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Intralcio alla giustizia e reati “scopo”

ott 01, 2023

Tribunale di Foggia, sent. n. 2124/2019 emessa in data 09/07/2019 (dep. il 07/10/2019) - Corte appello sez. I - Bari, 15/05/2023, n. 2283


IL CASO E LA DECISIONE

Un soggetto imputato del reato di furto in abitazione compie in due distinte occasioni – e a carico di due distinte persone, entrambe imparentate con il futuro testimone della sua condotta delittuosa (che aveva reso nel corso delle indagini preliminari dichiarazioni accusatorie) – una condotta di minaccia volta ad impedire che il predetto testimone si presenti in Tribunale all’udienza contro di lui.

Viene pertanto imputato anche del delitto continuato di intralcio alla giustizia, nel diverso procedimento apertosi a seguito della denuncia operata dai soggetti minacciati.

Il Tribunale di primo grado condannava l’imputato, riqualificando le condotte delittuose nel reato di intralcio alla giustizia nei confronti della testimone diretta e nel reato di tentata violenza privata nei confronti di uno dei due soggetti avvicinati (ovvero il marito della dichiarante), per avere fatto intendere a quest'ultimo che, qualora non fossero state ritirate le accuse, non vi sarebbe più stato “rispetto” né verso di lei né verso di lui.

In particolare, la configurabilità della fattispecie di tentata violenza privata era stata ritenuta maggiormente rispondente alla concreta condotta tenuta dall'imputato, in quanto il marito minacciato non aveva mai assunto la qualità di testimone nell'ambito del procedimento contro l’imputato per il delitto di furto in abitazione, e nessuna violazione del principio di corrispondenza tra "chiesto e pronunciato" era da ritenersi ravvisabile, sia per la evidente minore gravità del reato ritenuto, sia, soprattutto, perché il prevenuto si era difeso in contraddittorio rispetto ad una fattispecie (come riqualificata) che conteneva tutti gli elementi essenziali della norma penale incriminatrice, fatta salva, per l'appunto, la qualità di testimone del destinatario della condotta.

La Corte di Appello di Foggia ha confermato il verdetto di primo grado, per ciò che concerne il delitto di intralcio alla giustizia, mentre ha dichiarato il proscioglimento dal reato di tentata violenza privata per difetto della necessaria condizione di improcedibilità, in quanto tale fattispecie è divenuta, con la riforma di cui al decreto legislativo n.150/2022 (riforma Cartabia), perseguibile a querela di parte, e non era stata sporta, nelle more, la detta querela.

In particolare, il Giudice di secondo grado ha ritenuto corretta l’individuazione del reato scopo (e cioè del reato che il responsabile di intralcio alla giustizia voleva concretamente indurre a commettere) nel delitto di cui all’art. 371 bis c.p., specificando che, a prescindere dalla qualificazione del suddetto reato scopo, è comunque configurabile il delitto di intralcio alla giustizia qualora la condotta violenta o minatoria sia stata posta in essere per condizionare il soggetto che ha deposto in sede di indagini preliminari – non essendo rilevante se ciò abbia fatto innanzi al p.m. o alla p.g.- al fine di indurlo alla ritrattazione, in vista della futura acquisizione della qualità di testimone.


IL REATO E LE FATTISPECIE DI CONFINE

La fattispecie di intralcio alla giustizia prevista dall’art. 377 c.p., introdotta con la L. n. 146/2006 e sostitutiva della già disciplinata subornazione del testimone, tutela in via anticipata il corretto svolgimento dell’attività dell’autorità giudiziaria, punendo interferenze tese a incidere negativamente sulla sincerità e la completezza delle testimonianze (oltre che di perizie, dichiarazioni al P.M. o al difensore), potenzialmente lesive per l’amministrazione della giustizia.

E’ un reato di pericolo che, in deroga all’art. 115 c.p., attribuisce rilievo penale alla mera istigazione alla falsità giudiziale, non accolta o comunque non accompagnata dalla successiva commissione dei delitti di false informazioni al P.M. o al difensore, falsa testimonianza o falsa perizia e interpretazione.

