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Difetto di giurisdizione per illegittima composizione dell’organo giudicante

mag 19, 2021

L'esercizio della giurisdizione implica ed impone indipendenza e imparzialità, che costituiscono presidio di legalità, giustizia ed eguaglianza a garanzia dei cittadini.

Indipendenza e imparzialità rappresentano connotato e condizione essenziale per l'esercizio della funzione giurisdizionale.

E' questo il modello delineato dalla Costituzione, la quale vuole giudici "soggetti soltanto alla legge" (art. 101 Cost., comma 2), definisce la magistratura ordinaria, nell'architettura dei poteri dello Stato, "ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere" (art. 104 Cost.), demanda alla legge (art. 108 Cost., comma 2) il compito di assicurare l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali e individua tra le caratteristiche del "giusto processo" lo svolgersi "davanti a giudice terzo e imparziale" (art. 111 Cost., commi 1 e 2). Questo è anche il modello europeo di giudice, con indipendenza e imparzialità garantite dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (art. 6, par. 1) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 47).

Per i magistrati, l'assunzione di compiti e lo svolgimento di attività estranee a quelle proprie dell'ufficio ad essi affidato - anche quando non richiedano una sospensione o una riduzione delle funzioni ordinarie - sono fattori suscettibili, in astratto, di incidere sulla loro indipendenza e imparzialità: sia in quanto può esservi una interferenza diretta tra compiti propri e ulteriori attività svolte, sia in quanto l'attribuzione stessa, o la possibilità di attribuzione, dell'incarico, per la sua natura e per i vantaggi che possono derivarne, può tradursi in un indiretto condizionamento del magistrato (Corte Cost., sentenza n. 224 del 1999).

La commistione di ruoli, derivante ad esempio dalla partecipazione di un magistrato amministrativo in servizio alla funzione lato sensu legislativa, è potenzialmente suscettibile di appannare l'immagine di terzietà del giudice, per il conflitto di interesse che potrebbe realizzarsi ogniqualvolta il magistrato stesso si trovasse a dover decidere in sede giurisdizionale in ordine ad atti normativi alla cui redazione abbia contributo in maniera fondamentale, con una partecipazione che eccede quella che normalmente si esprime in una commissione di studio o di esperti mediante un apporto esclusivamente tecnico.

La potenziale lesività connessa a siffatta compresenza di funzioni è, di volta in volta, neutralizzabile attraverso gli istituti dell'astensione e della ricusazione, applicabili, tra l'altro, anche al processo amministrativo in base al rinvio operato dagli artt. 17 e 18 del codice del processo amministrativo alle corrispondenti disposizioni (artt. 51 e 52 c.p.c.), se del caso interpretate in modo conforme al significato assunto dell'art. 6 della Convenzione nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Ma - a prescindere dall'eventuale ricusabilità del componente "sospetto" -, quella commistione può non determinare, di per sé, secondo l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, abnormità nella composizione del collegio giudicante e neppure vizio di legittimità in un grado di gravità tale da alterare la stessa struttura dell'organo giurisdizionale.

Al riguardo, i Giudici di legittimità, investiti della questione sul se integri un motivo inerente alla giurisdizione, ai sensi dell'art. 111 Cost., comma 8, art. 362 c.p.c. e art. 110 cod. proc. amm., la deduzione con cui si denunci il difetto di terzietà-imparzialità di un collegio giudicante per la sua illegittima composizione, in ragione del cumulo, in capo al giudice estensore della sentenza impugnata, di funzioni giurisdizionali e di funzioni normative, hanno stabilito che occorre valutare caso per caso.

In particolare, le Sezioni Unite hanno costantemente ricondotto nell'ambito del sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione l'illegittima composizione dell'organo giurisdizionale, ma soltanto a condizione che il vizio di costituzione del collegio giudicante sia di particolare gravità.

