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INIDONEITA’ ATTITUDINALE SOPRAVVENUTA E CESSAZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO

ago 18, 2023

L’Adunanza plenaria ha dato risposta negativa al quesito se – nel caso di accertamento della perdita del requisito attitudinale di un appartenente alle forze dell’ordine (in particolare, alla Polizia di Stato) - il rapporto di lavoro possa continuare presso altri ruoli della stessa amministrazione di pubblica sicurezza o presso altre amministrazioni.

Invero, l’art. 36, punto XX), della legge n. 121 del 1981 ha delegato il Governo ad adottare disposizioni sul passaggio a qualifiche equivalenti di altri ruoli dell’amministrazione di pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato, consentito solo in caso di particolare infermità e, comunque, in dipendenza del grado di idoneità all’assolvimento dei servizi di polizia accertato.

Le disposizioni regolamentari attuative hanno previsto il mutamento del rapporto di impiego in caso di “inidoneità per motivi di salute”, demandandone l’accertamento alle “commissioni mediche”.

Per il chiaro significato delle parole utilizzate dal legislatore – parole che consentono di definire in modo univoco la portata precettiva della norma, precludendo all’organo giudiziario di richiamare altri criteri di interpretazione -, non può dubitarsi che tali disposizioni abbiano considerato le sole vicende di sopravvenuta menomazione dell’integrità psicofisica del lavoratore.

E’ stata inoltre esclusa l’incostituzionalità di tale “limitazione”, in quanto la scelta del legislatore di disporre la cessazione del rapporto di impiego dell’appartenente alla Polizia di Stato per il caso di perdita del requisito attitudinale - e non anche di perdita parziale della idoneità psicofisica - non è irrazionale, perché, rispetto alla perdita della idoneità psicofisica – che può essere parziale –, la perdita del requisito attitudinale all’attività lavorativa è necessariamente ‘integrale’, sicché, se per la prima si può affermare che il requisito di accesso sia mantenuto sia pure in parte nel corso del rapporto di lavoro, nel secondo caso esso è integralmente perduto.

Non è stata ravvisata dall’Adunanza plenaria, inoltre, alcuna ingiustificata disparità di trattamento, dal momento che i requisiti attitudinali costituiscono doti individuali differenti dall’idoneità psicofisica allo svolgimento della prestazione lavorativa, per cui si è in presenza di situazioni non omogenee e, per questa ragione, non comparabili.

La perdita degli uni non è equiparabile alla perdita (parziale) degli altri, anche perché la vicenda sopravvenuta che incida sullo stato di salute del lavoratore determina un certo grado di inabilità al lavoro – ad ogni lavoro – che fa ritenere particolarmente difficoltosa per chi l’abbia subita la ricollocazione nel mercato del lavoro; diversamente, la perdita attitudinale non ha incidenza sulla capacità lavorativa, poiché esclude solamente la predisposizione a quella particolare attività professionale (Adunanza Plenaria n. 12 del 2023)


Il riferimento al concetto di “invalidità” richiama con tutta evidenza profili d’ordine fisico (o, al più, psico-fisico), ma non certo attitudinale: “invalido”, infatti, è concetto riferibile (e conseguente) al riscontro di una patologia che incide sulla capacità materiale di fare qualcosa, mentre l’attitudine attiene all’idoneità personale e soggettiva a svolgere bene, con profitto e in sicurezza una certa attività o funzione, a prescindere dalla sussistenza di profili patologici.

Deve dunque escludersi la continuazione del rapporto in caso di sopravvenuta mancanza delle attitudini – come se si trattasse di una sopravvenuta invalidità -, anche perché il legislatore ha demandato l’accertamento dell’idoneità al servizio ad un organo tecnico con competenze mediche (e non alle commissioni di verifica).

Né è possibile procedere ad un’applicazione analogica delle disposizioni, tale da estendere la disciplina della perdita dei requisiti psichici e fisici alla diversa fattispecie della perdita dei requisiti attitudinali, difettando in questo caso il requisito della eadem ratio, in presenza della già rilevata diversità tra i requisiti psicofisici e quelli attitudinali: ciò non consente di disciplinare identicamente le due situazioni di perdita sopravvenuta degli uni e degli altri nel corso del rapporto di impiego.

D’altra parte, in caso di perdita dei requisiti attitudinali, non è possibile ipotizzare una graduazione della residuale capacità che consenta di distinguere tra perdita parziale e perdita totale, come accade, invece, per i requisiti psicofisici.

In linea di principio, infatti, il lavoratore o ha o non ha l’attitudine a svolgere una certa attività: non si può affermare che esso ne sia fornito ‘solo in parte’, perché ciò significherebbe non avere l’attitudine a compiere quell’attività.

Nel caso di accertamento dei requisiti attitudinali, allora, non si può ipotizzare, neppure in astratto, un esito di perdita parziale che possa far dire ancora presenti quei requisiti richiesti per l’accesso al rapporto di lavoro (che, in quanto richiesti, devono permanere per l’intera sua durata).

Per gli appartenenti alla Polizia di Stato, il cui rapporto di impiego è costituito solo se sussistono i requisiti attitudinali richiesti dalla normativa sopra richiamata, il venir meno di questi non può comportare la prosecuzione del rapporto di lavoro con la sola modificazione oggettiva della prestazione, poiché per quell’ordinamento settoriale il possesso dei requisiti attitudinali è richiesto per tutti i ruoli nei quali si articola la struttura.

L’unica modalità di continuazione del rapporto di lavoro sarebbe, dunque, quella della novazione soggettiva, vale a dire presso ruoli di altre amministrazioni che non richiedano per l’accesso l’accertamento di (peculiari) requisiti attitudinali.

Tale possibilità, però, non è prevista dalla legge.


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