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Esempio III - Controversia in materia di commercio

apr 23, 2021

* SI CONSIGLIA DI PROVARE A SVOLGERE LA MOTIVAZIONE E IL DISPOSITIVO IN AUTONOMIA PRIMA DI ESAMINARE LA SOLUZIONE OFFERTA


TRACCIA

La società in accomandita semplice Sempronio&Soci gestisce da anni un chiosco autorizzato per la vendita di generi alimentari nel Comune di Zeta, in via Cinque, con licenza soggetta a rinnovo annuale tacito. 

Nel gennaio del 2016, il Comune di Zeta decide con regolamento di non procedere più al rinnovo automatico di tale tipo di autorizzazioni commerciali e rilascia alla società Sempronio&Soci una licenza provvisoria che sarebbe scaduta nel gennaio 2017, precisando nel contesto di tale atto che il successivo rinnovo delle autorizzazioni in questione avrebbe dovuto essere oggetto di espressa richiesta.

Dopo un periodo di occupazione di fatto del suolo pubblico, la società Sempronio&Soci ha chiesto una nuova autorizzazione formale per riprendere la propria attività in via Cinque, che le è stata però negata dal Comune di Zeta, in relazione alla necessità di rispettare la delibera del Consiglio comunale che aveva deciso di liberare, per fini di rilevante interesse pubblico, alcuni snodi centrali di viabilità, tra cui la stessa via Cinque, dalla presenza di chioschi deputati alla vendita di generi alimentari.

A seguito di trattative intercorse tra le parti, peraltro, il Comune di Zeta e la società Sempronio&Soci trovavano un accordo informale – accompagnato da un ordine di trasferimento nel maggio 2017 a firma del competente dirigente comunale – per spostare il chiosco in questione in Piazza Otto.

L’amministrazione comunale rilasciava così una nuova autorizzazione, introducendo, però, in virtù del diverso posizionamento – posto in una zona a forte vocazione residenziale -, un limite di orario all’esercizio dell’attività commerciale, limite che peraltro era stato espressamente accettato dal privato interessato in sede di trattative.

Gli atti posti alla base di tale nuovo intendimento del Comune venivano impugnati - per violazione del principio di affidamento - dalla società Sempronio&Soci, e, subito dopo il deposito del ricorso introduttivo, revocati in autotutela dall’amministrazione, in quanto la nuova ubicazione del chiosco era stata oggetto di forti contestazioni da parte della popolazione residente; contestualmente, il Comune di Zeta indicava tre siti alternativi, tra i quali l’interessata avrebbe potuto scegliere ai fini di prosecuzione della propria attività commerciale, e concedeva tempo fino al 31 dicembre 2017 per il nuovo spostamento del chiosco, autorizzando, nelle more, seppure con le limitazioni orarie già stabilite, l’esercizio dell'attività commerciale in Piazza Otto.

La società ricorrente, che dal gennaio del 2017 non aveva più svolto attività commerciale e che nel frattempo aveva materialmente spostato il chiosco in Piazza Otto senza però mai aprirlo al pubblico, deduceva, con motivi aggiunti e contestuale proposta di domanda cautelare, l’illegittimità anche del nuovo provvedimento di revoca, allegando e provando documentalmente che i siti alternativi proposti dal Comune di Zeta sarebbero stati da considerare inidonei per l’inconsistente – e dunque senz’altro peggiorativo - contesto commerciale di riferimento, rispetto al precedente sito di Piazza Otto, in conseguenza, in particolare, dell’assenza di significativi flussi pedonali rilevati.

Proponeva altresì richiesta di risarcimento del danno per tutto il periodo di inattività dell’attività commerciale, ovvero a decorrere dal gennaio 2017, facendo riferimento, per il lucro cessante, ad una liquidazione degli introiti mancati in via equitativa, sulla base degli studi di settore dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui il valore minimo di utile annuo di imprese dello stesso settore sarebbe stato pari ad € 30.000,00, e, per il danno emergente, ai costi, ammontanti ad € 5.000,00, collegati al trasferimento materiale del chiosco da Via Cinque a Piazza Otto.

Si costituiva in resistenza il Comune di Zeta, chiedendo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso introduttivo e il rigetto nel merito dei motivi aggiunti, e il Tribunale amministrativo regionale concedeva a gennaio 2018 la sospensiva richiesta, in forma di remand; il Comune di Zeta, in sede di riesame, e nelle more della decisione di merito, dopo ulteriori trattative non andate a buon fine, nel gennaio del 2019, su specifica istanza della ricorrente, rilasciava l'autorizzazione al trasferimento del chiosco in Corso Dieci, dove la società ricorrente finalmente riprendeva la propria attività.

