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Il danno da occupazione dopo le Sezioni Unite

a cura di Paolo Nasini • set 02, 2023

Trib. Bologna, sez. II, 09 marzo 2023, n. 467, est. M. Guernelli


IL CASO

La società ricorrente ha adito il Tribunale di Bologna, ex artt. 447 e 141 c.p.c., al fine di riacquistare la disponibilità dell'immobile a destinazione commerciale (capannone industriale) di sua proprietà, occupato a suo dire sine titulo e senza corresponsione di alcuna indennità dalla società convenuta, nonché per ottenere il risarcimento del danno patrimoniale subito per la mancata disponibilità del bene.

A fondamento della richiesta risarcitoria, in particolare, la società ricorrente ha fatto valere l'orientamento giurisprudenziale maggioritario che, in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare, considera il danno “in re ipsa”, ovvero insito nella stessa perdita della disponibilità del bene e nell'impossibilità di conseguirne delle utilità, e basa la valutazione della prova anche sulla presenza di semplici elementi presuntivi del c.d. danno figurativo, quantificato secondo il valore locativo del bene.

Parte ricorrente, quindi, ha chiesto il riconoscimento di un'indennità per la perdurante occupazione senza titolo dell'immobile, corrispondente al canone di locazione mensile di Euro 2.100,00, determinato secondo le quotazioni immobiliari della banca dati dell'Agenzia delle Entrate, da calcolare a partire dalla diffida del 19 giugno 2020, e così per 22 mensilità, per un totale di Euro 46.200,00. Ad ulteriore conferma del danno patrimoniale subito per l'indisponibilità dell'immobile, la società ha allegato documentazione dell'avvio di trattative per la vendita dell'immobile stesso, sfociate nella proposta di acquisto formulata da società terza, ma non perfezionate asseritamente a causa del mancato rilascio dell'immobile da parte della società occupante.

Si è costituita in giudizio la società resistente, eccependo l’inammissibilità della domanda (non avendo la società ricorrente dato prova del diritto di proprietà dell'immobile conteso), e l’infondatezza della stessa, data l'esistenza di un accordo tra le parti per la concessione a titolo di comodato gratuito del capannone in favore della società medesima da ritenersi terminato solo al momento dell'estinzione del finanziamento originariamente prestato, e comunque idoneo e sufficiente a vincolare le parti a tempo determinato con conseguente esclusione della riconsegna anticipata; inoltre, la società ha eccepito l’infondatezza della domanda risarcitoria anche nel quantum, poiché basata sulla perizia di un perito di parte appositamente incaricato, e la possibilità di ricorrere ad una semplice quantificazione del danno perché ritenuto “in re ipsa” sarebbe stata superata dall'orientamento giurisprudenziale che, escluso che il danno da occupazione possa sussistere in sé per sé, ristabilisce l'onere di prova dell'effettiva entità del danno in capo al presunto danneggiato che agisce per ottenerne il risarcimento.

Il Tribunale ha accolto il ricorso condannando la società resistente a rilasciare l'immobile per cui è causa in favore della ricorrente libero da persone e cose, nonché a corrispondere a quest’ultima, a titolo di indennità per l'occupazione senza titolo dell'immobile per cui è causa, la somma di Euro 46.200,00 per il periodo da luglio 2020 ad aprile 2022 compresi, oltre ad Euro 2.100,00 per ogni mese successivo sino alla data dell'effettivo rilascio.


LA SOLUZIONE IN DIRITTO

Accertata l’occupazione dell’immobile da parte della società resistente, l’esistenza di un comodato immobiliare non sarebbe stato sufficientemente provato e, comunque, non risulterebbe dimostrata né l’apposizione di un termine, né la previsione di un uso lo implicherebbe ex art. 1810 c.c., sì che sarebbe comunque lecito per il preteso comodante richiedere ad nutum la restituzione ai sensi della norma da ultimo citata, come di fatto avvenuto.

Di qui l’obbligo della resistenza al rilascio dell’immobile, in quanto occupato in assenza di (prova di) valido titolo, e di cui la ricorrente ha chiesto la restituzione, libero da persone e cose.

Per quanto concerne il danno, invece, il Tribunale ha richiamato il recente arresto delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass civ., Sez. Un., n. 33645 del 2022), le quali hanno affermato che ‹‹in caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chiede il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato. In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall'impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato. In tema di risarcimento del danno da occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il proprietario è tenuto ad allegare, quanto al danno emergente, la concreta possibilità di godimento perduta e, quanto al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito (sotto il profilo della perdita di occasioni di vendere o locare il bene a un prezzo o a un canone superiore a quello di mercato), di cui, a fronte della specifica contestazione del convenuto, è chiamato a fornire la prova anche mediante presunzioni o il richiamo alle nozioni di fatto rientranti nella comune esperienza; poiché l'onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti, l'onere probatorio sorge comunque per i fatti ignoti al danneggiante, ma il criterio di normalità che generalmente presiede, salvo casi specifici, alle ipotesi di mancato esercizio del diritto di godimento, comporta che l'evenienza di tali fatti sia tendenzialmente più ricorrente nelle ipotesi di mancato guadagno. In caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo, restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale››. 

Applicando i suddetti principi alla fattispecie in esame il Tribunale ha valorizzato il fatto che, a fronte degli elementi dedotti e allegati da parte ricorrente, la società resistente non ha svolto alcuna contestazione oggettiva sull’an e sul quantum, limitandosi a dedurre la soggettiva inattendibilità degli elementi dedotti per essere il tecnico estensore anche il legale rappresentante di altra società proponente l'acquisto di cui al doc. 6 del ricorrente; peraltro, tale inattendibilità non sarebbe fondata su circostanze concretamente valutabili, ben potendo lo stesso tecnico persona fisica con cui la ricorrente era entrato in contatto per un affare poi sfumato, essere stato poi incaricato di valutare professionalmente un bene di cui già aveva conosciuto come possibile parte contrattuale.

La stima di parte prodotta, ampiamente motivata con riferimento all'OMI e ad indagini di mercato della zona, secondo il Tribunale, andava dunque presa in considerazione, comprese le inerenti conclusioni.

Il Giudice bolognese, poi, ha affermato che il danno per l'occupazione senza titolo, se non in re ipsa in senso stretto, secondo l'insegnamento della S.C., può tuttavia essere equitativamente determinato partendo da elementi presuntivi quali il c.d danno figurativo (valore locativo del bene) e le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Secondo il Tribunale, in particolare, si può fondatamente ritenere che una società commerciale avente ad oggetto “l'acquisto, la vendita, la permuta, la locazione e l'amministrazione di beni immobili” avrebbe messo a frutto il bene in questione con un canone locatizio almeno di mercato (individuabile in euro 2.100 mensili) o lo avrebbe comunque immesso in commercio, come infatti risulta dalla proposta d'acquisto sfumata.


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