Blog Layout

Sanzioni tributarie e potere di riduzione proporzionale

aggiornamento a cura di Alma Chiettini • apr 10, 2023

Corte Cost., 17 marzo 2023, n. 46


Una Corte di Giustizia tributaria di merito, esaminando una vicenda che aveva visto il contribuente aver omesso una dichiarazione ma avere versato imposte e sanzioni ridotte prima di ricevere l’avviso di accertamento, ha dubitato della tenuta costituzionale della disciplina sanzionatoria, ossia della ragionevolezza e della proporzionalità della sanzione prevista per il caso di omessa presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, sanzione quantificata nell’importo minino del 120% e massimo del 240% dell’ammontare delle imposte dovute (art. 1, comma 1, primo periodo, d.lgs. n. 471 del 1997).

La Corte costituzionale ha risposto con un’articolata pronuncia cui ha anteposto una premessa di carattere generale sulle ragioni che giustificano le sanzioni gravose in caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, premessa che vale riportare: «un sistema di fiscalità di massa poggia sull’architrave dell’autoliquidazione delle imposte, cui deve corrispondere, nell’ambito dell’imposta sui redditi, la fedele compilazione e la tempestiva presentazione della dichiarazione, che costituisce uno degli atti più importanti nell’ambito della disciplina attuativa di tale imposta. Tramite la dichiarazione dei redditi il contribuente è pertanto chiamato a collaborare … con l’amministrazione finanziaria, esponendosi quindi ai relativi controlli. Tale dichiarazione ha, infatti, una rilevanza procedimentale: consente all’Agenzia delle entrate, innanzitutto, di attivare i controlli automatizzati e formali, di cui, rispettivamente, agli artt. 36-bis e 36-ter del d.P.R. n. 600 del 1973; condiziona poi l’accertamento e determina, in particolare, i metodi di rettifica del reddito dichiarato. In tal modo la presentazione della dichiarazione agevola le attività dell’amministrazione finanziaria, che dovrà invece ricorrere ad altri e più impegnativi strumenti nei confronti di quei contribuenti che, non assumendo tale atteggiamento collaborativo, presumibilmente sono orientati a sottrarsi totalmente al versamento delle imposte dovute. In caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, infatti, l’Agenzia delle entrate può anche procedere, ai sensi dell’art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973, all’accertamento d’ufficio, di carattere induttivo, che consente di determinare il reddito complessivo del contribuente “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui al terzo comma dell’art. 38 e di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze della dichiarazione, se presentata, e dalle eventuali scritture contabili del contribuente ancorché regolarmente tenute”. Ma resta fermo che questa attività di accertamento implica un impegno ben superiore, in termini di risorse umane, rispetto a quello normalmente richiesto per la effettuazione degli altri controlli, e in particolare di quelli automatizzati e formali. Di qui l’esigenza, per il buon funzionamento del sistema tributario, che l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi sia presidiata da una sanzione con un forte effetto deterrente».

La Corte ha però riconosciuto che, per alcune situazioni (quale era quella esaminata nel giudizio a quo ove il contribuente, per effetto dell’applicazione del minimo edittale, era chiamato a versare una cifra maggiore dell’imposta già versata) «può venir meno un rapporto di congruità tra il concreto disvalore dei fatti e la misura della sanzione».

Ebbene, in tali casi, ha affermato la Corte, è possibile una lettura sistematica dell’art. 1, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 471 del 1997, in correlazione con un’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997.

Per giungere a tale conclusione (un vero e proprio suggerimento) la Corte delle leggi ha preso in esame l’evoluzione storica del sistema sanzionatorio tributario per giungere a osservare che l’attuale sistema (incentrato sui tre d.lgs. del 1997 n. 471 relativo alle sanzioni in materia di imposte dirette e IVA, n. 472 di adeguamento ai principi generali della l. n. 689 del 1981, n. 473 per le sanzioni relative ai tributi indiretti) ha mutuato la propria disciplina dal diritto punitivo, come dimostra, per esempio, l’introduzione del principio dell’intrasmissibilità delle sanzioni agli eredi e quello della retroattività della normativa successiva più favorevole, e come afferma anche la Corte di cassazione ove sostiene che “l’impianto sanzionatorio non penale nella materia tributaria risponde a uno stampo penalistico” (Corte cass., Sezioni Unite, 27 aprile 2022, n. 13145).

Innovativa, a tali fini, è stata l’introduzione dell’art. 7 del d.lgs. n. 472 del 1997, che stabilisce che nella determinazione della sanzione «si ha riguardo alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali» (comma 1) e che contempla la facoltà di ridurre in modo consistente la misura della sanzione: «qualora concorrano eccezionali circostanze che rendano manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo» (comma 4). Comma 4 che, viene ribadito, deve essere letto non atomisticamente ma in rapporto col precedente comma 1: in questi termini, infatti, il perimetro di applicazione del comma 4 viene dilatato, considerando, tra le «circostanze» che possono determinare la riduzione fino al dimezzamento della sanzione quanto indicato nel comma 1 dello stesso articolo, ossia la condotta dell’agente e l’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze.

Il comma 4 dell’art 7 del d.lgs. n. 472 del 1997 è dunque «una opportuna valvola di decompressione che è atta a mitigare l’applicazione di sanzioni, come quella stabilita dalla norma censurata, che, strutturate per garantire un forte effetto deterrente al fine di evitare evasioni anche totali delle imposte, tendono a divenire draconiane quando colpiscono contribuenti che invece tale intento chiaramente non rivelano».

E il comma 4 dell’art 7, che pertanto consente la riduzione della sanzione, può essere applicato già dall’Agenzia delle Entrate poiché essa dispone, fin dal momento della irrogazione della sanzione, degli elementi di valutazione utili. E comunque dalla Corte di Giustizia tributaria nell’ambito del contenzioso, anche a prescindere da una formale istanza di parte, ogni qualvolta sia stato articolato un motivo di impugnazione sulla debenza o sull’entità delle sanzioni irrogate e risultino allegate circostanze tali da consentirlo.


Share by: