Eccesso di potere ed eccesso di diritto secondo i guardiani dell’ordinamento

a cura di Roberto Lombardi • 11 maggio 2025

La Corte di Cassazione ha recentemente ribadito fino a che punto arriva il potere giurisdizionale, di per sé molto esteso, del Consiglio di Stato.

In effetti, l'organo di secondo grado della magistratura amministrativa è giudice di merito e di legittimità rispetto alle decisioni dei Tribunali territoriali (i quali, per effetto dell'espansione delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, giudicano in alcuni casi anche su diritti soggettivi) e assomma in sé anche la prerogativa di svolgere funzioni consultive al servizio dell'esecutivo.

Tra le non sconfinate fila del suo organico, peraltro, si annovera pure un numero importante di capi di gabinetto, vice capi ed esperti che svolgono le loro attività collaterali a quelle giurisdizionali o per la Presidenza del Consiglio o per importanti Ministeri.

Posto che il rispetto dei limiti interni di giurisdizione, una volta giunti all'ultimo grado del giudizio amministrativo, non è sindacabile da nessuno - se non con rimedi diversi rispetto alla impugnazione sic et sempliciter della sentenza presso altro e "superiore organo" -, la Corte di Cassazione funge da guardiano del rispetto dei c.d. limiti esterni, sanzionando l’eventuale eccesso di potere giurisdizionale.

In particolare, oltre al tradizionale controllo sul presupposto indefettibile che la materia oggetto di pronuncia rientri nell'ambito della giurisdizione amministrativa, il limite che il Consiglio di Stato non può oltrepassare è quello della sfera di azione riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa.

Il confine è dunque il rispetto dell'ambito giurisdizionale affidato dalle norme al Giudice amministrativo: all'interno di tale perimetro, la cattiva applicazione delle regole del giudizio o perfino la negazione ingiusta della tutela richiesta non rilevano per la Cassazione; all'esterno di tale perimetro, il Consiglio di Stato entra in una “terra proibita” e subisce l'annullamento della sua sentenza.

Il difetto assoluto di giurisdizione è peraltro un'area off limits in cui è lo stesso guardiano (la Corte di Cassazione) a stabilire le regole del gioco e ad applicarle.

In linea di massima, come detto, l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata alla P.A. si ha quando il Giudice amministrativo compie atti di valutazione della mera opportunità dell'atto impugnato, sostituisce propri criteri di valutazione a quelli demandati normalmente alla discrezionalità dell'amministrazione, oppure adotta decisioni finali che si traducono nella sostanza in decisioni c.d. autoesecutive, ovvero interamente sostitutive delle determinazioni dell'amministrazione.

Si ha invece invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore qualora il giudice speciale applichi non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete.

Nello specifico caso che ha dato origine alla recente sentenza n. 7530/2025 delle Sezioni unite civili della Corte di cassazione, il Consiglio di Stato avrebbe esautorato completamente la potestà discrezionale dell'organo di autogoverno della Giustizia tributaria, in quanto non si è limitato ad annullare il provvedimento di diniego di un'istanza di trasferimento, ma ha adottato una regola della fattispecie concreta "chiusa" (cioè non suscettibile di ulteriori interpretazioni) e contrastante con la disciplina interna di cui si era dotato tale organo.

La vicenda riguardava la volontà di un Giudice tributario, già Presidente di una Corte di secondo grado, di avvicinarsi per motivi di salute alla propria residenza mediante l’istituto dell’applicazione temporanea.

Ai sensi del combinato disposto della normativa primaria (d.lgs. n. 545 del 1992) e secondaria (risoluzione interna del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria) applicabile, ciò non era possibile, in quanto l'unica possibilità per assecondare i desiderata del richiedente sarebbe stata quella di violare il termine massimo di un anno previsto per la durata dell'applicazione e di derogare alla necessità di conservazione delle medesime funzioni, in quanto era in quel momento indisponibile un posto come Presidente di Corte di secondo grado nel luogo di residenza dell'interessato; d'altra parte, l'interessato non avrebbe potuto partecipare, per ragioni anagrafiche e di imminente collocamento a riposo, all'interpello per il posto oggetto dell'applicazione temporanea.

A fronte di questa disciplina espressa, tuttavia, il Consiglio di Stato, a conferma della sentenza emessa in prima istanza, aveva annullato il diniego dell'istanza adottato dal CPGT, stabilendo, quale effetto conformativo non superabile, che, nel caso di specie - in ossequio al rispetto del principio costituzionale di tutela della salute -, l'applicazione del magistrato avrebbe potuto avere durata superiore a un anno e non sarebbe stato necessario lo svolgimento delle stesse funzioni già in essere, con possibilità, dunque, per il richiedente, di “passare” da Presidente di Corte di secondo grado a Presidente di Corte di primo grado.

