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Il giudice sul territorio e il tempo delle riforme

dalla Redazione • gen 08, 2023

(Ricordo del Presidente Giampiero Lo Presti)

a cura dei Colleghi Magistrati Silvana Bini, Giuseppe Esposito, Stefano Mielli, Maurizio Nicolosi, Roberto Valenti e Desirèe Zonno


Nel corrente mese è mancato il Presidente Giampiero Lo Presti, magistrato del Tar Lazio, componente del Cpga e già presidente dell’ANMA.

Gli scriventi hanno fatto parte del Direttivo dell’Anma (associazione nazionale dei magistrati amministrativi) da lui presieduto dal 2011 al 2014 e vogliono qui ricordare il suo impegno associativo, motivato dall’ideale di un magistrato imparziale e indipendente.


Il Presidente Lo Presti affermava spesso che indipendenza, imparzialità e competenza sono i cardini per ottenere la pubblica fiducia nel ruolo svolto dai giudici amministrativi ed è necessario che siano percepite come tali dall’opinione pubblica.

Per questo ha sempre ritenuto che fosse necessaria una regolamentazione rigorosa degli incarichi e dei fuori ruolo.

Ed era stata vista come grande occasione la Legge Severino: dal dibattito in prima Commissione della Camera dei Deputati emergeva la possibilità di una disciplina normativa organica dei fuori ruolo, non solo per la previsione del limite temporale, ma per l’introduzione di regole di incompatibilità per i diversi incarichi.

Speranza che si è vista poi svanire. 

Fu aperta anche una “strada” di dialogo con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di allora, per una possibile riforma, cui Giampiero ha sempre creduto, per riaffermare l’unicità della funzione giurisdizionale tra i magistrati amministrativi di primo e secondo grado in un unico ruolo.

Ha affermato da sempre l’urgente necessità di superare l’attuale assetto ordinamentale, nel quale, diceva, viene “artificialmente mantenuta una sorta di differenza ontologica fra Consiglio di Stato e TAR”. 

All’indomani della sentenza della Corte Costituzionale n. 273 del 2011, a Palermo, in occasione del convegno organizzato dall’Associazione “Art. 111”, queste le sue riflessioni, ripetute spesso anche in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario: “Nessun giudice amministrativo può plaudire ad una pronuncia che, nel suo ordito motivazionale, accende impietosamente i riflettori sull'anomalia di una giurisdizione che è tale, e soltanto tale, esclusivamente per il primo grado di giudizio, mentre cambia natura e indossa vesti diverse e mutevoli in appello; sull'anomalia di un doppio grado di giurisdizione che diventa monco se vede affidate le funzioni di appello ad un giudice che è giudice soltanto a metà e che è comunque "cosa diversa" dal giudice di primo grado”.

Giampiero Lo Presti era strenuo sostenitore della giustizia “sul territorio”. In occasione del convegno organizzato a Milano nel febbraio 2013, in collaborazione con la Società Lombarda degli Avvocati amministrativisti (SOLOM) e le camere amministrative Lombarde e Piemontesi, dal tema “La competenza territoriale nella giurisdizione amministrativa ed il ruolo paritario dei TAR”, affermò che la “territorialità del giudice si sostanzia in una conoscenza diretta delle questioni e delle realtà territoriali interessate dalle vicende amministrative, della origine e successiva evoluzione delle vicende esaminate. Tale “valore aggiunto” di conoscenza degli affari trattati, che deriva dalla prossimità e dalla continuità istituzionale, si fonda su una percezione più diretta delle vicende controverse e nella possibilità di attingere ai precedenti della giurisprudenza locale, che consente una interpretazione più logica e consapevole dei fatti, i quali possono essere interpretati e conosciuti nella loro più articolata e complessa ricchezza di significati”.

Da qui l’avvio di varie iniziative per la riforma delle norme del Codice del processo amministrativo in materia di competenza funzionale, al fine di ridurre la concentrazione di materie al Tar Lazio.

La sua Presidenza ANMA fu caratterizzata certamente da delusioni, per il mancato raggiungimento di obiettivi, ma ha lasciato proposte, idee, progetti, che possono costituire ancora una base da cui fare rinascere “il tempo delle riforme”.

Ed è questa l’eredità che lascia a tutti i giudici di primo grado, e non solo.


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