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Le prerogative dell'indipendenza (ovvero l'imprevedibilità del gancio cielo)

di Roberto Lombardi • lug 31, 2022

(Una particolare definizione di "indipendenza" nel basket:  "Il gancio cielo non è un tiro come gli altri. Per farlo bene un giocatore deve comprendere un principio fondamentale: l'isolamento. Se tu sei il più alto, tutti vogliono un pezzo di te. Il gancio cielo li tiene lontani, trasforma il tuo corpo in un muro al di là del quale non ti possono toccare e nemmeno guardarti in faccia. E per questo, tu sei imprevedibile, e quindi, quando vuoi, quando sei pronto per farlo, ti lasci il mondo alle spalle, ti elevi al di sopra di esso. Finché resti totalmente, assolutamente solo (così Kareem Abdul-Jabbar, a proposito del suo marchio di fabbrica).


Indipendenza sta ad indicare assenza di dipendenza, separazione da posizioni precostituite, alterità rispetto ad identità che trovano un comune e consolidato riconoscimento.

Può avere un valore statico, quando costituisce l'essenza di una dimensione spontanea o elettiva, ma può giovarsi anche di una lettura dinamica, quando rappresenta una forma di distacco da una precedente appartenenza.

L'indipendenza ha alcune prerogative, che possono costituire un limite o una risorsa, a seconda dei casi.

Non bisogna infatti mai dimenticare – ed è in questo senso la critica dominante nei confronti di chi ostenta la propria indipendenza – che la libertà da uno stato di soggezione o comunque una condizione per definizione non subordinata possono involontariamente spingere ad un rifiuto aprioristico del giudizio e del modo di pensare e agire altrui.

Quanto al concetto di prerogativa, essa indica, in generale, e nel senso latino del termine, la possibilità di votare "prima degli altri".

In chiave più estensiva, può essere concepita come l'attribuzione speciale che viene riconosciuta ai titolari di cariche pubbliche, e richiama una sorta di privilegio, se intesa come possibilità giuridica di compiere attività non consentite a chiunque.

Tuttavia, nel senso più nobile ed esteso del termine, la prerogativa assume la forma e la sostanza di una qualità distintiva o di una caratteristica specifica di una persona o di una cosa, che rendono quella persona o quella cosa speciali e degne di rispetto e ammirazione.

Ecco allora che le  prerogative dell'indipendenza  non possono che essere intese come attributi naturalmente buoni, segni distintivi di una posizione essenzialmente scevra da pregiudizi e contrapposizioni ideologiche.

Non si tratta di neutralità, di egoistico disinteresse rispetto alle piccole e grandi questioni quotidiane e di sistema, ma di un modo di affrontare la vita secondo criteri non influenzabili, se non per imitazione volontaria, da gruppi di potere precostituiti e organizzati.

Ma quali sono queste prerogative?

Innanzitutto, la  "lontananza".

Si consuma una sorta di distacco rispetto a persone e vicende ordinarie. Non vi è rifiuto o sprezzante indifferenza, ma assenza di vicinanza emotiva nell’approccio ai fatti.

Amicus Plato, sed magis amica veritas, dice una locuzione latina. Non essendovi vincolo di appartenenza, ne deriva una necessaria indifferenza rispetto alla fonte o al protagonista della questione da esaminare; questa indifferenza trae la sua linfa e la sua ragione di essere non dall’assenza di rapporti umani significativi (“amicus Plato”) ma dalla necessità di non essere fuorviati da tale rapporti nella comprensione dei fatti e nella elaborazione delle soluzioni ("sed magis amica veritas"). 

In secondo luogo, la  competenza

Per essere indipendenti occorre essere competenti. Non esiste il recepimento acritico del suggerimento, non esiste il sentito dire, men che meno l’errore basato su superficialità e assenza di controllo delle fonti di conoscenza.

La competenza è la garanzia massima della capacità di competere con gruppi organizzati e gerarchizzati, in cui il sapere è elaborato e distribuito selettivamente (e con cura) dalla classe dirigente per mantenere il controllo degli associati. 

Infine, l'imparzialità.

E’ un termine abusato, che spesso richiama un criterio di giustizia, di merito. Ma è anche il naturale corollario della “lontananza”, da cui si distingue perché, mentre la prima opera a monte dell’indipendenza, l’imparzialità opera a valle, nell’approccio ai singoli atti concreti.

E’ la stella polare di un giudizio, di una valutazione equidistante, non influenzabile da interessi personali o simpatie di qualsivoglia genere.

L’imparzialità, ma più in generale tutto il concetto di indipendenza, interna ed esterna, hanno molto a che vedere con lo  status  del Giudice in Italia e con le sue prerogative di autogoverno, di controllore cioè di sé stesso.

Recentemente, prima e dopo la  riforma Cartabia  – nata dalle fosche nubi della "vicenda Palamara" -, hanno avuto spazio alcune iniziative interessanti, con riferimento alle prossime elezioni della componente togata del CSM, di quei Giudici cioè che vanno a costituire il nocciolo duro del  parlamentino  che decide su promozioni, trasferimenti e punizioni dei magistrati ordinari.

Tutti o quasi tutti sono d’accordo nell’individuare tra i grandi mali della magistratura italiana l’esistenza delle cosiddette “correnti”, per la vischiosità, lo spirito di appartenenza degli aderenti e la concentrazione di potere che ne deriva, ma nessuno – legislatore compreso – ha individuato la cura per ridurre l’influenza delle correnti sui meccanismi interni della magistratura, e diminuire l’opacità dei processi decisionali in seno all'organo di autogoverno.

Alcuni magistrati ordinari si sono tuttavia organizzati con un metodo per certi versi rivoluzionario, ovvero il cosiddetto “sorteggio anticipato”.

