Coltivatore diretto, imprenditore agricolo professionale, regime agevolato e società

Alma Chiettini • 26 giugno 2025

Cass. civ., sez. V, 4.6.2025, n. 14915; 3.6.2025, n. 14881; 7.3.2025, n. 6172 


La definizione di “coltivatore diretto” è dettata da disposizioni legislative di carattere speciale previste per il settore agricolo, quali:

 - a) l’art. 48 della l. n. 454 del 1961, che definisce coltivatori diretti “coloro che direttamente e abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento ed al governo del bestiame, sempre che la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore a un terzo di quella occorrente per le normali necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento e il governo del bestiame”;

 - b) l’art. 6 della l. n. 203 del 1982, secondo cui “sono affittuari coltivatori diretti coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, sempreché tale forza lavorativa costituisca almeno un terzo di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione del fondo, tenuto conto, agli effetti del computo delle giornate necessarie per la coltivazione del fondo stesso, anche dell’impiego delle macchine agricole”;

 - c) l’art. 2 della l. n. 1047 del 1957 ai sensi del quale “sono considerati coltivatori diretti i proprietari, gli affittuari, gli enfiteuti e gli usufruttuari, i miglioratori, gli assegnatari, i pastori e gli altri comunque denominati che direttamente e abitualmente si dedicano alla manuale coltivazione dei fondi o all’allevamento ed al governo del bestiame”. 

La figura dell’imprenditore agricolo professionale (IAP) - che ha sostituito la previgente figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale (IATP) – è stata invece introdotta col d.lgs. n. 99 del 2004, che all’art. 1 definisce tale colui che, “in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”. 

Con le pronunce odiernamente segnalate, la Corte di legittimità ha chiarito alcune questioni in materia. 


Innanzitutto, le differenze tra la figura del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale (IAP).

Sul punto, è stato evidenziato che “ai fini della qualifica di coltivatore diretto, il legislatore richiede che lo stesso si dedichi direttamente ed abitualmente alla coltivazione del fondo, con lavoro proprio o della sua famiglia, mentre per il riconoscimento della qualifica di imprenditore agricolo professionale è necessario che il soggetto dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”. Ne consegue che un “IAP non è tenuto direttamente a provvedere alla coltivazione del fondo, ma è sufficiente che lo stesso ‘conduca’ direttamente il terreno agricolo, anche a mezzo di maestranze, trattandosi di un imprenditore che provvede, svolgendo attività di direzione e controllo, alla coltivazione del fondo”; pertanto, per un coltivatore diretto rimane forte il legame con il fondo agricolo, ma così non è per un IAP, in quanto è evidente l’assenza di un collegamento diretto con l’esercizio di un’attività sul campo, che può esprimersi con modalità direzionali e organizzative dell’attività agricola e di allevamento del bestiame, rappresentando una figura moderna di imprenditore del settore agricolo, che riveste un ruolo dirigenziale e non meramente esecutivo e manuale. In definitiva, le due figure del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale individuano soggetti distinti che coesistono nell’ordinamento (così la sentenza n. 14915 del 2025). 


A fini dell’imposta comunale sugli immobili, i requisiti necessari per avere accesso al regime agevolato previsto, per i coltivatori diretti e per gli imprenditori agricoli a titolo principale, dall’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 (azzeramento o riduzione dell’imposta) sono:

- a) iscrizione negli appositi elenchi comunali;

- b) assoggettamento agli obblighi assicurativi per invalidità, malattia e vecchiaia;

- c) possesso e conduzione diretta di terreni agricoli e/o aree edificabili;

- d) carattere principale di tali attività rispetto ad altre fonti di reddito.

Su questo tema è stato precisato che “l’iscrizione è idonea a provare la sussistenza dei primi due requisiti, atteso che chi viene iscritto in quell’elenco svolge normalmente a titolo principale quell’attività, di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo, legata all’agricoltura; all’opposto, il terzo - ma anche il quarto - requisito, relativo alla conduzione diretta dei terreni e al reddito, vanno provati in via autonoma, potendo ben accadere che un soggetto iscritto nel detto elenco poi non conduca direttamente il fondo per il quale chiede l’agevolazione, la quale, pertanto, non compete” (vedasi anche Cort. Cost. n. 87 del 2005).