Nella memoria ex art. 73 c.p.a., il Comune di Zeta chiede dunque che sia dichiarata la cessata materia del contendere, in virtù dell’asserita soddisfazione dell’interesse dedotto in giudizio da parte ricorrente, e conclude in ogni caso per il rigetto della domanda di risarcimento del danno proposta, in quanto non sussisterebbe l’illiceità della condotta tenuta dall’amministrazione né sotto il profilo oggettivo – stante l’amplissima discrezionalità del potere esercitato -, né sotto il profilo soggettivo, in relazione all’assenza di colpa riscontrabile in capo all’ente comunale nella vicenda de qua.

La società ricorrente non ha ulteriormente replicato, limitandosi ad insistere per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno introdotta con i motivi aggiunti.


**********


Il candidato/la candidata rediga la sentenza nella parte in diritto e nel dispositivo. Il ricorso va risolto seguendo l’ordine logico di trattazione in tutti i profili di rito, anche sollevabili d’ufficio dal giudice adito, e nel merito, pure se uno dei profili in rito fosse assorbente.


MOTIVAZIONE E DISPOSITIVO


DIRITTO


1.Preliminarmente, il Collegio rileva che risulta dagli atti, oltre che dal comportamento processuale della ricorrente, che non sussiste più interesse, da parte della ricorrente stessa, ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti impugnati.

1.1.In effetti, il Comune di Zeta ha rilasciato, su apposita richiesta del privato, l'autorizzazione al trasferimento del chiosco in Corso Dieci. Un eventuale annullamento degli atti impugnati, dunque, essendo sopravvenuta una nuova e definitiva assegnazione dello spazio pubblico riservato alla società ricorrente per il suo esercizio commerciale, non produrrebbe oggi alcun effetto utile.

In particolare, il primo atto comunale impugnato (ordine di trasferimento del chiosco da via Cinque a piazza Otto) è stato revocato dalla stessa amministrazione.

Gli effetti del secondo atto impugnato (revoca della precedente autorizzazione) sono invece stati incisi dalla nuova ubicazione del chiosco, richiesta, disposta e accettata.

Tale nuova ubicazione – dove è finalmente ripresa l’attività commerciale della ricorrente - ha determinato nella ricorrente stessa una sopravvenuta carenza di interesse a vedere eliminato dal mondo giuridico un atto che ha ormai esaurito i suoi effetti, per via della modificazione della situazione di fatto e di diritto nel frattempo intervenuta.

1.2. Pur non potendosi dichiarare la cessazione della materia del contendere – che presuppone che la pretesa del ricorrente risulti pienamente soddisfatta, circostanza non risultante dagli atti -, vi sono dunque gli estremi per dichiarare l’improcedibilità delle domande di annullamento svolte con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti.

2. Persiste invece un interesse all’accertamento della legittimità dei provvedimenti oggetto di contestazione, e della liceità del complessivo comportamento tenuto nel caso di specie dal Comune convenuto, a fini risarcitori, secondo il disposto di cui all’art. 34, comma 3 c.p.a..

2.1. Al riguardo, è opportuno preliminarmente riepilogare le seguenti circostanze di fatto e/o allegazioni di parte essenziali ai fini della valutazione complessiva della domanda risarcitoria:

- l’attività imprenditoriale della società ricorrente è cessata a decorrere dal mese di gennaio del 2017, ovvero in coincidenza con la scadenza della licenza provvisoria non rinnovata;

- l’ordinanza cautelare che ha stabilito l’obbligo di riesame a carico del Comune resistente è del gennaio 2018;

- la domanda di trasferimento del chiosco dalle precedenti destinazioni autorizzate (Via Cinque e piazza Otto) alla nuova ubicazione indicata dal Comune (corso Dieci) è stata infine accolta nel gennaio 2019, data dalla quale è ripresa l’attività commerciale della ricorrente.

La società Sempronio&Soci è dunque rimasta inattiva da gennaio 2017 a gennaio 2019; occorre adesso accertare se tale inattività – e i costi collegati all’inutile trasferimento del chiosco in piazza Otto – siano riconducibili causalmente ad una condotta illecita della pubblica amministrazione.

2.2. Il Collegio ritiene necessario distinguere tra il periodo che va da gennaio 2017 a gennaio 2018 e il periodo successivo.

