTERPRETAZIONE, SECONDO CUI DOVREBBE CONSIDERARSI “SALVO” ANCHE IL PAGAMENTO DI QUANTO REALIZZATO SULLA BASE DI FINANZIAMENTI, COMPORTEREBBE UN DUPLICE PASSAGGIO ESTENSIVO DELL’INTERPRETAZIONE, COME TALE MOLTO LONTANO DAI LIMITI PROPRI DELLA INTERPRETAZIONE DELLE NORME ECCEZIONALI E, DUNQUE, NON CONSENTITO (Adunanza Plenaria n. 23/2020)



I tratti distintivi del caso oggetto di indagine da parte dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato sono due: il programma finanziato è stato interamente eseguito senza che sia stato mosso alcun rilievo alla sua corretta realizzazione, e l'informativa interdittiva è intervenuta soltanto dopo il completamento dell'opera finanziata (si tratta dell'ipotesi di c.d. 'informativa sopravvenuta').

A tali fini, l’art. 92, co. 4 del d.lgs. n.159/2011 sembrerebbe giustificare sempre e comunque l'adozione del provvedimento di revoca in ragione della sola adozione dell'interdittiva, e indipendentemente dai profili temporali della vicenda; il comma 3, a parziale correzione del comma 4, parrebbe connotare in termini di sostanziale “corrispettività” le poste reciproche tra privato e amministrazione, legittimando l'operatore economico attinto da informativa interdittiva ad invocare il pagamento degli importi corrispondenti alla parte del programma che sia stata concretamente realizzata, entro il limite, tuttavia, delle 'utilità conseguite'.

L’Adunanza Plenaria dà atto dell’esistenza di due opposti orientamenti giurisprudenziali al riguardo. Un primo orientamento (c.d. estensivo), secondo cui la norma innanzi richiamata dovrebbe essere intesa nel senso di consentire lo ius ritentionis da parte dell'operatore colpito da informativa interdittiva in tutti i casi in cui il programma beneficiato da finanziamento pubblico sia stato correttamente realizzato e quindi risulti soddisfatto, anche in via indiretta, l'interesse generale sotteso all'erogazione.

Tale orientamento propone, quindi, una nozione ampia e onnicomprensiva del concetto di 'utilità conseguite', svincolandone il riferimento dalle utilità economiche direttamente ritraibili dall'amministrazione concedente - come nel caso dei contratti di appalto, in cui è più evidente il nesso di corrispettività fra l'erogazione di risorse pubbliche e l'acquisizione di utilità sotto forma di beni e servizi - ed estendendolo anche a quei vantaggi di ordine generale che sono sottesi a qualunque iniziativa privata finanziata dall'amministrazione e che, per ciò stesso, non possono che mirare al conseguimento di scopi di interesse pubblico.

Secondo un secondo orientamento, più restrittivo, la nozione di 'utilità conseguite' non sarebbe dilatabile sino al punto da ricomprendervi anche l'ipotesi del finanziamento andato a buon fine mercé l'integrale realizzazione del programma finanziato, e ciò in quanto in tale evenienza l'interesse pubblico risulterebbe essere soltanto “indiretto”.

In tal senso, viene sottolineata la differenza che sussiste tra i rapporti contrattuali, come quelli derivanti dalla stipula di contratti di appalto - in cui è più evidente il nesso di corrispettività sussistente fra le reciproche prestazioni -, e le erogazioni di benefìci pubblici derivanti da atti unilaterali, in cui la reciprocità degli impegni e la corrispettività delle prestazioni offerte risulta certamente più attenuata.

E anche il termine “utilità” dovrebbe essere, quindi, colto in un senso più limitato e strettamente patrimoniale, tale, dunque, da applicarsi alle sole opere o ai soli servizi che accrescono il patrimonio dell’amministrazione e che per quest’ultima rappresentano un valore economicamente valutabile: dal che discende l’applicabilità della disciplina di salvezza di cui all’art. 92 comma 3 ai soli contratti di appalto nei quali la pubblica amministrazione è parte committente.

L’Adunanza Plenaria ritiene che la salvezza del “pagamento delle opere già eseguite e il rimborso del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite”, di cui agli articoli 92, co. 3, e 94, co. 2, del d.lgs. n.159/2011 vada riferita solo al recesso dai contratti di appalto di lavori, servizi e forniture, con esclusione, dunque, delle ipotesi riconnesse alla concessione di finanziamenti pubblici o simili, aderendo all’orientamento restrittivo sopra prospettato, e ciò sia per argomenti di carattere semantico-testuale, sia per argomenti di tipo logico–sistematico.

Già nel 2018 l’Adunanza Plenaria aveva avuto modo di affermare che il provvedimento di c.d. “interdittiva antimafia” determina una particolare forma di incapacità giuridica in ambito pubblico, e dunque l’impossibilità per il soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario di essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive che si sostanzino in rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione.

