Amministrazione comunale e traslazione dell'IRAP sul dipendente avvocato

dalla Redazione • 6 dicembre 2025

Tribunale di Milano, Sezione lavoro, sentenza n. 2919/2025 pubblicata il 07/08/2025


IL CASO

Un’avvocata ex dipendente comunale per venti anni, nel corso dei quali è stata assegnata all’Avvocatura comunale previa iscrizione nell’Elenco speciale allegato all’Albo degli Avvocati, ha chiesto dinanzi al Giudice del lavoro l’accertamento del suo diritto ad ottenere i compensi professionali che ancora le spettano senza che sugli stessi sia operata la decurtazione economica corrispondente alle somme dovute a titolo di IRAP dall’ente datore di lavoro.

Contestualmente, ha chiesto altresì, una volta accertato il suo diritto al compenso “depurato” dell’onere fiscale in questione, il riconoscimento degli arretrati dovuti dal Comune per l’attività professionale già liquidata e la relativa condanna dell’amministrazione locale alla corresponsione in suo favore di oltre 35.000 euro a tale titolo.

La ricorrente ha rappresentato di avere sempre percepito, nel corso del rapporto di lavoro quale avvocata comunale, un trattamento retributivo composto da una parte fissa e una parte variabile costituita dai compensi professionali derivanti dall’attività giudiziale svolta, ma che su tale parte variabile il Comune suo datore di lavoro avrebbe illegittimamente trattenuto una quota del dovuto a copertura dell’imposta regionale IRAP, traslando così a suo carico il relativo onere.

Invero, dal confronto tra i prospetti di riparto e i cedolini paga prodotti in giudizio, emergeva che, per un lungo periodo – nonostante non vi fosse evidenza alcuna della trattenuta IRAP –, le somme liquidate a titolo di compensi professionali erano inferiori all’importo di cui alle relative determine dirigenziali, con una differenza superiore alla mera incidenza degli oneri riflessi propriamente intesi, mentre, a partire dal 2014, le determine di liquidazione dei compensi professionali esplicitavano lo scomputo – dall’ammontare complessivo dei compensi professionali, calcolati già al netto delle spese – dell’importo relativo agli oneri riflessi (ovvero i contributi previdenziali), da un lato, e dell’importo relativo all’IRAP, dall’altro.

L’amministrazione convenuta, pur non negando l’allegata traslazione, si è difesa sostenendo che i compensi professionali costituirebbero emolumenti a carico delle finanze pubbliche, sia quelli conseguenti alle pronunce di compensazione delle spese legali, sia quelli derivanti dal rimborso delle spese legali, preventivamente accertati in entrata nel bilancio del Comune.

Tali compensi, costituendo parte integrante del trattamento economico dell’avvocato pubblico dipendente, soggiacerebbero di conseguenza alle regole della spesa pubblica per il personale e, segnatamente, al principio secondo cui le risorse destinate alla contrattazione decentrata integrativa non possono causare aggravio di spesa per l’Amministrazione.

In altri termini, nella prospettazione difensiva del Comune resistente, lo stesso Comune, in quanto tenuto a operare nel pieno rispetto della disciplina sulla copertura dei fondi e della regola della copertura finanziaria di cui all’art. 81, comma 4, Costituzione, dovrebbe procedere a un preventivo accantonamento delle somme dovute per l’imposta in questione, con semplice collocamento delle necessarie risorse, a monte, nel fondo di incentivazione.

Tale fondo costituisce un fondo collettivo in cui confluiscono tanto le spese legali versate dalle controparti del Comune quanto i compensi quantificati nelle note spese dell’Avvocatura, al fine di finanziare i compensi professionali degli avvocati dell’Avvocatura comunale, con le modalità e nei limiti fissati dal Regolamento comunale e dalle norme di legge e di contratto.

D’altra parte, seguendo l'impostazione della resistente, una volta individuato l’importo complessivamente introitato e quanto indicato nelle note spese di un determinato periodo, verrebbe poi operata la ripartizione della somma complessiva indicata con specificazione degli importi e dei relativi capitoli di spesa del “compenso netto”, con liquidazione individuale da farsi dopo l’approvazione della spesa complessiva.

