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INTERDITTIVA ANTIMAFIA, CONTROLLO GIUDIZIARIO E PROCESSO

ago 18, 2023

La pendenza del controllo giudiziario a domanda ex art. 34-bis, comma 6, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, non è causa di sospensione del giudizio di impugnazione contro l’informazione antimafia interdittiva.

Il dubbio si è posto in giurisprudenza in ragione degli effetti sospensivi derivanti dall’ammissione al controllo giudiziario, previsti dall’art. 34-bis, comma 7, del CITATO decreto legislativo; in particolare, è stato sostenuto che per consentire di portare a conclusione il controllo giudiziario disposto dal Tribunale della prevenzione penale occorrerebbe la pendenza del giudizio amministrativo, non solo al momento in cui l’impresa formula la domanda di ammissione al Tribunale della prevenzione penale, ai sensi delL'art. 34-bis (comma 6), ma per tutta la durata della procedura, fissata dal medesimo Tribunale.

In contrario avviso, secondo l’Adunanza plenaria, e sulla base delle disposizioni vigenti, deve essere affermata la tesi dell’autonomia dei procedimenti, in quanto sia sotto il profilo logico che sotto il profilo giuridico l’ammissione al controllo giudiziario - a domanda dell’impresa destinataria di un’interdittiva antimafia - non impedisce che vada definito senza ritardo il giudizio amministrativo di impugnazione contro quest’ultima.

D’altra parte, dall’esame della giurisprudenza della Cassazione non emerge una ricostruzione del rapporto tra l’interdittiva e il controllo giudiziario volontario in termini di pregiudizialità-dipendenza di intensità maggiore rispetto alla connessione genetica ricavabile dal richiamato art. 34-bis, comma 6, del codice delle leggi antimafia e delle misure di sicurezza.

Come infatti precisato dalle Sezioni unite penali nella sentenza 19 novembre 2019, n. 46898, la connessione tra i due istituti si manifesta in relazione al «grado di assoggettamento dell’attività economica alle descritte condizioni di intimidazione mafiosa e la attitudine di esse alla agevolazione di persone pericolose pure indicate nelle fattispecie».

D’altra parte, a differenza di quanto avviene ai fini dell’informazione antimafia, ai sensi dell’art. 34-bis del codice di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, l’agevolazione mafiosa, in questo caso, deve essere «occasionale», per cui, in difetto del citato requisito, l’impresa non dovrebbe essere ammessa al controllo giudiziario.

In particolare, posto che dalla ricognizione giurisprudenziale operata dall’Adunanza plenaria non è stato possibile trarre conferma dell’esistenza di un rapporto di pregiudizialità processuale tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il controllo giudiziario, ulteriore rispetto a quello previsto al momento genetico dall’art. 34-bis, comma 6, la tesi estensiva prospettata da parte della giurisprudenza - secondo cui la pregiudizialità opererebbe fino alla definizione della procedura di cui alla disposizione da ultimo citata –, oltre a non basarsi su una disposizione di legge (rilevando in materia il principio di legalità), non è neanche imposta da ragioni di ordine logico-sistematico.

L’espediente della sospensione del giudizio di impugnazione contro l’interdittiva prefettizia giungerebbe infatti a snaturare la funzione tipica del processo, da ‘strumento di tutela’ delle situazioni giuridiche soggettive ed attuazione della legge, a mero ‘strumento per l’attivazione di ulteriori mezzi di tutela”.

Inoltre, verrebbe alterata la funzione della sospensione del processo, che, in tal caso, da strumento preventivo rispetto al rischio di contrasto di giudicati, secondo una logica interna all’ordinamento processuale basata sulla sua unitarietà e sul principio di non contraddizione, diventerebbe uno strumento processuale in grado di porre impropriamente a carico del contenzioso giudiziario, contraddistinto dall’autonomia dell’azione rispetto alla situazione sostanziale che con essa si vuole tutelare, la realizzazione di obiettivi di politica legislativa, esorbitanti dai compiti del giudice, nella sua soggezione alla legge.

