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Esempio VI - Controversia in materia di occupazione di suolo pubblico

mag 04, 2021

SI CONSIGLIA DI PROVARE A SVOLGERE LA MOTIVAZIONE E IL DISPOSITIVO IN AUTONOMIA PRIMA DI ESAMINARE LA SOLUZIONE OFFERTA


TRACCIA

La società ALFA, proprietaria di un impianto di distribuzione di carburanti concesso in gestione a terzi, realizzato su suolo pubblico in ragione di un’apposita concessione ormai da tempo scaduta, all'inizio del 2018 ha chiesto al Comune di Zeta, a seguito di due proroghe biennali, un rinnovo della concessione per nove anni.

Dopo il motivato diniego di tale richiesta da parte del Consiglio comunale (con deliberazione del 10 marzo 2019), il responsabile della struttura competente ha dato comunicazione di esso con nota datata 27 aprile 2019 alla richiedente, la quale si è rivolta al proprio avvocato rappresentando di non aver mai ricevuto copia di tale deliberazione e, quindi, di non averne avuto piena conoscenza, né di aver mai ricevuto la comunicazione del preavviso di rigetto dell’istanza, comunque sopravvenuta rispetto al formarsi del silenzio assenso.

Entrambi gli atti suddetti sono stati dunque impugnati con un ricorso in cui sono stati dedotti:

1. l’illegittimità della deliberazione del Consiglio comunale per omessa notificazione della stessa;

2. la violazione degli artt. 3 e 10-bis della L. n. 241/1990: da un lato, i provvedimenti gravati avrebbero omesso di indicare i mutamenti sopravvenuti o i motivi di interesse pubblico che hanno indotto a negare il rinnovo della concessione; dall’altro lato, si tratterebbe di un atto discrezionale rispetto al quale sarebbe mancata la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda, in violazione dell'ultimo periodo del comma 2 dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 12, comma 1, lett. i), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120;

3. il provvedimento di diniego sarebbe stato adottato dopo il termine per la conclusione del procedimento (il diniego è stato comunicato solo il 27 aprile 2019, a fronte dell’istanza di rinnovo presentata nel gennaio del 2018), con la conseguente formazione del silenzio-assenso di cui all’art. 20 l. 241/1990;

4. difetto di motivazione della scelta del Consiglio comunale di negare la concessione sulla scorta della considerazione della - solo potenziale, allo stato - volontà di recupero dell’area alla fruizione pubblica.

Col il quinto punto di ricorso, la società ha, quindi, chiesto la condanna del Comune al risarcimento del danno derivante dalla necessità dello smantellamento dell’impianto e della sua delocalizzazione, con conseguente sviamento della clientela e perdita di una quota di mercato, mentre al sesto punto essa ha lamentato l’erroneità del calcolo relativamente al pagamento dei canoni di occupazione di suolo pubblico.

Si è costituito in giudizio il Comune di Zeta per chiedere il rigetto del gravame, previa declaratoria del difetto di giurisdizione rispetto a quanto dedotto in relazione al preteso erroneo calcolo dei canoni di occupazione del suolo pubblico. Esso ha altresì rappresentato, in punto di fatto, che nella comunicazione del 27 aprile 2019 è stato riportato il dispositivo della deliberazione del Consiglio comunale, di cui è stata allegata copia, recante anche le motivazioni del diniego, evidentemente conosciute dalla ricorrente, che ne ha infatti contestato il fondamento con nota dell'11 maggio 2019, depositata in giudizio.

Nel merito, il Comune ha evidenziato l’adeguata motivazione del diniego del rinnovo della concessione (considerata la volontà esplicitata dal Comune, nel provvedimento, di recuperare alla fruizione pubblica una piazza collocata in posizione strategica nell’ambito del centro storico dello stesso) e chiesto di accertare l’effetto non invalidante dell’omessa comunicazione delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza, alla luce del secondo comma dell’art. 21 octies della legge n. 241/90, evidenziando che parte ricorrente, in giudizio, non ha addotto alcun elemento concreto e idoneo, a fronte della chiara e compiuta motivazione del diniego avversato, a indurre a ritenere che, se l’Amministrazione ne fosse stata resa edotta attraverso la partecipazione al procedimento, il contenuto dell’atto finale avrebbe potuto essere diverso da quello dell’atto impugnato.