3. Fino al 31 dicembre del 2017 non sussiste il nesso di causalità tra inattività della società ricorrente e condotta dell’amministrazione comunale, né l’elemento soggettivo della colpa – necessario per un’attribuzione di responsabilità – in capo a quest’ultima.

Con provvedimento adottato nel gennaio 2016 – che non risulta né impugnato né tanto meno annullato -, il Comune di Zeta, preso atto delle nuove disposizioni regolamentari, che inibivano il rinnovo automatico della licenza detenuta dalla ricorrente, le ha rilasciato un’autorizzazione provvisoria fino al gennaio dell’anno successivo.

Nel contenuto di tale provvedimento, l’amministrazione aveva precisato che il rinnovo delle autorizzazioni in questione non sarebbe più stato automatico.

Successivamente, dunque, dal gennaio 2017 (data di scadenza dell’autorizzazione provvisoria), la società ricorrente era rimasta priva, in modo del tutto legittimo – stante la mancata impugnazione degli atti che avevano inciso sulla pregressa autorizzazione e il diniego di rinnovo nel frattempo intervenuto –, di un titolo valido per esercitare attività commerciale tramite il chiosco in via Cinque. 

3.1. Si può dunque tranquillamente sostenere che alla data del primo provvedimento impugnato con l’atto introduttivo del presente giudizio la ricorrente, non avendo impugnato nessuno degli atti pregressi, era in una situazione di mera aspettativa di fatto, connessa alle trattative nel frattempo avviate con il Comune resistente per una nuova ubicazione del chiosco, ma non sostenuta più da alcun titolo legale.

In tal senso, pertanto, l’amministrazione conservava amplissima discrezionalità nella scelta del luogo e delle modalità cui asservire la eventuale nuova autorizzazione.

3.2. Tanto premesso, il provvedimento impugnato (ordine di trasferimento) con il ricorso introduttivo è da considerarsi legittimo o comunque non causalmente rilevante sul mancato esercizio dell’attività commerciale da parte della società ricorrente. 

Invero, da un lato, la discrezionalità esercitata non è stata oggetto di alcuno sviamento di potere o di travisamento dei presupposti di fatto, in relazione alla necessità di rispettare la delibera del Consiglio comunale che aveva deciso di liberare, per fini di rilevante interesse pubblico, alcuni snodi centrali di viabilità dalla presenza di chioschi come quello gestito dalla ricorrente; d’altro canto, gli eventuali effetti lesivi della decisione di non rinnovare automaticamente le pregresse autorizzazioni si erano consolidati in virtù della mancata impugnazione del provvedimento del gennaio 2016 (e del regolamento di cui tale provvedimento costituiva applicazione), e, dunque, una eventuale illegittimità di tale scelta non avrebbe potuto comportare, per fatto colposo “assorbente” del danneggiato, un ristoro dei danni subiti.

In tal senso, dunque, a fronte di una concessione di cui era stato legittimamente negato il rinnovo, la scelta dell’amministrazione di indicare all’interessato un sito alternativo – per quanto non ritenuto idoneo dal privato, per le limitazioni di orario connesse, che pure risultano, dagli atti versati nel fascicolo di causa, accettate in sede di trattative - non poteva integrare, in relazione all’interesse di fatto contrapposto (volontà di esercitare l’attività commerciale in un luogo piuttosto che in un altro in assenza di titolo presupposto a ciò legittimante) un danno ingiusto.

Mancava, infatti, in quel frangente, in contrapposizione al potere amministrativo esercitato dal Comune di Zeta, una posizione soggettiva avente la consistenza di diritto soggettivo o interesse legittimo tutelabile, in ragione dell’intervenuto diniego al rinnovo della concessione in via Cinque e della mancata impugnazione di tale diniego.

L’ordine di trasferimento del chiosco andava dunque ad innestarsi in una situazione fattuale rimasta priva del necessario riconoscimento giuridico, e la limitazione oraria dell’attività – imposta per ragioni di ordine pubblico connesse alla vocazione residenziale della nuova zona di ubicazione del chiosco – costituiva condizione per il trasferimento dell’attività nel sito di piazza Otto piuttosto che in un altro sito.

A fronte dunque di un’autorizzazione ormai definitivamente negata, il privato non poteva opporre legittimamente alcuna pretesa rispetto alle condizioni imposte dal Comune di Zeta per la prosecuzione dell’attività commerciale, in assenza di un titolo formale, tanto è vero che la stessa ricorrente aveva acconsentito ad accettare la limitazione oraria pur di vedere ricollocato il proprio chiosco in piazza Otto, salvo poi insorgere in giudizio contro la limitazione imposta.

