Cessione del credito, tra interessi di mora e risarcimento del danno per costi di recupero

a cura di Paolo Nasini • 3 maggio 2025

Trib. Ascoli Piceno, 14 ottobre 2024, n. 627, est. Sirianni


IL CASO E LA DECISIONE

La decisione del Tribunale marchigiano consegue all’atto di citazione con il quale la società qualificatasi come cessionaria dei crediti vantati nei confronti del Comune di Acquasanta Terme da altre due società a titolo di corrispettivo di prestazioni di servizi e di forniture erogate in favore dell’Ente territoriale medesimo, ha chiesto la condanna di quest’ultimo al pagamento di Euro 5.107,44 per sorte capitale, interessi moratori ai sensi degli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 231/02 maturati e maturandi sulla predetta sorte capitale, interessi anatocistici ex art. 1283 c.c. prodotti dagli interessi moratori, nonché Euro 720,00 ai sensi dell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 231/02 (Euro 40,00 per ciascuna delle fatture insolute).

Il Comune, costituendosi in giudizio, ha sollevato una serie di eccezioni in via preliminare:

a) improcedibilità della domanda per mancato esperimento della procedura di negoziazione assistita ex art. 3 D.L. n.132/14;

b) incompetenza per valore del Tribunale adito, tenuto conto che il pagamento della sorte capitale era avvenuto prima della notifica dell'atto di citazione;

3) carenza di legittimazione attiva della società cessionaria dei crediti per non aver provato e documentato con l'atto di cessione originario la titolarità dei crediti;

Nel merito, ha eccepito l'intervenuto pagamento della sorte capitale in data precedente alla citazione e l'inammissibilità della richiesta di pagamento degli interessi moratori, maturati e maturandi, sulla sorte capitale, nonché degli interessi anatocistici sui predetti interessi moratori ed il riconoscimento dell'importo di Euro 720,00, essendo il pagamento delle fatture intervenuto in epoca antecedente al maturare dei predetti interessi.

All’esito del giudizio il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda, ha condannato il Comune al pagamento, in favore della società ricorrente, degli interessi moratori sulla sorte capitale di Euro 5.107,44, nella misura di cui agli artt. 2 e 5, d.lgs. n. 231 del 2002, con decorrenza dal giorno successivo alla data di scadenza di ciascuna fattura al saldo; degli ulteriori interessi anatocistici prodotti dagli interessi moratori maturati sulle sole fatture emesse da una delle società cedenti nella misura di cui agli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 231/2002 con decorrenza dalla data di notifica dell'atto di citazione fino al saldo; del rimborso forfettario di Euro 720,00 ai sensi dell'art. 6, comma 2, del D.Lgs. 231/02 (pari a 40 Euro per ogni fattura azionata);

Superata la questione di improcedibilità per mancato esperimento della negoziazione assistita, tale procedura essendo stata poi celebrata nel corso del giudizio, il Tribunale ha respinto l’eccezione di incompetenza, in quanto, venendo in rilievo una controversia avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, da un lato, non è applicabile l’art. 14 c.p.c. [1], sì che non è fondata la correlata contestazione del valore [2], dall’altro lato, la competenza per valore deve ritenersi validamente radicata in base al valore specificamente dichiarato in citazione.

Sull'eccezione di difetto di legittimazione attiva, poi, il Tribunale correttamente rammenta la distinzione concettuale tra legittimazione attiva e titolarità attiva del rapporto giuridico dedotto in giudizio: il Comune, infatti, ha eccepito che parte attrice, depositando semplicemente il "contratto quadro", non già il contratto di cessione con le società cedenti, non avrebbe dimostrato di essere legittimata a riscuotere i crediti oggetto di causa.

Al riguardo, come ricordato in giurisprudenza, l'istituto della legittimazione ad agire si iscrive nella cornice del diritto all'azione, ovvero il diritto di agire in giudizio. Oggetto di analisi, ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione ad agire, è la domanda, nella quale l'attore deve affermare di essere titolare del diritto dedotto in giudizio. Ciò che rileva è la prospettazione (discorso analogo vale per la simmetrica legittimazione a contraddire, che attiene alla titolarità passiva dell'azione e che, anch'essa, dipende dalla prospettazione nella domanda di un soggetto come titolare dell'obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio). Nel caso in cui l'atto introduttivo del giudizio non indichi, quanto meno implicitamente, l'attore come titolare del diritto di cui si chiede l'affermazione e il convenuto come titolare della relativa posizione passiva, l'azione sarà inammissibile. Naturalmente ben potrà accadere che poi, all'esito del processo, si accerti che la parte non era titolare del diritto che aveva prospettato come suo (o che la controparte non era titolare del relativo obbligo), ma ciò attiene al merito della causa, non esclude la legittimazione a promuovere un processo. L'attore perderà la causa, con le relative conseguenze, ma aveva diritto di intentarla [3].

