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ACCESSO E POTERI ISTRUTTORI DEL GIUDICE CIVILE

mar 07, 2021

L’ACCESSO DIFENSIVO PREVISTO DALLA LEGGE N. 241 DEL 1990 E I METODI DI ACQUISIZIONE PROBATORIA PREVISTI DALLE DISPOSIZIONI DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE SONO ISTITUTI COMPLEMENTARI, E NON SI ESCLUDONO RECIPROCAMENTE, DAL MOMENTO CHE LA DISCIPLINA INERENTE GLI STRUMENTI PROCESSUALCIVILISTICI DI ESIBIZIONE ISTRUTTORIA EX ARTT. 210, 211 E 213 C.P.C., LUNGI DAL COSTITUIRE LIMITE ALL’ESPERIBILITÀ DELL’ACCESSO DIFENSIVO PRIMA O IN PENDENZA DEL GIUDIZIO, SEMBRA ADDIRITTURA PRESUPPORRE UN PREVIO ESPERIMENTO DELL’ACCESSO DIFENSIVO, ESSENDO TALI MEZZI DI PROVA CONFIGURATI COME STRUMENTI ISTRUTTORI TENDENZIALMENTE RESIDUALI RISPETTO ALLE FORME DI ACQUISIZIONE DEI DOCUMENTI DA PARTE DEI PRIVATI SULLA BASE DI CORRELATIVE DISCIPLINE DI NATURA SOSTANZIALE, ANCHE IN FUNZIONE DELLA LORO PRODUZIONE IN GIUDIZIO (Adunanze plenarie n. 19, 20 e 21 del 2020) 


L’Adunanza del Consiglio di Stato ha, da un lato, indagato ancora una volta la natura e le funzioni del diritto di accesso e, sotto altro profilo, individuato i rapporti tra il diritto di accesso e gli altri strumenti istruttori del codice di procedura civile, con particolare riferimento a quelli posti a disposizione del giudice civile in tema di famiglia.

Il punto in relazione a cui l’Adunanza era stata chiamata a decidere, esistendo un contrasto giurisprudenziale nella quarta sezione del Consiglio di Stato, verteva sul rapporto tra diritto di accesso volto alla tutela processuale e strumenti istruttori a disposizione del giudice civile in materia di famiglia; in particolare, il contrasto riguardava la sussistenza della possibilità o meno di accedere ai documenti presenti nell’anagrafe tributaria da parte del soggetto che volesse utilizzarli nel processo in materia di famiglia, come accade, ad esempio, al fine dell’individuazione del contributo dei coniugi per il mantenimento di un figlio minore.

Il codice di procedura civile prevede strumenti istruttori che consentono di ottenere questi dati dall’amministrazione finanziaria, ma mentre alcuni ritenevano che fosse lesiva del diritto di difesa la possibilità di ottenere documenti finanziari attraverso l’utilizzo della legge n. 241 del 1990, altri ritenevano che l’accesso fosse un rimedio di carattere generale, non limitato né limitabile dalla presenza di questi speciali strumenti a disposizione del giudice civile.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato parte dalla considerazione che i documenti rilasciati dall’amministrazione come documenti finanziari (contenenti dati patrimoniali, reddituali e finanziari) rientrano a pieno titolo nei documenti di cui all’art. 22, comma 1, lettera d) della legge sul procedimento amministrativo.

Il legislatore dell’epoca ha infatti offerto una nozione molto ampia di documento amministrativo, facendo rientrare al suo interno tutti i documenti formati da una pubblica amministrazione o da un soggetto privato nell’ambito di attività di pubblico interesse.

La questione centrale riguarda il rapporto tra la normativa in materia di accesso e il codice di procedura civile.

Il codice di procedura civile delinea strumenti che consentono al giudice di acquisire documenti utili per il giudizio, ma come si rapportano questi strumenti con la legge sul procedimento amministrativo, e, in particolare, con le norme sull’accesso?

L’Adunanza Plenaria si diffonde innanzitutto sulla natura del diritto di accesso, e, in particolare, sull’oggetto e sulla funzione di tale istituto.

L’accesso documentale ha un suo ruolo centrale in materia di trasparenza; l’art. 22, comma 2 della legge n. 241 del 1990 è un principio generale dell’attività amministrativa, di natura regolatoria, che soddisfa necessità di pubblico interesse e ha la funzione di favorire la partecipazione al procedimento.

L’art 24, ultimo comma, della legge sul procedimento amministrativo descrive un’ulteriore funzione del diritto di accesso, ovvero quella di tutela processuale; il diritto di accesso dev’essere comunque garantito ai richiedenti, laddove la conoscenza sia necessaria per difendere i propri diritti o interessi.

Ci sono due funzioni distinte nel diritto di accesso, la prima è quella di garantire la partecipazione al procedimento e la seconda è garantire la trasparenza; tali funzioni riguardano il diritto di accesso in generale, e, quindi, anche l’accesso difensivo, come si desume dall’art. 24, comma 7 della legge sul procedimento amministrativo

Il comma 7 appena citato, in particolare, sancisce un’estensione e una limitazione.