3.3. Sotto altro, concorrente profilo, sono state le scelte dell’interessata (mancata impugnazione degli atti lesivi e mancato riavvio dell’attività anche quando ciò sarebbe stato possibile, in virtù dell’autorizzazione temporanea per continuare l’attività in piazza Otto fino al 31 dicembre del 2017) a determinare in modo esclusivo il danno economico subito.

3.4. Per quanto infine concerne i costi sostenuti per l’inutile trasferimento materiale del chiosco da via Cinque (costi di competenza del periodo 1 gennaio 2017 – 31 dicembre 2017), gli stessi sono diretta conseguenza del primo ordine (legittimo) di trasferimento e dunque sono anch'essi non risarcibili.

4. Discorso diverso occorre invece fare per il periodo che va dal gennaio del 2018 al gennaio del 2019.

Infatti, a decorrere dal 31 dicembre 2017 (termine finale dell’autorizzazione provvisoria rilasciata con riferimento all’esercizio dell’attività in piazza Otto), la società ricorrente non ha potuto riprendere la propria attività economica a causa di una condotta illegittima dell’amministrazione comunale.

4.1. Risulta dagli atti versati nel fascicolo di causa, così come confermato seppure interinalmente e ai fini di un remand dalla stessa pronuncia di accoglimento della domanda cautelare emessa dal TAR, che la revoca dell’autorizzazione ad esercitare in piazza Otto sia stata illegittima, nella parte in cui non ha previsto idonea ed equivalente alternativa, in termini di flussi pedonali, così ledendo la legittima aspettativa del privato.

Invero, in tale segmento temporale la posizione soggettiva della ricorrente era da qualificarsi, a seguito dell’accettazione dell’ordine di trasferimento in piazza Otto, come di aspettativa legittima, poiché il Comune di Zeta, con tale ordine di trasferimento, nonostante avesse formalmente negato il rinnovo della concessione originaria, aveva dato atto di riconoscere nuova tutela giuridica alla iniziativa commerciale della ricorrente.

Non vi è dubbio, infatti, che imporre il trasferimento in altro sito implicava anche un’autorizzazione ad esercitarvi l’attività commerciale di interesse.

Ne consegue che la successiva revoca di tale nuova autorizzazione avrebbe dovuto accompagnarsi, in relazione alla posizione di aspettativa legittima creata nel privato, oltre che ad una adeguata istruttoria, alla individuazione di siti alternativi idonei, secondo il cosiddetto criterio dell’ “equivalenza”, diretta espressione, nel caso di specie, del principio di proporzionalità.

In questo caso, però, i tre siti individuati dall’amministrazione nel provvedimento di revoca erano da considerarsi inidonei – nel senso anzidetto specificato – in relazione all’allegata, e dalla difesa del Comune non contestata, inconsistenza dei flussi pedonali ivi rilevati.

4.2. La condotta tenuta in tale frangente dall’amministrazione deve dunque considerarsi illecita, in quanto illegittima e colposa; non sussiste infatti alcun elemento di scusabilità, in relazione alla evidente superficialità e carenza di istruttoria che ha caratterizzato, a seguito dell’individuazione di un sito poi rivelatosi strutturalmente non idoneo (piazza Otto), la nuova individuazione di tre siti alternativi che non erano pacificamente equiparabili nemmeno al flusso pedonale che avrebbe garantito il primo, seppure con le limitazioni orarie contestate.

4.3. A fronte di tale condotta, il danno subito dalla ricorrente a seguito dell’inattività protrattasi da gennaio a dicembre deve considerarsi “ingiusto”, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza seguita alla storica sentenza n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, per lesione dell’aspettativa legittima che si era creata nel privato a seguito del primo ordine di trasferimento.

La ricorrente era infatti titolare “di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva", e in questo caso il giudizio prognostico di cui parlano le Sezioni unite del 1999 sulla fondatezza della aspettativa coltivata dal privato, ovvero sulla spettanza del bene della vita, è stato “certificato” in senso favorevole all’istante dalla stessa amministrazione, che ha infine rilasciato, nel gennaio del 2019, l'autorizzazione (su indicazione del privato stesso) al trasferimento del chiosco in corso Dieci.