La carenza di giurisdizione, in relazione all'illegittima composizione del giudice speciale, è ad esempio ravvisabile quando è imputabile a illegittimità costituzionale della norma sulla composizione del collegio, o nei casi di alterazione strutturale dell'organo giudicante, per vizi di numero o di qualità dei suoi membri, che ne precludono l'identificazione con quello delineato dalla legge; diversamente, si verte in tema di violazione di norme processuali, esorbitante dai limiti del sindacato delle Sezioni Unite stesse.

Si è così stabilito che è viziata da difetto di giurisdizione, per irregolare composizione del collegio giudicante derivante da assoluta inidoneità di un suo membro a svolgere le relative funzioni, la decisione adottata dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con un componente nominato in applicazione del d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654, art. 3, comma 2, norma dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza della Corte costituzionale n. 25 del 1976, in quanto prevedente la possibilità di riconferma dell'incarico per i membri del medesimo Consiglio designati dalla Giunta regionale, vertendosi in tema di vizio che si ricollega alla mancata assicurazione dell'indipendenza del giudice per effetto di un'investitura originariamente invalida (Cass., Sez. U., 19 ottobre 1983, n. 6125; Cass., Sez. U., 23 maggio 1984, n. 3168).

In questa stessa prospettiva, è stato ritenuto ammissibile il ricorso alle Sezioni Unite proposto per difetto di giurisdizione avverso la decisione pronunciata dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria che si assuma composta con un numero di giudicanti diverso da quello prescritto dalla norma organica che ne stabilisce la composizione (Cass., Sez. U., 11 ottobre 1952, n. 3008, cit.).

Al contrario, la Cassazione ha escluso che integri carenza di giurisdizione del collegio giudicante:

- la partecipazione alla decisione della controversia di un magistrato che avrebbe dovuto astenersi (Cass., Sez. U., 1 giugno 2006, n. 13034; Cass., Sez. U., 7 settembre 2018, n. 21926);

- la prosecuzione e la decisione del giudizio a seguito della proposizione di istanza di ricusazione, ai sensi dell'art. 18 cod. proc. amm. (Cass., Sez. Un., 20 luglio 2012, n. 12607; Cass., Sez. U., 12 dicembre 2013, n. 27847);

- la sostituzione del presidente o l'integrazione del collegio con altro consigliere di Stato senza le prescritte autorizzazioni (Cass., Sez. U., 11 dicembre 1992, n. 870);

- la partecipazione al collegio dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, oltre al presidente dell'organo, anche di tre presidenti di sezione e non soltanto di consiglieri di Stato (Cass., Sez. U., 16 gennaio 2007, n. 753);

- la circostanza che, in una causa promossa davanti al Consiglio di Stato, il consigliere relatore risultasse collocato fuori ruolo ed assegnato al Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Siciliana con provvedimento di un giorno antecedente alla data dell'udienza e della camera di consiglio (Cass., Sez. U., 1 luglio 2009, n. 15383).

Quanto al parallelo svolgimento del ruolo di giudice e di incarichi extraistituzionali, è decisivo verificare se il contemporaneo espletamento delle funzioni lato sensu normative non determini l'incardinamento nei ruoli dell'amministrazione de qua e quindi non dia luogo a vincoli derivanti da un collegamento organico o da un rapporto di dipendenza con l'amministrazione stessa, tali da implicare stati di soggezione o possibili forme di condizionamento suscettibili di menomare l'indipendenza e l'imparzialità di giudizio nei processi in cui sia parte quella medesima amministrazione.

Occorre infine indagare anche la possibilità (davvero remota, nel nostro ordinamento) che sussista violazione del principio supremo di separazione dei poteri in ragione del cumulo, in capo allo stesso soggetto, di funzioni legislative e di funzioni giurisdizionali.

Tale violazione è da escludere ogni qual volta il giudice interessato dal potenziale conflitto non sia incardinato in un organo direttamente titolare di una funzione legislativa.

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