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Spigolature 3. Il nichilismo giuridico

Sergio Conti • dic 11, 2022

Dedicherò una serie di segnalazioni al tema del “nichilismo giuridico”.

A mo' di introduzione non può che partirsi da Natalino Irti, che ha dedicato un libro al tema (Roma/Bari 2004).

L'illustre Aurore, nella voce redatta nel 2007 per l'aggiornamento dell'Enciclopedia Treccani (reperibile all'indirizzo www.treccani.it/enciclopedia/nichilismo-giuridico_%28Enciclopedia-Italiana%29/), così descrive il fenomeno: “L'espressione è segnalata in un autore tedesco del primo Novecento, riaffiora in saggi di rivista, dà titolo a un libro nel 2004. Essa non designa un preciso indirizzo di filosofia, né una concezione generale del diritto, ma piuttosto raccoglie ed esprime i caratteri della modernità giuridica. La connessione tra nichilismo e modernità, e come questa si svolga e concluda in quello, è tema centrale dell'indagine.”

Irti specifica che: Per modernità giuridica vogliamo intendere che la posizione di norme è consegnata, sempre e soltanto, alla volontà dell'uomo; e che nessun criterio esterno è legittimato a guidare e valutare le scelte così compiute. La decisione della volontà sta a sé e nulla riconosce dietro o sopra di sé. Non già che la volontà intuisca o interpreti un ordine cosmico e prenda luogo nella totalità delle cose; non già che la singola scelta rifletta una sapienza eterna o un consiglio divino: la norma è posta nella solitaria nudità della decisione umana.

Alla modernità sono estranei sia l'originaria adesione a un ordine cosmico, che stringa insieme divinità, natura, storia degli uomini, sia il più tardo dualismo tra physis e nomos. Questo dualismo - risalente alla sofistica greca e perpetuatosi, con varianti sia laiche sia religiose, fino all'inizio del 21° sec. - rompe l'unità tra volere umano e legge dell'universo e lascia emergere, al di sopra o contro il diritto positivo, un criterio di giudizio capace di conferire o di negare validità alle norme decise dall'uomo.

L'interrogarsi sulla validità del diritto positivo, poiché sottintende che positività non coincide necessariamente con la validità, apre la strada ai tormentosi e drammatici dualismi da cui è segnata l'intera storia del diritto. Allorché sorge la domanda sulla validità del diritto positivo - e, dunque, circa la questione se esso è come deve essere -, si frange infatti l'originaria unità e si apre un dualismo interno alla stessa posizione di norme, le quali non sono lasciate in sé sole a misurarsi dentro il loro proprio congegno e organismo, ma vengono tratte dinanzi a un criterio valutativo che le approva o disapprova, riconosce o rifiuta, convalida o invalida. Si moltiplicano così distinzioni e antitesi: norme valide e ingiuste; norme valide e giuste; e così via.

I dualismi, generati dalla rottura dell'unità originaria, esprimono, a loro volta, il bisogno di unità, dove si costruisca e dove si plachino le tensioni interne al diritto.

Va rilevato che Irti pare dare, per lo meno in forma implicita in questo scritto, un giudizio positivo del nichilismo giuridico (giudizio che risulta più manifesto nel libro del 2004 e nella sua successiva opera “Un diritto incalcolabile” Torino 2016).

Invito, intanto, a leggere l'intera voce enciclopedica che ricapitola i tratti costitutivi del fenomeno e le conseguenze che ne derivano.

Nelle successive spigolature saranno segnalate le criticità rilevate da altri studiosi nel fenomeno, anche nella sua dimensione processualistica.




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