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Iscrizione anagrafica dello straniero privo di permesso di soggiorno ma convivente con il cittadino italiano

feb 11, 2024

Tribunale ordinario di Milano, I Sez. civile, ordinanza del 30 giugno 2023, nel procedimento cautelare iscritto al n. r.g. 17000/2023


IL CASO E LA SOLUZIONE

Il Tribunale di Milano si è dovuto pronunciare sulla richiesta di emissione di un provvedimento di urgenza finalizzato a ordinare al Sindaco del capoluogo lombardo, in qualità di Ufficiale di governo, l'iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente di una cittadina straniera.

La premessa in fatto era costituita dalla stipulazione tra l'interessata all'iscrizione anagrafica e il suo convivente di fatto italiano di un patto di convivenza con cui era stata fissata la propria dimora comune in un'abitazione sita nel Comune di Milano.

La particolarità della fattispecie era che senza l'iscrizione nell'anagrafe - conseguenza automatica della trascrizione del patto di convivenza ai sensi dell'art. 36 della L. n. 76 del 2016 - la cittadina straniera non avrebbe potuto ottenere il titolo di soggiorno desiderato.

La Questura, infatti, ritiene il requisito anagrafico presupposto necessario per scrutinare l'istanza "immigratoria" dell'interessato.

Il Giudice adito ha risolto il caso facendo i seguenti passaggi logici:

- era stata provata in giudizio la stabile relazione tra le parti, ciò che bastava ai fini del ricorso, costituendo la dichiarazione anagrafica consequenziale soltanto uno strumento di verifica di tale requisito e non un elemento costitutivo della circostanza di fatto da provare;

- la mancanza in capo alla ricorrente del requisito del possesso di un permesso di soggiorno deve considerarsi ininfluente, ai fini di cui in domanda, perché la circostanza che un membro della coppia sia cittadino italiano determina l'applicazione della legge n. 30/2007 e non del testo unico sull'immigrazione, in conformità al principio di non discriminazione e dell'applicazione della normativa più favorevole ai familiari di cittadini italiani non aventi la medesima cittadinanza;

- in attuazione dell'art. 17 della direttiva 2003/86/CE è stato modificato l'art. 5 del d.lgs. n. 286/1998, di modo che, anche a seguito del successivo intervento sul punto della Corte costituzionale, è stata estesa la protezione del diritto alla vita familiare a tutti gli stranieri che possano vantare l'esistenza di un legame familiare, e ciò a prescindere dal fatto che tale legame sia stato costituito nell'ambito del ricongiungimento familiare;

- la documentazione ufficiale a cui la L. n. 30 del 2007 subordina i benefici derivanti dell'attestazione di una relazione stabile tra cittadino/ straniero/a e cittadino/a italiano/a può essere di qualunque natura, purché idonea;

- l'obiettivo dell'agevolazione dell'ingresso e del soggiorno del partner straniero (in esecuzione di quanto disposto dall’art. 3, par. 2 della dir. 2004/38) non può dirsi raggiunto dalla necessaria disponibilità di un permesso di soggiorno, al cui rilascio osta, peraltro, la mancanza di un'iscrizione anagrafica;

- nella interpretazione del disposto dell’art. 3, lett. b) del d.lgs. n. 30/07, di recepimento della direttiva europea n. 2004/38 sul ricongiungimento familiare, si rileva un contrasto che può essere risolto attraverso l’interpretazione conforme del diritto interno al diritto  europeo, e che consente pertanto di applicare direttamente le norme della direttiva sulla cui base è possibile riconoscere valenza alla relazione stabile, con effettiva esplicazione del diritto ad ottenere l’iscrizione anagrafica.

Il Giudice adito ha pertanto ordinato al Sindaco di Milano, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., e in qualità di Ufficiale di Governo responsabile della tenuta dei registri anagrafici della popolazione residente, di provvedere alla iscrizione della cittadina straniera nell’anagrafe della popolazione residente e al suo inserimento nello stato di famiglia del cittadino italiano, con annotazione del contratto di convivenza tra i due interessati, ai sensi della legge n. 76 del 2016.


RAPPORTI TRA PATTO DI CONVIVENZA, ISCRIZIONE ANAGRAFICA E RESPINGIMENTO ALLA FRONTIERA

La L. n. 76 del 2016 (che regola in via generale le norme sulle unioni civili) ha previsto che si intendono per «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un'unione civile, e che per l'accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all'articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223, secondo cui il responsabile del registro deve annotarvi l’indicazione di costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza.

D’altra parte, i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza; tale contratto, così come le sue modifiche e la sua risoluzione, sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Se peraltro un cittadino straniero non residente in Italia e non provvisto di permesso di soggiorno stipula tale patto di convivenza con un cittadino italiano, sulla base di un vincolo affettivo stabile, occorre chiedersi quale sia la disciplina applicabile in sede di richiesta di iscrizione anagrafica, e, soprattutto, se sia sufficiente il patto di convivenza quale documentazione "ufficiale" da esibire ai fini dell'iscrizione.

Secondo il Comune di Milano, il mancato possesso da parte del cittadino straniero di un titolo che lo legittimi ad una stabile e lecita permanenza sul territorio nazionale costituirebbe un impedimento all’iscrizione anagrafica del nuovo nucleo familiare, e ciò anche se vi sia alla base della richiesta il contratto di cui al comma 50 dell’art. 1 della L. n. 76 del 2016.