La limitazione è costituita dall’aggravamento probatorio, nel senso che la parte deve dimostrare che i documenti sono necessari in funzione della sua difesa (o, se sono documenti “supersensibili”, deve dimostrare che sono indispensabili per la sua difesa).

L’aggravamento si giustifica con l’estensione della portata del diritto di accesso. L’accesso c.d. processuale fuoriesce da una logica meramente partecipativa e svolge una funzione difensiva.

Già l’Adunanza Plenaria n. 6 del 2006 ha descritto puntualmente le caratteristiche dell’istituto dell’accesso, stabilendo che non è necessario stabilire se il diritto di accesso sia un interesse legittimo o un diritto soggettivo, in quanto ciò che conta è che si ponga a tutela di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo.

Nell’accesso difensivo, la valutazione sulla ostensibilità viene condotta in astratto dalla pubblica amministrazione sulla base delle informazioni fornite dal richiedente, e la pertinenza del documento dev’essere valutata sulla base della res controversa o che potrebbe essere controversa. Viene svolta, di fatto, un’operazione di sussunzione in astratto su un processo anche non instaurato, ancora da instaurare.

L’obbligo di motivazione della richiesta deve consentire all’Amministrazione di valutare la pertinenza della richiesta di accesso rispetto al processo instaurato o instaurando.

Alla luce di quest’analisi, possono essere compiutamente valutati, secondo l’Adunanza Plenaria, i rapporti tra accesso e istituti del codice di procedura civile.

L’Adunanza Plenaria sostiene che in realtà i due strumenti concorrono; il diritto di accesso non ha solo natura processuale, ma anche un substrato sostanziale. È attribuito al richiedente anche in fase pre-processuale, proprio perché in base alla piena conoscenza degli atti un soggetto può valutare se agire in giudizio.

A maggior ragione, mai potrebbe essere negato di accedere a documenti alla luce del fatto che il processo sia già instaurato.

L’accesso difensivo ha dunque una duplice natura, sostanziale e processuale.

Gli strumenti di acquisizione probatoria a disposizione del giudice civile, previsti dagli articoli 210, 211, 213, 155 sexies e 492 e ss c.p.c., si muovono solo all’interno del processo e sono sottoposti al vaglio del giudice e impugnabili solo impugnando la sentenza, non essendo possibile proporre altro tipo di reclamo.

Non è pensabile, quindi, una riduzione della tutela procedimentale.

Argomento a favore di tale conclusione è che l’art. 24, comma 7 della L. n. 241 del 1990 non limita affatto l’accesso nel caso di pendenza di un processo. Non possono altresì essere individuati criteri di specialità delle norme processualcivilistiche rispetto alle legge n. 241 del 1990. Ancora, i metodi di acquisizione probatoria del codice civile sono in realtà complementari rispetto alla produzione documentale. Infatti, gli strumenti istruttori a disposizione del giudice intervengono allo scopo di far fronte a una carenza probatoria che non è dipesa da mancanze delle parti.

Devono essere le parti ad ottenere la documentazione. Gli ordini di esibizione istruttoria possono essere utilizzati solo nelle ipotesi dell’ispezione ex art 118 c.p.c., quando i documenti sono indispensabili e la parte non è in grado di produrli in giudizio.

L’accesso documentale non può dunque essere precluso, in quanto gli strumenti processuali sono residuali, servono soltanto quando siano falliti ulteriori tentativi, e tutelano la parte che si sia attivata, ma non abbia ottenuto il documento. 

Sono, tra l’altro, strumenti che non sono coercibili: l’ordine del giudice ineseguito non può portare ad esecuzione manu militari, e il giudice potrà al più trarre elementi di prova ex art 116 c.p.c..

Diversamente, nella legge 241 del 1990 si possono ottenere documenti anche per il tramite del commissario ad acta.

Per la giurisprudenza, questi poteri non possono essere azionati neanche nell’ambito del diritto di famiglia, qualora la parte avrebbe potuto ottenere aliunde questi documenti.

Solo la tutela del minore supera qualsiasi ostacolo e consente al giudice l’acquisizione ex officio dei documenti, mentre nelle altre ipotesi il potere di ufficio non serve a far fronte ad un’inerzia della parte.

I rapporti tra i diversi valori in gioco sono fissati da un bilanciamento individuato dalla stessa legge n. 241, che individua criteri di bilanciamento soltanto nel caso di dati giudiziari, sensibili o supersensibili, non con riguardo ai dati finanziari.

Non va utilizzato, quindi, con riferimento ai dati finanziari, il criterio di indispensabilità e parità di rango, ma quello della necessità per la cura e la difesa di un proprio interesse giuridico.

In altri termini, nel rapporto tra norme processualcivilistiche e la legge n. 241 del 1990 in tema di accesso, la presenza di strumenti istruttori anche molto incisivi a disposizione del giudice non elimina la possibilità della parte di ottenere documenti finanziari detenuti dall’anagrafe tributaria, laddove siano necessari per la difesa dei propri interessi giuridici.

Infine, l’Adunanza Plenaria ricorda che l’art. 22 comma 1 della legge sul procedimento amministrativo prevede quale forma generale di accesso quella di prendere visione ed estrarre copia dei documenti amministrativi, e non la facoltà alternativa di procedere nell’uno o nell’altro modo.



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