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Contraddittorio endoprocedimentale e diritti del contribuente

Alma Chiettini • apr 24, 2023

Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47


La Corte costituzionale è tornata ad occuparsi della legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000, recante lo statuto dei diritti del contribuente, nella parte in cui il citato comma 7 “non estende il diritto al contraddittorio endoprocedimentale a tutte le modalità di accertamento in rettifica poste in essere dall’Agenzia delle Entrate” e, quindi, anche a quelle effettuate con la modalità c.d. “a tavolino”.

La Corte ha concluso l’esame della vertenza con una dichiarazione di inammissibilità della questione di legittimità sollevata, ma ha colto l’occasione per esporre un’articolata analisi e un ragionamento propositivo che vale la pena esaminare. 

Ebbene, sul piano legislativo, la Corte ha preso atto che “difetta nel vigente sistema tributario, una disciplina positiva che generalizzi, in capo all’amministrazione finanziaria, l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente, al di fuori delle fattispecie normative in cui ciò è espressamente previsto”. E su questo punto ha specificato che “il procedimento tributario costituisce una species del procedimento amministrativo ma, a differenza di quest’ultimo, non contiene previsioni generali in ordine alla formazione partecipata dell’atto impositivo che ne costituisce l’eventuale atto conclusivo. Anzi, l’art. 13, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che reca la disciplina generale sul procedimento amministrativo, esclude l’applicabilità delle disposizioni del Capo III, dedicate alla ‘partecipazione al procedimento amministrativo’, ai procedimenti tributari, per i quali ‘restano […] ferme le particolari norme che li regolano’ ( il che non va letto come un impedimento alla sottoposizione dei procedimenti tributari al principio di partecipazione ma, semplicemente, come espressione dell’esigenza che ai procedimenti tributari sia dedicata una disciplina specifica). A essi non si applicano, quindi, le norme che disciplinano l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7), l’intervento nel procedimento (art. 9), il diritto di accesso agli atti endoprocedimentali (art. 10, comma 1, lettera a) e quello di produrre memorie e allegare documenti (art 10, lettera b), nonché l’obbligo di comunicare il cosiddetto preavviso di rigetto (art. 10 bis)”.

Sul piano giurisprudenziale, la Corte ha constatato che la Corte di cassazione, con un indirizzo consolidatosi a seguito della sentenza a Sezioni Unite n. 24823 del 2015, interpreta “il diritto nazionale allo stato della legislazione, nel senso che non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto”. E anche che la Corte di legittimità afferma che la previsione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, “non ha valenza generale perché questa disposizione, come emerge dal suo tenore testuale, va delimitata ai soli accertamenti conseguenziali ad accessi, ispezioni e verifiche presso i luoghi di riferimento del contribuente, senza che possa estendersi anche alle verifiche ‘a tavolino’” (Cass., sez. V, 13.12.2022, n. 36502; id., sez. VI, 29.7.2022, n. 23729; id., sez. V, 6.4.2020, n. 7690; id., sez. VI, 3.7.2019, n. 17897).

Parallelamente, la Corte ha ricordato che l’amministrazione tributaria ha l’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale ogniqualvolta adotta decisioni che rientrano nella sfera di applicazione del diritto europeo. In tali casi, difatti, l’amministrazione è tenuta a osservare gli obblighi derivanti dal diritto a una buona amministrazione sancito dall’art. 41, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, inteso come “il diritto a che le questioni [...] siano trattate in modo imparziale, equo ed entro un termine ragionevole dalle istituzioni e dagli organi dell’Unione”, tra le cui articolazioni, elencate in via esemplificativa, è previsto “il diritto di ogni individuo di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che gli rechi pregiudizio” (Corte di giustizia, sez. V, 24.2.2022, in causa C-582/20; id., sez. VI, 4.6.2020, in causa C-430/19; id., sez. V, 16.10.2019, in causa C-189/18). Di tanto ha preso atto anche la giurisprudenza di legittimità affermando che, nell’accertamento dei cosiddetti “tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, vige un generale obbligo dell’amministrazione di instaurare un’interlocuzione preventiva con il contribuente, la cui inosservanza può portare all’invalidità dell’atto impositivo”, ma solo se l’interessato assolve alla “prova di resistenza allegando le ragioni che avrebbe potuto far valere in sede procedimentale e il conseguente pregiudizio sostanziale subito” (Cass., sez. V, 1.4.2021, n. 9076; id., sez. V., 3.10.2019 n. 24699).

