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Valutazioni amministrative e somministrazione dei vaccini. Effettività della tutela giurisdizionale

di Roberto Lombardi • mag 28, 2021

T.A.R. per il Lazio, decreto n. 2845 pubblicato in data 18 maggio 2021


IL CASO E LA DECISIONE

Una cittadina aderente alla campagna di vaccinazione anti-covid 19 si è vista posticipare la data di somministrazione della seconda dose del vaccino Comirnaty (anche noto come “Pfizer”, dal nome del produttore), da quella originariamente prevista (17 maggio) ad una successiva (31 maggio).

Ha chiesto pertanto al Tribunale amministrativo competente di sospendere la determinazione della Regione Lazio in base alla quale è stato adottato il rinvio, unitamente alla circolare del Ministero della Salute del 5 maggio 2021 e al presupposto parere del comitato tecnico-scientifico del 30 aprile 2021 n. 13, per i profili incidenti sulla sua posizione individuale.

Il TAR del Lazio, con decreto monocratico presidenziale pronunciato “per il caso di estrema gravità ed urgenza” (art. 56 c.p.a.), dopo avere osservato che la prima camera di consiglio utile per la celebrazione dell’udienza di trattazione della domanda cautelare era quella prevista per l’1 giugno, e che la data inizialmente prevista per la somministrazione della seconda dose di vaccino era nel frattempo già trascorsa, ha respinto la domanda di sospensiva, sulla base delle seguenti osservazioni:

- la domanda cautelare ex art. 56 c.p.a. riveste carattere di eccezionalità, nel sistema delle tutele assicurate dal codice del processo amministrativo, sostituendo all’ordinaria cognizione collegiale quella monocratica,  e traducendosi in un accoglimento al mero fine di mantenere adhuc integra la res litigiosa, vale a dire onde evitare un pregiudizio irreparabile tale da rendere la decisione di merito come inutiliter data;

- la cognizione presidenziale urgente non può affrontare alcun profilo di merito, dovendosi limitare alla valutazione della sussistenza del ridetto pregiudizio, pena un’inammissibile compressione della valutazione collegiale, che rimane astretta alla medesima fase processuale, ovvero quella cautelare;

- la ricorrente aveva ormai irreparabilmente subìto la lesione del proprio interesse principale, vale a dire la somministrazione alla data originariamente prevista;

- l’individuazione di una data diversa ma in ogni caso prossima a quella ormai scaduta e comunque precedente a quella del 31 maggio già fissata si sarebbe sostanziata nella richiesta al giudice di sostituirsi all’amministrazione, con conseguimento di quanto solo la sentenza di merito può assicurare, e ciò anche ove si ordinasse all’amministrazione di provvedere alla scelta di una nuova data e non si fissasse la stessa ex officio.


QUESTIONI SOSTANZIALI E PROCESSUALI

Il nucleo fondamentale del ricorso esaminato dal Giudice adito – al di là dell’esito schiettamente processuale della domanda cautelare, su cui si tornerà – tende a porre in discussione la decisione della Regione Lazio di “aderire” immediatamente, incidendo sull’intervallo temporale già prestabilito tra la somministrazione della prima e della seconda dose del vaccino anti covid-19, alle nuove indicazioni provenienti dal Ministero della Salute.

In particolare, il suddetto Ministero aveva “veicolato” agli organi competenti, tramite circolare, le ulteriori specificazioni contenute in un parere del Comitato tecnico-scientifico sull'estensione dell'intervallo tra le dosi di vaccino a mRNA, oltre che sulla seconda dose del vaccino Vaxzevria.

Tali ulteriori specificazioni erano del seguente tenore letterale: “In relazione all’evoluzione nella conduzione della campagna vaccinale contro SARS-CoV-2, il CTS rimarca che rimane una quota significativa di soggetti non vaccinati che, in ragione di connotazioni anagrafiche o per patologie concomitanti, sono a elevato rischio di sviluppare forme di COVID-19 marcatamente gravi o addirittura fatali. Sulla scorta di questa considerazione, pur a fronte di studi registrativi che indicano come l’intervallo tra la prima e la seconda dose dei vaccini a RNA (PfizerBioNtech e Moderna) sia di 21 e 28 giorni rispettivamente, è raccomandabile un prolungamento nella somministrazione della seconda dose nella sesta settimana dalla prima dose.

