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Cura domiciliare dei pazienti Covid e circolari ministeriali

gen 21, 2022

TAR per il Lazio, Sezione Terza Quater, sentenza n. 419 del 2022/ Consiglio di Stato, decreto cautelare n. 207/2022


IL CONTESTO E LA DECISIONE

Alcuni medici che durante la pandemia da Covid-19 si sono occupati dei pazienti affetti da tale patologia, hanno impugnato con un primo ricorso dinanzi al Tar per il Lazio la nota AIFA del 9 dicembre 2020 recante “principi di gestione dei casi Covid-19 nel setting domiciliare”, nella parte in cui, per i primi giorni di malattia, prevedeva unicamente una “vigilante attesa” e somministrazione di fans e paracetamolo, ponendo altresì indicazioni di “non utilizzo” di tutti i farmaci generalmente utilizzati dai medici di medicina generale per i pazienti affetti da covid.

Il Giudice adito in prima istanza aveva accolto la proposta domanda cautelare, ritenendo il ricorso prima facie fondato, in relazione alla circostanza secondo cui i ricorrenti avrebbero fatto valere il loro diritto/dovere, avente giuridica rilevanza sia in sede civile che penale, di prescrivere i farmaci che gli stessi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza.

Tale diritto non avrebbe potuto essere compresso nell’ottica di una “attesa”, potenzialmente pregiudizievole sia per il paziente che, sebbene sotto profili diversi, per i medici stessi. 

Con ordinanza in sede di appello cautelare, però, il Consiglio di Stato aveva riformato la decisione del Giudice di primo grado, ritenendo che la natura dell’atto impugnato portasse ad escludere l’esistenza di profili di pregiudizio dotati dell’attributo della irreparabilità, dal momento che la nota AIFA non avrebbe in ogni caso pregiudicato l’autonomia dei medici nella prescrizione, in scienza e coscienza, della terapia ritenuta più opportuna, mentre, al contrario, la sua sospensione fino alla definizione del giudizio di merito avrebbe determinato il venir meno di linee guida fondate su evidenze scientifiche tali da fornire un ausilio, ancorché non vincolante, alla citata autonomia prescrittiva.

Con successiva nota del 26.04.2021, inviata a tutte le pubbliche amministrazioni interessate, compresa la Federazione Nazionale Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, il Ministero della Salute ha trasmesso una nuova circolare relativa alla "Gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2", aggiornata al 26 aprile 2021, “al fine di fornire indicazioni operative tenuto conto dell'attuale evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale e delle emergenti conoscenze scientifiche”. 

Come precisato dalla nota, “l'aggiornamento è stato effettuato da un apposito gruppo di lavoro, istituito dalla Direzione Generale della Programmazione Sanitaria e dalla Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute, composto da rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico”, e “ha ricevuto il parere favorevole del Consiglio superiore di Sanità”.

La circolare precisa, tra le altre cose, che “nei soggetti a domicilio asintomatici o paucisintomatici, sulla base delle informazioni e dei dati attualmente disponibili, si forniscono le seguenti indicazioni di gestione clinica: vigile attesa (intesa come costante monitoraggio dei parametri vitali e delle condizioni cliniche del paziente); misurazione periodica della saturazione dell’ossigeno tramite pulsossimetria; trattamenti sintomatici (ad esempio paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari, a meno che non esista chiara controindicazione all’uso). Altri farmaci sintomatici potranno essere utilizzati su giudizio clinico”.

Anche questa nota è stata impugnata da medici di medicina generale e specialisti.

In particolare, i ricorrenti hanno lamentato che la circolare del Ministero della Salute sulla gestione domiciliare del paziente, anziché fornire indicazioni valide sulle terapie da adottare a domicilio, farebbe un lungo elenco delle terapie da non adottare, in contrasto con l’esperienza “sul campo” che avrebbero maturato gli stessi ricorrenti.

Erroneo sarebbe stato altresì disporre quali unici criteri confermati e definiti per il trattamento dei pazienti Covid-19, una vigilante attesa e la somministrazione di FANS e paracetamolo, con la contestuale importante limitazione dell’utilizzo degli altri farmaci, che invece sarebbero stati generalmente utilizzati nel corso dell’emergenza sanitaria.

Nello specifico, i ricorrenti hanno ritenuto non corretto l’utilizzo di corticosteroidi solo per i pazienti che hanno già necessità di ossigeno e l’eparina solo nei soggetti immobilizzati, oltre che l’esclusione aprioristica dell’utilizzo di antibiotici e idrossiclorochina.

Secondo i ricorrenti, dunque, la circolare ministeriale ribadirebbe la strategia di vigile attesa, prevedendo da un lato la somministrazione di una terapia farmacologica solo quando il paziente è già grave e con difficoltà respiratorie, e non tenendo in considerazione, dall’altro, delle diverse e numerose esperienze maturate dai medici di medicina generale che hanno nel frattempo curato tempestivamente e a domicilio i pazienti.