Si determinerebbe così un’applicazione dell’istituto eccedente il presupposto della pregiudizialità-dipendenza previsto dall’art. 295 del cod. proc. civ., da considerarsi tassativo nella misura in cui con la sospensione si determina una potenziale lesione del principio di ordine costituzionale della ragionevole durata del processo (oggi sancito per il processo amministrativo dall’art. 2, comma 2, cod. proc. amm.), tale per cui essa viene disposta in ogni caso e solo quando il giudice davanti cui è stata proposta una domanda o un altro giudice «deve risolvere una controversia, dalla cui definizione dipende la decisione della causa».

Considerazioni analoghe alle precedenti vanno infine estese, secondo l’Adunanza, al rapporto tra il controllo giudiziario e il commissariamento dell’impresa appaltatrice previsto dall’art. 32, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (misure straordinarie di gestione, sostegno e monitoraggio di imprese per il completamento dell’esecuzione dei contratti stipulati con la pubblica amministrazione dall’impresa destinataria un’informazione antimafia interdittiva).

L’assenza di disposizioni di coordinamento tra i due istituti, e la non ultrattività «di una gestione separata “ad contractum”» in caso di sopravvenienza del controllo giudiziario, non costituisce ragione sufficiente per sospendere il giudizio di impugnazione delle misure previste dalla disposizione da ultimo richiamata, non solo – ed ovviamente – in caso di accoglimento del ricorso, ma anche in caso di rigetto, anche in considerazione della prevalenza della misura, più favorevole per l’impresa, prevista dall’art. 34-bis del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (Adunanze Plenarie n. 6, 7 e 8 del 2023)


Non possono essere condivise né la tesi della «pregiudizialità processuale» tra il giudizio di impugnazione dell’interdittiva antimafia e il procedimento di controllo giudiziario, per cui «gli effetti del controllo giudiziario presupporrebbero la pendenza del giudizio amministrativo», né la tesi dell’acquiescenza.

La prima tesi postula che il giudizio di impugnazione contro l’interdittiva antimafia dovrebbe essere ancora pendente non solo quando l’impresa domanda al tribunale della prevenzione penale di essere sottoposta al controllo giudiziario, come prevede testualmente l’art. 34-bis, comma 6, del codice, ma per tutta la durata di quest’ultimo.

Tuttavia, tale tesi non ha base testuale e non è nemmeno imposta da ragioni di ordine sistematico, dal momento che l’interdittiva svolge la sua funzione preventiva rispetto alla penetrazione nell’economia delle organizzazioni di stampo mafioso di tipo “statico”, e cioè sulla base di accertamenti di competenza dell’autorità prefettizia rivolti al passato, mentre il controllo giudiziario persegue anche finalità di carattere “dinamico” di risanamento dell’impresa interessata dal fenomeno mafioso e quindi, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia, oltre al presupposto dell’occasionalità dell’agevolazione mafiosa previsto dall’art. 34-bis, comma 6, del medesimo codice, richiede una prognosi favorevole del tribunale della prevenzione penale sul superamento della situazione che ha in origine dato luogo all’interdittiva.

Nondimeno, quand’anche quest’ultima non sia annullata all’esito del giudizio di impugnazione devoluto al giudice amministrativo, e dunque si accerti in chiave retrospettiva l’esistenza di infiltrazioni mafiose nell’impresa, non per questo può ritenersi venuta meno l’esigenza di risanare la stessa. Al contrario, questa esigenza si pone in massimo grado una volta accertata in via definitiva che l’impresa è permeabile al fenomeno mafioso.

Posta l’autonomia degli accertamenti di competenza del Tribunale della prevenzione penale rispetto a quelli svolti dall’autorità prefettizia in sede di rilascio delle informazioni antimafia, deve a fortiori escludersi la tesi dell’acquiescenza derivante dalla domanda di sottoposizione a controllo giudiziario da parte dell’impresa destinataria dell’interdittiva.



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