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Immigrazione e diritti fondamentali, tra giustizia e senso di umanità

a cura di Silvana Bini • ago 22, 2023

(Commento al parere n. 960/2023 del 27/06/2023 della prima sezione del Consiglio di Stato)


Un recente parere del Consiglio di Stato ha esaminato il caso di in immigrato che aveva chiesto il riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f, della l. 5 febbraio 1992, n. 91, approfondendo il rapporto tra soglie di reddito necessarie e condizioni soggettive di disabilità e invalidità dei richiedenti e dei componenti il loro nucleo familiare.

Il rigetto dell'amministrazione era stato motivato per la presenza di illeciti amministrativi e di notizie di reato:  un fermo amministrativo del motoveicolo di sua proprietà per violazione dell’articolo 171 c.d.s..in data 3 agosto 2015 e una segnalazione in data 25 novembre 2002, all’autorità giudiziaria per i reati di cui agli artt. 416 c.p.p , 610 c.p. e 628 c.p.

Ulteriore ragione del rigetto l’insufficienza delle capacità reddituali.

Il richiedente aveva così proposto ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, lamentando innanzitutto la violazione dell’articolo 10 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241: l’Amministrazione infatti, avendo ricevuto le controdeduzioni al preavviso di diniego oltre il termine dei 10 giorni assegnato, aveva sostenuto che non sussisteva l’obbligo di esaminare le osservazioni e controdedurre nel provvedimento conclusivo.

In sede consultiva, la prima sezione del Consiglio di Stato ha ritenuto fondata la censura di violazione dell’art. 10 bis L. 241/90, richiamando l’orientamento secondo cui i termini di dieci giorni devono considerarsi ordinatori e non perentori, stante la mancata qualificazione in tal senso contenuta nella legge (T.A.R. Molise, sez. I, 29 aprile 2019, n.144; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 12 dicembre 2018, n. 1800; T.A.R. Toscana, III Sezione, 4 Luglio 2014 n. 1201; T.A.R Lecce, sez. III, 26 luglio 2016, n. 1314).

Si è precisato nel parere che “l’Amministrazione non è vincolata ad attendere la produzione delle controdeduzioni oltre il termine assegnato, ma, se queste vengono prodotte prima dell’emissione del provvedimento conclusivo del procedimento, è tenuta a prenderle in considerazione, esaminando i profili sollevati dal ricorrente”.

Sulla questione la prima sezione ha richiamato una serie di principi pacifici:  alla facoltà del privato di rappresentare le proprie considerazioni sulle ragioni ostative prospettate dall'amministrazione con il preavviso di rigetto fa da contraltare l'obbligo per quest'ultima di dar conto, nel provvedimento finale, delle ragioni che l'hanno indotta a discostarsi dalle osservazioni di parte, venendo così in rilievo, da un lato, un obbligo di motivazione specifica e rinforzata e, dall'altro, una limitazione dello jus variandi, per cui in sede di emanazione del provvedimento non possono essere addotte ragioni nuove rispetto a quelle prospettate nel preavviso di rigetto (Consiglio di Stato sez. VI, 27/09/2018, n.5557).

Il rispetto del principio del contradditorio non richiede la disamina analitica di ciascun elemento sollevato nelle controdeduzioni, ma che l’Amministrazione confuti le ragioni di illegittimità sia in fatto che in diritto presentate dal ricorrente, soprattutto nella materia in esame: afferma il Giudice che “per il particolare rigore che caratterizza la concessione di cittadinanza, grava sull’Amministrazione l’obbligo di una completa rappresentazione della realtà tramite un’accurata ed estesa istruttoria, di cui la motivazione del provvedimento deve dare contezza, con trasparenza, coerenza, logicità e comprensibilità al fine di consentire il sindacato di legittimità sull’esercizio della discrezionalità stessa, che, per quanto ampia, non può sconfinare in arbitrio (Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 806/2022; Sez. III, n. 8022/2021)”.


Tuttavia il Collegio non si è limitato a riconoscere la violazione delle garanzie partecipative, ma ha affermato che “l’assenza di esame delle controdeduzioni avrebbe portato a una differente decisione”.

Perché? Per affermare questo, vengono esaminate le motivazioni del rigetto, partendo dalle segnalazioni all’autorità giudiziaria.

Il ricorrente aveva dimostrato che le segnalazioni all’autorità giudiziaria non avevano avuto seguito, dal momento che egli non sarebbe neppure stato indagato: aveva pagato la sanzione amministrativa, con la precisazione che, come risulta dallo stesso verbale di contestazione, portava il casco, ma questo era slacciato, e che la mancata revisione del veicolo si riferiva ad un ritardo di soli 4 giorni.