Secondo il Comune convenuto, pertanto, pur essendo pacifica la traslazione dell’onere IRAP a carico degli avvocati dell’ente, avrebbe dovuto valorizzarsi nel caso di specie la peculiarità di un sistema di finanza pubblica in cui detta traslazione era effettuata sul monte complessivo dei compensi da ripartire e non, pro quota, sul compenso erogato al singolo dipendente.


LA DECISIONE E LE CONSEGUENZE SULL’ERARIO DEL PAGAMENTO DI IMPOSTA

Il Tribunale ha accolto integralmente le domande proposte dalla ricorrente, dopo avere ricostruito la specifica disciplina applicabile al caso esaminato (riconducibile, in particolare, a quanto disposto dall'Appendice 5 del Regolamento sull’Ordinamento degli Uffici e dei Servizi di cui alla Deliberazione 788/2014, poi modificata dalla Deliberazione 1751/2019) e, prima ancora, dopo avere individuato, sulla base del dato legislativo, il soggetto passivo dell'imposta.

Invero, ai sensi dell’art. 2, co. 1, D. Lgs. 446/1997, presupposto dell’imposta regionale sulle attività produttive è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. L’attività esercitata dalle società e dagli enti, compresi gli organi e le amministrazioni dello Stato, costituisce in ogni caso presupposto di imposta”.

Secondo poi  il successivo art. 3, co. 1, e-bis, D. Lgs. 446/1997, tra i soggetti passivi dell’imposta vi sono anche le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29.

Al riguardo, le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione hanno chiarito che “il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’“id quod plerumque accidit”, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza dell’organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Cass. Civ., SS.UU., 26 maggio 2009, n. 12108).

Sulla base di questi principi, il Giudice adito ha dunque concluso che soggetto passivo dell’imposta in discorso sia il Comune convenuto, quale datore di lavoro dotato di un’autonoma organizzazione di cui è direttamente responsabile.

Nel merito, il Tribunale ha preliminarmente evidenziato che fosse del tutto irrilevante il fatto che l'accertata traslazione operata dal Comune sia effettuata sul monte complessivo dei compensi da ripartire e non, pro quota, sul compenso erogato al singolo dipendente, in quanto  il “compenso netto” ripartito restava in ogni caso quello risultante dalla previa detrazione.

Tanto premesso, è stata richiamata la deliberazione del 7 giugno 2010, n. 33 delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti, nella quale è stato chiarito che l’IRAP non può rientrare nel novero dei cosiddetti “oneri riflessi” – ossia degli oneri che ricadono sulla Pubblica Amministrazione in ragione della corresponsione di emolumenti ai propri dipendenti – in quanto costituisce, al contrario, un "onere diretto” dell’amministrazione e, come tale, resta a pieno titolo a carico di quest'ultima.

Invero, diversamente ragionando, l'IRAP, da imposta che colpisce non i redditi personali, ma il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, si trasformerebbe in un’imposta sul reddito.

Successivamente, sempre la Corte dei Conti, interpellata all'epoca proprio dal Comune resistente, con Deliberazione dell’11 settembre 2018, n. 267, ha ritenuto che il pagamento dell’IRAP dovuta dal Comune sui compensi professionali dei propri avvocati non avrebbe dovuto comportare una corrispondente decurtazione della somma finale corrisposta al singolo avvocato a titolo di compenso professionale, in conseguenza dell’individuazione dell’Amministrazione quale soggetto passivo dell’obbligazione tributaria.

D'altra parte, anche il Consiglio di Stato, Sezione quinta, n. 4970 del 5 ottobre 2017, aveva confermato tale orientamento, annullando un regolamento comunale nel quale si disponeva che i compensi dell’avvocatura fossero comprensivi degli oneri riflessi e dell’IRAP.

Sotto altro profilo, il Giudice adito - anche in considerazione delle difese proposte dall'ente convenuto - ha evidenziato che l'amministrazione, quale debitrice d’imposta, sarebbe stata in ogni caso tenuta a costituire, nel rispetto dell’ordinamento contabile, la provvista necessaria al pagamento della medesima.

Sul punto, sono stati richiamati i principi espressi dalla Corte Suprema di Cassazione proprio nell’ambito di una controversia avente per oggetto la traslazione dell’IRAP operata sui compensi erogati agli avvocati, pubblici dipendenti, dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale.