Al contrario, la difesa dell'amministrazione comunale ha dedotto in giudizio che le motivazioni poste alla base delle due precedenti proroghe si rifacevano alla esigenza di garantire al territorio comunale di Zeta la presenza di almeno un impianto di distribuzione di carburanti che potesse soddisfare le esigenze della popolazione, motivazioni sostanzialmente venute meno con l’entrata in esercizio di un altro impianto di distribuzione di carburanti; si è resa necessaria, di conseguenza, una valutazione che imponga di considerare prioritario l’obiettivo di addivenire ad un recupero funzionale dell’area di che trattasi, al fine di destinarla in maniera proficua alla utilizzazione pubblica e dell’intera collettività.

La società ricorrente, nella sua memoria finale, ha ribadito quanto sostenuto in ricorso, mettendo in evidenza, per quanto attiene alla fase integrativa dell’efficacia della deliberazione consiliare, l’incompletezza della stessa, essendo stata omessa la pubblicazione all’albo del provvedimento.



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Il candidato/la candidata rediga la sentenza nella parte in diritto e nel dispositivo. Il ricorso va risolto seguendo l’ordine logico di trattazione in tutti i profili di rito, anche sollevabili d’ufficio dal giudice adito, e nel merito, pure se uno dei profili in rito fosse assorbente.


MOTIVAZIONE E DISPOSITIVO


DIRITTO


1. Preliminarmente, il Collegio deve dare atto del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla contestazione della misura dei canoni di occupazione dovuti di cui al punto 6 del ricorso. L’articolo 5, secondo comma della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 (oggi art. 133, comma 1, lett. b) del d.lgs. n. 104 del 2010), infatti, ha riservato al giudice ordinario ogni controversia relativa ad indennità, canoni ed altri corrispettivi inerenti a rapporti di concessione e, per giurisprudenza consolidata, le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi riservate, in materia di concessioni amministrative, alla giurisdizione del giudice ordinario sono quelle contrassegnate da un contenuto meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra p.a. concedente e concessionario del bene, contenuto in ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata secondo il binomio "obbligo-pretesa", senza che assuma rilievo un potere di intervento riservato alla p.a. per la tutela di interessi generali.

2. Declinata la giurisdizione su tale domanda, il ricorso, per la parte restante, non è suscettibile di positivo apprezzamento.

2.1. Il primo motivo di gravame è infondato in fatto, atteso che il contenuto della delibera del Consiglio comunale lesiva è stato riportato integralmente nella lettera oggetto di impugnazione dal Comune resistente, come provato anche dalla circostanza che, con missiva in data successiva, la società ricorrente, preso atto del diniego, ne ha contestato il fondamento, rendendo così palese di aver preso piena conoscenza del contenuto dei provvedimenti gravati.

In ogni caso, l'eventuale mancata notificazione, così come la dedotta omessa pubblicazione della delibera consiliare contestata (in asserita violazione dell’art. 124 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267, anche se la deduzione è stata inammissibilmente effettuata per la prima volta dalla ricorrente con memoria finale non notificata) avrebbero avuto soltanto l’effetto di fare decorrere il termine per l’impugnazione dalla piena conoscenza di tali atti, ex art. 41, comma 2 c.p.a., e non inciderebbero sulla legittimità della delibera stessa.

2.2. Anche il secondo motivo di gravame è infondato, atteso che risulta dagli atti che la delibera consiliare impugnata chiarisce i motivi di interesse pubblico e le sopravvenienze in fatto che hanno giustificato il diniego, ovvero la necessità di considerare prioritario, rispetto alla conservazione in loco di un impianto di distribuzione di carburanti, l’obiettivo di addivenire ad un recupero funzionale dell’area in questione, al fine di destinarla in maniera proficua alla utilizzazione pubblica e dell’intera collettività.

2.3. Quanto al profilo relativo all’omessa comunicazione dei motivi ostativi, deve osservarsi che la deduzione non può trovare accoglimento, atteso che è stato dimostrato in giudizio – per quanto appresso si dirà - che il contenuto sostanziale del provvedimento, relativamente alla parte in questa sede impugnata, non è affetto dai vizi dedotti dalla ricorrente, e che, se anche fosse stato preceduto dalla prescritta comunicazione di legge, non avrebbe potuto comunque avere diverso contenuto.