E, con riferimento alla figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale, sostituita dall’imprenditore agricolo professionale (IAP), la Corte ha ricordato che l’attribuzione della qualifica di IAP è di competenza delle Regioni, che accertano ad ogni effetto il possesso dei requisiti previsti dal d.lgs. n. 99 del 2004; che ogni Regione regolamenta le condizioni per ottenere il riconoscimento della qualifica di IAP e i criteri per la verifica del requisito del tempo dedicato oltre che per le modalità di computo del requisito del reddito ricavato; che IAP, diversamente dal coltivatore diretto, non è tenuto direttamente a provvedere alla coltivazione del fondo, ma è sufficiente che lo stesso conduca direttamente il terreno agricolo, anche a mezzo di maestranze, trattandosi di un imprenditore che provvede, svolgendo attività di direzione e controllo, alla coltivazione del fondo. E ha quindi precisato che “il venir meno della figura dell’imprenditore agricolo a titolo principale e la sua sostituzione con quella dell’IAP ha ridefinito le condizioni per il riconoscimento dell’agevolazione ICI, rendendo esigibile non più l’iscrizione nell’elenco comunale ma l’iscrizione negli elenchi o albi regionali, essendo stato demandato alle regioni il compito di verificare, in capo all’imprenditore agricolo richiedente, il possesso dei requisiti soggettivi per l’attribuzione della qualifica di professionalità, da cui derivano, tra l’altro, le agevolazioni in oggetto” (così la sentenza n. 14881 del 2025). 


Infine, la qualifica di IAP può essere posseduta anche da società, sia di persone, sia cooperative sia di capitali, anche a scopo consortile, qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile e siano in possesso dei seguenti requisiti:

- a) nel caso di società di persone qualora almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale; per le società in accomandita la qualifica si riferisce ai soci accomandatari;

- b) nel caso di società cooperative, ivi comprese quelle di conduzione di aziende agricole, qualora almeno un quinto dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale;

- c) nel caso di società di capitali o cooperative, quando almeno un amministratore che sia anche socio per le società cooperative, sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo professionale (art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 99 del 2004). Con una modifica del 2005 il legislatore ha soggiunto, col comma 3 bis, che “la qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata da parte dell’amministratore a una sola società”. La ratio legis di tale precisazione normativa ha un intento antielusivo, ossia è volta a evitare che un soggetto in possesso della qualifica di IAP assuma il ruolo di amministratore in più società con conseguente sfruttamento di tale tipologia societaria, dando così luogo al fenomeno abusivo del c.d. “IAP itinerante”. 

La giurisprudenza non si era peraltro trovata concorde sull’interpretazione della novella legislativa di cui al riportato comma 3 bis e si è chiesta se il limite (di una società) previsto in relazione all’apporto della qualifica (di IAP) da parte dell’amministratore si riferisce alle sole società di capitali o anche alle società di persone.

Su questo punto, la Corte di legittimità ha recentemente chiarito che il citato comma 3 bis costituisce “una deroga al principio generale che importa la rilevanza delle attività dell’amministratore (di società di capitali) ai fini del conseguimento (e della stessa conservazione) della qualifica di imprenditore agricolo professionale; e detta deroga - che sicuramente non opera nei confronti del socio (imprenditore agricolo a titolo professionale) - non preclude all’amministratore di società di rivestire un siffatto incarico in più società agricole solo rimanendo escluso che la società di capitali possa qualificarsi alla stregua di un imprenditore agricolo professionale in ragione del conferimento di un incarico amministrativo a chi quella qualifica abbia già apportato ad altra società di capitali”.

Pertanto, laddove “l’apporto consegua dalla partecipazione del socio di società di persone, la disposizione del comma 3 bis rimane inapplicabile - identificandosi l’apporto con la partecipazione societaria del socio imprenditore agricolo professionale - in quanto la cennata deroga è destinata ad operare solo laddove l’apporto consegua (nelle società di capitali) dall’amministratore imprenditore agricolo professionale (che, però, può legittimamente utilizzare lo svolgimento dell’attività gestoria ai fini del mantenimento della ridetta qualifica di IAP)”.

E, in conclusione, ha pronunciato il seguente principio di diritto: “le agevolazioni tributarie previste dal d.lgs. n. 99 del 2004 in favore dell’imprenditore agricolo professionale (IAP) si estendono alle società agricole a condizione che, oltre a qualificarsi come tali e ad avere ad oggetto esclusivo l’esercizio delle attività di cui all’art. 2135 c.c., almeno uno dei soci nel caso di società di persone, almeno un amministratore nel caso di società di capitali, e almeno un amministratore che sia anche socio nel caso di cooperative, possiedano detta qualifica di IAP. Conseguentemente, la limitazione dell’art. 1, comma 3 bis, secondo cui la qualificazione di IAP può essere apportata dall’amministratore a una sola società, integrando una deroga al principio generale che importa la rilevanza delle attività dell’amministratore ai fini del conseguimento (e della stessa conservazione) della qualifica di imprenditore agricolo professionale, deroga volta a contrastare il fenomeno abusivo del cd. IAP itinerante (ove un soggetto IAP assume il ruolo di amministratore di più società), si applica solo alle società di capitali e non anche alle società di persone, rispetto alle quali la responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali gravante sul socio IAP è idonea ad arginare tale abuso” (così la sentenza n. 6172 del 2025).