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Divieto di testimonianza nel processo tributario e dichiarazioni di terzi

aggiornamento a cura di Alma Chiettini, Giudice tributario • giu 23, 2021

Cassazione Civile, Sez. V, 14 giugno 2021, n. 16711

Processo tributario – Divieto di prova testimoniale – Ammissibilità e valore probatorio delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà rese da terzi – Compatibilità fra i due istituti. 


Nel processo tributario non è ammessa la prova testimoniale (art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546 del 1992).

Nondimeno, per giurisprudenza oramai consolidata, tale divieto non osta alla possibilità per la parte interessata - sia l’Amministrazione finanziaria sia il contribuente - di produrre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale (spesso nella forma delle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà), le quali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice nel contesto probatorio emergente dagli atti.

Tale principio è stato ribadito dalla pronuncia in epigrafe la quale, dopo aver ribadito che “l’inammissibilità della prova testimoniale nel processo tributario non comporta l’inutilizzabilità, in sede processuale, delle dichiarazioni di terzi, per quanto alle stesse non debba essere riconosciuto valore probatorio pieno, rappresentando esse, piuttosto, un indizio, valutabile in relazione agli altri elementi acquisiti”, ha precisato che il giudice tributario ha “il potere-dovere di valutarne l’attendibilità, comportando il principio della libera valutazione delle prove l’obbligo di confrontare le propalazioni raccolte e di valutare la credibilità dei dichiaranti in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali altri elementi acquisiti, per poi impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo”.

Inoltre, alle dichiarazioni di terzi prodotte dal contribuente non può essere applicato il principio di non contestazione perché, vista e ferma la pretesa tributaria formalizzata nell’atto impositivo, esse sono solo potenzialmente idonee, in corso di causa, a dimostrare il contrario.

Tale ricostruzione dell’istituto non elude il divieto di prova testimoniale perché le dichiarazioni dei terzi non possono mai tradursi in prove esclusive; esse possono solo concorrere a formare il convincimento del giudice ma non a giustificarlo senza ulteriori elementi.

La pronuncia in esame ha anche precisato che la compatibilità tra il divieto di testimonianza e la possibilità di presentare dichiarazioni di terzi tiene conto dei principi espressi in sede sovranazionale in materia di contraddittorio, secondo i quali “l’assenza di pubblica udienza o il divieto di prova testimoniale nel processo tributario sono compatibili con il principio del giusto processo solo se da siffatti divieti non deriva un grave pregiudizio della posizione processuale del ricorrente sul piano probatorio non altrimenti rimediabile” (Corte EDU 23 novembre 2006, Jussilla contro Finlandia; 12 luglio 2001, Ferrazzini contro Italia).

Difatti, se in termini generali la Corte EDU ha dichiarato che l’art. 6 della CEDU (che si riferisce letteralmente ai “diritti e doveri di carattere civile”) non è applicabile alle liti tributarie vertendo esse su obbligazioni che, seppure di contenuto patrimoniale, attengono a doveri civici imposti in una società democratica (sul rilievo che “la materia fiscale rientra nell’ambito delle prerogative del potere d’imperio”), è altresì vero che tale rigida interpretazione della disposizione ha visto e sta vedendo continuamente plurime deroghe.



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