Secondo il Ministero dell’Interno, d’altra parte, sarebbe impossibile rilasciare un permesso di soggiorno, qualsiasi ne sia il motivo, senza attestazione dell’iscrizione anagrafica ad un Comune italiano.

Il Tribunale ordinario, peraltro, interpreta differentemente il regime normativo afferente alla disciplina de qua, desumendo dal diritto incoercibile, di natura sovranazionale, al rispetto della vita privata e dell'unità familiare, la necessità di un’applicazione orientata della L. n. 30 del 2007, di modo che le formalità di attestazione di una relazione stabile tra cittadino italiano e cittadina straniera possono essere di qualunque natura, purché idonee a rendere verificabile tale relazione.

Consegue a tale ragionamento che per ottenere i benefici di cui alla predetta legge (tra cui quello dell’iscrizione anagrafica) non è necessaria la disponibilità di un permesso di soggiorno, ma è bensì sufficiente il citato patto di convivenza.

La situazione però si complica se nelle more della decisione del Giudice sulla legittimità del diniego o rifiuto di iscrizione anagrafica si innesta un respingimento alla frontiera del cittadino/a straniera che nel frattempo abbia “sforato” rispetto al termine di permanenza consentito dalle norme sul soggiorno in Italia e nell’Unione Europea (disciplina Schengen) a mezzo semplice visto turistico.

La situazione specifica è la seguente: cittadino italiano e cittadina straniera sono legati da uno stabile vincolo affettivo, stipulano un patto di convivenza e convivono effettivamente presso la residenza del cittadino italiano, nei periodi in cui la cittadina straniera è nel nostro Paese, sulla base del visto per motivi turistici costituente titolo all'ingresso (durata massima di tre mesi).

Tuttavia, se il soggiorno nel territorio italiano supera i 90 giorni su un periodo di 180 giorni (il che vuol dire che non si può rientrare nel nostro Paese se non dopo che siano trascorsi 90 giorni più uno dalla fine del periodo di 90 giorni di precedente permanenza), la polizia di frontiera, constatata all’atto dell’ingresso la situazione di irregolarità, deve adottare un provvedimento di respingimento ai sensi dell’art. 10, comma 1 del d.lgs. n. 286 del 1998, secondo cui, tra l’altro, “la polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal codice frontiere Schengen di cui al Regolamento (UE) 2016/399 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016 (…)”.

Quid iuris nel caso in cui ad essere respinto sia il cittadino o la cittadina straniera che hanno un vincolo affettivo stabile con il cittadino o la cittadina italiana, ma senza iscrizione anagrafica?

Il potere azionato dall’amministrazione è sicuramente di natura vincolata e non pare ammettere deroghe basate su considerazioni discrezionali legate al contesto familiare "interno" che nel frattempo si è creato, anche se tali considerazioni fossero in tesi legate ad un’interpretazione delle norme che rispetti il diritto alla vita familiare dell’interessato; tuttavia occorre considerare che lo stesso art. 6, al comma 5, del Regolamento UE citato dispone che "i cittadini di paesi terzi che non soddisfano una o più delle condizioni di cui al paragrafo 1 possono essere autorizzati da uno Stato membro ad entrare nel suo territorio per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali”.

Si tratta dunque di capire se il caso del cittadino extracomunitario legato da vincolo affettivo “certificato” da patto di convivenza possa invocare uno di tali motivi per avere una speciale autorizzazione ad entrare nel territorio nazionale anche in deroga ai limiti del visto turistico e se tale valutazione competa alla polizia di frontiera all’atto dell’ingresso o più verosimilmente debba essere preventivamente operata da altri organi del Ministero competente, dietro apposita istanza.

D’altra parte, l’impossibilità di rientrare nel territorio dello Stato senza una speciale autorizzazione del Ministro dell'interno sembra prevista dall’art. 10 del d.lgs. n. 286 del 1998 soltanto per i respingimenti di cui al comma 2 e non per quelli di cui al comma 1 dello stesso articolo, ovvero solo per quelli causati da circostanze particolari ulteriori rispetto al mero mancato rispetto del tempo massimo di permanenza stabilito dal Regolamento UE, quali l'accertamento immediato di un tentativo di sottrazione ai controlli di frontiera, o la temporanea ammissione nel territorio per necessità di pubblico soccorso.

Occorre infine ricordare, a livello sistematico, che, se è vero che il diritto alla vita familiare di cui all’art. 8 CEDU, nella giurisprudenza della Corte EDU, non implica un obbligo degli Stati di rispettare la scelta operata da una coppia di coniugi circa il luogo in cui stabilire la propria comune residenza e, pertanto non consente di enucleare un diritto al ricongiungimento familiare con il coniuge, è tuttavia altresì vero, anche con riferimento agli altri familiari, che la Corte mira ad accertare se le autorità nazionali, nell’ambito dell’ampio margine di apprezzamento loro riconosciuto, abbiano operato un corretto bilanciamento tra il diritto alla vita familiare dei soggetti coinvolti e l’interesse generale che lo Stato mira a tutelare. Ne consegue, pertanto, che, pur non esistendo, de iure condito, un diritto dello straniero a scegliere dove costituire la propria  vita familiare, sussiste un preciso obbligo dello Stato membro di giustificare in modo ragionevole e proporzionato la propria scelta normativa a riguardo.


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