Il Giudice di Legittimità, in particolare, ha chiarito che “i compensi dovuti all’avvocatura interna dell’INPS, ai sensi delle pertinenti disposizioni di legge, regolamentari interne e della contrattazione collettiva, in relazione all’attività giudiziale svolta, sono una componente della retribuzione di tali dipendenti e pertanto spettano al netto dell’IRAP, che resta a carico del datore di lavoro, il quale non può farla gravare su di essi né in via diretta (applicando una ritenuta) né in via indiretta (riducendo a monte e in proporzione le risorse che, in base alle fonti anzidette, sono specificamente destinate a titolo di compensi professionali), e neanche opponendo la prevalenza, sul diritto di credito del lavoratore, degli obblighi derivanti dalla normativa in tema di contabilità pubblica e di redazione dei bilanci, la cui violazione non può paralizzare l’azione contrattuale di adempimento esercitata dal lavoratore medesimo, in relazione alla quale quest’ultimo deve solo provare la fonte del proprio diritto e dedurre l’inadempimento del datore di lavoro” (Cass. Civ., Sez. Lav., 21 aprile 2025, n. 10404).

Il Supremo Collegio ha precisato, altresì, che “l’accantonamento della menzionata imposta sul fondo destinato alla retribuzione accessoria in esame è consentito solo se le risorse complessive ivi allocate superino o i limiti massimi di spesa eventualmente fissati da norme inderogabili di legge o, qualora siffatti limiti non esistano o non siano stati allegati o dimostrati, l’ammontare complessivo di tale credito, come riconosciuto dalla contrattazione collettiva e dai regolamenti interni dell’ente

Ne consegue che il fatto che l'amministrazione sia  obbligata al rispetto della disciplina sulla copertura dei fondi e, quindi, della regola della copertura finanziaria imposta dall’art. 81 Cost., comma 4 - e debba dunque quantificare le disponibilità destinabili ad avvocati e professionisti accantonando le somme necessarie per fronteggiare l’onere IRAP - non implica che il predetto onere possa essere detratto dal monte complessivo dei compensi spettanti ai dipendenti pubblici.

D'altra parte, le disposizioni del d.Lgs. n. 165/2001 hanno sempre perseguito l’obiettivo di armonizzare l’avvenuta contrattualizzazione del rapporto di impiego pubblico con l’esigenza primaria di garantire il controllo ed il contenimento della spesa, esigenza dalla quale derivano, da un lato, il divieto per il datore di corrispondere trattamenti economici che non trovino fondamento nella contrattazione collettiva o nella legge (ciò, perché entrambe dette fonti presuppongono la previa valutazione della sostenibilità finanziaria), e, dall’altro, la previsione di nullità delle clausole della contrattazione integrativa non compatibili con i vincoli di bilancio delle amministrazioni.

Tuttavia, il necessario preventivo accantonamento, nell’ambito del fondo di incentivazione, delle somme dovute dall’ente datore di lavoro per far fronte agli obblighi tributari (ivi compresa l’IRAP) relativi ai compensi professionali spettanti agli avvocati interni, porta con sé anche il divieto di farne conseguire qualsiasi trattenuta (per la quota dovuta dall’ente a titolo di IRAP o di altri tributi) in sede di liquidazione dei compensi medesimi, avendo l’ente già garantito adeguata copertura finanziaria agli obblighi in questione, che pertanto gravano definitivamente sul bilancio dell’ente (Cass. Civ., Sez. Lav., 21 febbraio 2024, n. 4681).

Pieno riconoscimento del diritto patrimoniale fatto valere in giudizio dall'ex dipendente, dunque.

Con la paradossale aggiunta di un'ulteriore condanna in suo favore al pagamento di somme indebitamente trattenute a titolo stipendiale e di cui però il Comune resistente non ha saputo fornire il giustificativo.

Rimane da chiedersi, a questo punto, se l'ente pubblico in questione - unitamente a qualche altra amministrazione sparsa in giro per l'Italia - trarrà i dovuti insegnamenti da questa pronuncia, la cui linearità e correttezza sembra fuori discussione, o persisterà a seguire una regola di condotta che potrebbe non solo risultare ingiustificatamente vessatoria nei confronti del dipendente ma anche dare adito a contestazioni di natura contabile, posto che le somme non erogate vanno poi restituite con gli interessi a tutti i soggetti che versano nell'identica posizione della ricorrente.