In particolare, la circolare impugnata, anziché disporre come trattare il paziente a domicilio, rappresenterebbe, nella prospettiva dei medici contrari a tale strategia, un elenco di ciò che il medico non deve fare, in aperto contrasto con le evidenze scientifiche.

Il Ministero della Salute sarebbe inoltre colpevole di non avere mai avviato una verifica dei dati dei medici territoriali che hanno curato i pazienti affetti da covid già da marzo 2020, perché altrimenti avrebbe potuto verificare che la cura tempestiva dei pazienti, quando necessario anche con idrossiclorochina, nonché con antibiotici, eparina a basso peso molecolare e cortisone, avrebbe avuto ottimi risultati in termini di ridotta mortalità e ridotto tasso di ospedalizzazione.

D’altra parte, i numeri e gli studi osservazionali confermerebbero che un atteggiamento terapeutico di tipo attendistico, come quello applicato in Italia nella prima fase della pandemia, sarebbe da considerarsi fallimentare, mentre sarebbe al contrario efficace nel ridurre le ospedalizzazioni una terapia antinfiammatoria non steroidea (FANS) precocemente somministrata a domicilio, circostanza che in effetti ha indotto il Ministero della Salute a modificare le linee guida per la terapia domiciliare, ma solo affiancando al paracetamolo l’uso dei FANS, e non eliminando del tutto il primo, considerato dai ricorrenti del tutto controindicato.

Il Giudice territoriale adito ha accolto la tesi dei medici contrari alla circolare, evidenziando che le contestate linee guida costituirebbero mere esimenti in caso di eventi sfavorevoli, mentre è onere imprescindibile di ogni sanitario agire secondo scienza e coscienza, assumendosi la responsabilità circa l’esito della terapia prescritta quale conseguenza della professionalità e del titolo specialistico acquisito.

Ne consegue, secondo il TAR, che la prescrizione dell’AIFA, poi confluita nella circolare ministeriale, contrasterebbe con la richiesta professionalità del medico e con la sua stessa deontologia di operatore sanitario, impedendogli a priori l’utilizzo di terapie dallo stesso eventualmente ritenute idonee ed efficaci contro la malattia Covid-19, così come normalmente avviene per ogni attività terapeutica.

La sentenza di primo grado, che ha dunque annullato la circolare impugnata, è stata peraltro impugnata e sospesa in via cautelare da un decreto presidenziale del Consiglio di Stato.


VALORE NORMATIVO E PRESCRITTIVO DELL’ATTO

La circolare impugnata e annullata dalla sentenza in commento costituisce, sotto il profilo materiale, un documento redatto da un gruppo di lavoro appositamente costituito presso due Direzioni del Ministero della Salute, tramite il quale si forniscono a tutte le amministrazioni potenzialmente interessate dalla tematica della gestione domiciliare dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 “indicazioni operative tenuto conto dell’attuale evoluzione della situazione epidemiologica sul territorio nazionale e delle emergenti conoscenze scientifiche”.

Sotto il profilo giuridico, si tratta di un atto che non innova l’ordinamento, perché non contiene regole generali ed astratte applicabili a un numero indefinito di soggetti e di comportamenti, né ha valenza obbligatoria sulla base di norme che lo autorizzano a ciò – nel senso di creare un vincolo giuridico in senso stretto per i destinatari -, ma piuttosto conserva un valore di raccomandazione terapeutica (con indicazioni di gestione clinica).

Lungi dal confinare tale atto in una dimensione meramente “informativa” – nel documento sono contenute anche veri e propri divieti per gli operatori sanitari che gestiscono a domicilio i pazienti affetti da Covid-19 (“non utilizzare eparina”, “non utilizzare idrossiclorochina”) – lo stesso recepisce un potere amministrativo appartenente alla funzione regolatoria dell’AIFA.

Infatti, secondo l’art. 48, comma 5 lett. a) del d.l. n. 269 del 2003 – convertito con modificazioni dalla L. n. 326 del 2003 – l’Agenzia Italiana del Farmaco, ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico e di ampia autonomia (ma sottoposto alle funzioni di indirizzo e di vigilanza del Ministero della salute), ha tra le sue funzioni anche quella di promuovere “linee guida per la terapia farmacologica”.

D’altra parte, nella circolare stessa, in coda, sono riportate le “raccomandazioni AIFA sui farmaci per la gestione domiciliare di COVID-19”, raccomandazioni dalle quali il gruppo di lavoro ministeriale ha ricavato, di fatto, la sostanza del proprio documento. 

Dinanzi a quale tipo di circolare ci troviamo, dunque? Come visto, non è una circolare normativa (innovativa dell’ordinamento giuridico), né una circolare interpretativa (di norme esistenti), ma non è neanche una circolare soltanto informativa. Ha probabilmente un valore misto di tipo informativo e di raccomandazione terapeutica, con la conseguenza di conferire ai soggetti che ne seguono le indicazioni una sorta di “effetto di liceità comportamentale”, alla stregua di quanto avviene con le raccomandazioni per gli Stati nel diritto internazionale.