Questa considerazione trova il suo razionale nelle seguenti osservazioni:

• la somministrazione della seconda dose entro i 42 giorni dalla prima non inficia l’efficacia della risposta immunitaria;

• la prima somministrazione di entrambi i vaccini a RNA conferisce già efficace protezione rispetto allo sviluppo di patologia COVID-19 grave in un’elevata percentuale di casi (maggiore dell’80%);

• in uno scenario in cui vi è ancora necessità nel Paese di coprire un elevato numero di soggetti a rischio di sviluppare forme gravi o addirittura fatali di COVID-19, si configurano condizioni in cui è opportuno dare priorità a strategie di sanità pubblica che consentano di coprire dal rischio il maggior numero possibile di soggetti nel minor tempo possibile; […]

Il parere potrà in futuro essere supportato da ulteriore approfondimento epidemiologico su: letalità per fascia d’età, infetti per fascia l’età (dati correnti delle nuove infezioni), stima degli infetti modellizzata anche rispetto ai dati dello studio di prevalenza.

Inoltre, il CTS ritiene che, sulla scorta delle informazioni a oggi disponibili sull’insorgenza di trombosi in sedi inusuali (trombosi dei seni venosi cerebrali, trombosi splancniche, trombosi arteriose) associate a piastrinopenia, riportate essersi verificate solamente dopo la prima dose del vaccino di AstraZeneca, i soggetti che hanno ricevuto la prima dose di questo vaccino senza sviluppare questa tipologia di eventi, non presentano controindicazione per una seconda somministrazione del medesimo tipo di vaccino. Questa posizione potrà essere eventualmente rivista qualora dovessero emergere evidenze diverse nelle settimane prossime venture, derivanti in particolare dall’analisi del profilo di sicurezza del vaccino nei soggetti che nel Regno Unito hanno ricevuto la seconda dose”.

Si tratta di valutazione in parte tecnica e in parte di opportunità, che può dunque essere sindacata soltanto se manifestamente illogica o basata su errati presupposti di fatto.

Resta il dubbio sul profilo di contrasto tra quanto prescritto dall’azienda farmaceutica e quanto si va concretamente a stabilire, con assunzione di rischio da parte di chi somministra il vaccino  connessa ad una tempistica delle somministrazioni che è da considerarsi al di fuori del protocollo sperimentale di chi ha prodotto il vaccino stesso.

L’applicazione immediata di tale nuova “modalità” di somministrazione da parte dell’ente somministrante (Regione) – quanto all’intervallo temporale da rispettare tra prima e seconda dose – è anch’essa una scelta di tipo discrezionale o comunque di opportunità e quindi sindacabile sotto il profilo della possibile violazione dei principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, che vanno peraltro sempre contemperati con i principi pari ordinati di efficienza ed efficacia dell’agere pubblico.

D’altra parte, non pare una strada percorribile far discendere dal consenso espresso dal paziente in sede di prima somministrazione – consenso che è precipuamente rivolto alla conoscenza e accettazione del rischio connesso al tipo di farmaco che va somministrandosi – un’estensione di tale consenso, quasi in termini contrattuali, anche alla programmazione della seconda data di somministrazione, potendosi al più esigere la somministrazione nel tempo previamente stabilito, soltanto se il ritardo sia astrattamente idoneo a cagionare un serio rischio per la salute del soggetto interessato (ma nel caso di specie il comitato tecnico-scientifico, come visto, ha escluso tale eventualità).

Dal punto di vista processuale, la decisione del Giudice monocratico (Presidente della Sezione presso cui è incardinato il ricorso) si pone ad un crocevia delicato di diversi interessi tra di loro ugualmente rilevanti.