Dopo aver ricordato che la valutazione è ampiamente discrezionale, il Collegio ha però ribadito che l’Amministrazione “deve tenere conto non soltanto dei fatti penalmente rilevanti, ma anche dell'area della prevenzione dei reati, con accurati apprezzamenti sulla personalità e la condotta di vita del naturalizzando, al fine di valutare la probabilità che questi possa in futuro arrecare pregiudizio alla sicurezza dello Stato per una mancata piena adesione ai valori fondamentali del nostro ordinamento" (Consiglio di Stato sez. III, 27/02/2019, n.1390).

Tale valutazione deve avere necessariamente carattere complessivo; deve, dunque, abbracciare tutti gli elementi utili a dimostrare l’effettivo grado di adesione ai valori fondativi dello Stato (quale forma di aggregazione, anche sulla base di quei valori, della comunità in esso costituitasi).

Solo dall’inquadramento in concreto delle singole vicende, anche penalmente rilevanti, che abbiano caratterizzato il vissuto del richiedente entro una cornice più ampia e tale da inglobare l’intero percorso esistenziale, lavorativo, sociale e familiare dell’interessato, antecedente o successivo ai singoli episodi, è possibile apprezzarne compiutamente il peso nella determinazione della scelta sottesa alla presentazione dell’istanza di inclusione nella comunità dei cittadini e del formale riconoscimento dello status civitatis (Cons. Stato, sez. III, 8022/2022)”.

Nel caso di specie l’Amministrazione si era limitata a riprodurre i contenuti del rapporto informativo acquisito nel 2016 senza svolgere alcuna verifica ulteriore, mentre avrebbe dovuto verificare lo stato e gli eventuali esiti dei procedimenti penali.


L’omessa valutazione delle osservazioni presentate dal richiedente sulle “differenze derivanti dalla disabilità nella capacità di sostentamento, finalizzate a valutare l’idoneità ad adempiere ai doveri di solidarietà civile, economica e sociale, concorre a rendere il provvedimento impugnato illegittimo”.

In relazione ai requisiti reddituali, il ricorrente allegava documentazione relativa ai redditi percepiti e quella concernente l’invalidità, tra cui i verbali della Commissione INPS: il ricorrente, il cui nucleo familiare è composto dal coniuge e da due figli, è stato invalido al 70%, condizione che l’amministrazione non avrebbe considerato.

Il Collegio ha allora esaminato la disciplina relativa alle capacità reddituali in materia di cittadinanza (l’art. 9, comma 1, lett. f) della legge n. 91 del 1992, la Circolare del Ministero dell'Interno DLCI K. 60.1 del 5 gennaio 2007), per concludere che detta disciplina non prende in considerazione la condizione di invalidità del richiedente e, quella eventuale, dei membri del nucleo familiare.

La scarsa attenzione alla possibile condizione di invalidità emerge anche dal modulo della domanda on line, in quanto tale condizione non viene specificamente indicata.

Tuttavia la mancata considerazione della condizione di disabilità da parte della circolare amministrativa che definisce le capacità reddituali non ne comporta la irrilevanza sostanziale, in tema di requisiti; al contrario, ritiene il Consiglio di Stato, è l’Amministrazione a dover tenere comunque conto di tali profili nello svolgimento dell’attività istruttoria, dal momento che le soglie reddituali non costituiscono parametri rigidi.

In sede di valutazione della istanza per la cittadinanza, la capacità e la incapacità di produrre un reddito non possono prescindere dalle condizioni personali del richiedente”: questa conclusione è affermata richiamando i principi costituzionali e le norme internazionali recepite nel nostro ordinamento a tutela delle persone con disabilità.

I principi costituzionali trovano applicazione per i cittadini e per gli stranieri: ci ricorda la giurisprudenza costituzionale che “i diritti fondamentali ed il principio di eguaglianza costituiscono i pilastri del nostro ordinamento e devono informare l’attività dell’Amministrazione (Corte Cost. 8 maggio 2023, n. 88; 25 febbraio 2011, n. 61; 16 maggio 2008, n. 148).

E questo principio è stato recepito nella legislazione ordinaria all’articolo 2, comma 1, d.lgs 25 luglio 1998, n. 286.

Viene in gioco non solo il primo comma dell’articolo 3 Costituzione ma anche secondo comma dell’articolo 3 Costituzione, “applicabile anche agli stranieri, in forza del quale la Repubblica deve porre in essere misure idonee a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale. Tale disciplina si collega alle disposizioni dell’articolo 2 Costituzione in materia di doveri inderogabili di solidarietà ed al principio di progressività di cui all’articolo 53 della Costituzione”.

Non differenziare i requisiti reddituali in ragione della esistenza di una disabilità configura una violazione del principio di eguaglianza: “Negare ad una persona con disabilità la concessione della cittadinanza, in ragione della incapacità o limitata capacità di produrre un reddito adeguato al sostentamento della propria famiglia in dipendenza dell’handicap o dell’invalidità da cui è colpito, rappresenta una evidente violazione del principio di eguaglianza”.