In altri termini, il Giudice amministrativo aveva riscritto la disciplina giuridica interna di un Organo di autogoverno per farne derivare, nella sua ottica decisoria, un profilo di compatibilità con l'architrave costituzionale.

Si potrebbe quasi dire che nella pronuncia cassata del Consiglio di Stato è rinvenibile, in questo caso, un eccesso di diritto, inteso come spazio giuridico arbitrariamente invaso.

Tanto, in senso opposto rispetto a un'altra precedente sentenza del Giudice amministrativo, anch’essa annullata per eccesso di potere, allorché invece il Consiglio di Stato fu tacciato non di avere applicato una regola di sua creazione ma di avere al contrario negato in astratto la tutela giurisdizionale (c.d. arretramento), per avere precluso in radice la legittimazione a intervenire nel processo ad alcuni enti ricorrenti, così negando anche la giustiziabilità degli interessi collettivi da essi rappresentati (Cass. civ, Sez. Unite, n. 32559/2023). 

In quel caso, secondo gli Ermellini, era mancata una verifica negativa in concreto delle condizioni di ammissibilità degli interventi in giudizio di alcune associazioni, con la conseguenza "di un aprioristico diniego di giustiziabilità" della posizione soggettiva di cui erano portatrici tali associazioni. Si potrebbe tradurre l'ipotesi in discorso alla stregua di una indebita trasformazione dell'interesse giuridico sottostante all'iniziativa processuale in un interesse di mero fatto.

Gli approdi della Corte di Cassazione sul tema sono dunque vari e interessanti, e svelano come è facile riempire di nuovi contenuti quel controllo sui Giudici speciali che la Corte costituzionale aveva cercato di contenere con la sentenza n. 6 del 2018, negando la possibilità di allargamento del concetto di giurisdizione al fine di garantire effettività della tutela e diritto al giusto processo.

Ci sono peraltro degli ambiti di protezione dei diritti in cui forse si impone l'intervento dell'unico organo giurisdizionale davvero in grado di riportare ad unità il sistema, sotto il profilo del limite oltre il quale i singoli Giudici (speciali e ordinari) non possono andare, posto che la Corte costituzionale è "costretta" nelle strettoie del solo dato normativo di rango primario, del più che incisivo controllo sulla rilevanza delle questioni sollevate, e del necessario bilanciamento dei valori costituzionali da contemperare.

Uno di questi ambiti è senz'altro quello afferente alle questioni di status dei magistrati, laddove è forse sfuggito al legislatore che gli unici che decidono sul loro “destino istituzionale”, al di fuori e a volte in senso contrario rispetto all'ambito peculiare dell'autogoverno, sono proprio i Giudici amministrativi.

Si tratta di un profilo molto delicato, che si affianca in modo critico all’altra particolare questione, già sfiorata, delle c.d. carriere parallele di questi Giudici speciali, coinvolti in numero certamente superiore rispetto a quello dei magistrati ordinari nella collaborazione continuativa con le stesse amministrazioni sulla legittimità dei cui atti la Giustizia amministrativa si esprime, ma soprattutto presenti presso tutti i Ministeri più rilevanti, e anche presso gli uffici apicali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

D’altra parte, con riferimento alle questioni di status, l’ordinamento della giustizia amministrativa è ricco di anomalie e criticità sue proprie, come evidenziato con arguzia da un ex magistrato amministrativo in un contributo apparso su questo sito [1], e produce non poche preoccupazioni sulla sua tenuta futura, posto che le eventuali decisioni del Consiglio di Presidenza, in un senso o nell’altro – all’interno di una disciplina caotica e a strati, che spesso deve essere previamente interpretata –, sono poi impugnabili proprio dinanzi a TAR e Consiglio di Stato, nel contesto di una chiara anomalia di sistema che sfiora la dimensione della “giurisdizione domestica”.

E non è del tutto peregrina l’ipotesi che il Consiglio di Stato, così come, con la sentenza del 7 aprile 2023, n. 3624, ha deciso di fatto anche per il futuro (in assenza di uno specifico interesse attuale delle parti del giudizio) sulla legittimità di una delibera del Consiglio di Presidenza afferente ai criteri di nomina dei Presidenti di Sezione dello stesso Consiglio di Stato, possa un giorno pronunciarsi anche sulla perdurante separazione di fatto dei ruoli di Tar e Consiglio di Stato, posto che la tendenziale irreversibilità della scelta di transitare dal primo al secondo grado della Giustizia amministrativa è causa di malesseri interni al plesso e di una carenza ormai strutturale di provvista di giudici di appello.