Il concetto è di individuare le candidature prima che i gruppi organizzati decidano chi designare per le elezioni; è stato pertanto effettuato un sorteggio dinanzi a un notaio, che ha creato una sorta di graduatoria casuale tra tutti i circa 10.000 magistrati ordinari, a cui è seguita l’individuazione, seguendo la graduatoria stessa, e al netto delle indisponibilità, di undici candidati alle elezioni del Csm: otto giudici di merito (due per ogni collegio), un pubblico ministero e un consigliere di Cassazione.

La novità è degna di nota, e non vi è dubbio che il candidato, tra quelli individuati per sorteggio, che dovesse essere eletto, non avrà vincoli di appartenenza o di dipendenza da nessuna delle correnti.

Contemporaneamente, l'introduzione effettiva della  parità di genere  all'interno delle candidature dei togati - è di questi giorni la notizia dell'individuazione per sorteggio da parte della Cassazione di 39  magistrate  ai fini di integrazione delle liste - potrebbe dare a qualche spirito libero la possibilità di votare candidati astrattamente autonomi rispetto alle scelte di corrente. 

Nel frattempo, nell’ambito della  giustizia amministrativa  – in cui è probabilmente più facile sperimentare, per le ridotte dimensioni dell’organico complessivo e il minore impatto delle sue decisioni sull’opinione pubblica (ma non certo sull’economia e sulle Istituzioni) – è stato registrato un passaggio storico.

Alle elezioni dei magistrati che vanno a rappresentare i giudici di primo grado in seno all’organo di autogoverno, è stato eletto, per la prima volta, un  candidato indipendente, presentatosi cioè al di fuori e senza l'appoggio delle due correnti in cui è divisa la componente sindacale interna ai Tar.

E’ stato un voto per certi versi in controtendenza rispetto alle ordinarie dinamiche che caratterizzano questi passaggi elettivi ordinamentali, che normalmente privilegiano il candidato con più conoscenze/amicizie interne, quello con maggiore vissuto sindacale, quello con il più forte sponsor o quello che beneficia di un sistematico e mirato riequilibrio di voti in seno alla corrente più forte.

Nel caso del candidato indipendente – al contrario – il singolo elettore ha dovuto confrontarsi con un magistrato dalle caratteristiche molto marcate di  lontananza  e  imparzialità, ed era conscio di non potere ricevere “nulla” in cambio del voto, ma ugualmente speranzoso di poter contare sulla sua competenza nell’interesse dell’intera categoria.

In altri termini, niente di più lontano da un voto opportunistico o di appartenenza. 

E la politica? La politica deve scegliere i soggetti estranei alla magistratura da inviare, insieme ai magistrati, negli organi di autogoverno della giustizia nazionale.

Si tratta essenzialmente di professori universitari di diritto e avvocati la cui selezione è scandita da logiche astrattamente diverse da quelle del merito, e che trae invece la sua "linfa" da una sorta di spartizione concordata degli incarichi disponibili tra le forze politiche (le quali tendono dunque a scegliere l'amico di area).

Nulla di male, in fondo.

Ma, di certo, qui manca senz'altro almeno una delle prerogative dell'indipendenza.

Non vi è probabilmente – e paradossalmente - la lontananza, perché lo  status  del componente esterno alla magistratura risente direttamente della volontà politica di chi ne ha voluto la nomina, e il passaggio ad ulteriori incarichi, sempre di scelta cosiddetta fiduciaria, è soggetto ad una preliminare valutazione, effettuata con criteri spesso insensibili al bene comune, dell’attività svolta. 

Potrebbe per assurdo mancare la competenza, se questa viene intesa nel senso sopra enunciato, come capacità di conoscere autonomamente questioni e soluzioni specifiche. Si tratta in fondo di professionisti spesso avulsi dalle dinamiche interne delle singole magistrature.

È infine fortemente a rischio anche l'imparzialità, perché il voto su questioni di massima può risentire inevitabilmente della sensibilità dell'area da cui proviene il professionista.

Il 21 settembre prossimo venturo, il Parlamento in seduta comune, quello tuttora in carica, si sarebbe dovuto riunire per eleggere i professori e gli avvocati che vanno per l’appunto a costituire i componenti laici del Consiglio superiore della magistratura. Ma la data non è più in calendario perché a Camere sciolte non sarebbe possibile procedere, specie quattro giorni prima delle elezioni politiche.

Quindi toccherà quasi certamente ai nuovi deputati e senatori eleggere i laici di Palazzo dei Marescialli, senza i quali il nuovo Consiglio non può iniziare la sua fondamentale attività. Idem per la giustizia amministrativa.

Ancora una volta la politica, quando nei fatti si tratta di dimostrare una reale volontà di cambiamento, manifesta completa insensibilità per i meccanismi operativi interni al sistema giustizia.

La contingenza elettorale sacrifica la necessità di avere un organo di autogoverno nel pieno dei suoi poteri entro i tempi stabiliti dalla legge. E questo financo quando è stato lo stesso legislatore a modificare il sistema di elezione dei giudici sperando di evitare in futuro, a se stesso e all'opinione pubblica, incresciose situazioni di gestione del potere, che nulla hanno a che fare con lo spirito più nobile della magistratura italiana.

C'è urgente bisogno di una nuova infornata di spiriti liberi, di persone che provengano dagli uffici giudiziari perché ci hanno lavorato e non perché occupano una casella della geografia giudiziaria del potere, di magistrati che conoscano bene il  sistema non al fine di sfruttarlo per interesse personale ma per cambiarlo in meglio.

E magari, di tanto in tanto, invece di una stucchevole sequela di passaggi in orizzontale, assisteremo a qualche  gancio cielo  alla Kareem.


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