Viene poi richiamata la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e divenuta efficace con legge di ratifica 3 marzo 2009 n. 18: l’articolo 5 della Convenzione recita: “1. Gli Stati Parti riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge ed hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge. 2. Gli Stati Parti devono vietare ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento. 3. Al fine di promuovere l’uguaglianza ed eliminare le discriminazioni, gli Stati Parti adottano tutti i provvedimenti appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli. 4. Le misure specifiche che sono necessarie ad accelerare o conseguire de facto l’uguaglianza delle persone con disabilità non costituiscono una discriminazione ai sensi della presente Convenzione.”


Nella decisione si esamina un ulteriore aspetto: “la sussistenza di una disabilità del richiedente non incide solo sul profilo della valutazione delle capacità reddituali, ma dovrebbe informare la valutazione complessiva della integrazione sociale”.

Si afferma che “la condizione di disabilità pone ostacoli ulteriori alla integrazione sociale il cui superamento deve costituire elemento rilevante al fine della valutazione che l’Amministrazione è tenuta a compiere circa l’idoneità del richiedente” e che necessitano di un intervento attivo dello Stato in tutte le sue articolazioni diretto alla rimozione di tali ostacoli, al fine di assicurare il rispetto dei principi di eguaglianza ed ottemperare al divieto di discriminazione, come ricorda la Corte di europea dei diritti dell’uomo che ha elaborato un’interpretazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (diritto al rispetto della vita privata e familiare) secondo la quale “l’articolo 8 Cedu tutela oltre ai legami familiari in senso proprio, anche il diritto di allacciare e intrattenere legami con i propri simili e con il mondo esterno; dunque, tutti i rapporti sociali instaurati dagli interessati, ivi compresi quelli lavorativi (per eccellenza indicativi di inserimento sociale), nonché la rete di relazioni riconducibili alle comunità nelle quali gli stranieri soggiornanti sul territorio si trovano a vivere, fanno parte integrante della nozione di “vita privata” ai sensi della norma in esame” (Corte europea diritti dell’uomo Sez. I, Sent., (ud. 22/01/2019) 14-02-2019, n. 57433/15; Ü. c. Paesi Bassi [G.C.], n. 46410/99, § 59, CEDU 2006-XII).


Osservazioni finali.

Il parere dà applicazione all’orientamento secondo cui le soglie reddituali non costituiscono parametri rigidi, ma vanno correlate alle condizioni in cui i richiedenti si trovano (da ultimo Cons. Stato, sez. III, 5133/2023).

Tra queste condizioni, la prima sezione ha ritenuto che un ruolo determinate viene ricoperto dalle condizioni soggettive di disabilità e invalidità dei richiedenti e dei componenti il loro nucleo familiare, alla luce non solo dei principi nazionali di uguaglianza, solidarietà sociale e di progressività, della giurisprudenza comunitaria , ma anche della Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e divenuta efficace con legge di ratifica 3 marzo 2009 n. 18.

Dalla lettura del parere scaturiscono alcune riflessioni.

La materia dell’immigrazione ha risvolti giuridici “interessati e attraenti” pari a materie che qualificano il giudice amministrativo come giudice speciale e giudice dell’economia.

Il parere conferma come la materia dell’immigrazione offra profili di studio e di approfondimento, in quanto si inserisce in un contesto di disposizioni internazionali, comunitarie e nazionali, con profili di coordinamento e di integrazione.

Una materia che merita quell’attenzione propria di ogni questione in cui sono in gioco aspetti umani e umanitari.

Possiamo affermare che esiste un diritto dell’immigrazione, come “settore” del diritto amministrativo.

Ne è riprova una interessante pubblicazione dell’Università di Trento, “ IL DIRITTO IN MIGRAZIONE Studi sull’integrazione giuridica degli stranieri a cura di Fulvio Cortese Gracy Pelacani” (Libro in Open Access scaricabile gratuitamente dall’archivio IRIS - Anagrafe della ricerca (https://iris.unitn.it/) pubblicato anche in versione cartacea Editoriale Scientifica – Napoli), che raccoglie “temi e questioni che il migrante straniero incontra allorché intraprende il percorso che lo conduce dal Paese d’origine al luogo in cui finisce per tentare un percorso più o meno intenso di “integrazione”.

Nel 2015 è stata stilata L’Agenda europea sulla migrazione; in quell’occasione la Commissione sottolineava che la «complessità intrinseca del fenomeno migratorio esercita molti e diversi effetti sulla società (…) e richiede molte e diverse risposte».

Molte e diverse domande sono rivolte anche nei ricorsi: si tratta di trovare le giuste risposte di giustizia, ricordando che “Il segreto della giustizia sta sempre in una maggior umanità” (Calamandrei).

Il parere della prima sezione del Consiglio di Stato ne è probabilmente un esempio. 



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