La Corte delle leggi ha poi osservato che, settorialmente, si è assistito “a progressive e ripetute aperture del legislatore, che hanno reso obbligatorio, in un sempre più consistente numero di ipotesi, il contraddittorio endoprocedimentale”. Trattasi di disposizioni specifiche che prescrivono l’interlocuzione preventiva con il contribuente con modalità ed effetti differentemente declinati a seconda della dinamica istruttoria seguita dall’amministrazione e delle esigenze, di matrice tipicamente collaborativa o più prettamente difensiva, ad essa sottese. Ne sono esempi: - l’art. 38, settimo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 che per la determinazione sintetica del reddito delle persone fisiche prescrive, a pena di nullità, che l’ufficio convochi il contribuente e solo successivamente avvii il procedimento di accertamento; - l’art 10, comma 3 bis, della l. n. 146 del 1998, sugli studi di settore, che impone all’ufficio, prima della notifica dell’avviso di accertamento, di invitare il contribuente a comparire ai fini dell’accertamento con adesione; - gli artt. 36 bis e 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973, sui controlli automatizzati e formali, i cui esiti devono, a pena di nullità, essere comunicati al contribuente che, entro trenta giorni, può fornire chiarimenti; - l’art. 10 bis della l. n. 212 del 2000 che, dopo aver introdotto la clausola generale antielusiva, impone, a pena di nullità, una preventiva richiesta di chiarimenti rivolta al contribuente, caratterizzata dalla precisa indicazione degli elementi che portano a ritenere configurabile l’abuso del diritto, cui segue la concessione di un termine dilatorio di sessanta giorni durante il quale al contribuente è data la possibilità di comunicare i chiarimenti sollecitati dall’ufficio e dei quali l’amministrazione è obbligata a tenere conto in sede di motivazione dell’atto impositivo.

Da ultimo, l’art. 4 octies del d.l. n. 34 del 2019 ha introdotto l’art. 5 ter nel d.lgs. n. 218 del 1997, in forza del quale, prima di emettere un avviso di accertamento, l’ufficio deve notificare al contribuente l’invito a comparire per avviare il procedimento di accertamento con adesione (comma 1); in caso di mancato accoglimento dei chiarimenti forniti nel corso del contraddittorio, è imposto all’amministrazione un obbligo di motivazione rinforzata (comma 3). E tale invito a comparire può essere omesso soltanto nei casi di particolare urgenza, specificamente motivata, o nelle ipotesi di fondato pericolo per la riscossione (comma 4). Inoltre, il successivo comma 5 tipizza la cosiddetta prova di resistenza, prevedendo che “il mancato avvio del contraddittorio … comporta l’invalidità dell’avviso di accertamento, qualora, a seguito di impugnazione, il contribuente dimostri in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato attivato”. Su questo specifico punto la Corte ha osservato che “nonostante la scelta legislativa di inserire la nuova disciplina dell’invito obbligatorio a comparire nell’ambito del procedimento di accertamento con adesione – così circoscrivendone il campo di applicazione alle sole imposte a cui si estende questa procedura – e di escluderne l’operatività nel caso di accertamenti e rettifiche parziali, si deve evidenziare come essa denoti un’evoluzione del sistema, tale per cui l’attivazione del contraddittorio endoprocedimentale non costituisce più un’ipotesi residuale, ma aspira ad assurgere a principio generale”.

In definitiva, dalla riportata analisi sullo stato della legislazione e della giurisprudenza emerge “un sistema composito del contraddittorio nel procedimento tributario”.

La Corte ha poi ricordato di aver “già riconosciuto che il contraddittorio endoprocedimentale è espressione del principio del ‘giusto procedimento’ (in virtù del quale i soggetti privati dovrebbero poter esporre le proprie ragioni, in particolare prima che vengano adottati provvedimenti limitativi dei loro diritti), principio che ha assunto un ruolo centrale nel nostro ordinamento (sentenza n. 71 del 2015), anche come criterio di orientamento non solo per l’interprete, ma prima ancora per il legislatore (sentenza n. 210 del 1995). E che ciò vale anche in ambito tributario, dove il contraddittorio endoprocedimentale da un lato, persegue lo scopo di ‘ottimizzare’ l’azione di controllo fiscale risultando così strumentale al buon andamento dell’amministrazione finanziaria; dall’altro, garantisce i diritti del contribuente permettendogli di neutralizzare, sin dalla fase amministrativa, eventuali errori a lui pregiudizievoli”.

Per cui ha concluso che “la mancata generalizzazione del contraddittorio preventivo con il contribuente, fin qui limitato a specifiche e ben tipizzate fattispecie, risulta ormai distonica rispetto all’evoluzione del sistema tributario, avvenuta sia a livello normativo che giurisprudenziale. Tuttavia, dalla pluralità dei moduli procedimentali legislativamente previsti e dal loro ambito applicativo, emerge con evidenza la varietà e la frammentarietà delle norme che disciplinano l’istituto e la difficoltà di assumere una di esse a modello generale”.

Per cui, a fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio endoprocedimentale ha assunto e può assumere in ambito tributario, “spetta al legislatore il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti”.



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