A tal proposito, occorre precisare che, per giurisprudenza costante, la violazione dell'art. 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento finale, in ragione di quanto previsto dall’art. 21-octies della medesima legge, in base al quale, laddove sia dedotto un vizio di natura formale, quale l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, il provvedimento conclusivo del procedimento non può essere annullato, nel caso in cui sia dimostrato che anche qualora la norma fosse stata rispettata il contenuto del provvedimento, discrezionale, non avrebbe potuto essere diverso.

Nella fattispecie in esame parte ricorrente, anche in giudizio, non ha addotto alcun elemento concreto e idoneo - a fronte della chiara e compiuta motivazione del diniego avversato - a indurre a ritenere che, se l’Amministrazione ne fosse stata resa edotta attraverso la partecipazione al procedimento, il contenuto dell’atto finale avrebbe potuto essere diverso da quello dell’atto impugnato, e la difesa comunale ha evidenziato che le motivazioni poste alla base delle due precedenti proroghe (le quali si rifacevano alla esigenza di garantire al territorio comunale di Zeta la presenza di almeno un impianto di distribuzione di carburanti che potesse soddisfare le esigenze della popolazione) erano sostanzialmente venute meno con l’entrata in esercizio di un altro impianto di distribuzione di carburanti.

Né può trovare applicazione al caso di specie la modifica del comma 2 dell’art. 21-octies della L. n. 241/1990 disposta dall’art. 12, comma 1, lett. i), D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, che espressamente esclude l’applicazione della norma stessa nel caso di violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/90, atteso che gli atti impugnati ricadono in un arco temporale antecedente alla adozione della modifica, dal carattere evidentemente innovativo del precedente quadro normativo e giurisprudenziale formatosi sulla originaria formulazione dell’art. 21-octies citato.

Conseguentemente, l’operare del principio "tempus regit actum" preclude l’applicazione al caso di specie della novella.

2.4. Neppure è fondato il terzo motivo di gravame, relativo all’asserita formazione del silenzio-assenso sull’istanza di rinnovo della concessione presentata dall’odierna ricorrente, atteso che il provvedimento con cui la pubblica amministrazione assente ad una occupazione di suolo pubblico non può formarsi per silenzio assenso, tenuto conto della sua natura concessoria e dei rilevanti interessi pubblici connessi alla corretta pianificazione del territorio. Con tale provvedimento, infatti, la P.A. trasferisce in capo al privato istante una posizione giuridica attiva, che fino a quel momento era nella sua titolarità esclusiva, e ne regola l’uso, previa valutazione della ricorrenza dei requisiti previsti dalla normativa applicabile e previa comparazione dei contrapposti interessi in gioco. Ne consegue che, come più volte chiarito dalla giurisprudenza, nel caso di istanze volte ad ottenere concessioni per l'occupazione di suolo pubblico, non trova applicazione, per le insopprimibili ed ovvie esigenze di interesse pubblico al pieno controllo dell'ente comunale circa l'utilizzo delle proprie strade, l'istituto del silenzio assenso di cui all'art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

2.5. Anche il quarto motivo di gravame è infondato, atteso che l’Amministrazione – per quanto già indicato relativamente all’esame del secondo motivo – ha chiarito le ragioni del diniego. In particolare, deve osservarsi che la delibera consiliare censurata ha rappresentato, nell’esercizio dei poteri di competenza del Consiglio Comunale, l’esigenza di creare uno spazio pubblico destinato alla collettività, esigenza che – stando alle valutazioni discrezionali del Comune, che non risultano trasmodare, nel caso di specie, nell’irragionevolezza e dunque nell’eccesso di potere – non si concilia con la permanenza dell’impianto di distribuzioni di carburanti in una area di rilievo strategico, dal punto di vista urbanistico ed architettonico, del centro urbano.

3. Nemmeno può trovare accoglimento la domanda risarcitoria di cui al punto n. 5 del ricorso.

In disparte ogni considerazione circa la genericità dell’istanza, nella quale si lamenta solo in termini del tutto ipotetici il danno che potrebbe derivare dalla delocalizzazione dell’impianto, in termini di perdita di una fetta di mercato e di appeal sulla clientela, essa deve, comunque, essere rigettata alla luce della legittimità dei provvedimenti gravati e della reiezione della domanda di annullamento, che escludono la sussistenza di una condotta ingenerante un danno ingiusto, fonte di responsabilità.

4. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente rigettato e, pertanto, le spese di lite, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della società ricorrente, per il principio della soccombenza.