Il danno subito – consistente nella privazione degli introiti economici che sarebbero senz’altro derivati dallo svolgimento dell’attività commerciale - deve dunque qualificarsi come ingiusto, ai fini di cui all'art. 2043 c.c., ed è da porsi in termini di causalità oggettiva, come prima evidenziato, con la condotta tenuta dall’amministrazione a decorrere dal gennaio 2018 (produzione integrale degli effetti dell’atto di revoca illegittimo, con il cessare dell’autorizzazione provvisoria a svolgere attività in piazza Otto) e fino al gennaio 2019 (ripresa senza ulteriori contestazioni dell’attività del privato).

4.4. Con riferimento al quantum di tale danno, da valutare ex art. 1226 c.c. - dal momento che non può essere provato nel suo preciso ammontare -, occorre fare riferimento al lucro cessante allegato dalla difesa della ricorrente, commisurandolo alla frazione temporale in cui sussiste il nesso di causalità con la condotta illecita dell’amministrazione, e decurtandolo sia in ragione della mancata dimostrazione dell’assenza di aliunde perceptum, nel periodo di inattività, sia in ragione del concorso del fatto colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c., il quale avrebbe comunque potuto accettare con riserva uno dei tre siti alternativi proposti, al momento della revoca, dall’amministrazione comunale, seppure “non equivalenti”.

In particolare, il mancato esercizio dell’attività di impresa può essere adeguatamente commisurato, secondo una valutazione equitativa che faccia riferimento agli studi di settore dell’Agenzia delle Entrate prodotti in giudizio dalla ricorrente, ad un valore minimo di utile annuo già rivalutato, pari ad € 30.000,00.

La somma in tal modo ricavata, trattandosi di un anno esatto di mancati utili (€ 30.000,00), deve poi essere così ulteriormente decurtata:

- 50% dell’importo, in ragione della mancata prova fornita dalla ricorrente, anche tramite semplici allegazioni o l’indicazione di elementi presuntivi, di non avere svolto alcuna ulteriore attività lavorativa, nel periodo temporale afferente alla condotta illecita del Comune;

- ulteriore 20% dell’importo finale di € 15.000,00, in ragione del volontario rifiuto opposto dalla società ricorrente all’amministrazione rispetto a tutti i tre siti alternativi individuati all’atto della revoca, malgrado l’accettazione di uno di questi siti le avrebbe comunque consentito il conseguimento di un utile, seppure presumibilmente modesto.

4.5. L’importo finale del danno subito dalla società ricorrente a causa della condotta illecita del Comune di Zeta deve dunque quantificarsi nella somma già rivalutata di € 12.000,00 (€ 15.000 - 3.000), oltre interessi fino al soddisfo.

5. In definitiva, ferma l’improcedibilità delle domande di annullamento proposte con il ricorso introduttivo e i motivi aggiunti, il Comune di Zeta deve essere condannato al risarcimento dei danni subiti dalla ricorrente, nei limiti e per la somma sopra evindenziati.

5.1. Le spese di lite possono peraltro essere compensate tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza, oltre che della peculiarità, complessità e parziale novità della questione esaminata.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per ____ (Sezione _____), definitivamente pronunciando sul ricorso e sui motivi aggiunti, come in epigrafe proposti:

- dichiara l’improcedibilità delle domande di annullamento;

- accoglie la domanda di risarcimento del danno, nei limiti di cui in motivazione, e, per l’effetto, condanna il Comune di Zeta a corrispondere alla società ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, la somma già rivalutata di € 12.000,00, oltre interessi fino al soddisfo.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in _____ nella camera di consiglio del giorno _______ con l'intervento dei magistrati:



SPIEGAZIONE

Il rilascio dell'autorizzazione commerciale per la gestione di un chiosco finalizzato alla vendita di generi alimentari (o altro) sulla via pubblica, è di competenza del Comune dove deve essere svolta l'attività. Può trattarsi di una semplice licenza per venditori ambulanti o di un'autorizzazione accompagnata dalla concessione di occupazione del suolo pubblico, in caso di struttura fissa.

In quest'ultima ipotesi, la scelta del luogo su cui "installare" il chiosco non è ovviamente libera, ma subordinata ad una serie di valutazioni urbanistiche e di "contesto" dell'amministrazione locale. Non vi devono essere inoltre ostacoli regolamentari pregressi o sopravvenuti, come accaduto nella vicenda posta alla base della traccia assegnata.