Il fatto che non vi sia in corso alcun processo penale dibattimentale per il reato da cui il responsabile del delitto di intralcio alla giustizia vuole non essere perseguito e condannato non rileva, in quanto soltanto per uno dei reati-scopo contemplati dalla norma (falsa testimonianza) è necessario che i destinatari della condotta abbiano già assunto formalmente la qualifica processuale nel momento in cui la condotta viene posta in essere, qualifica che si acquisisce solo col deposito della lista ex art. 468 co. 2 c.p.p..

Il delitto di intralcio alla giustizia si consuma o con la semplice offerta o promessa di denaro o altra utilità, oppure con una condotta di violenza o minaccia, finalizzate, rispettivamente, a indurre o a coartare il testimone, il perito o l’interprete.

La disposizione stessa chiarisce che le sanzioni ivi previste sono applicate – nei confronti del solo soggetto attivo – “qualora l’offerta o la promessa non sia accettata”, “qualora la promessa o l’offerta sia accettata, ma la falsità non commessa”, oppure ancora, “qualora il fine” cui la violenza o minaccia era orientata “non sia conseguito”.

Fattispecie con qualificati punti di contatto con il reato di intralcio alla giustizia è il delitto di cui all’art. 377-bis c.p. (induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria).

Tale delitto condivide con l’intralcio alla giustizia l’oggettività giuridica, in quanto entrambi i reati, rientranti tra i delitti contro l’amministrazione della giustizia, puniscono condotte volte a pregiudicare – mediante offerta o promessa di denaro o altra utilità, ovvero violenza o minaccia – la serena acquisizione delle dichiarazioni di soggetti chiamati a rendere dichiarazioni in procedimenti giurisdizionali.

Tuttavia, l’art. 377 c.p. si riferisce a fatti che abbiano, quale soggetto passivo, persona su cui gravi l’obbligo di rispondere, mentre l’art. 377-bis c.p. tipizza condotte commesse nei confronti di chi possa scegliere il diritto al silenzio (in primo luogo, l’imputato e l’indagato, anche di reato connesso).

Un’ulteriore differenza con il reato di intralcio alla giustizia risiede nel fatto che la fattispecie di cui all’art. 377-bis c.p. è un reato di evento; invero, perché la fattispecie sia perfezionata, il soggetto facoltizzato a rimanere in silenzio deve effettivamente rinunciare a rendere dichiarazioni oppure rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria.

Nella fattispecie si distinguono un evento immediato, interno alla sfera del soggetto passivo (l’induzione derivante da una delle condotte tipizzate), e un evento processuale, per così dire esterno, che manifesta e consuma il reato (il silenzio o la falsa dichiarazione della persona chiamata dinanzi all’autorità giudiziaria); ne consegue che è pacificamente configurabile il tentativo.

Comparando poi la struttura e l’oggettività giuridica dei due reati appena menzionati con il delitto di corruzione in atti giudiziari – che si prospetta in definitiva come un’ipotesi di confine dell’intralcio alla giustizia -, è possibile rilevare che l’art. 319-ter c.p. punisce non solo chi induce la falsità ma anche il soggetto indotto, che invece non è attratto nel perimetro delle fattispecie incriminatrici ex artt. 377 e 377-bis c.p..

Ciò è agevolmente spiegabile considerando che nella fattispecie corruttiva l’offerta o la promessa di denaro o altra utilità si rivolge a una persona che al momento in cui è stata escussa era pacificamente qualificabile come testimone, in quanto si trattava di soggetto che non era (o non vi erano indizi per ritenere che fosse) coinvolto nei fatti oggetto di giudizio né in altri ad essi connessi, ovvero ancora perché, pur indagato o imputato di reato connesso, è stato dovutamente avvisato e garantito e ha consapevolmente scelto di assumere la qualità di testimone c.d. assistito.

Orbene, anche nell’art. 377 c.p. la condotta mira a contaminare le dichiarazioni di un testimone; tuttavia, come visto, l’intralcio alla giustizia postula che – a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 319-ter c.p. – il soggetto passivo non abbia accettato l’offerta o la promessa ovvero che comunque non vi sia stata la contaminazione processuale perché la falsità non è stata commessa. 

Per converso, l’art. 377-bis c.p. si distanzia sia dall’art. 377 c.p. che dalla corruzione in atti giudiziari perché la condotta tesa a realizzare la contaminazione processuale si rivolge non al testimone puro (che è incondizionatamente obbligato a rispondere secondo verità) bensì alla persona che possa avvalersi della facoltà di non rispondere.



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