Nel caso specifico, il Tribunale ha accertato la titolarità, in capo alla società attrice, del diritto azionato, alla luce dei contratti di cessione dei crediti presenti e futuri da parte delle due società creditrici "dirette" del Comune.

Nel merito, il Tribunale pur avendo accertato che la somma capitale richiesta da parte ricorrente era già stata corrisposta dal Comune, ha verificato che, in ogni caso, le fatture di entrambe le società cedenti erano state pagate oltre la rispettiva scadenza, sì che secondo il Giudice parte convenuta era tenuta al pagamento degli interessi di mora, maturati e maturandi sulla sorte capitale, determinati nella misura degli interessi legali di mora ex artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 231/02, come novellato dal D.Lgs. n. 192/12.

Secondo il Tribunale, infatti, si versa in materia di crediti derivanti da transazioni commerciali: l'art. 2 del D.Lgs. 231/2002 definisce le "transazioni commerciali" come "i contratti comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni che comportano in via esclusiva o prevalente la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo". Ai sensi dell'art. 4 del medesimo d.lgs., la decorrenza parte dal giorno successivo a quello di scadenza dei termini di pagamento delle fatture costituenti la predetta sorte capitale.

Secondo il Tribunale, poi, sussistono i presupposti per l'accoglimento della domanda di condanna al pagamento degli interessi anatocistici prodotti dagli interessi moratori maturati sulla predetta sorte capitale che, alla data di notifica della citazione, siano scaduti da oltre sei mesi, ai sensi dell'art. 1283 c.c..

Ai sensi degli artt. 2 e 5 del D.Lgs. n. 231/02, in virtù del richiamo operato a tale normativa dall'art. 1284, comma 4, c.c., riconosciuto il diritto agli interessi di mora, secondo il Tribunale, va di conseguenza riconosciuto il diritto agli interessi sugli interessi scaduti da oltre sei mesi al momento dell'introduzione del giudizio, nella misura degli interessi legali di mora con decorrenza dalla data di notifica della citazione.

Infine, il Tribunale ha accolto la domanda relativa al risarcimento forfettario del danno per costi di recupero dei crediti azionati da parte attrice in virtù del disposto dell'art. 6, comma 2, D.Lgs. 231/2002.

Tale disposizione (recante "risarcimento delle spese di recupero"), stabilisce che "al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 Euro a titolo di risarcimento del danno. È fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito".

Come rilevato dal Tribunale, la ratio della previsione in questione può cogliersi, da un lato, nell'intento punitivo-dissuasivo rispetto al ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali che ispira tutta la disciplina recata dal D.Lgs. citato (attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa proprio alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali) e, dall'altro, nell'esigenza di garantire, anche in assenza di specifica prova, un indennizzo per i costi ordinariamente sostenuti dal creditore. Trattasi, invero, di costi "interni" o "amministrativi" diversi da quelli eventualmente sostenuti in ragione del conferimento di incarichi di recupero crediti a soggetti esterni. Tale importo forfettario spetta all'odierno attore a fronte del tardivo pagamento di tutte le fatture oggetto del giudizio [4].







[1] Ai sensi del quale ‹‹nelle cause relative a somme di danaro o a beni mobili il valore si determina in base alla somma indicata o al valore dichiarato dall'attore; in mancanza di indicazione o dichiarazione, la causa si presume di competenza del giudice adito. Il convenuto può contestare, ma soltanto nella prima difesa, il valore come sopra dichiarato o presunto; in tal caso il giudice decide, ai soli fini della competenza, in base a quello che risulta dagli atti e senza apposita istruzione››.

[2] Per pacifica giurisprudenza, tale contestazione del valore ai fini della competenza è ammissibile solo in relazione a cause aventi ad oggetto cose mobili diverse dal denaro, mentre nessuna contestazione utile è ammessa relativamente alle cause aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro: si vedano, ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 16 giugno 2003, n. 9658; id., 04 novembre 2002, n.15442; id., 13 novembre 2009, n. 24030.

[3] Cass. civ., sez. un., 16 febbraio 2016, n. 2951.

[4] CGCE, sez 3, del 20 ottobre 2022.