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ESPROPRIAZIONE E RINUNCIA ABDICATIVA AL BENE ILLEGITTIMAMENTE ESPROPRIATO

mar 06, 2021

IN CASO DI OCCUPAZIONE ILLEGITTIMA, DA PARTE DELL’AMMINISTRAZIONE, DI UN BENE IMMOBILE APPARTENENTE A UN PRIVATO, LA DOMANDA GIUDIZIALE DI RISARCIMENTO DEL DANNO NON IMPLICA UNA RINUNCIA ABDICATIVA AL BENE STESSO (Adunanze Plenarie nn. 2, 3 e 4/2020)


La rinuncia abdicativa è un negozio giuridico unilaterale, non recettizio, con il quale un soggetto, il rinunciante, nell'esercizio di una facoltà, dismette, abdica, perde una situazione giuridica di cui è titolare, senza che ciò comporti trasferimento del diritto in capo ad altro soggetto, né automatica estinzione dello stesso.

A differenza della rinuncia c.d. traslativa, manca il carattere traslativo-derivativo dell'acquisto e non ha natura contrattuale, di modo che l'effetto in capo al terzo si produce ipso iure, a prescindere dalla volontà del rinunciante, quale mero effetto di legge.

Per il suo perfezionamento, pertanto, non è richiesto l'intervento o l’espressa accettazione del terzo, né che lo stesso debba esserne notiziato.

Con riferimento alla rinuncia abdicativa nella materia dell’espropriazione, e cioè se sia possibile riconoscere la rinuncia abdicativa nell’atto di proposizione in giudizio della richiesta di risarcimento del danno per perdita della proprietà illecitamente occupata dalla P.A., in seguito all’irreversibile trasformazione del fondo occupato, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato dà risposta negativa, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) se l’atto abdicativo è astrattamente idoneo a determinare la perdita della proprietà privata, non è altrettanto idoneo a determinare l’acquisto della proprietà in capo all’Autorità espropriante;

2) l’istituto della rinuncia abdicativa si pone come radicalmente estraneo alla teorica degli atti impliciti, che riguarda solo gli atti amministrativi (quando vi è la sussistenza di un atto formale, perfetto e validamente emanato il quale contiene “per implicito” un’ulteriore volontà provvedimentale, oltre a quella espressa claris verbis nel testo del provvedimento medesimo) e non gli atti del privato. D’altra parte, la volontà di chiedere il risarcimento del danno non è riconducibile alla volontà di abdicare alla proprietà privata, sia sul piano sostanziale (non sembra che da una domanda risarcitoria sia possibile univocamente desumere la rinuncia del privato al bene), sia sul piano formale (la domanda di risarcimento del danno contenuta nel ricorso giurisdizionale amministrativo è una domanda redatta e sottoscritta dal difensore e non dalla parte proprietaria del bene che ha la disponibilità dello stesso e che è l’unico soggetto avente la legittimazione ad abdicarvi, in quanto atto incidente e dispositivo di un bene immobiliare proprio della parte);

3) la rinuncia abdicativa non è provvista di base legale in un ambito, quello dell’espropriazione, dove il rispetto del principio di legalità è richiamato con forza sia a livello costituzionale (art. 42 Cost.), sia a livello di diritto europeo. Va ricordato, infatti, sotto questo profilo, che occorre evitare, in materia di espropriazione c.d. indiretta, di ricorrere a istituti che in qualche modo si pongano sulla falsariga dell’occupazione acquisitiva, a cui la giurisprudenza fece ricorso negli anni Ottanta del secolo scorso per risolvere le situazioni connesse a una espropriazione illegittima di un terreno che avesse tuttavia subìto una irreversibile trasformazione in forza della costruzione di un’opera pubblica. E’ noto che tale istituto non può più trovare spazio nel nostro ordinamento a seguito delle ripetute pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, che ne hanno evidenziato la contrarietà alla Convenzione Europea, in particolare per quanto riguarda l'art. 1 del primo protocollo Addizionale (ex multis, sentenza CEDU 17 novembre 2005).



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