Il legislatore ha adottato un sistema di estremo rigore, onde evitare che i soggetti indicati all’art. 83, co. 1 e 2 del d. lgs. n. 159/2011 possano entrare in contatto con soggetti colpiti da cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all’art. 67, ovvero che siano destinatari di un tentativo di infiltrazione mafiosa, e ciò al fine di evitare che tali soggetti possano condizionare le scelte e gli indirizzi delle amministrazioni pubbliche, ledendo i principi di legalità, imparzialità e buon andamento riconosciuti dall’art. 97 Cost., ovvero possano incidere sul leale e corretto svolgimento della concorrenza tra imprese ovvero ancora possano appropriarsi a qualunque titolo di risorse pubbliche (beni, danaro o altre utilità).

L’Adunanza Plenaria rileva che, a fronte di un tale rigore risultante dal complessivo sistema normativo disciplinante l’informazione antimafia e le sue conseguenze, costituiscono norme di eccezione, e come tali di stretta interpretazione ex art. 14 disp. prel. cod. civ., quelle che, pur in presenza di una riconosciuta situazione di incapacità, consentono la conservazione da parte di un soggetto destinatario di informazione interdittiva di attribuzioni patrimoniali medio tempore eventualmente acquisite, ovvero la possibilità di procedere alla loro dazione da parte delle pubbliche amministrazioni.

Pertanto, l’esame ermeneutico degli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d.lgs. n. 159/2011, nella parte in cui questi consentono la salvezza del “pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite” – da accertare se con riferimento ai contratti da cui si recede ovvero anche ai finanziamenti o simili medio tempore erogati –, deve rispondere alla regola di stretta interpretazione propria delle norme di eccezione.

Le norme esaminate, peraltro, disciplinano non già la situazione “ordinaria” di particolari rapporti giuridici con le pubbliche amministrazioni, bensì una situazione che costituisce già essa stessa “deroga” all’ordinario procedimento volto alla adozione di atti ovvero alla costituzione di rapporti contrattuali.

La disciplina ordinaria, infatti, prevede che il rilascio di autorizzazioni, concessioni, ovvero la stipula di contratti o subcontratti da parte dei soggetti pubblici di cui all’art. 83, deve essere preceduta necessariamente dalla acquisizione dell’informazione antimafia, e ciò proprio al fine di realizzare quelle finalità di tutela di valori costituzionalmente previsti, innanzi ricordate.

A fronte di ciò, tuttavia, si è prevista una disciplina (che si è definita “derogatoria”), che consente - nel caso in cui il Prefetto non abbia provveduto a comunicare l’informazione antimafia entro i termini previsti dall’art. 92, co. 2, ovvero nei casi di urgenza (“lavori o forniture di somma urgenza”, come si esprime l’art. 94, co. 2) - ai soggetti pubblici di procedere anche in assenza dell’informazione.

A ciò consegue, quanto ai provvedimenti di concessione di benefici economici, comunque denominati, che l’intervenuto accertamento dell’incapacità del soggetto, cui si riconnette la “precarietà” degli effetti dei medesimi, espressamente enunciata dalle norme, esclude che possa esservi legittima ritenzione delle somme da parte del soggetto beneficiario, ma giuridicamente incapace.

Né è possibile ipotizzare, in presenza di un chiaro riferimento normativo alla “precarietà” dei provvedimenti adottati o del provvedimento stipulato, l’insorgere di un “affidamento” in capo al soggetto privato.

Le eccezioni di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 rappresentano una precisa scelta del legislatore, che si giustifica in ragione di un “bilanciamento” delle conseguenze derivanti da una esecuzione del contratto disposta in assenza di informativa antimafia.

Se è pur vero che la stipula del contratto e la sua esecuzione sono avvenute sub condicione, è altrettanto vero che appare confliggente con evidenti ragioni di equità, oltre che con i princìpi dell’attribuzione causale, addossare tutto il peso delle conseguenze di ciò in capo al privato contraente, consentendo all’Amministrazione, che pure ha tenuto un comportamento non coerente con le disposizioni normative (il ritardo nell’informativa antimafia), di conseguire un indebito arricchimento.

Allo stesso modo, sono ragioni evidenti di opportuno perseguimento dell’interesse pubblico - inerente all’acquisizione di un’opera ormai terminata, ovvero inerente alla prosecuzione di una fornitura o di un servizio per i quali la sostituzione del soggetto prestatore non potrebbe intervenire in tempi rapidi – quelle che sorreggono l’art. 94, co. 3, evitando in via eccezionale “revoche” e “recessi”. Ed in quest’ultimo caso, le ragioni che sorreggono la prosecuzione del contratto, proprio perché questa costituisce una forte eccezione alle normali conseguenze dell’interdittiva antimafia, devono essere rappresentate dall’amministrazione con atto congruamente motivato in ordine alla sussistenza dei presupposti previsti dal legislatore.

Nel più specifico caso di cui agli articoli 92, co. 3 e 94, co. 2 del d. lgs. 159/2011, la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e del rimborso delle spese già sostenute per l’esecuzione del rimanente, deve essere commisurata “all’utilità conseguita”, intendendosi per tale l’arricchimento derivante al patrimonio dell’amministrazione.

L’Adunanza Plenaria conclude, quindi, affermando che la salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, comma 3, e 94, comma 2, del d. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture.



Share by: