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LEGITTIMAZIONE ATTIVA ALL’IMPUGNAZIONE DELL’INTERDITTIVA ANTIMAFIA

ago 13, 2022

Non può rinvenirsi legittimazione attiva in capo agli amministratori ed ai soci della persona giuridica colpita da interdittiva antimafia.

Invero, il decreto prefettizio può essere impugnato dal soggetto che ne patisce gli effetti diretti, e quindi, dal destinatario dell’atto, e cioè dalla società, in quanto solo il destinatario subisce la lesione immediata e diretta alla sua posizione giuridica soggettiva di interesse legittimo che consente il ricorso dinanzi al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a..

D’altra parte, laddove la lesione lamentata dal ricorrente riveste ed è stata da egli stesso qualificata come lesione del suo “diritto” alla reputazione, alla dignità - situazione giuridica soggettiva che non ha natura di interesse legittimo, ma di diritto soggettivo -, vi è carenza di titolarità di interesse legittimo.

Se è vero che il carattere di persona giuridica attribuito alla società non può elidere la natura contrattuale e dunque il legame indissolubile con i contraenti, ossia i soci, o con le persone fisiche che, come gli amministratori, svolgono alcuni ruoli indispensabili perché la società possa determinarsi ad operare, è altresì vero che gli amministratori e/o i soci non sono i destinatari diretti dell’esercizio del potere amministrativo, essendovi relazione diretta solo tra potere amministrativo e persona giuridica.

Il proprio (possibile e riflesso) pregiudizio emerge duque solo per effetto di un diverso rapporto (di natura contrattuale o di altro tipo) che li lega al destinatario diretto (la società).

Ma questo rapporto, estraneo alla relazione intersoggettiva tra destinatario dell’atto e pubblica amministrazione, è inidoneo a far sorgere situazioni di interesse legittimo e impedisce, quindi, di configurare sul piano processuale la legittimazione ad agire nei confronti del provvedimento di interdittiva antimafia.

Ciò non significa che tale provvedimento non possa produrre “pregiudizi” sulla loro sfera giuridica, ma QUESTI PREGIUDIZI, in ogni caso, non possono sorreggere la legittimazione ad impugnare, bensì solo, nell’ambito del sindacato giurisdizionale di legittimità, e ricorrendone i presupposti, un intervento in giudizio (Adunanza Plenaria n. 3 del 2022)



Nell’ambito del processo amministrativo impugnatorio, la legittimazione e l’interesse al ricorso integrano condizioni dell’azione necessarie per consentire al giudice adito di pronunciare sul merito della controversia, condizioni che devono esistere al momento della proposizione della domanda processuale e persistere fino alla decisione della vertenza.

La legittimazione e l’interesse al ricorso trovano giustificazione nella natura soggettiva della giurisdizione amministrativa, che non risulta preordinata ad assicurare la generale legittimità dell’operato pubblico, bensì tende a tutelare la situazione soggettiva del ricorrente, correlata ad un bene della vita coinvolto nell’esercizio dell’azione autoritativa oggetto di censura.

Il giudice procedente, in particolare, deve quindi pregiudizialmente verificare l’esistenza in capo alla parte ricorrente:

- di una posizione qualificata e differenziata (avente consistenza di interesse legittimo), correlata al bene della vita oggetto di esercizio del pubblico potere, idonea a distinguere il ricorrente da ogni altro consociato (accertamento strumentale alla verifica della legittimazione al ricorso);

- di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente, suscettibile, pertanto, di essere beneficiato - e, dunque, di trarre un’utilità effettiva - da un’eventuale sentenza di accoglimento della propria impugnazione.

Invero, ciò che caratterizza l’interesse legittimo – e che costituisce la differenza essenziale dello stesso dal diritto soggettivo – è la sua inerenza alla esistenza e, soprattutto, all’esercizio del potere amministrativo: l’interesse legittimo, infatti, non è percepibile sul piano, per così dire, “statico”, senza, cioè, che la pubblica amministrazione abbia esercitato o negato di esercitare, nei confronti del soggetto, il potere del quale essa è titolare.

La posizione di interesse legittimo (alla quale inerisce la legittimazione ad agire in sede processuale) presuppone dunque ed esprime necessariamente una relazione intercorrente tra un soggetto che ha (o intende ottenere) una determinata utilità (riferita ad un “bene della vita”), e la pubblica amministrazione nell’esercizio di un potere ad essa attribuito dall’ordinamento giuridico, sia che tale utilità consista nel neutralizzare l’esercizio del potere amministrativo, a tutela di un patrimonio giuridico già esistente che verrebbe altrimenti compresso; sia se volta ad ottenere l’esercizio del potere amministrativo negato dall’amministrazione, attraverso il quale si intende(va) conseguire un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.

Il primo riflesso di tale relazione diretta ed immediata è rappresentato dalla cd. partecipazione procedimentale, dalla possibilità, cioè, riconosciuta a titolari di posizioni qualificate (dall’essere interessate all’esercizio del potere) al modo stesso, epifanico, del “farsi” del potere amministrativo, alla costruzione delle determinazioni della pubblica amministrazione, nel luogo a ciò destinato, il procedimento amministrativo.

Ulteriore riflesso della relazione diretta ed immediata tra soggetto titolare di interesse legittimo e pubblica amministrazione è rappresentato dal potere di agire in giudizio per la tutela del proprio interesse legittimo compromesso dall’esercizio o dal mancato esercizio (provvedimento negativo) del potere amministrativo.

In tal senso, il giudizio amministrativo, nella sua forma di giudizio impugnatorio di atti, tende ad assicurare, al soggetto che si ritiene leso, un vantaggio che, attraverso l’eliminazione del provvedimento lesivo, consiste o nel recuperare la pienezza del proprio patrimonio giuridico ovvero nel conseguire (o tentare di conseguire) attraverso l’esercizio del potere amministrativo un ampliamento del proprio patrimonio giuridico.

Le caratteristiche di “personale” e “diretto”, che devono assistere l’interesse legittimo, svolgono, sul piano sostanziale, anche il ruolo di definire l’ambito della (possibile) titolarità della posizione giuridica, il riconoscimento e tutela della medesima da parte dell’ordinamento giuridico.

Nell’ambito della situazione dinamica in cui si pone l’esercizio del potere amministrativo, dunque, l’interesse è “personale” in quanto si appunta solo in capo al soggetto che si rappresenta come titolare, ed è altresì (inscindibilmente con la prima caratteristica), anche “diretto”, in quanto il suo titolare è posto in una relazione di immediata inerenza con l’esercizio del potere amministrativo (per essere destinatario dell’atto e/o per avere nei confronti dell’atto una posizione opposta, speculare a quella del destinatario diretto).

Ne consegue che non possono esservi posizioni di interesse legittimo nei confronti della pubblica amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo conferitole dall’ordinamento, che non siano quelle (e solo quelle) che sorgono per effetto dello stesso statuto normativo del potere, nell’ambito del rapporto giuridico di diritto pubblico, (pre)configurato normativamente.

Mentre gli attributi di “personale” e “diretto” attengono all’interesse legittimo in quanto posizione sostanziale, e consentono di circoscriverne la titolarità, l’ulteriore attributo di “attuale”, attiene alla proiezione processuale della posizione sostanziale, alla emersione della esigenza di tutela per effetto di un atto concreto e sincronicamente appezzabile di esercizio di potere, che renda dunque necessaria l’azione in giudizio, onde ottenere tutela, e quindi “utile”, a tali fini, la pronuncia del giudice.

E’ tale posizione giuridica, nei sensi sopra descritti, che legittima al ricorso avverso l’atto amministrativo lesivo, se ed in quanto, attraverso l’annullamento dell’atto, si conserva o consegue (o si può conseguire, anche attraverso il riesercizio del potere amministrativo) quella utilità di cui si è, o si ritiene di dovere diventare, o si intende diventare, “titolare”.

Al contrario, laddove non è individuabile tale posizione, ma purtuttavia sono enucleabili generiche posizioni di interesse (anche derivanti da rapporti, quale che ne sia la fonte, intercorrenti tra soggetto in relazione con il potere amministrativo ed ulteriori soggetti), queste ultime – che ben possono ricevere indirettamente e/o di riflesso, un “pregiudizio”- legittimano i loro titolari a spiegare intervento in giudizio, ma non già ad impugnare autonomamente il provvedimento lesivo della sfera giuridica del soggetto con il quale intrattengono a diverso titolo rapporti giuridici.



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