Il punto di partenza dal quale partire per "costruire" un corretto svolgimento della motivazione in oggetto sta dunque nel riconoscimento di un ampio potere discrezionale in capo al Comune nell'attribuzione dello spazio pubblico di assegnazione, i cui limiti si restringono, in virtù del principio dell'affidamento del privato e della razionalità della decisione, nel caso in cui vi sia stato il rilascio pregresso della licenza (magari reiterato per svariati anni) e sopravvenga la necessità, per l'amministrazione, di non consentire più l'occupazione pubblica in determinati contesti abitativi.

L'insidia della traccia assegnata, una volta capito il ragionamento da portare avanti per valutare la fondatezza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio dalla ricorrente, sta allora nel verificare innanzitutto, sotto un profilo processuale, se la domanda di annullamento degli atti impugnati sia ancora fonte di interesse per la parte che ne ha contestato la legittimità.

In particolare, occorre chiedersi se residui, al momento della decisione, una sia pur minima utilità pratica per il ricorrente ad ottenere la caducazione degli atti considerati lesivi.

Nel caso di specie, l'annullamento richiesto non produrrebbe più alcun beneficio, perché il gestore del chiosco ha ormai trasferito, di comune accordo con l'amministrazione, la sua attività in luogo ritenuto idoneo e ne sta traendo profitto.

Tale luogo non è tuttavia né quello di origine né quello inizialmente valutato dal privato come "equivalente", e dunque non vi sono i presupposti per dichiarare la cessata materia del contendere (che è una pronuncia di merito e non di rito), implicando la suddetta dichiarazione una totale soddisfazione della pretesa dedotta in giudizio.

La motivazione si deve a questo punto spostare sull'esame della domanda di risarcimento del danno - connessa al previo accertamento della legittimità/illegittimità degli atti impugnati -, partendo dal dato di fatto del tempo trascorso tra la prima interruzione dell'attività e la successiva definitiva ripresa.

Non tutto il tempo e le occasioni perduti sono peraltro risarcibili, ma soltanto gli elementi di danno che siano in un nesso di causalità giuridica rispetto all'eventuale attività illecita tenuta dall'amministrazione.

Occorre inoltre verificare, trattandosi di interesse legittimo pretensivo al rilascio di una nuova autorizzazione (essendo ormai la vecchia formalmente scaduta), se il bene della vita rispetto al quale viene denunciata la lesione spettava o meno alla parte ricorrente.

E' una valutazione che nel caso di specie non comporta particolari problemi, perché è stato infine lo stesso Comune  ad attestare tale spettanza del bene della vita, tramite il rilascio di una nuova autorizzazione associata ad un luogo da considerarsi astrattamente remunerativo per l'attività dell'interessato.

Con riferimento infine alla quantificazione del danno, una volta riconosciuta una frazione di condotta illecita (costituita da un provvedimento illegittimo non accompagnato da un errore scusabile) da addebitare al Comune, occorre valorizzare, assieme alle allegazioni fornite dal ricorrente anche l'eventuale concorso colposo e il cosiddetto aliunde perceptum vel percipiendum, per ottenere un valore congruo e attendibile del danno effettivamente subito (che nel caso di specie è costituito da un lucro cessante non esattamente quantificabile a priori, dato il tipo di attività normalmente svvolta).

Mentre il concorso di colpa è direttamente ricavabile dalle concrete azioni poste in essere dal danneggiato nell'ambito della complessiva vicenda, qualora convergano, seppure in modo minimo, a causare anch'esse il danno subito, o comunque non abbiano evitato il suo aggravamento, pur in presenza di un contegno esigibile, per l'aliunde perceptum si pone un problema di prova. Normalmente, nelle cause per licenziamento ingiusto, è il datore di lavoro a dovere provare che il lavoratore dipendente ha tratto dall'inattività "forzata" l'occasione per trarre altri guadagni, ma è anche possibile sostenere che, nel caso di soggetti che svolgono invece attività imprenditoriale, e che subiscono un'interruzione del guadagno a causa di un provvedimento illegittimo dell'amministrazione, l'onere di questa prova ricada sul danneggiato, seppure in forma attenuata.

E' infatti presumibile, secondo quanto ordinariamente accade, che l'inattività connessa alla perdita di una fonte "certa" di guadagno abbia comportato la ricerca e il conseguimento di altre occasioni di lucro altrove, tramite l'utilizzo delle intatte risorse imprenditoriali, con necessità dunque che sia il creditore ad allegare circostanze utili a deporre per una totale (incolpevole) assenza di guadagno nelle more della vicenda giudiziaria.


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