P.Q.M.


il Tribunale Amministrativo Regionale per ____ (Sezione _____), definitivamente pronunciando sul ricorso:

- dichiara inammissibile la censura di cui al sesto punto del ricorso, declinando la propria giurisdizione a favore del giudice ordinario;

- lo respinge in ogni altra sua parte, compresa la domanda di risarcimento del danno;

- condanna la società ricorrente a rifondere le spese processuali sostenute dall’amministrazione resistente, che liquida in complessivi € ______, oltre accessori di legge e rifusione del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in ______ nella camera di consiglio del giorno _______ con l'intervento dei magistrati:


SPIEGAZIONE


MOTIVAZIONE

La traccia può e deve essere divisa, ai fini della stesura della motivazione, in due segmenti.

Il primo, contenutisticamente meno rilevante - ma decisivo ai fini di una valutazione positiva del candidato - concerne la domanda di determinazione dell'indennità dovuta per i canoni.

Il secondo riguarda invece il nucleo della motivazione che è alla base del provvedimento impugnato.

Dal momento che il Comune ha eccepito il difetto di giurisdizione, il candidato deve prioritariamente soffermarsi su tale eccezione, anche se l'eventuale accoglimento della stessa, come nel caso di specie, non determinerebbe la preclusione dell'esame di merito delle altre censure.

Si tratta infatti di una domanda distinta da quella principale di annullamento, in quanto volta all'accertamento di un diritto, espressamente escluso dall'art. 133, comma 1 lett. b) del codice del processo amministrativo dall'ambito della giurisdizione esclusiva.

D'altra parte, siccome il rigetto di tale domanda (rectius: la declaratoria di inammissibilità) non assorbe il nucleo centrale dei motivi di ricorso, non occorre in questo caso affrontare il merito anche della questione afferente all'indennità.

Ci si può dunque arrestare, su questa domanda, ad una pronuncia in rito.

Quanto invece alla domanda di annullamento, il nucleo centrale da affrontare, come detto, attiene alla "tenuta" della motivazione del provvedimento.

La traccia offre una soluzione abbastanza semplice in ordine alla valutazione del corretto esercizio della discrezionalità da parte dell'amministrazione - nel caso di specie da ritenersi sussistente - ma presenta un'insidia sugli effetti di un vizio formale sicuramente ravvisabile, ovvero il mancato preavviso di diniego. 

Occorre dunque chiedersi se l'esplicita (e recente) introduzione nell'ambito della L. n. 241 del 1990 di un inciso che esclude l'equiparazione tra mancata comunicazione di avvio del procedimento e mancato preavviso di diniego, ai fini di applicabilità dell'art. 21-octies, comma 2, secondo periodo della legge sul procedimento amministrativo, abbia una portata innovativa o di interpretazione autentica.

Nel primo caso, la norma va applicata ex nunc, e cioè a tutti quei procedimenti che non si siano ancora conclusi al momento dell'entrata in vigore della nuova norma; nel secondo caso, la disposizione de qua va applicata ex tunc, e quindi anche al procedimento concluso prima della sua entrata in vigore. Il candidato può scegliere astrattamente entrambe le soluzioni, purché motivando in merito, ma dovrebbe in ogni caso tenete presente - e dimostrare di esserne a conoscenza - che la giurisprudenza formatasi precedentemente alla novella legislativa si era espressa per l'equiparazione tra i due vizi (mancato preavviso di diniego e omessa comunicazione di avvio del procedimento), ai fini della possibilità di integrazione della motivazione, da parte dell'amministrazione, in sede processuale, di modo che risulta più corretto sostenere che si tratti di norma che, prendendo atto di tale orientamento giurisprudenziale, lo abbia voluto superare innovativamente e non in sede di interpretazione autentica della disposizione originaria.

Due delle altre censure principali del ricorso sono infine risolvibili grazie all'applicazione dei principi generali: da un lato, occorre ricordare che la contestazione di mancata notificazione o pubblicazione dell'atto, riguardando nel caso di specie un profilo di efficacia e non di perfezione dell'atto stesso, viene processualmente superata dall'intervenuta piena conoscenza del provvedimento impugnato e comunque non incide sulla legittimità dell'atto; dall'altro, è necessario tenere a mente che il disposto dell'art. 20 della L. n. 241 del 1990 qualifica l'inerzia entro il termine di conclusione del procedimento dell'autorità procedente come silenzio-assenso soltanto nei casi ivi previsti, tra cui è senz'altro da escludere, per motivi testuali e sistematici, una concessione di suolo pubblico.


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