L’art. 56, comma 1 del codice del processo amministrativo stabilisce che “prima della trattazione della domanda cautelare da parte del collegio, in caso di estrema gravità ed urgenza, tale da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di consiglio, il ricorrente può, con la domanda cautelare o con distinto ricorso notificato alle controparti, chiedere al presidente del tribunale amministrativo regionale, o della sezione cui il ricorso è assegnato, di disporre misure cautelari provvisorie”.

A loro volta, come noto, le misure cautelari servono ad evitare di subire un pregiudizio grave e irreparabile “durante il tempo necessario a giungere alla decisione sul ricorso” ed è ordinariamente il Collegio a disporle, motivando in ordine alla valutazione del pregiudizio allegato e indicando i profili che, ad un sommario esame, inducono ad una ragionevole previsione sull'esito del ricorso.

Dall’analisi del disposto normativo appena citato emerge dunque che soltanto se vi è una situazione di estrema gravità e urgenza il Presidente, in qualità di organo monocratico, si può sostituire al Collegio nel disporre misure cautelari “provvisorie”, che mantengono la loro efficacia fino a quando non sarà proprio il Collegio a decidere la fase interinale.

Nel caso esaminato dal TAR Lazio si è profilata un’ipotesi di scuola che però non è stata contemplata dal codice del processo amministrativo e che di tanto in tanto ricorre, nell’ambito dei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione: se il giudice non sospende immediatamente l’efficacia del provvedimento impugnato, il ricorrente perde definitivamente il bene della vita primario e quindi l’interesse ad una decisione di merito sulla domanda di annullamento proposta; ma se il giudice sospende il provvedimento impugnato, restituendo, ad esempio, efficacia alla situazione pregressa (come nel caso della signora che aveva già un appuntamento fissato per la seconda dose in epoca precedente sia a quello ricalendarizzato sia alla prima camera di consiglio collegiale utile), di fatto chiude la controversia attribuendo definitivamente, e per di più in fase monocratica, il bene della vita al ricorrente.

Questo capita perché il provvedimento amministrativo sottoposto alla valutazione di legittimità del giudice determina la sussistenza di una fattispecie materiale che si realizza soltanto una volta all’interno del periodo temporale di interesse o che si consuma definitivamente, quanto ad effetti concreti sui soggetti coinvolti, prima della decisione collegiale.

Quid iuris, dunque?

Sono ipotesi di scuola che però meriterebbero una più approfondita riflessione, per le possibili conseguenze negative sul principio di effettività della tutela giurisdizionale.

Posto che la rinuncia preventiva a tale tutela, seppure in casi limite, pare in contrasto con i più elementari principi dello Stato di diritto, ed esclusa la rilevanza in queste fattispecie dell’istituto della cauzione “compensativa”, una soluzione potrebbe essere (e viene a volte adottata nella prassi) - qualora sia impossibile fissare una udienza ad horas, come normativamente previsto per il processo elettorale -, quella di interpretare il potere decisionale insito nel decreto presidenziale in una dimensione più vicina a quella di merito che a quella cautelare.

In altri termini, si dovrebbe convertire se del caso un istituto processuale eccezionale e sbilanciato sulla gravità e sull’urgenza del pregiudizio, a scapito del “fumus”, in un rimedio monocratico immediato e assimilabile ad una sentenza di merito, con il non trascurabile problema, in questa ipotesi, che il decreto cautelare ante causam di rigetto non è astrattamente impugnabile, ex art. 61, comma 4 c.p.a.. 

D’altra parte, invece, se il problema si pone in sede di valutazione collegiale della domanda cautelare, il codice del processo amministrativo offre due potenziali strumenti idonei a garantire insieme l’effettività e l'equità della tutela giurisdizionale, ovvero la sentenza “breve” ex art. 60 c.p.a. o la sollecita fissazione della discussione del ricorso nel merito ex art. 55, comma 10 c.p.a..



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