La formale estensione al giudice amministrativo delle garanzie di indipendenza e terzietà  stabilite per il giudice civile con particolare riguardo alle cause di astensione obbligatoria (art. 51 c.p.c., come richiamato dagli articoli 17 e 18 c.p.a.) rende applicabile anche al giudice amministrativo il principio secondo cui i semplici rapporti di “colleganza” e o di conoscenza tra una o più parti e il giudice, ivi compresi quelli derivanti dalla comune appartenenza a uno stesso ordinamento o istituto ovvero a una medesima associazione o categoria, non sono suscettibili di costituire causa di astensione.

Tuttavia, come anticipato, tale principio, nella sostanza, sembra collidere con il fatto che il giudice amministrativo può trovarsi a giudicare su cause che vedono come parti soggetti appartenenti al suo stesso ordine giudiziario in relazione non solo a qualsiasi vicenda amministrativa ma anche in casi in cui l’oggetto del contendere, coinvolgendo l’interpretazione e l’applicazione di norme relative all’ordinamento della giustizia amministrativa, rischia potenzialmente di incidere sullo status e sulle prospettive di carriera dello stesso giudicante.

L’aspetto sostanziale dell’indipendenza della magistratura – come interpretato dalla giurisprudenza sovranazionale sulla scia dell’articolo 6 CEDU (“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale…”) – pretende infatti che il giudice sia neutrale non soltanto rispetto alle parti in contenzioso, ma anche rispetto all’oggetto della lite stessa, nel senso della sua totale indifferenza  rispetto agli interessi contrapposti e nei confronti dell’esito della controversia.

Nel caso della c.d. giurisdizione domestica su diritti e status dei magistrati amministrativi, così come disciplinata oggi, sussistono garanzie idonee a rendere i giudici liberi da qualsiasi indebita influenza proveniente sia dall’esterno che dall’interno della magistratura?

Esclusa una rilevanza di incostituzionalità delle norme vigenti, ha spazio la Corte di Cassazione per intervenire sulle sentenze del Consiglio di Stato che dovessero riscrivere o scrivere ex novo pezzi di “disciplina interna” allo stato carenti o del tutto mancanti?

Staremo a vedere. 

Intanto può sicuramente affermarsi che, fortunatamente, le anomalie che caratterizzano l’assetto ordinamentale della giurisdizione amministrativa non sono state fino ad oggi idonee a pregiudicare la capacità dei Giudici dell’Amministrazione di assicurare un’efficace ed efficiente risposta alle istanze di giustizia dei singoli, attraverso l’imparziale applicazione delle regole processuali.

Ancora più fortunatamente, sta emergendo - da ultimo - che l’incidenza del cattivo diritto  sulla diminuzione del prodotto interno lordo origina da luoghi estranei a quelli in cui abita la giustizia amministrativa.

È stata infatti recentemente diffusa la stima di alcuni economisti di valore, secondo cui se le leggi degli ultimi trent'anni fossero state chiare, il prodotto interno lordo italiano sarebbe ora più alto di almeno il 10 per cento [2]

Invero, tramite la misurazione di alcuni oggettivi indicatori di complessità delle norme, la ricerca ha dimostrato una correlazione importante tra ambiguità e incertezza delle leggi e diminuzione della crescita economica.

E ancora più grave, poi, seguendo la lucida analisi svolta al riguardo da Sabino Cassese, è che l'oscurità del dato legislativo, ormai prepotentemente in mano ai Governi tramite l'uso "diffuso" dei decreti-legge – che sono scritti prevalentemente dagli staff dei ministeri e dalle strutture serventi della Presidenza del Consiglio dei ministri -, potrebbe essere addirittura premeditata, avendo carattere sistematico.

Bisognerebbe allora capire da dove proviene e con quali criteri viene scelto il ristretto numero di «scrittori di leggi» che, ancora oggi, al di là delle competenze effettive e dei vincoli burocratici e politici, creano innanzitutto disagio applicativo ai Giudici (speciali e non), e infine veri e propri danni alla collettività.







[1] Per un approfondimento delle ancora attuali questioni afferenti all'accesso e alle carriere dei Giudici amministrativi si rinvia al seguente link, dove è possibile l'integrale lettura del contributo a firma della Presidente in quiescenza Gabriella De Michele:  https://www.primogrado.com/come-eravamo-e-come-siamo-rimasti-unicita-di-accesso-e-di-carriere-lo-strano-caso-dei-giudici-amministrativi
[2] La notizia è stata riportata in un articolo a firma dell'ex Giudice della Corte costituzionale Sabino Cassese dal titolo "L'oscurità delle leggi ci fa male", rinvenibile al seguente link: 
https://www.corriere.it/opinioni/25_maggio_03/l-oscurita-delle-leggi-ci-fa-male-5c4a5f3a-ff33-44c6-81ef-d1944b925xlk.shtml