Come si raccorda tuttavia questo particolare effetto delle raccomandazioni ministeriali contenute nella circolare in questione con l’eventuale imposizione di veri e propri obblighi giuridici, allorché nelle raccomandazioni stesse si rinvengono anche divieti espliciti all’utilizzo da parte del medico di una determinata terapia nei casi concreti a lui sottoposti? 

Vengono a questo punto in rilievo altre due norme fondamentali in materia.

La prima è l’art. 3 del d.l. n. 23 del 1998, convertito con modificazioni dalla L. n. 94/1998, secondo cui (commi 1 e 2) il medico, nel prescrivere una specialità medicinale, si attiene alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall'autorizzazione all'immissione in commercio, salvo che ritenga, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, di impiegare il medicinale per un'indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, in base a dati documentabili riferiti alla specifica situazione clinica del paziente, e “purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale”.

La seconda norma rilevante è l’art. 5 della L. n. 24 del 2017 (c.d. legge Gelli-Bianco).

Secondo tale disposizione (comma 1), gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con  finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità pubblica ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute.

In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali.

Alla suddetta disposizione si aggancia poi lo speciale regime di esenzione da responsabilità penale per eventi di morte o lesioni causati da imperizia medica, qualora siano state “rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge”.

Senza volere entrare nel merito dei limiti di applicabilità generale di tale causa di non punibilità penale, e ragionando a contrario, sembra dunque che il non rispetto delle indicazioni contenute nella circolare ministeriale impugnata, se intese come linee-guida, possa fare emergere una criticità dell’operato del medico, qualora lo stesso prescriva un farmaco “vietato” e vi sia un esito infausto, e, viceversa, “un’assoluzione preventiva” dello stesso operato, qualora ci si attenga alle raccomandazioni e occorra in ogni caso un esito infausto.

Nella realtà giuridica non dovrebbe essere così.

A parte il serio dubbio sul fatto che le indicazioni contenute nella circolare possano costituire le linee-guida di cui parla la legge Gelli-Bianco (in assenza del pedissequo rispetto della procedura ivi prevista), il medico può senz’altro continuare ad avvalersi dell’ampia autonomia prescrittiva conferitagli dal richiamato art. 3 del d.l. n. 23 del 1998.

Nella stessa direzione, peraltro, conduce anche la ratio della ipotesi di esimente prevista dall’art. 590-sexies comma 2 c.p., che per la giurisprudenza prevalente non esclude la responsabilità del medico, se l'evento si è verificato per colpa (anche) lieve da imperizia, quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali, restando non connotata da illiceità la condotta del medico soltanto qualora la stessa sia stata imperita e caratterizzata da colpa lieve (ma non da colpa grave), oltre che effettuata nell'esecuzione di raccomandazioni, linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle specifiche difficoltà tecniche dell'atto medico.

In altri termini, ammesso e non concesso che nel nostro caso le linee-guida o comunque le buone pratiche clinico-assistenziali esistano, e siano rappresentate dalle indicazioni ministeriali, se il grado di rischio da gestire è alto e se vi è un aggiornamento continuo sulle terapie migliori da somministrare, per una mancata sedimentazione delle conoscenze in materia – come ancora accade nella gestione delle conseguenze cliniche dell’infezione da covid –, il medico dovrebbe essere lasciato “libero” di prescrivere il farmaco che ritiene più opportuno rispetto al caso concreto, senza né preclusioni né “assoluzioni” preventive rispetto alla condotta da seguire per evitare l’evento infausto.

D’altra parte, il Consiglio di Stato ha ribadito – seppure in sede di delibazione sommaria sulla domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza del TAR Lazio in commento - che l’esercizio del diritto-dovere del medico di medicina generale di scegliere in scienza e coscienza la terapia migliore non è vincolabile, e che la soppressione della circolare, lungi da restituire ai medici la loro funzione e le loro “inattaccabili” prerogative di scelta terapeutica, determinerebbe semmai un vulnus ordinamentale, consistente nel venir meno di un documento riassuntivo delle “migliori pratiche” che scienza ed esperienza, in costante evoluzione, hanno sinora individuato.

Dopo di che, resta lecito chiedersi a cosa serva una circolare apparentemente svuotata di ogni vincolatività giuridica, anche solo interpretativa – seppure a tratti scritta con frasi dal tenore chiaramente prescrittivo - e se non costituisca la migliore via di uscita rispetto all’impasse innegabilmente generato da queste anomale raccomandazioni una soluzione giudiziale che dichiari la carenza di interesse dei medici ad ottenere l’annullamento dell’atto per mancanza di lesività dell’atto stesso nei loro confronti, di modo da restituire al documento del Ministero della Salute il suo significato reale: una mera rappresentazione dello stato dell’arte nella gestione domiciliare dei pazienti covid, che recepisce la parziale e perdurante confusione della risposta farmacologica e terapeutica in atto.

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